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Giudizio Universale, inammissibile la causa contro l’inazione dello Stato sulla crisi climatica

Dopo due anni e mezzo di udienze, faldoni ricchi di documenti e appuntamenti in tribunale, si conclude con una sorta di nulla di fatto la prima causa allo Stato, chiamata “Giudizio Universale”, avanzata da A Sud e diversi cittadini contro l’inadempienza dello Stato nel perseguire gli obiettivi climatici e di abbassamento delle emissioni. La causa è infatti stata giudicata come “inammissibile” per difetto di giurisdizione. Nel giugno 2022, guidati dalla associazione A Sud, 203 ricorrenti fra cittadini e gruppi di attivistio climatici avevano partecipato alla prima udienza contro lo Stato nel tentativo di ottenere una risposta, da parte dei tribunali, all’inazione nell’affrontare per esempio con politiche di decarbonizzazione l’avanzata del surriscaldamento globale e i suoi effetti. Una vera e propria “climate litigation” fra le oltre 2500 cause che in tutto il mondo provano ad invertire la rotta del surriscaldamento utilizzando strumenti legali tali da spingere i governi a una reazione. Come causa “Giudizio universale” vedeva coinvolte 24 associazioni, 193 individui e, ai tempi della prima udienza, anche 17 minori, tutti impegnati in “una azione civile con la finalità di condannare lo Stato a porre in essere misure adeguate contro la crisi climatica”. Nelle scorse ore è stata però pubblicata la sentenza in cui il giudice ha definito con “una pronuncia di inammissibilità” il primo grado di giudizio nella causa climatica intentata per la prima volta nel 2021.

Gli atti

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Per Marica Di Pierri, portavoce di A Sud, la questione però “non finisce qui. Impugneremo la sentenza” spiega, scagliandosi contro “una decisione che la giudice Assunta Canonaco, della Seconda Sezione del Tribunale Civile di Roma avrebbe potuto assumere, come di prassi, nel 2022, ovvero subito dopo la prima udienza” fanno sapere i ricorrenti, i quali si aspettavano “che il tribunale entrasse nel merito del giudizio, invece ha scelto di non decidere”. Nella sentenza emessa il tribunale ha fatto sapere, in pratica, di non avere le competenze per esprimersi sul caso, “o meglio, sul fatto che in Italia non esistono tribunali in grado di decidere su questo tipo di domanda, segnando una distanza siderale rispetto ad altri Stati Europei in cui cause analoghe, con analoghi costrutti, basate su simili istituti giuridici di diritto civile, si sono concluse con importanti sentenze di accoglimento” sostengono le associazioni coinvolte.

L’intervista

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“Si tratta di una occasione persa per le istanze sociali ed ambientali nel nostro Paese – spiega ancora Di Pierri – ma la volontà di non esprimersi del tribunale di Roma non comporta che non ci siano i presupposti per una condanna dello Stato. Secondo il tribunale nessun giudice italiano può tutelare i diritti fondamentali minacciati dall’inefficienza delle politiche climatiche dello Stato, come avvenuto in molti paesi europei. È una scelta di retroguardia. Non possiamo negare di essere delusi dall’esito del processo ed è certo che impugneremo la decisione. Teniamo in conto che la strada per ottenere giustizia in tribunale può essere lunga, basti pensare al cammino che hanno dovuto percorrere le cause contro l’amianto. Siamo forti del fatto di aver contribuito a mettere in moto un movimento globale di persone che si rivolgono alla giustizia per proteggere il loro diritto a un clima stabile. Soprattutto, siamo dalla parte giusta della storia. Siamo dalla parte della scienza, dalla parte dei diritti. E non ci fermeremo: continueremo a batterci per vedere le nostre istanze accolte e il diritto al clima riconosciuto”.

Dal punto di vista legale gli avvocati della Rete Legalità per il clima che hanno seguito finora la causa parlano invece di contraddizioni. “La sentenza – spiegano –  per un verso si pone palesemente in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e con la CEDU, strumenti di tutela che non contemplano limiti di accesso al giudice nelle questioni climatiche, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di numerosi Stati europei. Per l’altro verso è anche contraddittoria, perché, da un lato, riconosce la gravità e urgenza letale dell’emergenza climatica, dall’altro, però, statuisce che in Italia non esisterebbe la possibilità di rivolgersi a un giudice per ottenere tutela preventiva contro questa situazione, nonostante siffatta tutela sia stata riconosciuta dalla Corte costituzionale. Pertanto, sussistono tutti i presupposti per impugnarla”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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