Giugno 2024

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    Una missione italiana in Groenlandia per svelare i misteri dell’idrogeno naturale

    La ricerca tecnologica su come produrre idrogeno verde è tra le più attive, così come quella su come trasportare e immagazzinare in modo sicuro ed efficace questo combustibile, ritenuto centrale per la transizione ecologica. Invece, relativamente poco si sa ancora sull’idrogeno naturale, il gas che l’interazione tra acqua e roccia genera in molti luoghi della Terra: è proprio per raccogliere informazioni su come lo si potrebbe sfruttare che a breve, condizioni meteo permettendo, partirà una missione italiana in Groenlandia. A guidarla è Alberto Vitale Brovarone, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Alma Mater di Bologna, e le attività di ricerca si svolgono nell’ambito del progetto DeepSeep, finanziato dal Consiglio Europeo delle Ricerche (ERC).

    Il progetto ERC Deep Seep punta infatti a capire meglio la genesi dell’idrogeno naturale a grandi profondità e ad alta pressione. Il progetto indaga inoltre sulla genesi degli idrocarburi leggeri abiotici (diversi dagli idrocarburi “fossili”, che sono di origine biologica/biotica), in particolare il metano, attraverso le interazioni tra rocce profonde e fluidi geologici nella crosta terrestre. Il team di Vitale Brovarone ricerca testimonianze di questi processi in aree della storia geologica antica del Pianeta, riportati in superficie dai movimenti tettonici, come nelle Alpi, in Groenlandia, Mongolia, o nel Nord America.

    Transizione ecologica

    Idrogeno bianco, la nuova corsa ai giacimenti dall’Africa all’Italia

    di Federico Turrisi

    19 Febbraio 2024

    Per questa missione gli studiosi faranno base nell’area di Nanortalik, un piccolo villaggio della Groenlandia il cui nome, in lingua Inuit, significa “dove vanno gli orsi polari”. Tra i fiordi al largo delle sue coste, per due settimane, il gruppo composto da quattro scienziati del DeepCarbon Lab, un ricercatore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR e uno dell’Università di Copenaghen, cercherà tracce della formazione e circolazione di idrogeno naturale in rocce antiche quasi due miliardi di anni. L’interesse per l’idrogeno geologico non nasce soltanto dal suo possibile uso come fonte energetica pulita: comprendere meglio la sua formazione può aiutare gli studi sulla nascita della vita nel nostro pianeta, poiché si ipotizza che l’idrogeno naturale potrebbe essere una fonte di energia per le forme di vita primordiali. “Oggi pensiamo che la vita sulla Terra si sia sviluppata sfruttando l’energia del Sole e i molti ingredienti presenti in superficie – spiega Vitale Brovarone – Ma gli stessi ingredienti si possono trovare all’interno della crosta terrestre: è quindi possibile che, sfruttando l’energia prodotta da semplici reazioni chimiche tra rocce profonde ed acqua, da cui si forma anche l’idrogeno, la vita si sia sviluppata prima all’interno della crosta terrestre e solo in seguito si sia trasferita ed evoluta in superficie”.

    È indubbia, poi, l’importanza che ricerche di questo tipo possono avere per la possibile estrazione e lo sfruttamento di un combustibile che, sia quando viene utilizzato in motori termici, sia in celle a combustibile, non produce emissioni inquinanti, ma soltanto acqua. “Nonostante l’idrogeno naturale emerga sempre più come una possibile fonte energetica pulita per il futuro – osserva il geologo -, le conoscenze scientifiche sulla sua formazione e distribuzione sono ancora molto poche. La Groenlandia potrebbe essere un luogo unico in cui investigare questi processi, proprio per l’età molto antica delle sue rocce e per la loro composizione”. L’esperto spiega infatti che si è scelta la Groenlandia perché “lì l’età delle rocce permette il processo specifico di radiolisi. La radiolisi è quel che si fa in maniera industriale per produrre idrogeno, scindendo le molecole d’acqua attraverso la radioattività naturale delle rocce che formano i continenti antichi. Le indagini sull’esistenza dell’idrogeno naturale sono qualcosa di abbastanza nuovo – continua il geologo -, tanto che gli ingegneri non considerano lo sfruttamento di questa fonte energetica nelle loro previsioni per il futuro. In realtà, gli studi ci dicono che ce n’è tanto, anche in posti dove non lo immaginavamo. Al momento però, ci sfuggono molti elementi indispensabili per poterlo sfruttare al meglio e in sicurezza, stiamo facendo passi avanti, ma serve tanto lavoro”.

