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Deregolamentare i nuovi ogm è insostenibile

Se c’è una cosa chiarissima in questi giorni è che siamo in campagna elettorale. Ciò che forse non era così atteso agli occhi dell’opinione pubblica – per quanto non stupisca – era che sarebbe stata proprio l’agricoltura ad accendere la fiamma del confronto politico. In realtà, i segnali erano inequivocabili. Già da diversi mesi abbiamo assistito all’indebolimento delle ambizioni del Green New Deal e della strategia Farm to Fork con una inversione di rotta rapida e decisa.

Purtroppo, sembra quasi ci sia un filo unico, abbastanza inquietante, che lega l’odierna visione strategica europea in tema di agricoltura e il rafforzamento di un modello industriale finalizzato a tenere gli agricoltori sul filo del fallimento e totalmente dipendenti. La diluizione della strategia di riduzione dei fitofarmaci, il tormentato percorso della legge sulla conservazione della natura, il rinnovo decennale del glifosato la visione distorta sulla carne coltivata, l’assenza di qualsiasi strategia sulla conservazione del suolo, il poco coraggio nella politica agricola comune, sono tutti segnali che danno il senso e la misura di un percorso che si allontana da quegli obiettivi che parlavano di neutralità climatica e di transizione ecologica, a partire da un settore – quello agricolo, appunto – che contribuisce anch’esso alla crisi climatica. Benessere animale, ambientale, sociale ed economico sono tutti elementi legati tra loro e che richiedono un approccio sistemico. Per guardare davvero alla transizione ecologica e alla pace climatica bisogna trovare il giusto equilibrio, con la consapevolezza che qualsiasi azione negativa a carico dell’ambiente richiede anni per essere recuperata, invertita e ricondotta verso l’equilibrio. Ed è per questo che produzione e ambiente non possono essere antagonisti e la contrapposizione tra agricoltori e ambientalisti è una strumentalizzazione inaccettabile.

Da mesi assistiamo alla distorsione del percorso verso una vera sostenibilità. In queste ore, si stanno consumando gli ultimi passi verso il voto sulla proposta della Commissione europea (in calendario il 7 febbraio) di deregolamentare i nuovi ogm, dopo un percorso non privo di ostacoli e di contrasti dovuti certamente alle molteplici perplessità che questa azione politica pone e alle temute conseguenze. L’Agenzia per la sicurezza alimentare francese ha sottolineato l’insufficienza dei dati scientifici per superare il principio di precauzione, esistono molteplici perplessità sulle problematiche ambientali legate alla contaminazione della biodiversità e a una prevedibile ulteriore diffusione di modelli agricoli industriali; così come sulle ripercussioni sociali derivanti dalla perdita di trasparenza sul cibo allo scaffale e sulla libertà degli agricoltori di scegliere di coltivare senza ricorrere a nuovi ogm.

Vista così, quindi, stupisce davvero che la Commissione europea non abbia ritenuto di dover ulteriormente approfondire. Ed è per questo che forte è il rischio di sconfitta, l’ennesima, di fronte al potere delle grandi lobby dell’agroindustria e delle multinazionali dell’agricoltura che vedono nei nuovi ogm l’ennesimo strumento per sviluppare profitti a scapito degli agricoltori, dei consumatori e dell’ambiente, offuscando l’immagine con il fumo di una maggiore sostenibilità falsamente sbandierata dalla politica che sostiene questo percorso.

Immettere in natura, da un giorno all’altro, nuova diversità vegetale prodotta in laboratorio può avere ripercussioni non prevedibili e sarebbe quanto meno corretto, oltre che opportuno, affidarsi a quel principio di precauzione che richiede tempo, valutazione e sicurezza per l’ambiente, per i cittadini e per il futuro degli agricoltori. L’agricoltura deve assolutamente essere un’azione di libertà, libertà di scelta di chi produce e di chi consuma, nel solco della responsabilità che è al centro del dodicesimo obiettivo di sviluppo sostenibile di Agenda 2030 delle Nazioni unite. Come si può pensare alla libertà, ad esempio, se non si sostiene la trasparenza in etichetta e la corretta tracciabilità? Cosa si vuole nascondere al punto da impedire un’etichetta trasparente?

Siamo di fronte ad un bivio e ci confrontiamo con la miopia di chi non vuole guardare lontano alle sfide che un ecosistema antropizzato dovrà sempre più affrontare. E quindi la ricerca di soluzioni vere e non il sostegno di un approccio produttivistico, delle monocolture, dei modelli industriali di produzione agricola. Le proteste di questi giorni sono la chiara evidenza che questo approccio non ha pagato perché ha contribuito ad alimentare la fragilità climatica che gli agricoltori, soprattutto quelli virtuosi, stanno pagando a caro prezzo. Ma la crisi climatica va affrontata con un percorso strutturale e non immaginando le soluzioni rapide piene di incertezza. L’unica sicurezza dietro queste nuove tecnologie è che sono di fatto ogm e se nel mondo hanno già fallito l’obiettivo di ridurre l’insicurezza alimentare globale, non si comprende perché adesso debbano essere efficaci. Non ne abbiamo bisogno! È questa la vera risposta. Ci serve agroecologia, sostegno alle politiche di produzione nel rispetto degli ecosistemi che passa anche per la conservazione del paesaggio agrario e delle tradizioni che hanno fatto grande il nostro paese e l’Europa per secoli. E abbiamo bisogno che questi temi occupino davvero l’agenda politica, anche in campagna elettorale, ma in modo costruttivo, oculato e realistico, senza pressioni e senza che ce ne si dimentichi dal 10 giugno in poi.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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