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Scuola e conservatori, parla il maestro Accardo: “Troppa ignoranza nella classe politica, così dimenticano la musica”

ROMA – Maestro Salvatore Accardo, Repubblica ha analizzato la manovra finanziaria del Governo Meloni e ha scoperto che la parola Afam, l’Alta formazione artistica e musicale, non è mai citata nel testo. Dentro questa amnesia ci sono i 60 conservatori italiani in cui si tramanda, tra le altre cose, la grande musica della tradizione.

“Di fronte a queste indicazioni, si può solo pensare una cosa: c’è molta, troppa ignoranza nella classe politica italiana di oggi. C’è una mancanza di sensibilità nei confronti della musica che poi si riverbera sulle scelte amministrative. Di finanza e leggi di bilancio non so nulla, ma, certo, non occuparsi della musica a scuola è un delitto”.

Abbiamo raccontato che i conservatori italiani vivono in una situazione di sospensione perenne: alla riforma del 1999 non sono mai seguiti i decreti attuativi. Che impressione ha, lei, delle nostre università della musica?

“Dal mio punto di vista posso dire che c’è una generazione di ottimi insegnanti, giovani, capaci. C’è un problema, però. Il programma di studio dei nostri conservatori è troppo rigido e predilige l’attività teorica. Per crescere su uno strumento devi suonarlo, suonarlo. Devi lavorare con lui diverse ore al giorno. Gli insegnanti migliori dei conservatori italiani si sganciano dal programma e in questo mondo riportano alla musica i loro discenti. Tutti, va detto, devono essere pagati per il ruolo importante che rivestono”.

I risultati di questi buoni insegnamenti si vedono?

“Ci sono strumentisti validi in circolazione, come nella tradizione del nostro Paese. E le nostre accademie musicali continuano ad attrarre studenti stranieri, richiamati dalla storia del Paese delle arti e dalla qualità contemporanea del suo insegnamento. Va detto, però, che da una dozzina di anni gli italiani arrivano tardi alla musica di alto livello. Bisogna tornare in conservatorio prima, dall’età preadolescenziale”.

Oggi, invece?

“Con la concezione dell’accademia formato università, un giovane aspirante musicista inizia un percorso musicale di alto livello solo a 19 anni. A quell’età, se hai talenti, devi già suonare in un’orchestra, aver vinto premi nel mondo. Spesso i ragazzi del nostro Paese arrivano al Conservatorio con limiti tecnici e scarsa scrittura. La musica si apprende da bambini, dopo i vent’anni la si suona”.

Ha parlato di una dozzina di anni trascorsi. Tra il 2008 e il 2010, non a caso, in Italia si è realizzata la Riforma Gelmini, che prevedeva, al suo interno, la nascita dei licei musicali, nuovo percorso di approdo al conservatorio in età matura. Dopo dodici anni i licei musicali attraggono lo 0,7 per cento degli studenti delle scuole superiori e il dato è in calo.

“L’insegnamento medio nei licei musicali non è di buon livello, forse il loro insuccesso dipende anche da questo”.

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Salvatore Accardo bambino agli esordi con il violino e poi adolescente

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Salvatore Accardo bambino agli esordi con il violino e poi adolescente

 

Lei guida un’istituzione, l’Accademia Stauffer di Cremona, che da quarant’anni ospita e sforna giovani musicisti.

“Vogliamo preservare la tradizione italiana degli strumenti ad arco. L’Accademia Stauffer è completamente gratuita, non è giusto che conosca l’opportunità di suonare solo chi ha una buona famiglia alle spalle. La selezione, però, è rigorosa. Devo dire che, anche da noi, arrivano sempre più stranieri”.

Le sue due figlie gemelle, maestro, hanno intrapreso la strada della musica?

“Una, Irene. Suona il piano, è entrata a 13 anni. Ora ne ha quindici ed è sommersa dalle cose da fare. E’ difficile, quando hai troppi argomenti da seguire, capire verso quale strumento dovresti dirigerti”.

Lei oggi ha 82 anni. Si diplomò in violino all’età di tredici.

“Mio padre, artigiano di Torre del Greco, un incisore di cammei, mi raccontò che a tre anni avevo chiesto un piccolo violino. La mia prima canzone fu “Lili Marleen”, la suonai a orecchio. A cinque iniziai gli studi strutturati con il musicista e pedagogo napoletano Luigi D’Ambrosio. Più tardi sono stato ammesso al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli. Non avevo compiuto tredici anni, sì, quando presi il diploma eseguendo per la prima volta i Capricci di Paganini”.

Entrò alla corte del Conte Guido Chigi Saracini, l’Accademia Chigiana di Siena.

“Fu una grande scuola di perfezionamento ed ebbi compagni di viaggio speciali: Claudio Abbado, Daniel Barenboim, Zubin Mehta, Charles Dutoit”.

Diceva dell’impreparazione musicale della politica italiana, a cui sottrarre la figura di Claudio Martini, presidente della Regione Toscana che provò a mettere risorse nel sistema accademico musicale senza riuscirci. Anche all’estero è così?

“Nei Paesi tedeschi, Germania e Austria, la politica sa di cosa parla se affronta le questioni musicali, conosce la sua tradizione, che è importante ma non superiore alla nostra. Così nel mondo anglosassone, sono tutti dentro i problemi dell’educazione musicale. Da noi non più. Ogni giovane dovrebbe provare a vivere un’orchestra, o perlomeno un coro, elemento così diffuso nell’America del Nord. La musica e il canto corali sono un esercizio che insegna a stare insieme. La musica da camera è decisiva per crescere ed è un valore fondamentale per un musicista completo, un arricchirsi continuo ascoltando se stessi attraverso l’ascolto della voce degli altri. E’ una metafora della vita: la propria libertà si conquista nel rispetto di quella altrui, esaltando le potenzialità di ciascuno e creando totale armonia”.

Lo sa che anche il jazz non se la passa bene nei licei musicali? Cosa ne pensa dell’insegnamento della musica popolare nelle scuole italiane? Vorrebbe solo che si producesse classica, operistica, sinfonica?

“Le rispondo con le parole di Leonard Bernstein, un musicista completo, direttore delle più grandi filarmoniche del mondo e capace di scrivere le musiche di West Side Story. La musica si divide solo in due branche, bella musica e brutta musica”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/scuola_e_universita/rss2.0.xml


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