2 Giugno 2024

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    G&B Festival 2024, Green City Network: 10 azioni da intraprendere per città amiche dell’ambiente

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    Le città sono le più esposte alle conseguenze del cambio climatico e dalle città devono partire azioni decise e non più rimandabili per l’adattamento e la mitigazione del riscaldamento globale. È con questa consapevolezza che il Green City Network, attività promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, opera dal 2018 coinvolgendo centri urbani grandi, medi e piccoli impegnati a migliorare la qualità ecologica, le azioni di mitigazione e adattamento climatico, il risparmio di suolo e l’uso efficiente e circolare delle risorse. Il Green City Network sarà protagonista, con la sua 7ª conferenza nazionale, domani a Milano agli IBMStudios durante la giornata di apertura del Festival di Green&Blue, con un evento aperto (basta iscriversi sul sito di Green&Blue) a chiunque voglia ascoltare le esperienze e i programmi di esperti e amministratori locali in questo settore.

    La Conferenza nazionale Green City è dedicata quest’anno al tema “Verso le Nature-Positive Cities” e vedrà la presentazione della Carta che indica priorità e obiettivi per la realizzazione di città che invertano l’elevato consumo di natura e la forte crescita di emissioni di gas serra, tendenza che ha caratterizzato, e ancora in larga misura caratterizza, la gran parte dei nostri centri urbani. Negli ultimi anni, la consapevolezza che crisi climatica e perdita di biodiversità sono strettamente connesse è aumentata, ma spesso ci si è concentrati più sulla protezione e l’ampliamento delle aree naturali che sulle strategie per riportare la natura in città.

    “Per promuovere il protagonismo delle città in questa transizione – è il punto fermo del manifesto di Green City Network – è indispensabile avere sia una maggiore condivisione, sia conoscenze più diffuse e migliori informazioni sul valore del capitale naturale e dei servizi ecosistemici”: in altri termini, è fondamentale invertire la tendenza per cui le aree verdi in città vengono viste soltanto come un’appendice estetica, una parte del decoro urbano e siano invece curate e implementate come elementi strutturali per combattere la crisi climatica, salvaguardare la salute dei cittadini, abbattere l’inquinamento e, più in generale, migliorare la qualità e la vivibilità dell’ambiente urbano.

    L’evento

    G&B Festival 2024, dal 3 al 5 giugno a Milano la grande impresa della sostenibilità

    di Luca Fraioli

    02 Giugno 2024

    Città che operano da tempo in questa direzione, come Bologna, nei loro programmi e resoconti hanno poi spesso sottolineato come la “nature positive city” sia veicolo di inclusione sociale e sviluppo durevole delle città. È infatti ormai noto che sono soprattutto i quartieri economicamente più svantaggiati ad essere privi di aree verdi, mentre azioni partecipate per il ripristino degli ecosistemi naturali promuovono la coesione sociale. Per redigere la “Carta per le nature positive cities” il Green City Network è partito dal manifesto “La città futura”, del 2017, elaborato da un gruppo di docenti di una ventina di università italiane ed estere, che avevano indagato il rapporto fra la green economy, l’architettura e l’urbanistica. Il Green City Network si è avvalso di tale lavoro, lo ha successivamente integrato con quello di altre fonti europee e ha steso una prima bozza di linee guida. Su tale bozza è stato attivato un ampio processo di consultazione che ha coinvolto esperti di diverse università, enti di ricerca e alcuni ministeri, amministratori di alcuni Comuni e di due Regioni (Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia), oltre alle organizzazioni del Consiglio nazionale della green economy.

    Il testo finale di queste linee guida fornisce un quadro sintetico della visione della green city, delle policy e delle misure attivabili per realizzare cambiamenti in direzione sostenibile nelle città italiane. La Carta è un decalogo con i seguenti punti:

    promuovere condivisione, conoscenza e informazione sul valore del capitale naturale e dei servizi ecosistemici nelle cittá
    ripristino del capitale naturale degradato
    azzeramento del consumo di suolo
    aumento del capitale naturale
    risparmio del prelievo e consumo di risorse naturali
    rafforzamento delle misure di adattamento alle ondate di calore
    attuazione della transizione energetica
    tutela dell’acqua come risorsa naturale scarsa
    riduzione della vulnerabilità agli allagamenti e alle alluvioni
    attuazione di un piano d’azione per la transizione nature-positive.

