Agosto 2024

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    Allarme pesce scorpione, l’alieno che minaccia il Mediterraneo. Gli esperti: “Nessuna psicosi”

    Sta arrivando il pesce scorpione. O meglio: è già arrivato. Nell’esercito delle mille specie aliene che provano a colonizzare il Mar Mediterraneo, complice il riscaldamento delle sue acque (le cui temperature negli ultimi anni aumentano del 20% in più rispetto alla media globale) è tra i più temuti, complice la sua voracità predatoria e, soprattutto, il potentissimo veleno secreto dalle ghiandole sul dorso, collegate agli aculei della pinna dorsale.

    Biodiversità

    Le specie aliene si diffondono fino a mille volte più in fretta di quelle autoctone

    di Sara Carmignani

    01 Luglio 2024

    Così, negli ultimi mesi le osservazioni – lungo le coste della Sicilia, della Calabria e della Puglia – di lionfish, originario dell’Oceano Indiano e del Mar Rosso, alimentano timori diffusi: dovremo guardarci dalla potenziale proliferazione di una specie invasiva che non avrebbe rivali e che potrebbe, sulla scia di illustri predecessori come il granchio blu, trovare un’utile alleata nella tropicalizzazione dei nostri mari? “Nessuna psicosi, tanto meno in piena estate, perché per ora si tratta di osservazioni di singoli esemplari e non di gruppi di decine di pesci scorpioni in branco, come pure accade nell’area orientale del Mediterraneo, dove viene osservato con densità rilevanti”, rassicura Fabio Crocetta, che con la Stazione zoologica Anton Dohrn, per la quale è ricercatore, si occupa delle dinamiche di affermazione delle specie aliene nei nostri mari. “Un incontro con la specie nei mari italiani è estremamente improbabile, con buona pace dei vacanzieri che quindi possono godersi il mare in assoluta tranquillità”, aggiunge. Eppure, ammette Crocetta, “un aumento delle densità o una ulteriore espansione della specie sempre più a nord è certamente possibile in un prossimo futuro, soprattutto con l’aumento delle temperature ed è innegabile che si tratti di una eventualità che suggerirebbe di prestare la massima attenzione alla sua presenza, trattandosi di una specie in grado di provocare forti ripercussioni sul biota nativo e sull’uomo, soprattutto a causa delle sue spine velenifere”.

    Sull’avanzata inquietante di Pterois miles e Pterois volitans, le due specie note di pesce scorpione, i ricercatori sono concordi: sono considerati i pesci invasivi di maggior successo, con una diffusione progressiva – negli ultimi 40 anni – nell’Oceano Atlantico occidentale tropicale, con effetti dannosi ben documentati sulle comunità ittiche locali, e – da circa dieci anni, con riferimento soprattutto allo Pterois miles – nel Mar Mediterraneo, dove tuttavia lo studio delle interazioni con le specie mediterranee e il loro impatto sulla biodiversità locale è agli albori, come evidenzia peraltro una delle ultime pubblicazioni sul tema. “La prima segnalazione nei mari italiani è del 2016, quando fu osservato sulle coste della Sicilia sudorientale”, annota Francesco Tiralongo, ittiologo dell’Università di Catania, che ha in corso insieme a un team di ricerca un’azione di monitoraggio sul fenomeno e che è particolarmente attivo nell’osservazione delle invasioni di specie aliene in Mediterraneo tramite il progetto AlienFish, di cui è responsabile scientifico.