    Le idee

    Il passaggio all’idrogeno, una strada in salita

    di Massimo Mondazzi e Chiara Grossi*

    22 Settembre 2023

    Oltre all’età delle rocce c’è un’altra caratteristica che fa della Groenlandia un punto di osservazione privilegiato. “Sappiamo che dove lavoreremo ci sono grossi depositi di grafite, un elemento importante nella transizione ecologica per tanti motivi, tra i quali uno dei principali è il suo utilizzo per la realizzazione di batterie. Per il nostro campo di indagine, invece, la grafite è fondamentale perché la presenza di carbonio (la grafite è la più stabile forma di carbonio presente in natura in condizioni standard n.d.r.) è ciò che fa da cartina di tornasole per rendere più visibile l’idrogeno. Insomma, a Nanortalik troveremo le condizioni indispensabili per comprendere meglio come l’idrogeno si muove in profondità e come reagisce. Non basta infatti individuare dove si trova questo combustibile, ma occorre capire come stoccarlo, trasportarlo e, in sintesi, usarlo in sicurezza”.

     Vitale Brovarone insiste sui tanti aspetti insiti nelle ricerche del suo gruppo: “Sullo sfruttamento dell’idrogeno naturale si stanno muovendo molti interessi – dice – perché se ancora in ambito ingegneristico si punta su quello prodotto in maniera industriale, è chiaro che non si potrà fare a meno di quello di origine geologica. Nazioni come gli Stati Uniti, l’Australia, le Filippine e tante altre stanno investendo miliardi nella ricerca in questo campo e lo scorso anno la Francia ha inserito l’idrogeno naturale nel suo piano per la decarbonizzazione industriale. Come detto, però, stiamo ancora scoprendo il mondo dell’idrogeno, e soprattutto molte indagini sono necessarie per comprendere la sua reattività con le rocce e la sua possibile conversione in molecole con potenziale di riscaldamento globale molto alto, come il metano. Dobbiamo insomma evitare che il suo utilizzo vada in direzione opposta rispetto a quella di una riduzione delle emissioni climalteranti. Un altro aspetto che necessita di studi approfonditi è l’effetto dell’estrazione di idrogeno o del suo stoccaggio sulla biosfera, su cui ancora gli studi approfonditi sono ancora pochi. La cautela, quindi, non riguarda soltanto l’impatto che lo sfruttamento dell’idrogeno naturale può avere sulla transizione energetica e l’economia, va approfondito il suo impatto climatico”. LEGGI TUTTO

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    Francia, al villaggio olimpico è guerra sui condizionatori: non previsti dalle regole green, sono ricercati dalle delegazioni

    A un mese dall’inizio delle Olimpiadi va in scena la battaglia dei condizionatori. Complice la potentissima ondata di caldo che sta attraversando mezzo mondo, dagli Usa bollenti alla Mecca dove sono morti oltre 1300 pellegrini, le delegazioni internazionali e i 10.500 atleti attesi a Parigi sono seriamente preoccupate per la questione caldo durante i Giochi.

    Non solo per le temperature che potrebbero trovarsi ad affrontare dal 26 luglio durante le gare, ma anche per le condizioni che rischiano di sperimentare nel Villaggio olimpico per esempio quando dormono: qui, su spinta della sindaca Anne Hidalgo, che promette le “olimpiadi più verdi di sempre” dimezzando l’impronta di carbonio rispetto a Londra2012, nelle strutture e nei dormitori non ci saranno i condizionatori.