    La Carta sottolinea poi l’urgenza di avviare queste azioni e sottolinea che “per portare avanti una transizione nature-positive delle città è “necessario formulare un piano d’azione non solo di breve termine, al 2030, ma pluriennale, al 2050”. Altro aspetto fondamentale, insieme alla necessità di finanziamenti è una programmazione a lungo termine con il coinvolgimento attivo dei cittadini, chiamati a diventare protagonisti anche nei loro spazi privati. LEGGI TUTTO

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    Basta animali come macchine da produzione

    L’approccio industriale ha trasformato l’allevamento degli animali in “zootecnia” e questo ha cambiato tutto. Zootecnia, infatti, è la scienza dello sfruttamento degli animali al pari delle macchine: l’allevatore diventa “imprenditore agricolo”, viene incrementata la meccanizzazione, la stabulazione permanente è una prassi, mentre l’omogeneità e la selezione genetica (il contrario di “biodiversità”) sono spinte all’estremo e si adotta il criterio principe dell’economia di scala.Di fatto, con l’avvento della zootecnia si separa l’attività agricola dall’allevamento col risultato che i contadini iniziano ad aver bisogno di acquistare fertilizzanti per il loro terreno e gli allevatori mangimi e fieno per le loro bestie.La cultura riduzionista novecentesca separa agricoltura e allevamento nella cornice della “rivoluzione verde”: quella che negli anni Sessanta prometteva di incrementare la produzione e di sconfiggere la fame. Oggi, nel 2024, quasi un miliardo di persone è malnutrito, ma al contempo si spreca un terzo del cibo prodotto sul Pianeta: con quel terzo sfameremmo quattro volte le persone che non hanno regolare accesso al cibo. Un terzo. Un miliardo. Quattro volte.Questo certifica che si muore di fame per povertà, non per scarsità alimentare. Si muore di fame perché una produzione alimentare eccedentaria non è servita a sfamare i popoli. Ma a speculare sul cibo, al pari di ogni altra merce scambiandolo sui mercati azionari internazionali.Questo ha portato piccoli allevatori a competere con produzioni industriali enormi, che offrono carne latte e uova a prezzi bassissimi: perché i costi “nascosti” ricadono sulla collettività in termini ambientali, igienico-sanitari, sociali, ma anche culturali ed etici.Non esiste ad oggi una definizione giuridica dell’allevamento intensivo, per distinguerlo da quello estensivo: l’ordinamento europeo si accontenta di definizioni di tipo descrittivo che non influiscono però sulla loro liceità. E sebbene si sappia che il numero di animali allevati sia il più grande da quando gli esseri umani sono apparsi sulla Terra, non si hanno cifre univoche sul dato in sé – che oscilla tra i 20 e i 90 miliardi di capi – dei quali non si ha certezza!Di fatto la zootecnia ha fortemente sbilanciato il rapporto tra allevatori e animali, e più in generale, una cultura diffusamente predatoria ha portato tutti noi ad avere uno sguardo alieno verso la natura. Ha modificato la nostra relazione col vivente.L’affollamento, la prigionia, una vita brevissima, insomma condizioni di estrema sofferenza e insalubrità in cui gli animali da allevamento intensivo sono costretti a vivere, hanno gravi ripercussioni di vario tipo. L’aumento delle epidemie è infatti associato alla diminuzione della biodiversità causata da deforestazione (anche per coltivare mangimi su larga scala), estrazione mineraria, uno sviluppo urbano illimitato e un’agricoltura intensiva e monocolturale. E tutto ciò aumenta la possibilità di contatti tra la fauna selvatica, gli animali allevati e gli esseri umani, favorendo la diffusione di malattie zoonotiche. La pericolosa antibiotico-resistenza, che continua a diffondersi, è ritenuta globalmente la prima causa di morte nei decenni a venire, e il 15% circa delle emissioni climalteranti sul totale delle attività umane proviene dall’allevamento industriale.Allora, consapevoli dell’insalubre legame che intreccia l’agroindustria, e in particolare l’allevamento intensivo, con la crisi climatica e ambientale, e consapevoli – parallelamente – che i nostri regimi alimentari sbilanciati in termini di proteine animali, di grassi e zuccheri, sono collegati con malattie cardiovascolari, con obesità, diabete e influenze, è urgente un’onesta riflessione su questo modello alimentare e di allevamento. Un modello che equipara esseri senzienti a macchine e ne contempla la sofferenza sistematica. Un modello alimentare che fa ammalare gli esseri umani, oltre che l’ambiente, invece che nutrirne corpo e spirito.Oggi la logica che guida il sistema alimentare (produzione, distribuzione e consumo) non può essere che “bio”, cioè imperniata sulla vita.Una decisa conversione ecologica non è un sacrificio, ma l’opportunità di scelte importanti che tendano all’orizzonte di un progresso armonico che invece che separare, tenga insieme: dati tecnici e saperi tradizionali, visione globale e valorizzazione delle diversità territoriali, lucida analisi e intelligenza affettiva, ricerca e bellezza. È la proposta rigenerativa di chi vuole agire un cambiamento capace di guardare al futuro mettendo al centro il bene comune e non il profitto, e di chi crede nelle idee e nel potere dell’umanità di modificare gli eventi. LEGGI TUTTO