    Giornata mondiale degli oceani

    Dalle specie aliene alla riduzione della Posidonia, sei minacce per il Mediterraneo

    di Giacomo Talignani

    07 Giugno 2024

    “Poi, il pesce scorpione sembrava essere scomparso dalle acque italiane, lasciando pensare a un fenomeno isolato. – aggiunge – Invece, a partire dalla scorsa estate, questa specie è riemersa in diverse località lungo le coste pugliesi, calabre e siciliane. E così sta accadendo anche nel corso di questa estate, confermando una presenza più stabile del pesce scorpione nei mari italiani. Si tratta di densità basse, ma quanto già osservato nella parte orientale del Mediterraneo, dove il pesce scorpione ha colonizzato vaste aree delle coste di Cipro e della Grecia, causando seri problemi ecologici ed economici, ci suggerisce la massima prudenza”. Quel che è certo è che – come nel caso dell’ormai celebre granchio blu, una soluzione per arginare la diffusione dell’alieno potrebbe essere rappresentata dalla sua cattura attraverso la pesca: “Il pesce scorpione è una specie lenta, che vive soprattutto a basse profondità ed è entrato già da tempo nei menu dei ristoranti greci, ciprioti e turchi – spiega Crocetta – dove è apprezzato alla stregua del nostro scorfano rosso. Insomma, una ulteriore possibilità di preparare una linguina con sugo di pesce, ma stavolta aiutando il nostro Mar Mediterraneo a ostacolare il proliferare di una specie dal potenziale impatto nocivo per i suoi ecosistemi”.

    E chissà che intanto le specie autoctone, minacciate dalla nuova presenza, non sviluppino strategie di sopravvivenza e resilienza, come peraltro mostrato da un sorprendente documento filmato a Cipro (e pubblicato sul “Journal of Marine Science and Engineering”): un polpo comune aggredisce un lionfish. Temi – quelli del contrasto alle specie aliene – che ispireranno, dal 14 al 18 ottobre, il congresso della Commissione internazionale per l’esplorazione scientifica del mar Mediterraneo (Ciesm), che prevede una sessione ad hoc sugli invasori. Tra le soluzioni prospettate in un recente passato anche la desalinizzazione delle acque del canale di Suez, attraverso cui specie tropicali come il pesce scorpione migrano verso il Mare Nostrum: sarebbe una vasta e intrigante operazione di “biosicurezza”. “La possibile espansione del pesce scorpione rappresenta una sfida per la gestione delle risorse marine e per la sicurezza delle attività ricreative e professionali in mare. – aggiunge Tiralongo – È fondamentale che le autorità locali e nazionali, insieme alla comunità scientifica, monitorino attentamente la situazione e implementino misure di gestione adeguate. Penso a campagne di informazione per sensibilizzare il pubblico, programmi di monitoraggio delle popolazioni di pesce scorpione e piani di azione per mitigare i suoi impatti”. LEGGI TUTTO

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    Nome razzista o offensivo, centinaia di piante verranno rinominate

    La Cylindrocystis caffra, la Anthostomella caffrariae e la Dovyalis caffra sono rispettivamente un’alga, un fungo e una pianta, e sono solo tre esempi delle decine di nomi che verranno modificati a seguito del voto di una commissione di botanici riunitasi nei giorni scorsi in occasione dell’International Botanical Congress a Madrid, in Spagna. Con lo storico voto, che segue una discussione aperta già da diverso tempo, i ricercatori hanno deciso di modificare la parola “caffra” e i suoi derivati nei nomi delle specie vegetali che li contengono, eliminando la “c” e una delle due “f”.

    Questa minima alterazione ortografica ha in realtà un profondo significato, poiché elimina un epiteto utilizzato come insulto razzista contro i neri durante il periodo dell’Apartheid, “caffra” appunto, per trasformarlo in “afr” e suoi derivati, ad indicare invece l’origine africana di queste specie. La proposta, come riporta Nature News, è stata approvata con 351 voti favorevoli e 205 contrari. La discussione in merito alla necessità di modificare i nomi scientifici delle specie vegetali che contengono riferimenti razzisti o che rimandano a personaggi storici controversi va avanti almeno dal 2021. Ma la questione non si limita a piante, alghe e funghi, anche diverse specie animali sono state in passato battezzate con nomi che si riferiscono a personaggi storici come Adolf Hitler o Benito Mussolini. Due esempi sono l’Anophthalmus hitleri, una specie di coleottero, e la Hypopta mussolinii, una specie di farfalla.

