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Le tartarughe marine e la storia di Daniela Freggi che non si è mai arresa

Rinunciare alla propria vita per salvare quella di migliaia di tartarughe marine. Una storia di impegno e passione quella di Daniela Freggi. Biologa marina, presidente dell’associazione “Caretta Caretta” che, dopo essere approdata a Lampedusa da Roma, ha tenuto in vita per oltre 30 anni il Sea Turtle Rescue, un centro di recupero per le tartarughe marine che qui sono state curate e salvate. Una specie a rischio estinzione, minacciata dalla cattura, dal degrado dell’habitat e dai cambiamenti climatici.

Costretta nei mesi scorsi a chiudere il centro, oggi Daniela Freggi coordina una ricerca a livello europeo per conto dell’Istituto di Medicina Veterinaria dell’Università di Bari, punto di riferimento scientifico per la cura delle tartarughe marine per tutto il bacino mediterraneo. Il suo impegno a Lampedusa rimane: si prende cura delle tartarughe ferite portate a riva dai pescatori dell’isola.

Daniela Freggi in laboratorio 

L’ospedale speciale

La sua storia inizia 33 anni fa quando, per la prima volta – fresca di laurea – è arrivata a Lampedusa. Ha capito subito che la passione per il mare, l’ambiente e le tartarughe non l’avrebbero più fatta ripartire. La professoressa Freggi non si è fermata davanti a nulla aprendo e dirigendo quell’ospedale speciale dove sono state salvate 150-200 tartarughe all’anno. La maggior parte della specie Caretta caretta. Si tratta di rettili fondamentali per la biodiversità del Mediterraneo, ma la loro vita è minacciata da più fronti: la presenza della plastica in mare ingerita perché scambiata per meduse, cibo di cui sono golose; le attività umane come la pesca o il turismo. Sono migliaia le tartarughe che rimangono impigliate nelle reti, oppure ingoiano ami e lenze che provocano gravi lesioni o che vengono ferite dalle eliche delle barche.

Una tartaruga marina in riabilitazione prima di essere ricondotta in mare  

Avventura e dedizione

Per anni ha affrontato qualsiasi difficoltà: la mancanza di una sede, la ricerca continua di finanziamenti per la gestione del centro, i rapporti complicati con le istituzioni, la collaborazione tra i pescatori e i volontari arrivati a Lampedusa non solo dall’Europa, ma anche dagli Stati Uniti e la Nuova Zelanda. Nel maggio 2023 Daniela Freggi ha però dovuto arrendersi. “Siamo stati costretti a chiudere il Centro di recupero delle tartarughe marine di Lampedusa perché non siamo riusciti a trovare sull’isola un’alternativa allo spazio che dopo anni abbiamo dovuto lasciare. L’avevamo aperto nel 1996. Pur di avere una sede ci siamo adattati ad organizzare il nostro centro in alcuni locali che ci sono stati dati in comodato d’uso dalla società Acquacoltura”. E poi?

Negli anni il Centro è diventato un punto di riferimento per tutta Lampedusa – veniva visitato ogni giorno da 1.500 turisti nei mesi estivi – e per gli esperti di tartarughe di tutto il mondo. “Qui abbiamo operato questi rettili marini con le tecniche di chirurgia più innovative messe a punto dal professor Antonio Di Bello del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Bari”, spiega la docente. Al punto da aver dato nome ad una tecnica – la tecnica Lampedusa – che consente di rimuovere gli ami dallo stomaco o dall’esofago delle “pazienti” praticando un’incisione poco invasiva.

Volontari impegnati nel soccorso di una tartaruga marina a Lampedusa 

I fondi c’erano, la sede no

Per la verità, i fondi erano stati anche trovati per creare un nuovo Centro di Soccorso nell’Area protetta Isole Pelagie: quelli previsti dal programma europeo TartaLife, ma il via libera non è arrivato. Perché? “Non siamo riusciti a trovare su tutta l’isola la concessione di uno spazio che avesse i requisiti richiesti: senza una sede, niente fondi “. Purtroppo, nonostante gli sforzi, gli appelli ai politici locali e nazionali, la situazione si è fatta sempre più critica anche dal punto di vista economico. “A complicare le cose è arrivato il caro energia facendo lievitare le bollette da 2mila e 10mila euro nel giro di pochi mesi. Non abbiamo retto più e ci siamo arresi”. Ma smantellare una struttura come il Centro di Recupero di Lampedusa non è stato semplice. Ci sono voluti mesi. “Perché si trattava di un vero e proprio reparto di chirurgia con tanto di sala operatoria, laboratorio asettico per le analisi, spazi idonei dove custodire medicinali e anestetici. Strumentazione radiologica ed ecografica. Le ultime tartarughe operate sono state trasferite in un altro centro a Cattolica Eraclea, nella provincia di Agrigento, e Daniela Freggi oggi pur rimanendo a vivere Lampedusa lavora come ricercatrice all’Università di Bari per la quale sta conducendo una ricerca scientifica.

La storia

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L’isola e la svolta di vita 

La sua vita è cambiata quando negli anni Novanta, dopo la laurea all’università La Sapienza, è scesa per la prima volta da un traghetto sull’isola dell’arcipelago delle Pelagie.  “Il professor Roberto Argano, ordinario di Zoologia all’Università la Sapienza, il primo ad occuparsi delle tartarughe marine in Italia, spedì noi giovani ricercatori in vari punti del Mediterraneo a studiare le tartarughe marine. A me toccò Lampedusa. È stata la svolta della mia vita. Da qui non sono più andata via: ho capito che se volevamo salvare una specie a rischio estinzione, bisognava occuparsene qui, in mezzo al Mediterraneo”, racconta la professoressa che per aprire l’ospedale speciale ha lasciato una carriera all’università per insegnare nelle scuole a Lampedusa. “Nessun rimpianto, la mia vita è su quest’isola”, dice senza mezzi termini. Perché Daniela Freggi, nonostante abbia chiuso la sua clinica, continua ad occuparsi delle tartarughe che nuotano vicino Lampedusa e hanno bisogno di cure. Di tutto quel lavoro al Centro è rimasto il rapporto con i pescatori. Sanno che se una tartaruga rimane impigliata nelle reti, oppure è ferita, possono chiamare la professoressa Freggi e lei saprà cosa fare: se trasferirla al centro di Bari oppure può bastare la sua assistenza. “Per questo motivo ho lasciato il numero del mio cellulare sul web. Devono potermi trovare se qualcuno vede una tartaruga ferita”.

Animali

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L’immagine sui gadget per turisti

Anche Lampedusa non ha interrotto il suo legame con le tartarughe marine. Anche se purtroppo, quello che sarebbe potuto diventare un centro di ricerca internazionale, è diventata un’occasione persa per un’isola che proprio della tartaruga ha fatto un suo simbolo. Quello che rimane è la sua immagine sui gadget turistici o nei disegni lungo le strade. Solo un ricordo.  


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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