    (afp) LEGGI TUTTO

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    Clima, Enrico Giovannini (ASviS): “Serve più coraggio per la sostenibilità”

    I risultati dell’indagine realizzata nei Paesi del G20 da Ipsos per Earth4All e Global Commons Alliance su argomenti inerenti la fiducia nelle istituzioni, il funzionamento della democrazia, la capacità del sistema economico di generare benessere, affrontare la crisi climatica e ridurre le disuguaglianze, confermano una forte domanda di interventi politici a favore di una trasformazione […] LEGGI TUTTO

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    Fermiamo subito lo sfruttamento dei fondali marini

    L’Italia gioca un ruolo chiave nell’autorità internazionale che deve regolamentare le estrazioni minerarie nei fondali marini, l’International Seabed Authority (Isa), eppure i ministri italiani titolati in materia (Made in Italy, Protezione civile e Politiche del mare, Ambiente e Sicurezza Energetica) e la stessa premier Meloni hanno posizioni ambigue e confuse, a metà tra la protezione dell’ambiente e il sostegno a queste nuove e pericolose attività estrattive. Lo rivela l’indagine di Greenpeace Italia “Il Deep Sea Mining: la corsa alle estrazioni minerarie negli abissi e il ruolo dell’Italia”.Il Deep Sea Mining (Dsm) è un’industria nascente, fonte di notevoli preoccupazioni, diventata una questione emblematica e una priorità nell’agenda politica globale. Insieme all’opposizione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, di numerose aziende private, della comunità scientifica, della società civile e dell’industria della pesca, oggi anche un numero crescente di Stati chiede una moratoria o una pausa precauzionale per questa nuova industria.”Secondo molti scienziati l’impatto del Deep Sea Mining sui fondali avrebbe conseguenze devastanti per la biodiversità marina. Specie in gran parte ancora sconosciute, adattate ad ambienti unici, rischiano infatti di essere esposte a diversi impatti: dalla sospensione di sedimento, all’immissione di luce e rumore, fino all’inquinamento chimico”, dichiara Valentina Di Miccoli, campagna Mare di Greenpeace Italia. L’avvio delle estrazioni minerarie negli abissi sarebbe in netto contrasto con gli impegni recenti assunti dal nostro Paese in numerose sedi internazionali sulla protezione del mare. Ci auguriamo che l’Italia si aggiunga presto alla lunga lista di nazioni che chiedono a gran voce una pausa precauzionale o una moratoria”. 

    La discussione è molto accesa e le conseguenze delle decisioni che verranno prese a livello internazionale sono estremamente importanti per la tutela dei mari e degli oceani. In questa discussione l’Italia gioca un ruolo rilevante, ma le dichiarazioni dei ministri italiani raccolte da Greenpeace risultano confuse e divise tra sfruttamento e tutela dei fondali, denotando una scarsa conoscenza del tema. Se il ministro Nello Musumeci (Protezione Civile e Politiche del Mare) dichiara di essere favorevole a patto che sia garantita la tutela dei fondali marini, ma senza spiegare come potrebbe questa essere effettivamente garantita, il ministro Adolfo Urso (Imprese e Made in Italy) afferma che nella legge sulla blue economy ci sarà spazio per tutte le industrie che lavorano con il mare, comprese quelle che si offrono per le estrazioni negli abissi. E mentre la premier Giorgia Meloni sostiene che questa è una delle tante sfide che ci attendono, un dominio nuovo nel quale l’Italia intende giocare un ruolo di primo piano, si mostra più cauto il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che in occasione della visita in Italia del segretario generale dell’Isa, ha manifestato la necessità di approfondire le conoscenze scientifiche e di avere un approccio ecosistemico per lo sfruttamento delle risorse minerarie nelle zone di alto mare.

    Il nostro governo sembra quindi oscillare tra la tutela e la possibilità di sfruttare i fondali marini: nel Piano del Mare dedica una parte allo sfruttamento delle risorse minerarie sottomarine, ma al tempo stesso invoca “un approccio precauzionale basato sul minimo impatto sugli ecosistemi marini”. In ogni caso, ad oggi l’Italia non è tra i Paesi che si sono schierati per una pausa precauzionale o una moratoria.