    In questo caso, però, a gennaio del 2023 la International Commission on Zoological Nomenclature aveva espresso parere contrario all’idea di modificare i nomi opinabili o offensivi, sostenendo che rinominare le specie per motivi etici rischierebbe di minacciare la stabilità della nomenclatura scientifica. Contro questa presa di posizione si sono espressi diversi ricercatori che ritengono che le necessità della nomenclatura scientifica non possano essere anteposte alle questioni etiche e alle norme sociali. La discussione su questo fronte rimane tutt’ora aperta.

    Le ragioni dei botanici che hanno espresso parere sfavorevole alle modifiche recentemente approvate sono simili a quelle degli zoologi “conservatori”. Ossia, il timore condiviso è che cambiamenti di nomenclatura su larga scala possano generare caos e incomprensioni. Nel caso delle specie vegetali, però, oltre ai cambiamenti già menzionati, riguardanti l’epiteto “caffra”, è stata anche approvata la formazione di una commissione speciale che si dedicherà a valutare gli aspetti etici dei nomi attribuiti alle specie vegetali che verranno scoperte in futuro, a partire dall’inizio del 2026. La commissione non avrà però potere decisionale sui nomi assegnati in passato e che sono attualmente oggetto di controversia. Un caso molto discusso è quello del genere Hibbertia, a cui appartengono molte specie di piante australiane. Il riferimento è al botanico e mercante inglese George Hibbert, vissuto dal 1757 al 1837, che nel corso della propria vita ha tratto profitto dalla tratta degli schiavi e si è opposto alla sua abolizione. Il “caso Hibbert” e i suoi analoghi rimangono quindi al momento irrisolti, ma, commenta su Nature News Kevin Thiele esperto di tassonomia vegetale e convinto sostenitore delle modifiche appena approvate, la creazione del comitato etico è quantomeno un buon inizio. LEGGI TUTTO

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    Jacaranda, come curare l’albero dei fiori blu

    Incantevole e maestoso, l’albero della Jacaranda sembra essere uscito da una favola. Si tratta di un arbusto elegante e dalla forma slanciata, i cui fiori dalle nuance blu-viola creano dei grappoli violetti spettacolari. Appartenente alla famiglia delle Bignoniaceae, si tratta di una pianta tropicale originaria dell’America centrale e meridionale, dei Caraibi, del Sud Africa, ma ormai è diffusa anche nelle aree dal clima mediterraneo temperato e comprende 49 specie: spesso il nome del genere è usato per indicare la varietà più conosciuta ovvero la Jacaranda mimosifolia, che viene comunemente chiamata Jacaranda blu. L’albero è apprezzato per il suo legno pregiato usato per costruire mobili e parti di pianoforti e chitarre.

    Le peculiarità e quando fiorisce
    La Jacaranda è una specie semi-sempreverde dal portamento eretto che presenta una chioma densa, folta e allargata il cui diametro in molti esemplari può essere anche pari all’altezza. Di dimensioni medie, cresce in modo rapido, raggiungendo nel giro di pochi anni altezze tra i 10 e i 12 metri. La corteccia dell’albero è liscia e scura e il fogliame verde intenso, sottile e bipennato, simile a quello della mimosa. I fiori presentano una forma a tromba, sono profumati e di colore blu-violetto e concentrati in numerose infiorescenze a grappolo, di lunghezza fino a 6 cm, poste nella parte estrema dei rami. La fioritura spettacolare della Jacaranda avviene due volte l’anno, di solito una più abbondante con la stagione calda e una in autunno. L’arbusto è molto longevo e può raggiungere anche i 200 anni di età.

    La pianta è a fogliame caduco, ciò significa che durante la stagione invernale, essendo in riposo vegetativo, perde il fogliame. Durante i primi periodi di caldo i suoi fiori iniziano a fare la loro comparsa: a seconda della zona in cui si trova, la Jacaranda sboccia tra la primavera e l’estate.

