Giugno 2024

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    Dopo il no della Consulta al decreto Priolo il governo insiste: “Il nostro provvedimento coerente con la tutela della salute”

    Come replica il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica alla sentenza della Corte Costituzionale che la settimana scorsa ha bocciato il cosiddetto “decreto Priolo”, dichiarando illegittima la sua applicazione per un periodo superiore ai 36 mesi, senza che nel frattempo si provveda al risanamento ambientale? La risposta del Mase sulla vicenda del depuratore che tratta i reflui del polo petrolchimico di Priolo si è fatta attendere ma, sollecitata da Green&Blue, è infine arrivata. La nota del dicastero guidato da Gilberto Pichetto Fratin si apre rivendicando il via libera della suprema Corte al provvedimento governativo nel suo complesso: “La sentenza della Consulta sul depuratore consortile del polo petrolchimico di Priolo conferma che l’azione del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, per la risoluzione delle criticità ambientali dell’area, risulta, sotto il profilo giuridico e tecnico, coerente con gli obiettivi di tutela dell’ambiente e della salute, previsti dagli articoli 9 e 41 della Costituzione”. E questo perché “la Corte Costituzionale ha giudicato legittime le misure governative che consentono la prosecuzione di attività produttive di interesse strategico nazionale”.

    Tuttavia il ministero riconosce che “la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l’articolo 6 del decreto-legge n.2 del 2023, nella parte in cui non ha previsto il termine di trentasei mesi per l’operatività delle misure di bilanciamento individuate dal governo”. Ed qui che la nota sembra dire che è comunque tutto risolto, quasi contestando la sentenza della Corte Costituzionale: “Tale termine (i 36 mesi, ndr) è tuttavia indicato nel decreto ministeriale del 12 settembre 2023, emanato dal MIMIT e dal MASE, in linea dunque con la decisione della Corte. Lo stesso termine di trentasei mesi è peraltro prescritto dai provvedimenti di riesame delle autorizzazioni integrate ambientali (AIA), recentemente rilasciati per l’esercizio delle installazioni Isab di Priolo.

    L’inchiesta

    Il polo industriale di Priolo un girone dantesco di inquinamento e morte

    di Cristina Nadotti

    20 Giugno 2024

    Dunque la Consulta ha preso un abbaglio nel valutare il “decreto Priolo” poi convertito in legge? Non è semplice districarsi tra sentenze, leggi e decreti interministeriali. Ma Paolo Tuttoilmondo è l’avvocato che per Legambiente ha seguito la vicenda: “Il governo non la racconta giusta, tralasciando di riferire alcuni decisivi passaggi della pronuncia della Consulta che alimentano dubbi sulla legittimità delle misure governative di bilanciamento”, dice il legale dell’associazione. “La sentenza infatti ha anche chiarito che le misure di bilanciamento governative (dettate con decreto interministeriale) costituiscono un ‘atto amministrativo’ e pertanto devono essere conformi alle leggi sovraordinate. Dalla natura amministrativa dell’atto discende inoltre la sua soggezione agli ordinari controlli da parte della magistratura”. Il decreto interministeriale del 12 settembre 2023 appare viziato da numerosi profili di illegittimità”, continua Tuttoilmondo. “In primis, per l’assenza di una “adeguata attività istruttoria” sotto il profilo tecnico-scientifico, compiuta a monte della elaborazione delle misure contenute nel decreto. E non si rileva nemmeno traccia di quel necessario coinvolgimento attivo delle autorità locali (a partire dai Comuni) e dei cittadini in applicazione del principio della loro partecipazione effettiva al processo decisionale in materia ambientale. Manca infine l’indicazione delle modalità di monitoraggio ambientale e di sanzioni in caso di violazione delle misure di supposto bilanciamento”.

    Viste le posizioni in campo, con entrambi i ministeri coinvolti (oltre al Mase quello delle Imprese e del Made in Italy) che non ritengono di dover apportare modifiche alle norme esistenti, cosa accadrà ora? “Il Gip di Siracusa che aveva disposto il sequestro dell’impianto, se convinto dell’illegittimità del decreto interministeriale, potrà procedere alla sua disapplicazione negando la prosecuzione dei conferimenti industriali all’impianto stesso, oppure dettando prescrizioni volte a bilanciare tutela della vita umana ed esigenze di continuità delle imprese”, risponde Tuttoilmondo. Ma in entrambi i casi, il provvedimento del Gip potrà essere impugnato dal governo davanti al Tribunale di Roma, prolungando il braccio di ferro tra magistrati ed esecutivo. E i danni alla salute e all’ambiente intorno a Priolo. LEGGI TUTTO