    Nel mese di luglio è in programma una riunione dell’Isa in cui si discuterà nuovamente il codice minerario che dovrebbe regolamentare a livello internazionale queste attività ma, per la prima volta dopo diversi anni, è stata inserita in agenda la proposta di una politica generale per la protezione e la conservazione dell’ambiente marino. Greenpeace Italia chiede al governo Meloni di schierarsi dalla parte della conservazione ambientale e di tutelare l’interesse pubblico e non quello di poche industrie. Proprio oggi l’associazione ambientalista ha lanciato una nuova petizione rivolta al nostro governo affinché supporti una moratoria internazionale che blocchi l’avvio del Deep Sea Mining e protegga il mare dallo sfruttamento minerario. LEGGI TUTTO

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    Impronte

    Ogni giorno, sul Pianeta, l’uomo lascia delle impronte. Le sue attività e i suoi comportamenti hanno un impatto sulla natura, con conseguenze per ciascuno di noi. Per ridurre questo impatto, però, tutti possiamo fare qualcosa, adottando piccole soluzioni per diventare più sostenibili. In questo podcast, Andrea Giuliacci parte in un viaggio alla scoperta di queste […] LEGGI TUTTO

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    Il 62% degli italiani auspica una transizione ecologica rapida e incisiva

    Il record negativo di affluenza al 49,7% è uno degli elementi più significativi delle scorse elezioni europee. Questo dato non sorprende, se si pensa al trend degli ultimi anni (per esempio, il 63,91% alle ultime politiche). Inoltre, ci sono molte analogie con quanto accade in altri Paesi europei, dove la polarizzazione sociale e l’insoddisfazione nei confronti delle istituzioni ha raggiunto livelli preoccupanti. È un segno evidente della distanza tra le persone e la democrazia rappresentativa, in particolare a livello nazionale. È importante quindi domandarsi cosa le italiane e gli italiani pensano dei temi chiave che riguardano la politica e la società contemporanea, nel momento in cui oltre più della metà della popolazione del nostro Paese non sarà rappresentato al Parlamento europeo.Alcune risposte vengono dall’indagine condotta da Earth4All, Global Commons Alliance e IPSOS nelle 20 più grandi economie del mondo (i Paesi del G20 – tra cui l’Italia), su alcuni temi di grande rilevanza per il nostro futuro, dalla democrazia all’economia, dal cambiamento climatico ai valori prevalenti nelle nostre comunitá. Una prima parte dei risultati, che viene pubblicata questa settimana, ci dice qualcosa sull’Italia che è importante raccontare. È possibile leggere l’indagine sia soffermandosi sui dati in termini assoluti, cioè concentrandosi sul nostro Paese, sia confrontando questi dati con quelli degli altri Paesi, nel quadro dei trend europei o globali.Il mondo – e l’Italia non fa certo eccezione – sta affrontando crisi multiple: l’incertezza reale e percepita creata dai conflitti, l’emergenza climatica e ambientale, le opportunità e le sfide poste dall’intelligenza artificiale, l’aumento del costo della vita. Cosa pensano le persone di queste crisi? Cosa chiedono ai loro rappresentanti nelle istituzioni?

    Il riscaldamento globale

    Il 62% di italiane e italiani crede che sia necessario agire in modo immediato e a larga scala per combattere il riscaldamento globale. Si tratta di una maggioranza significativa, che approverebbe con facilità la Legge sul Clima ora in discussione in Parlamento. In questa maggioranza sono presenti indistintamente diversi gruppi di età, reddito e genere. Questo è un segnale importante per i Parlamentari: le italiane e gli italiani vogliono una Legge sul Clima.  

    È interessante notare che questa percentuale è più bassa rispetto a quella registrata in alcuni Paesi del Sud del mondo, come ad esempio Messico (91%) e Brasile (81%), ma anche a quella di Paesi europei come Francia (73%) e Germania (66%). L’allarme lanciato a febbraio dall’Agenzia Europea dell’Ambiente sugli impatti devastanti che un clima fuori controllo avrà nel Sud d’Europa in tema di salute, vite umane, costi ed economia, potrebbe non avere ancora raggiunto tutta l’opinione pubblica italiana.