    La coltivazione
    Altro punto di forza della Jacaranda è la sua coltivazione semplice. L’albero è robusto e non troppo esigente: cresce in ogni posizione, ma preferisce ambienti soleggiati e aerati. Piantato tra l’autunno e l’inverno, se posto in un giardino bisogna assicurarsi che abbia la luce solare diretta tra le 6 e le 8 ore al giorno ed è sempre bene coltivarlo in un terreno capace di drenare l’acqua in eccesso. La coltivazione in vaso è possibile, ma è una soluzione un po’ limitante per la pianta.

    In questo caso le annaffiature dovranno essere regolari (soprattutto nelle piante più giovani), per mantenere il terreno sempre umido, sia in primavera che in estate, mentre in inverno vanno diminuite nettamente. Se si conserva il vaso in un appartamento, la fioritura è rarissima. Con il passare del tempo, sarà fondamentale spostare l’arbusto in piena terra altrimenti non vivrà molto a lungo.

    In merito alla moltiplicazione, questa può avvenire tramite semina, procedimento che può durare mesi. Si parte mettendo i semi in ammollo in acqua tiepida per una notte per poi posizionarli a 2 centimetri di profondità in un terriccio leggero, mantenendolo ben umido. Il vaso va collocato in un luogo illuminato e con una temperatura di 25 gradi: sono necessari all’incirca 20 giorni perché i semi germinino. Solo in autunno si può trasferire la pianta in un vaso più grande ed è bene tenere a mente come per i primi due anni vada collocata in un ambiente protetto e, solo dopo questo periodo, posizionata all’aperto.

    Oltre alla moltiplicazione in seme è possibile quella per talea. In questo caso, intorno alla metà autunno è necessario prelevare porzioni apicali di circa 15 cm, inserendole in un mix di torba e perlite per poi coprire il tutto con un sacchetto di plastica. Il terriccio va mantenuto umido, nebulizzandolo di sovente, e posto in una zona luminosa, ma senza i raggi solari diretti. In seguito si può spostare in pieno sole, per poi eseguire il rinvaso in inverno. In primavera si cimeranno i rami più volte.

    Cura e consigli per mantenere al meglio la Jacaranda
    In generale la Jacaranda non richiede molte attenzioni. Per quanto riguarda le temperature si adatta ai climi caldi e miti, mentre il freddo non è ben tollerato dall’arbusto. Nei luoghi dal clima rigido deve essere coltivata in zone protette oppure in vasi da spostare in ambienti riparati quando le temperature scendono. In autunno e primavera, per favorirne la crescita, è importante occuparsi della sua concimazione, interrando il concime organico maturo alla base della pianta.

    Per mantenere rigogliosa la Jacaranda, bisogna tenere in conto alcuni problemi che possono insorgere come per esempio malattie fungine e attacchi di parassiti quali ragnetto rosso, afidi e cocciniglie. Proprio per questo è importante monitorare spesso la pianta, per verificare eventuali infestazioni o malattie e agire tempestivamente ricorrendo a insetticidi e prodotti ad hoc. Quando si annaffia, è fondamentale prestare sempre molta attenzione ai ristagni d’acqua, fonte di danni per le radici. L’arbusto richiede una potatura regolare, soprattutto nei primi 15 anni di vita. LEGGI TUTTO

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    Dieci regole per rispettare la flora in montagna

    Le Alpi sono uno dei 24 hotspot di biodiversità vegetale in Europa: ospitano circa 4.500 specie di piante, scopriamo come visitarle senza comprometterne l’ambiente.

    Le piante
    Saxifraga: molte specie di questo genere che crescono sulle Alpi sono endemiche e a protezione assoluta
    Poa alpina: pianta spontanea dei pascoli in quota, è una delle erbe preferite dalle mucche
    Artemisia genepì: inconfondibile per l’aroma e per la concentrazione di principi attivi officinali
    Ranunculus glacialis: è una specie che tocca il cielo crescendo fino a quasi 3000 metri di quota
    Rododendro ferrugineo: o rosa delle Alpi è una specie endemica e relitto preglaciale
    Trifoglio alpino: la pianta che produce il classico “profumo di montagna”
    Stella alpina: fiore emblematico è a rischio estinzione per la raccolta indiscriminata
    Larice: è l’unica conifera delle nostre montagne che perde le foglie in autunno
    Asplenio ibrido: è una delle specie protette dalla direttiva europea Habitat
    Aconito napello: è presente solo sull’arco alpino tra Piemonte, Lombardia e Trentino Alto-Adige.

