in

Nelle Marche un laboratorio per un’industria meno impattante

In quella che un tempo fu una palestra, 700 metri quadri alle porte di Camerino, nel cuore del cratere maceratese del terremoto del 2016, si progetta un futuro che possa prescindere dai combustibili fossili. E che punti sui materiali bio-based (interamente o parzialmente derivati da biomassa, piante e vegetali in primis) e sull’economia circolare, in particolare sul riuso del rifiuto post-industriale e post-consumo. Si chiama MARLIC, acronimo di Marche Applied Research Laboratory for Innovative Composites, il laboratorio inaugurato a luglio al termine di un progetto da 11,5 milioni di euro che ha visto comporsi una piattaforma collaborativa co-finanziata dalla Regione Marche e dedicata alla manifattura sostenibile e all’ecosostenibilità di prodotti e processi per nuovi materiali.

Sono stati coinvolti 5 enti pubblici di ricerca (Università di Camerino, Università Politecnica delle Marche, Università di Urbino, Enea e CNR), 21 aziende (capofila HP Composites e Delta del De Manufacturing) e la Fondazione Cluster Marche. “La parola chiave è sinergia – spiega Enrico Marcantoni, che insegna chimica organica all’Università di Camerino ed è responsabile scientifico del progetto – qui lavoriamo alla ricerca applicata, sviluppiamo soluzioni innovative che trovano applicazione nel mondo reale, con una strumentazione all’avanguardia e ricadute occupazionali importanti per il territorio”.

Con il de-manufacturing il rifiuto diventa oggetto di studio. E si trasforma. Dagli scarti delle suole del mercato delle calzature nascono i contenitori per le medicine diretti alle aziende farmaceutiche. E c’è chi lavora sulle pareti di plexiglass che si sono diffuse in periodo di pandemia: si torna al materiale vergine, così le vecchie paratie utilizzate per dividere gli ambienti non finiscono in discarica. C’è poi il segmento che genera materiale bio-based, per esempio con la creazione in laboratorio, per il settore automotive, di materiale non attaccabile dalle muffe.  Oppure con la costruzione di polimeri con capacità antivirali e antibatteriche, in grado di uccidere i virus. E ancora: è allo studio un packaging antiossidante, che allunghi la vita del prodotto alimentare. Combattendo gli sprechi. “Il segreto – spiega Marcantoni – è ideare materiali dei quali si conoscerà preventivamente il fine vita, perché possano diventare qualcos’altro di utilizzabile”.

Domani in edicola

Venti storie dall’Italia che cambia: il nuovo numero di Green&Blue

06 Marzo 2024

Maria Savina Pianesi è, invece, responsabile della Divisione Ricerca e Sviluppo di Delta del gruppo Plados Telma. “Insieme al mio staff di chimici, fisici e ingegneri, studiamo i miglioramenti dei componenti dei materiali compositi e definiamo nuove funzionalizzazioni, tenendo a mente che abitiamo in un mondo che dobbiamo preservare”, dice “MARLIC è riuscito a tendere una mano alle piccole aziende del territorio, che non possono permettersi laboratori di ricerca all’avanguardia ma non per questo vogliono rinunciare all’opportunità di innovare”.

Da qui sono nati altri progetti finanziati dalla Ue, come quello per la creazione di una filiera circolare di simbiosi industriale per produrre compositi completamente di recupero e green, legato al Delta del gruppo Plados Telma, vincitrice del progetto Life 21, “LifeGreen Composite”. “Abbiamo brevettato lavelli da cucina totalmente green, nati dal recupero di materiale destinato alle discariche”, spiega Pianesi. Ancora: in sinergia con Simonelli Group, materiali di scarto e sfrido – come il piano di un colatoio di un lavello – si trasformano nei coperchi di macchine macina-caffè. “Perché riciclo e riuso funzionino – spiega Pianesi – occorre che i materiali siano performanti e i processi produttivi economici, con un risparmio potenziale rispetto a materiali vergini”.

Ma oggi il segreto di MARLIC è soprattutto nella creazione di una filiera che, mettendo in rete pubblico e privato, parte dallo studio delle materie prime o seconde e si traduce, in tempi rapidi, in prodotti innovativi. Un processo avviene in un laboratorio hi-tech diviso in più ambienti: nel Chem Lab ci sono strumentazioni che caratterizzano chimicamente il materiale composito a matrice polimerica, e ne studiano il comportamento termico e visco-elastico. Nell’Horizon Lab si sviluppano i materiali compositi innovativi con strumenti che permettono di lavorare su scala di laboratorio e di prototiparli. Nel Dyno-Lab si verificano le proprietà meccaniche del materiale composito, a cominciare dal grado di resistenza del composito agli agenti atmosferici e a forze esterne. C’è poi il Volatiles Lab, in cui si analizza la frazione volatile che si genera in fase di processo. Due ambienti compongono infine l’Image Labs: qui si caratterizza il composito a livello morfologico e chimico, identificando eventuali difetti prima di immetterlo sul mercato.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


Tagcloud:

Dirigenti scolastici, via libera al nuovo contratto: aumenti da 240 euro al mese. E arriva il preside-mentor

La carne di pitone da allevamento come alternativa sostenibile: uno studio