8 Maggio 2024

Daily Archives

consigliato per te

  • in

    Isole Faroe, gli ambientalisti chiedono all’Europa di fermare la mattanza delle balene pilota

    La tradizione è iniziata, la prima mattanza è stata compiuta. Il sangue di 40 globicefali, tra cui almeno quattro esemplari molto giovani, il 4 maggio ha colorato di rosso la baia di Klaksvik nelle Isole Faroe. La tradizionale e storica caccia ai cetacei, chiamata “Grindadrap” o semplicemente “Grind”, osteggiata dagli ambientalisti e difesa strenuamente dalla popolazione locale, anche nel 2024 si è svolta con le solite modalità: barche che accerchiano e spingono i globicefali verso riva e una ventina di persone armate di particolari coltelli che recidono il midollo spinale degli animali, interrompendo il flusso del sangue al cervello e uccidendoli il più velocemente possibile, come richiede la pratica stessa “per non farli soffrire”.

    Biodiversità

    Il canto delle balene e come l’uomo rischia di zittirle

    di Sandro Iannacone

    21 Febbraio 2024

    La carne sarà poi suddivisa fra la popolazione che in questo rituale che può svolgersi da maggio fino a settembre celebra, di fatto, una mattanza che un tempo era necessaria per la sopravvivenza nelle Isole Faroe, autonome ma appartenenti al Regno di Danimarca, mentre oggi – nelle Faroe dove tra supermercati e prodotti importati manca ben poco – viene mantenuta come tradizione. 

    ??UPDATE – The killing in Klaksvik, #FaroeIslands is over. Over 30 pilot whales were driven and killed in the first slaughter of 2024. Our crew are on location to document the killed whales, mothers, and calves. Stay tuned for important updates! ??Sea Shepherd #stopthegrind pic.twitter.com/6Dv2iK3Q90— Sea Shepherd (@seashepherd) May 6, 2024

    Per inquadrare questa pratica, che appare decisamente cruenta e per molti ambientalisti “orribile e inutile”,  bisogna osservarla dal punto di vista culturale: per le Faroe il “grind” un tempo era forma di sostentamento, atto necessario per ottenere la carne dei cetacei di cui cibarsi, in quelle isole nel mezzo dell’Atlantico dove vivere di sole coltivazioni era complesso. Nel difendere questa tradizione, gli isolani sottolineano come in altre culture (anche europee) si uccidono animali nelle forme più svariate e incontrollate, mentre il Grindadrap è per loro una pratica “umana e veloce” che mira a non far soffrire globicefali e delfini. L’argomento è ovviamente controverso e il “grind” è monitorato da anni da associazioni, come Sea Shepherd o Blue Planet Society, che chiedono la fine dei massacri.

    Biodiversità

    Una speranza per le balene: l’Islanda valuta di vietare la caccia nel 2024

    di Cristina Nadotti

    20 Dicembre 2023

    Se anche in questo 2024 abbiamo già assistito alla prima mattanza di 40 globicefali, ci sono però segnali di un possibile declino futuro di questa pratica. Il primo è legato a una questione politica. Da anno è nato un gruppo “Stop the Grind” che raduna più associazioni nel tentativo di fermare i massacri. Di recente un eurodeputato, Francisco Guerreiro, che sostiene la coalizione Stop the Grind, ha presentato una mozione per una risoluzione al Parlamento europeo con uno scopo: chiedere la sospensione dei finanziamenti dell’Ue alle isole Faroe finché la mattanza continuerà. Un’iniziativa che, sostengono ad esempio da Sea Shepherd, potrebbe trovare sempre più valore in vista delle elezioni Europee, motivo per cui invitano i cittadini europei “a sostenere questa iniziativa contattando i tuoi eurodeputati nazionali. Con le imminenti elezioni dell’8-9 giugno, ora è il momento di agire e far sentire la tua voce a favore dei globicefali!”.In Europa i globicefali sono protetti dalle leggi dell’Ue e del Regno Unito, ma lo status autonomo delle Faroe permette alle isole di stabilire le proprie leggi e regole. L’iniziativa di “blocco dei finanziamenti” secondo le associazioni ambientaliste potrebbe spingere però le Faroe a fermare le uccisioni. Ovviamente per gli isolani si tratta dell’ennesima “interferenza” da parte di altre culture, nonché di una “forma di imperialismo culturale”, che vorrebbe cambiare una tradizione secolare di una piccola popolazione di 50mila abitanti.In realtà però, si legge sugli stessi giornali delle Faroe, c’è un altro aspetto che indica un possibile declino di questa pratica: una sorta di disaffezione degli stessi isolani, nonché la possibilità che il “Grind” non regga nei passaggi generazionali. Per organizzare e portare avanti la mattanza c’è bisogno del lavoro degli iscritti al Grindamannafelagið, l’associazione di balenieri che è responsabile (e sono gli unici a poterlo fare) del Grind. Il gruppo conta circa mille iscritti ma come dichiarato dai vertici stessi negli ultimi tempi solo 100 associati hanno pagato e saldato le loro quote. Un segnale che indica meno fondi e meno impegno da parte degli stessi cultori della tradizione. 