    C’è troppa diseguaglianza nel Paese 

    Il 61% di italiane e italiani pensa che ci sia troppa diseguaglianza. Questo dato non sorprende in un Paese dove, secondo l’Istat, nel 2023 ancora 5.7 milioni di persone vivevano in condizioni di povertà assoluta, con un aumento di 0.8 punti percentuali rispetto al 2021.In questo contesto – ed è questo l’elemento che i responsabili dell’indagine sottolineano con più forza nella lettura complessiva per il G20 – le italiane e gli italiani intervistati chiedano una riforma fiscale che redistribuisca le risorse nel Paese in maniera più equa. Il 61% degli intervistati promuove infatti una tassa sui patrimonio – un tema a volte spinoso da affrontare nel nostro Paese – mentre il 64% è favorevole a una maggiore progressività della tassa sui redditi, con un aumento delle aliquote per le persone più ricche.Significativo (71%), inoltre, il sostegno all’adozione di misure fiscali che tassino l’emissione di gas climalteranti come strumento redistributivo. Si tratta di un’informazione preziosa, in un momento in cui è necessario accelerare sulla transizione energetica. Come mostrato recentemente dall’ASviS, se misure fiscali di questo tipo avvengono in un quadro di investimenti e innovazione possono coesistere con crescita, aumento dell’occupazione e miglioramento delle variabili macroeconomiche.Come è noto, a settembre il governo presenterà il cosiddetto Piano Fiscale di Medio Termine e, subito dopo, la Legge di Bilancio per il 2025. I dati fin qui descritti ci dicono che i cittadini sono a favore di un piano di trasformazione verso un’economia di neutralità carbonica che sia ambizioso e che, al tempo stesso, riduca le diseguaglianze e investa nello sviluppo sostenibile del Paese.  

    Poca fiducia nel governo nazionale

    È utile a questo punto domandarsi se questa sfida verrà raccolta. L’indagine mostra che solo il 25% delle italiane e degli italiani ha fiducia nel fatto che il governo nazionale prenda decisioni in grado di generare benefici per la maggioranza delle persone. Un numero sconvolgente non solo in termini assoluti ma anche in termini relativi, perché pone l’Italia agli ultimi posti tra i Paesi del G20. Non stupisce, quindi la bassa affluenza alle urne. Ancora più bassa (al 21%) è la quota di chi confida sul fatto che il governo prenda decisioni di “lungo periodo” capaci di beneficiare le generazioni future. Anche questo dato vede l’Italia tra gli ultimi posti nel G20.Come risolvere questo scollamento tra Paese reale e istituzioni? Una strada è quella di dare concretezza alla storica riforma del 2022 che ha introdotto tra i principi della Costituzione i diritti delle “future generazioni” (Articolo 9), per esempio introducendo il cosiddetto youth-check, ossia una valutazione di impatto inter-generazionale, su tutte le politiche future. Qui vale la pena ricordare che, dalla stessa indagine condotta da Earth4All, emerge come il 60% delle italiane e degli italiani approvi pienamente la creazione di diritti per le nuove generazioni (come avvenuto in Italia), e che questo è il numero più alto tra i Paesi europei. Un’altra opzione è la creazione di un Commissario per le “Future Generazioni”, come succede in altri Paesi, per aiutare la nostra politica a superare il tradizionale “sguardo di breve periodo” che colpisce il nostro dibattito pubblico e politico. Una terza via è quella di creare all’interno del governo nazionale un’Unità di Previsione Strategica – cioè una struttura preposta a creare scenari per i prossimi 50-100 anni e anticipare le possibili soluzioni – sul modello di quanto fatto nell’Unione Europea.Tra i dati positivi che emergono dall’indagine, in Italia il 78% della popolazione pensa che la democrazia sia un buon modo di amministrare il Paese, e solo il 33% pensa che ci sia bisogno di leader autoritari o comunque poco inclini al dialogo con Parlamento e opposizioni. Interessante notare che questo è uno dei valori più bassi tra i Paesi del G20.