    Le regole
    Quel mazzolin di fiori non viene dalla montagna: è la regola numero uno, mai raccogliere le piante in montagna dove molte specie, come la sassifraga sulle Alpi, sono a protezione assoluta. Estirparle dal proprio ambiente è un reato.

    La coperta non deve soffocare la flora : i prati sono spesso il luogo migliore per un pic-nic ma prima di distendere a terra la coperta bisognerebbe verificare che non ci siano concentrazioni di piante spontanee perché sarebbero riservate agli animali da pascolo.

    Per il genepì rivolgersi in enoteca: la raccolta indiscriminata di Artemisia genipi, la pianta da cui si ricava un celebre liquore dai colori verdognoli, diventa sempre più rara sulle Alpi. A valle ci sono sempre sia enoteche che produttori dai quali si può acquistare il prodotto in bottiglia.

    Passo sicuro e occhi aperti: l’altitudine può giocare brutti scherzi. A quasi tremila metri di quota bisogna tenere gli occhi aperti, per non scivolare e per non calpestare, anche per sbaglio, alcune delle rarità vegetali che crescono a questa quota come Ranunculus glacialis.

    Non ravanare tra i rododendri – Persino nelle relazioni tecniche di alcune passeggiate a volte è richiesto di “ravanare”, ovvero aprirsi un passaggio, tra i cespugli di rododendro. Si può fare ma non è necessario il machete o il decespugliatore: le foglie sono parte del menù dell’animale simbolo delle Alpi, lo stambecco.

    I trifogli non portano fortuna: come per i quadrifogli, raccoglierli è del tutto inutile ed è anche dannoso perché sono tra le piante che proteggono gli ambienti alpini dai fenomeni di erosione del suolo.

    Non ci sono spiagge. Per cimentarsi con i castelli di sabbia ci sono quasi ottomila chilometri di coste: scavare una buca in un ambiente alpino come un ghiaione significa alterare, anche in minima parte, un equilibrio che si è formato in milioni di anni e oggi ospita specie fragili come la stella alpina.

    Pit-stop lontano dagli alberi: Durante passeggiate più lunghe, o i trekking, le pause tecniche per i bisogni sono fisiologiche. Il bosco offre la privacy richiesta ma l’urina, dalla cui diluizione si deriva un concime naturale, ha un effetto corrosivo sulle radici degli alberi come, per esempio, il larice.

    Rimanere sui sentieri segnalati: avventurarsi fuori percorso è pericoloso. Le scorciatoie non sempre riportano sull’itinerario e si rischia di finire su un costone roccioso dove, oltre alle vertigini, cresce l’asplenio ibrido, una felce acrobatica delle Alpi che vive aggrappata alle falesie.

    Cani al guinzaglio: l’amico a quattro zampe, se lasciato libero durante un’escursione, può essere aggredito da cani pastore che presidiano i pascoli o ingerire, per sbaglio, una pianta bella ma molto velenosa (mortale anche per l’uomo) come l’aconito. LEGGI TUTTO

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    Maturità, passa il 99,8 per cento dei candidati. Scendono le lodi: e quest’anno le regioni con il maggior numero sono Campania, Sicilia e Puglia

    Agli Esami di maturità quest’anno è stato ammesso il 96,3% degli scrutinati e i diplomati risultano essere il 99,8% dei candidati che hanno svolto l’esame; si confermano le percentuali dell’anno precedente. Sono 12.700 gli studenti che hanno ottenuto la lode all’esame di maturità di quest’anno. Sono i dati l Ministero dell’Istruzione e del Merito i […] LEGGI TUTTO