    Preoccupato per la mancanza di sostegno il presidente dell’associazione Esmar Joensen, in una recente lettera di fine aprile, ha ricordato agli isolani la necessità di difendere e proteggere, anche per le generazioni future, i valori della loro mattanza. Di conseguenza l’associazione sta pensando di sviluppare un film o un documentario per insegnare il Grind ai bambini. Altrimenti, scrive lo stesso Joensen, “non passeranno molte generazioni prima che smetteremo di uccidere le balene”. La stessa idea di girare un documentario per insegnare il massacro dei cetacei ai bambini ha ovviamente suscitato forti polemiche, ricordando anche la pericolosità di mostrare ai più piccoli tale brutalità, che però per le Faroe è appunto sinonimo di cultura. Se pressioni esterne e disaffezione (economica) fra gli iscritti non dovessero essere sufficienti nel tempo a porre freno a questa pratica, un segnale importante in futuro potrebbe però fornirlo la stessa natura. Sui globicefali (o pilot whale) c’è ancora una forte carenza di dati a livello internazionale: la specie non è considerata in pericolo di estinzione ma, anche a causa della carenza di set di dati, è complesso stabilirne lo status attuale (anche le liste Iucn risultano non aggiornate). Quando nel 2022 si era arrivati a uccidere durante la stagione di caccia quasi 1400 cetacei, dopo le proteste della comunità internazionale le autorità delle Faroe avevano deciso di limitare le uccisioni a 500 esemplari. 

    Secondo l’associazione Ocean Care, in media vengono uccisi dagli isolani circa 700 globicefali all’anno. Questi numeri, uniti a quelli di un generale declino della fauna selvatica (crollata del 69% dal 1970) e in particolare delle specie marine, sono oggi diventati oggetto di preoccupazione fra gli studiosi sul fatto che presto anche questi cetacei potrebbero rientrare in categorie minacciate di estinzione. Il punto dunque è: per quanto tempo questa pratica che alle Faroe definiscono “sostenibile” potrà continuare in un possibile contesto di maggiore vulnerabilità della specie? 

    Per Blue Planet Society, non molto. Secondo l’associazione siamo infatti “in piena crisi di biodiversità e climatica e questa piccola isola autonoma pensa che sia giusto uccidere questi animali nel modo più orribilmente crudele possibile. Se permettiamo tali stravaganze, laddove un paese ricco può fare questo a creature bellissime e intelligenti, chiaramente non vinceremo mai la battaglia contro il cambiamento climatico e la crisi della biodiversità”. LEGGI TUTTO

  • in

    “Lo stop alle rinnovabili sulle aree agricole serve per le elezioni, non all’agricoltura”