    Cosa pensano del futuro le italiane e gli italiani?

    I dati descrivono un Paese colpito dalla sfiducia. Solo il 31% degli intervistati è infatti ottimista sul proprio futuro personale, contro il 62% di media nel G20. Si tratta di uno dei dati più bassi tra tutti i Paesi in cui è stata condotta l’indagine, in aperto contrasto per esempio con i dati che provengono invece da India, Sud Africa o Messico, dove la larga maggioranza della popolazione si dichiara ottimista. Secondo l’indagine, inoltre, solo il 24% delle italiane e degli italiani è ottimista circa il futuro del proprio Paese (contro una media del 44% del G20) e solo il 20% è ottimista circa il futuro del mondo (contro una media del 38%).

    Un’economia che dia priorità al benessere e non al profitto

    L’indagine dedica infine ampio spazio a investigare le attitudini delle persone nei confronti del sistema economico, rilevando che solo il 51% delle italiane e degli italiani pensa che la crescita economica sia il modo migliore per creare benessere nel Paese, mentre il 64% vorrebbe un sistema economico che dia priorità al benessere piuttosto che al profitto. Ma cosa vuol dire “benessere”? Benessere è una condizione in cui una persona gode di una qualità della vita alta, quando può contare su diritti riconosciuti, quando può liberamente esprimere il suo potenziale come persona in armonia con l’ambiente e la comunitá. Costruire un’economia che punti al benessere significa dare priorità alla persona e alla salute del pianeta anziché che concentrarsi (solamente) sulla crescita economica. Come forse è noto, l’Italia è uno dei Paesi che per primi nel mondo ha introdotto degli indicatori del benessere nelle statistiche officiali, e dove il governo rendiconta annualmente l’impatto delle proprie politiche su questi indicatori. Tutto bene se non fosse che proprio il governo, nell’ultimo Documento di Economia e Finanza dell’Aprile 2024 ha stimato ufficialmente che il proprio operato non avrà alcun impatto positivo sul benessere degli italiani nel 2024 e negli anni successivi. Una notizia che purtroppo non ha ricevuto attenzione dai media mentre dovrebbe essere tra i temi più discussi del Paese.In sintesi, in Italia come in altri Paesi, la maggior parte delle persone pensa che l’economia non funzioni come dovrebbe, ha un basso livello di fiducia nelle istituzioni pubbliche (e nelle elezioni) e vorrebbe riforme politiche ed economiche. Nonostante questo, la grande maggioranza della popolazione è convinta che viviamo nel decennio decisivo per agire sul riscaldamento globale e sulle diseguaglianze e per creare benessere diffuso. Questa è la via per una democrazia più forte, con una qualità della vita più alta, e un pianeta in salute e più stabile.

    Owen Gaffney, Narrative Lead Earth4All

    Luca Miggiano, Senior Expert ASviS LEGGI TUTTO

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    Strelitzia: in giardino o in vaso, come prendersene cura

    La strelitzia, nota comunemente anche col nome di “Uccello del Paradiso”, è un genere di pianta erbacea perenne caratterizzata da splendidi fiori: scopriamo insieme alcuni consigli pratici per coltivarla.

    La strelitzia: l’origine, le specie e il suo significato

    La strelitzia deve il suo nome alla regina Carlotta Sofia di Meclemburgo-Strelitz, sopravvissuta a Re Giorgio III. Questo genere di pianta erbacea è originario del Sudafrica, ma in Italia la troviamo in piena terra in tante cittadine litoranee, soprattutto quelle delle regioni tirreniche. Anche in alcune località prealpine sui laghi di Garda, Maggiore e Como, è possibile ammirarla in tutto il suo splendore in alcuni giardini, dove trova il microclima ideale. Oltre alla famosissima strelitzia reginae (dedicata appunto a Carlotta Sofia), troviamo anche altre specie: Nicolai, Alba o Augusta e Juncea. Le prime due si contraddistinguono per le dimensioni generose, che superano anche i tre metri di altezza. Quando doniamo questa pianta, a chi la riceve inviamo un messaggio molto particolare: il significato della strelitzia è infatti un connubio di amore, cura e lealtà.

