in

Flora e fauna selvatica protette dalla Cites, ma non dai governi

Il 3 marzo si celebra la Giornata mondiale della fauna selvatica, per ricordare i molteplici benefici che la conservazione delle specie garantisce al benessere umano. Uno dei principali strumenti per proteggere animali e piante anche in Paesi che non hanno leggi avanzate come quelle europee è la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (Cites), che lo scorso gennaio ha compiuto 50 anni dalla sua entrata in vigore. 

La Cites, come tutti gli accordi internazionali, si fonda su una collaborazione tra governi che ha bisogno di costanti trattative, accordi e impegni ed è quindi, come tutti i trattati internazionali, una dichiarazione di intenti da mettere in pratica costantemente se non si vuole relegarla a lettera morta. Il fatto che ben 184 Paesi abbiano ratificato la Convenzione (tutti quelli Onu) non basta ad assicurare che la regolamentazione del commercio internazionale di oltre 40.900 specie di animali e piante selvatiche venga applicata ovunque nello stesso modo. Come accade per la violazione dei diritti umani, anche in Paesi che hanno un ruolo nel Consiglio di sicurezza della Nazioni unite, aver aderito alla Cites non esclude che all’interno dei propri confini siano ancora uccisi animali a rischio di estinzione come grandi mammiferi iconici, ma soprattutto anfibi indispensabili per gli ecosistemi. 

Non è poi sufficiente che la Convezione Cites sia continuamente ampliata. All’ultima Conferenza degli Stati contraenti, lo scorso novembre a Panama, i Paesi membri hanno aggiunto alla Convenzione, oltre a numerose altre specie, sessanta specie di squali e 37 di razze. In un colpo solo, l’80% del commercio mondiale di pinne di squalo è stato posto sotto il controllo della Cites. I Paesi che esportano queste specie devono ora stabilire un sistema che garantisca la sostenibilità del commercio e l’attuazione delle regole viene verificata dal Comitato per gli animali. Se i Paesi membri non sono in grado di dimostrare la conformità alle norme Cites, come il commercio sostenibile, vengono sottoposti a divieti di commercio. 

Tuttavia, pur con gli sforzi dei governi, il commercio illegale della fauna selvatica è ancora fiorente e soprattutto i Paesi economicamente meno avanzati fanno fatica a investire nella lotta al bracconaggio. Il problema però riguarda anche l’Europa: secondo un report della ong Traffic, il traffico di fauna selvatica e di legname spesso coinvolge reti di criminalità organizzata transnazionale e genera ingenti proventi illeciti, miliardi ogni anno. Tuttavia, nonostante la gravità di questa attività criminale, le relative indagini finanziarie e gli approcci per il recupero dei beni rimangono largamente sottoutilizzati nell’Unione europea, in quanto le indagini e i procedimenti giudiziari relativi al commercio di animali selvatici si basano ancora principalmente sulle accuse di bracconaggio o commercio illegale. I criminali della fauna selvatica non vengono quindi puniti per i reati finanziari che hanno commesso e i loro beni criminali rimangono nelle loro mani, consentendo loro di investire ulteriormente nella loro attività illegale.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


Tagcloud:

La rivoluzione vegetale di una macelleria storica

L’uomo è la bestia? Storia della convivenza quasi mai pacifica con la fauna selvatica