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Consumo di foreste, energia e acqua: l’impatto ambientale nascosto della carta igienica. Le alternative? Bambù e paglia

Era il 1850 quando Joseph Gayetty brevettò la prima carta igienica, presentata dai giornali come una “scoperta grandiosa e ineguagliabile”. Da allora molti e molti rotoli sono stati consumati. Secondo la piattaforma Statista, gli Stati Uniti sono oggi al primo posto nel mondo per consumo, con una quota individuale media di 141 rotoli all’anno, pari a 12,7 chili. Al secondo posto si attesta la Germania, con una media di 134 rotoli a testa, equivalenti a 12,1 chili. Segue il Regno Unito, con 127 rotoli, ovvero 11,4 chili. Un prodotto che pare, insomma, andare a ruba, con un fatturato globale che nel 2023 ammontava a 107,4 miliardi di dollari, con una crescita annuale prevista del 5,92%.

Le fasi della produzione

La storia di un rotolo inizia nel bel mezzo di una foresta. “Nella produzione viene impiegata una combinazione di legno duro (70%) e legno tenero (30%)”, dice Greg Grishchenko, ingegnere statunitense che ha lavorato per oltre quarant’anni nel settore. Gli addetti scortecciano gli alberi per rimuovere lo strato esterno (corteccia) e riducono i tronchi rimanenti in piccoli pezzi, i trucioli, mescolandoli poi con vari prodotti chimici. Pongono la miscela ottenuta in un fermentatore, una sorta di enorme pentola a pressione, e la lasciano cuocere per circa tre ore: durante la cottura, gran parte dell’umidità del legno evapora, dando origine a un impasto di cellulosa, lignina e altre sostanze. Da questo gli operatori ottengono una fibra malleabile, chiamata polpa o pasta. La sottopongono a un lavaggio multistadio, finalizzato a rimuovere il fluido di scarto, il cosiddetto liquore nero. Inviano poi il prodotto all’impianto di sbiancamento dove, utilizzando ozono, perossido, ossigeno, idrossido di sodio, viene rimosso il colore originario per ottenere una tonalità il più candida possibile. A questo punto, miscelano la polpa (0,5%) con una grande quantità di acqua (99,5%) per ottenere la carta. Quest’ultima viene, quindi, pressata, essicata (fino a un’umidità finale di circa il 5%), raschiata con lame metalliche e avvolta su apposite bobine. “Al termine del processo, la carta può essere testata tenendo conto di vari parametri di qualità, tra cui elasticità, opacità, umidità, levigatezza, colore”, precisa Grishchenko. Se tutto è conforme, gli addetti la tagliano in rotoli, la confezionano in pacchi e la spediscono agli esercizi commerciali.

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Disboscamento e altri problemi

Un procedimento lungo, quello di produzione della carta igienica, che ha un impatto tutt’altro che zero. Per realizzare un singolo rotolo sono, infatti, necessari circa 680 grammi di legno, proveniente soprattutto dalle piantagioni di eucalipto brasiliane e dalla foresta boreale canadese. Secondo un report realizzato da AidEnvironment, nel 2020 i maggiori esportatori di pasta di legno al mondo sono stati, nell’ordine, Brasile, Canada, Stati Uniti, Indonesia, Cile. Il solo Brasile ha esportato ben 15,6 milioni di tonnellate di pasta: quasi il 48% è finito in Cina, circa il 25% in Europa, circa il 15% negli Stati Uniti e il resto in altri Paesi. A incidere sull’impatto produttivo non è, però, solo la deforestazione, ma anche l’impiego di elettricità, le considerevoli emissioni di acqua, la generazione di rifiuti solidi, l’inquinamento dell’aria.

Pure la fase di utilizzazione e smaltimento del prodotto non è scevra da conseguenze negative. Uno studio pubblicato nel 2023 dall’American Chemical Society sostiene che la toilet paper è una fonte di sostanze perfluoro alchiliche (Perfluorinated alkylated substances, Pfas) destinate a entrare negli impianti di trattamento delle acque reflue, con molteplici effetti nocivi sulla salute. Altri studiosi sottolineano che tale tipo di carta è uno dei principali inquinanti insolubili rilasciati nei sistemi di trattamento.

Le alternative green

A fronte di queste criticità, gli esperti stanno cercando di sviluppare alternative più ecologiche. Tra queste, la principale è la carta riciclata, prodotta a partire da carta bianca o colorata, priva di punti metallici. Quest’ultima viene posta in un dispositivo chiamato pulper, dove viene combinata con acqua. Qui, attraverso pale in rotazione, viene trasformata in un impasto fibroso, sottoposto poi a vagli e risciacqui per rimuovere i rivestimenti e gli inchiostri. Infine, viene igienizzata e leggermente sbiancata.

Una ricerca, comparsa nel 2013 sulle pagine di The International Journal of Life Cycle Assessment, ha evidenziato che le emissioni di gas serra derivanti dalla pasta di legno sono più elevate di circa il 30% rispetto a quelle generate dalla carta riciclata. In pratica, per ogni chilo di prodotto finale, la prima emette 568 chili di anidride carbonica in più rispetto alla seconda. Inoltre, secondo l’Environmental Paper Network, la carta igienica ricavata direttamente dagli alberi ha un impatto sul clima tre volte superiore rispetto a quello della carta riciclata.

In quest’ottica, anche la toilet paper realizzata a partire dal bambù, dalla canna da zucchero, dalla paglia sta ottenendo riscontri positivi. Per esempio, l’azienda svedese Essity, uno dei maggiori produttori di carta velina al mondo, ha inaugurato nel 2021, presso lo stabilimento di Mannheim, in Germania, un impianto per generare pasta di paglia. Una tecnologia innovativa che, secondo l’impresa, utilizza meno acqua e meno energia nella produzione, con un impatto ambientale inferiore del 20% rispetto a quello della carta realizzata con la tradizionale pasta di legno.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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