    La rusticità, la crescita e la potatura della strelitzia

    La strelitzia non è una pianta particolarmente rustica, giacché non sopporta l’esposizione a temperature inferiori ai 5 gradi. Se la coltiviamo in aree con queste condizioni climatiche, dobbiamo prevedere il ricovero invernale in un ambiente luminoso. Le temperature ideali per favorire la vegetazione della strelitzia sono comprese tra i 21 e i 13 gradi. La fioritura è abbondante e, una volta recisi, i fiori durano a lungo. La pianta non richiede particolari potature: ci possiamo limitare a rimuovere le foglie secche e, ovviamente, eventuali parti della strelitzia che fossero infestate da parassiti.

    Qual è il terreno ideale per la strelitzia?

    Per una coltivazione ottimale della strelitzia è importante usare un terreno che sia un mix tra quello ricco e fertile e drenante. Si può quindi usare un terriccio con dello stallatico, a patto di aggiungere della sabbia o della perlite che faciliti il drenaggio. La strelitzia detesta infatti il ristagno idrico, giacché provoca con molta facilità il marciume radicale. Ricordiamoci quindi di non usare i sottovasi e, per migliorare il drenaggio sul fondo del vaso, di aggiungere dei cocci.

    Quando rinvasare la strelitzia?

    Fino ai cinque anni di età, possiamo prevedere il rinvaso per il mese di marzo. Per la sostituzione, scegliamo un vaso che abbia un diametro di 2-3 dita superiore rispetto a quello precedente. Una volta raggiunta la maturità, la pianta non dev’essere ulteriormente rinvasata. All’inizio della primavera, si può prevedere però la sostituzione di un paio di centimetri di terriccio superficiale.

    Quante volte si annaffia e concima la strelitzia?

    La strelitzia richiede un’innaffiatura costante e sufficientemente abbondante su tutto l’arco della sua stagione vegetativa, che va da agosto a maggio. Su base settimanale, è utile concimare con un fertilizzante con azoto, potassio, fosforo e ferro. Tra i mesi di giugno e luglio, la pianta entra in riposo vegetativo: in questo periodo bisogna quindi ridurre l’irrigazione, sia in quantità sia in frequenza, nonché sospendere la concimazione.

    L’esposizione ideale della strelitzia

    La strelitzia predilige gli ambienti particolarmente luminosi, sebbene tolleri anche l’esposizione alla mezz’ombra. È comunque importante proteggerla dal soleggiamento diretto delle ore centrali della giornata durante il periodo estivo. In caso di coltivazione in vaso in ambienti interni e di spostamento all’aperto, ricordiamoci di esporre gradualmente la pianta alla luce solare.

    Le avversità che toccano la strelitzia

    La strelitzia può essere attaccata da parassiti a livello radicale o sulla parte fogliare e, a seconda dei casi, è necessario intervenire con prodotti fitosanitari. In modo particolare, queste sono le principali avversità che colpiscono la pianta:

    il marciume radicale: la causa è l’innaffiatura troppo abbondante; in questo caso, la base della strelitzia ha un aspetto di colore marrone, a causa della Phytophthora (simil-fungo);
    le infiorescenze hanno alcune macchie marroni: l’umidità eccessiva causa la presenza del Fusarium (fungo);
    le foglie sono coperte da macchie nere e muffe grigie: anche qui, l’umidità favorisce la formazione del Botrytis (fungo);
    infine, può verificarsi un’infestazione di pidocchi, cocciniglia o di ragnetto rosso.

    Nei primi tre casi, oltre ad eliminare le parti infestate della pianta, si può prevedere il trattamento con un antifungino ad ampio spettro. Nell’ultimo caso, si può ricorrere alla pulizia delle parti attaccate dagli insetti con dell’ovatta imbevuta di alcol, oppure, sfruttare un antiparassitario naturale. LEGGI TUTTO