    Davvero le politiche ambientali danneggiano gli agricoltori? Nelle semplificazioni che stanno accompagnando l’approvazione il 6 maggio del decreto legge Agricoltura, con lo stop all’installazione degli impianti fotovoltaici a terra, sta passando l’idea che gli agricoltori guardano più ai loro interessi che all’ambiente e al futuro. In realtà, la situazione è più complessa e deve tenere conto delle difficoltà (economiche e non solo) di un settore quello agricolo strategico per la nostra economia, ma che sembra aver bisogno di aiuti pubblici, sussidi e detrazioni fiscali, per andare avanti. E c’è chi nel dl Agricoltura, per il quale il governo Meloni ha stanziato 130 milioni di euro, vede una strategia politica alla luce delle imminenti elezioni europee  per evitare di rendere tesi i rapporti con gli agricoltori. Rapporti diventati difficili nei mesi scorsi con le proteste con i trattori che dilagavano a Bruxelles, inelle capitali europee compresa Roma davanti al Parlamento. In parte legate anche alle iniziative sulla riduzione delle emissioni dei gas serra. Così, tra cedimenti alle pressioni e concessioni (il Parlamento europeo ha respinto nel novembre scorso il Sustainable Use Regulation che nell’ambito del Green Deal prevedeva la riduzione dei pesticidi entro il 2030 in Italia si è arrivati all’approvazione del dl Agricoltura.   LEGGI TUTTO

  • in

    Impegnarsi per conservare la natura funziona davvero

    Immaginiamo di fare il verso al Dottor Frankenstein del celebre film di Mel Brooks: “Si…può…fare!!!” è quello che ci dovrebbe venire voglia di urlare a gran voce dopo aver letto i risultati di uno studio internazionale appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Science. La ricerca, coordinata dalla biologa Penny F. Langhammer della Arizona State University, per la prima volta ha valutato l’effettivo impatto delle azioni pratiche di conservazione della biodiversità, esaminando quasi 1.500 articoli scientifici e analizzando in dettaglio circa duecento casi di studio in cui risultava possibile un confronto tra aree in cui erano stati realizzati interventi di salvaguardia o ripristino della biodiversità e aree in cui nessun intervento era stato realizzato.     

    Lo studio ha valutato l’efficacia nel contrastare le cause di deterioramento degli ecosistemi e delle specie animali e vegetali di sette tipologie di azioni di conservazione, tra cui l’istituzione di aree protette, il restauro di ambienti degradati, l’eradicazione di specie aliene invasive, la gestione di specie native problematiche o l’adattamento al cambiamento climatico. Le tipologie di intervento valutate sono state scelte tra quelle previste per raggiungere gli obiettivi internazionali adottati dai governi per interrompere il declino della biodiversità e invertire la tendenza, tra cui lo storico accordo di Kunming-Montreal, siglato a dicembre del 2022.

    I risultati dello studio sono chiari: la conservazione funziona. Sia in termini assoluti (45% dei casi), migliorando palesemente la salute degli ecosistemi, come ad esempio in Scozia, dove una migliore gestione delle pratiche agricole ha aumentato il successo di nidificazione di molte specie di uccelli negli agro-ecosistemi, sia in termini relativi, rallentando il declino della biodiversità, come in Amazzonia, dove l’istituzione di aree protette e territori ad uso esclusivo degli indigeni ha rallentato il tasso di deforestazione. Soltanto in un caso su tre gli interventi non sono risultati in grado di migliorare la situazione, come avvenuto in Australia, dove l’istituzione di una area marina protetta ha avuto l’effetto di ridurre la popolazione di una specie endemica di cavalluccio marino a causa dell’aumento dei suoi predatori, protetti dalla pesca indiscriminata.