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    G&B Festival 2024, dal 3 al 5 giugno a Milano la grande impresa della sostenibilità

    Tre giornate per celebrare l’impresa della sostenibilità: da lunedì 3 a mercoledì 5 giugno Green&Blue porta a Milano storie di aziende, amministrazioni locali, scienziati per i quali la riduzione delle emissioni e l’uso di energia pulita sono già il presente, anzi una carta vincente per competere nel futuro. Decine di incontri che si terranno agli Ibm Studios di Milano per verificare come la transizione ecologica sia ormai nelle agende di tutte le imprese, piccole e grandi, sia per motivi etici che per ragioni di mercato.Fondamentale il ruolo dei cittadini, con le loro buone pratiche quotidiane, quello dei governi con nuove norme green e i finanziamenti per attuarle, ma senza cambiare il modo di produrre beni e servizi l’economia non può diventare più sostenibile. Una trasformazione che va accelerata, ma che come dimostreranno le giornate milanesi di Green&Blue, è già in atto.

    Il primo focus, lunedì, sarà però dedicato alle città, straordinari laboratori in cui sperimentare le nuove soluzioni: dalla mobilità green, alla raccolta dei rifiuti, alle misure di adattamento contro l’innalzamento delle temperature. Progetti che vedono coinvolti, oltre alle aziende, università, enti di ricerca e amministratori locali. Ed ecco allora che sul palco degli Ibm Studios (oltre ad assessori all’Ambiente e alla Mobilità) si alterneranno i sindaci di Bologna, Lecce, Olbia, Legnano, Arezzo, Viterbo, per raccontare le loro esperienze, all’interno del Green City Network promosso dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile guidata da Edo Ronchi. Il punto di partenza della discussione saranno i dati sullo “stato della transizione ecologica delle città” elaborati dal Censis: un modo per capire anche com’è cambiata la situazione rispetto a due anni fa, quando fu redatta la prima edizione del rapporto. A seguire, il capitolo mobilità sostenibile, dove si discuterà, con le aziende leader del settore, di auto elettriche ma non solo. L’organizzazione europea Transport & Environment presenterà infatti il suo ultimo rapporto.

    Sarà invece l’energia il tema centrale della seconda giornata, quella di martedì, con una sessione aperta dalla saggista Gaia Vince, che dopo il best seller “Il secolo nomade”, sta per pubblicare un nuovo libro dedicato proprio a combustibili fossili, fonti rinnovabili, nucleare. Sul futuro energetico del nostro Paese si confronteranno alcuni dei maggiori player nazionali, da Enel, a Edison, passando per Snam.

    Tra le “nuove professioni” green, fondamentale in questa fase per le aziende sta diventando il sustainability manager, il manager della sostenibilità: ora in Italia esiste anche un loro network, Sustainability Makers, che porterà sul palco alcuni professionisti perché raccontino il loro lavoro per rendere più sostenibili le rispettive imprese di appartenenza. Al termine, appuntamento con Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, che forte della sue esperienza spiegherà come il rispetto per la biodiversità e per il territorio, siano un “dovere” ma anche qualcosa di “bello” (From duty to beauty, il titolo del suo intervento), una risorsa da preservare pur capitalizzandola.

    Il festival chiuderà lunedì 5 giugno con l’economia circolare e le sfide che vanno affrontate per renderla una realtà anche in Italia. Un Paese che è in ritardo rispetto agli obiettivi europei, fissati per il 2030 e 2035, sul riciclaggio dei rifiuti e sul loro corretto smaltimento, come si evince dal rapporto Green Book 2024 realizzato e presentato dalla Fondazione Uilitatis e da Utilitalia, la federazione di chi gestisce i rifiuti urbani. Recuperare correttamente gli scarti e trasformarli in materie prime-seconde è un passo imprescindibile per una economia davvero circolare. Soprattutto in alcuni ambiti, come quello della transizione digitale, che richiederanno grandi disponibilità di materiali di cui l’Europa e l’Italia non dispongo in natura, ma che potrebbero essere recuperati dai rifiuti elettronici.

    Si confronteranno su come stanno mettendo in pratica la circolarità all’interno dei loto cicli produttivi grandi brand italiani e internazionali (McDonald’s, L’Oréal, Gruppo Cap, Caffè Borbone), mentre sulle sfide legate a raccolta differenziata e al recupero dei rifiuti farà il punto il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero degli imballaggi in plastica (Corepla).Oltre ai big, ci sarà molto spazio per le start up, grazie a un accordo con il PoliHub del Politecnico di Milano, che ha selezionato per Green&Blu i migliori esempi di giovani imprese italiane che propongono soluzioni innovative alla crisi climatica. LEGGI TUTTO