      

    E quale tra le diverse tipologie di azione funziona meglio? Il ripristino degli habitat degradati, la gestione sostenibile degli ecosistemi e, soprattutto, l’eradicazione e il contenimento delle specie aliene invasive, in particolare sulle isole. Infatti, sebbene sia ormai dimostrato che le specie aliene invasive siano una minaccia per la biodiversità che colpisce tutte le regioni della terra, anche quelle più remote, è proprio sulle isole, dove si concentra una larga porzione della biodiversità globale, che l’introduzione di specie aliene da parte degli esseri umani sta mettendo a rischio gli ecosistemi. Questo nuovo studio internazionale è la prova definitiva a supporto dei tanti progetti di contrasto alle specie invasive animali e vegetali condotti in questi ultimi due decenni anche nelle nostre isole tirreniche; progetti spesso sottoposti alla gogna mediatica senza una reale comprensione della loro importanza. Lo studio di Langhammer e colleghi ci aiuta anche a capire perché un programma come quello intrapreso dal governo neozelandese, che entro il 2050 ha promesso di “liberare l’isola da ratti, opossum e altri predatori introdotti dall’uomo”, non sia velleitario e irrealizzabile ma, al contrario, il frutto della scelta oculata, seppur ambiziosa, di perseguire l’azione più efficace per contrastare la crisi di biodiversità del paese.

    Nelle conclusioni dello studio, lo sguardo dei ricercatori si è spinto anche oltre i numeri e i grafici. Se le azioni di conservazione hanno indubbiamente contributo a rallentare il declino della biodiversità nelle aree di intervento, i risultati positivi si stemperano in una visione allargata, dove anche le azioni più efficaci non sono riuscite fin qui ad invertire la tendenza alla perdita globale di biodiversità. L’emorragia si può arrestare solo con un deciso cambio di passo o, meglio, di scala degli interventi. Scala geografica, che deve diventare globale, superando la consueta asimmetria verso i paesi più ricchi e indirizzando gli sforzi di conservazione verso i paesi a maggiore biodiversità. Scala economica, che deve aumentare almeno di un ordine di grandezza, passando dagli attuali 80 miliardi di dollari investiti annualmente in attività di conservazione ai 524 miliardi di dollari all’anno, ritenuti necessari dalle più recenti stime internazionali. Un passaggio, quest’ultimo, che, come suggeriscono gli autori, sarà possibile solo quando riusciremo a considerare le somme investite per la conservazione della biodiversità come un investimento in grado di moltiplicare il nostro capitale, e non come una spesa, il più delle volte ritenuta superflua dalla società.

    I risultati di questo studio potrebbero diventare una vera e propria “bussola” per orientare i decisori politici e gli attori sociali ed economici, chiamati a quantificare e destinare le risorse necessarie a raggiungere gli obiettivi internazionali di conservazione della biodiversità.  Non lasciamo la bussola nel cassetto. 

    Andrea Monaco è uno zoologo dell’ISPRA LEGGI TUTTO

  • in

    Un terzo dell’elettricità del mondo è prodotta da energie rinnovabili

    Oltre un terzo di tutta l’elettricità del mondo è oggi prodotta da energie rinnovabili. Ne abbiamo fatta di strada: nella produzione elettrica ventiquattro anni fa le fonti rinnovabili sfioravano il 19%, oggi siamo a oltre il 30%. Dati, relativi alle ultime analisi del 2023, forniti dalla quinta edizione del Global Electricity Review, report approfondito realizzato dal think tank sull’energia Ember. A trainare il raggiungimento di questo storico traguardo sono stati soprattutto gli sviluppi di eolico e solare: l’energia prodotta grazie a sole e vento è passata dallo 0,2% del 2000 al 13,4% del 2023. Un cammino virtuoso che ha visto, secondo Ember, l’Europa come protagonista assoluta. L’Ue ha infatti registrato il più grande “allontanamento dai combustibili fossili” tra i paesi che producono più CO2 del gruppo OCSE.Come ricorda Ember  – che ha analizzato i dati storici sulla produzione di elettricità di 215 Paesi – grazie alla nuova spinta a trazione rinnovabile “l’intensità di CO2 della produzione globale di energia ha raggiunto un nuovo minimo storico nel 2023, inferiore del 12% rispetto al picco del 2007”. Ma soprattutto, si aspettano gli analisti, la rapida crescita di fotovoltaico ed eolico potrebbe presto portare il Pianeta, forse già alla fine del 2024, a un punto di svolta in cui la produzione di combustibili fossili inizierà a diminuire a livello globale. “Il futuro delle energie rinnovabili è arrivato – ha detto Dave Jones, direttore degli insight globali di Ember – e il solare in particolare sta accelerando più velocemente di quanto si pensasse possibile”.

    Il vertice

    G7 ambiente, nell’accordo l’addio al carbone, spinta sulle rinnovabili e porte aperte alla mobilità elettrica

    di Luca Fraioli

    30 Aprile 2024

    Oltre ai dati storici i ricercatori hanno analizzato nel dettaglio le cifre sulla produzione di elettricità nel 2023 coperta da 80 paesi che rappresentano il 92% della domanda globale di elettricità. Dall’analisi si evince per esempio come in questi contesti sia stato cruciale il ruolo del solare che di fatto ha aggiunto più del doppio della nuova produzione di elettricità rispetto al carbone nel 2023. Ormai è il diciannovesimo anno consecutivo che la crescita del solare risulta la più rapida, superando anche l’eolico come fonte rinnovabile principale di nuova elettricità.Se sole e vento trainano la rivoluzione rinnovabile, l’anno scorso a mostrare segnali di contrazione è stato invece l’idroelettrico che a causa della siccità (come in Cina) e delle temperature estreme ha raggiunto il minimo degli ultimi cinque anni. Con la carenza idrica dello scorso anno per ovviare alla diminuzione di energia idroelettrica c’è stato in alcuni Paesi un aumento del carbone  che ha portato a una crescita dell’1% delle emissioni globali del settore energetico. “Il 95% dell’aumento della produzione di carbone nel 2023 si è verificato in quattro paesi gravemente colpiti dalla siccità: Cina, India, Vietnam e Messico” si legge nel report.

    Rinnovabili

    Cinquemila pannelli solari in un cimitero francese, 5 euro per far parte della CER

    di Cristina Nadotti

    14 Marzo 2024

    Al di là della contrazione dell’idroelettrico e l’aumento temporaneo del carbone secondo Ember “la prevista crescita dell’elettricità pulita dà fiducia che una nuova era di calo delle emissioni del settore energetico stia per iniziare, con una riduzione prevista del 2% nella produzione globale di combustibili fossili nel 2024”. Finora, ricordano i ricercatori, l’elettricità ottenuta da fonti pulite ha rallentato la crescita dei combustibili fossili di quasi due terzi negli ultimi dieci anni e metà delle economie mondiali “hanno superato da almeno cinque anni il picco dell’energia fossile”. Per Jones “il calo delle emissioni del settore energetico è ormai inevitabile, ma il ritmo con cui le emissioni diminuiranno dipende dalla velocità con cui continuerà la rivoluzione delle energie rinnovabili”.Una rivoluzione che, alla scorsa Cop28 di Dubai, secondo i Paesi partecipanti doveva avere in seno una missione: triplicare la capacità globale di energie rinnovabili entro il 2030 e raddoppiare l’efficientamento energetico. Un’impresa tutt’altro che semplice ma che, in caso di successo, porterebbe il mondo “a raggiungere il 60% di elettricità rinnovabile entro il 2030, il che dimezzerebbe quasi la metà delle emissioni del settore energetico, un percorso in linea con l’obiettivo climatico di 1,5°C”. Il rapporto sottolinea infine come i principali fattori per poter aumentare la produzione di elettricità da fonti rinnovabili siano “l’ambizione politica di alto livello, meccanismi di incentivi e soluzioni di flessibilità”, fattori che hanno dimostrato di funzionare in realtà come “Cina, Brasile e Paesi Bassi”.”L’espansione dell’elettricità pulita non solo aiuta a decarbonizzare il settore energetico – conclude Jones – ma fornisce anche l’incremento dell’offerta necessaria per elettrificare l’economia. E questo è il vero punto di svolta per il clima”. LEGGI TUTTO

  • in

    Costi, risparmi e incentivi del fotovoltaico. Una app svela tutti i segreti

    Bonus per l’autoconsumo senza segreti per villette e condomini. Con pochi click sarà possibile scoprire con esattezza quanto si potrà incassare annualmente, quanto si risparmierà in bolletta e in quanto tempo si potrà rientrare dall’investimento se si decide di installare oggi un impianto fotovoltaico finalizzato alla creazione di un Gruppo di autoconsumo. Grazie al simulatore Recon – Renewable Energy Community ecONomic simulator –  messo a disposizione dall’Enea, sarà possibile effettuare valutazioni preliminari di tipo energetico, economico e finanziario, alla luce dei bonus disponibili.  

    Analisi dei consumi per diversi profili

    Il sistema calcola l’autoconsumo fisico e diffuso, i costi operativi e di gestione, i ricavi dalla vendita di energia, l’incentivo e il contributo di valorizzazione dell’autoconsumo diffuso pagato dal Gse, in modo da fornire un quadro di riferimento preciso e affidabile in quanto tarato sui consumi effettivi dei vari consumatori/produttori che intendono associarsi. Recon, infatti, è in grado di analizzare Gruppi composti da un numero indefinito di sogetti e di simulare diversi profili di consumo: residenziale, condominio, ufficio, scuola, commerciale, industriale/artigianale. Sono inoltre presenti due profili generici, basati rispettivamente sull’orario di attività e sul consumo orario di energia nel giorno-tipo, per avere un’idea di base dei vantaggi dati dalla creazione di una nuova configurazione di autoconsumo.

    Valutazione della produzione  in base agli impianti

    Per quanto riguarda le tecnologie di produzione a fonti rinnovabili, il simulatore consente di valutare impianti fotovoltaici multi-sezione (fino a due sezioni). A ogni sezione è associata una unità di produzione. Le possibili modalità di installazione dei moduli fotovoltaici sono: su copertura o a terra su struttura dedicata. La produzione degli impianti fotovoltaici è ottenuta tramite interrogando il simulatore Pvgis del Joint Research Centre della Commissione Europea.

    Guadagni calcolati alla luce dei bonus disponibili

    L’analisi economica e finanziaria dei vantaggi relativi alla costituzione di un Gruppo di autoconsumo è effettuata a livello di singolo impianto di produzione, considerando diverse forme di finanziamento: noleggio operativo, leasing, acquisto con capitale proprio e/o di debito, contributi in conto capitale (tra cui la sovvenzione PNRR dedicata agli impianti nei piccoli Comuni), detrazioni fiscali con aliquote ordinarie, acquisto tramite fornitore di energia elettrica. Il simulatore calcola l’incentivo sull’autoconsumo diffuso sulla base della tariffa premio definita dal Decreto Cer e il contributo legato alla valorizzazione dell’energia autoconsumata per i singoli Gruppi.

    Come si accede

    Per accedere a Recon è necessario fornire un indirizzo e-mail valido. Una volta effettuata la registrazione sarà possibile inserire i dati relativi ai progetti di comunità energetica rinnovabile e/o gruppo di autoconsumatori. I prelievi elettrici possono essere forniti su base mensile o annuale, a seconda della disponibilità dei dati. Per i singoli prosumer, il consumo viene calcolato dal simulatore in base al contributo dell’autoconsumo in situ. Nella sezione in cui sono raccolte le schede di valutazione sarà quindi possibile modificare o duplicare le schede già create, visualizzare i risultati delle schede completate oppure cancellare le schede. Per quanto riguarda le tecnologie di produzione da fonti rinnovabili, oltre agli impianti fotovoltaici a breve sarà possibile effettuare anche il calcolo della resa di impianti minieolici e mini-idroelettrici.

    LEGGI TUTTO

  • in

    Copernicus, aprile 2024 il più caldo mai registrato

    ROMA – L’aprile del 2024 è stato globalmente il più caldo mai registrato, con una temperatura media dell’aria in superficie di 15,03 gradi, 0,67°C sopra la media di aprile del trentennio di riferimento 1991-2020 e 0,14°C sopra il record precedente dell’aprile 2016. Inoltre, la temperatura media globale degli ultimi 12 mesi, da maggio 2023 ad […] LEGGI TUTTO