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    La piccola felce a rischio per il suo DNA da record

    Una felce che non supera i dieci centimetri di altezza è l’organismo con il più grande genoma sulla Terra. Se disteso a terra misura oltre cento metri, cinquanta volte quello di un essere umano e il 7 per cento in più rispetto a Paris japonica, la specie vegetale che deteneva questo record dal 2010. Ma a parte i diversi Guinnes dei primati infranti Tmesipteris oblanceolata, così si chiama la pianta, è più vulnerabile ai cambiamenti climatici rispetto ad altre con un codice genetico non così extra-large. Questo genere di felci epifite, che crescono solo sui tronchi o sui rami degli alberi, è molto raro: i suoi parenti più lontani si sono evoluti circa 350 milioni anni fa, ovvero molto prima della diffusione dei dinosauri, e oggi ha una distribuzione limitata all’Oceania e a qualche isola nel Pacifico meridionale.

    I campioni analizzati di Tmesipteris oblanceolata  sono stati raccolti l’anno scorso da due ricercatori dell’Instituto Botánico de Barcelona che hanno isolato migliaia di nuclei di cellule stimando la dimensione del genoma con un marcatore specifico. I risultati dello studio sono stati pubblicati all’inizio di questo mese sulla rivista internazionale iScience. Molte indagini su questo argomento suggeriscono come un genoma gigante come quello della felce della Nuova Caledonia, che ospita grandi quantità di cosiddetto “DNA spazzatura”, sia uno svantaggio nell’evoluzione di una specie.

    “Nel caso delle piante, quelle che ospitano grandi quantità di DNA crescono molto più lentamente delle altre. – spiega il botanico spagnolo Jaume Pellicier, primo autore della ricerca –  Sono meno efficienti nella fotosintesi, processo grazie a cui convertono l’energia solare in zuccheri per lo sviluppo, e richiedono più nutrienti, soprattutto azoto e fosfati, per crescere e per competere con successo con i loro vicini dal genoma più piccolo. Una serie di ricadute che possono penalizzare le capacità di una pianta ad adattarsi al riscaldamento globale e alla perdita di biodiversità”. Un genoma ingombrante come quello di Tmesipteris oblanceolata, in altre parole, altera il ritmo di replicazione delle cellule e riduce le possibilità sopravvivere ai cambiamenti dell’ambiente esterno. Fino ad oggi, gli scienziati di tutto il mondo hanno misurato il genoma di oltre 20mila organismi rivelando un’ampia gamma di taglie lungo tutto l’albero della vita. Negli animali il primato per il DNA più grande spetta, quasi a pari merito, a Protopterus aethiopicus, un pesce africano di acqua dolce che possiede una forma primitiva di polmone, e a Necturus lewisi, un anfibio endemico delle acque del fiume Neuse nella Carolina del Nord.

    “Chi avrebbe mai pensato che questa pianta minuscola e poco appariscente potesse infrangere un record mondiale in termini di dimensioni del genoma. – aggiunge Ilia Letch, Senior Research Leader ai Royal Botanic Garden di Kew che ha partecipato allo studio – Rispetto ad altri organismi le piante hanno un DNA incredibilmente diverso  e di grande valore nel quadro più ampio della biodiversità globale. Questa scoperta solleva anche molte nuove ed entusiasmanti domande sui limiti stessi della vita e di ciò che è biologicamente possibile”. La felce dei record, malgrado la sue dimensioni fisiche, contiene in ogni sua cellula, la più grande sequenza di informazioni genetiche mai osservata finora: ben 160 miliardi di paia di basi, le unità minime di informazione genetica. Una catena di Dna con 11 miliardi di basi in più rispetto al precedente record, detenuto dalla pianta da fiori Paris japonica. LEGGI TUTTO

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    Sondaggio Onu: la maggioranza della popolazione vuole che i governi facciano di più contro la crisi climatica

    Sempre più preoccupati per gli impatti devastanti del cambiamento climatico che vedono arrivare alle loro porte, l’80% degli abitanti del mondo vuole un impegno più forte da parte dei governi in materia di clima. Lo rivela un sondaggio globale, frutto di un’indagine durata otto mesi e condotta dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), dall’Università di Oxford e dalla società di sondaggi GeoPoll. Poste 15 domande a più di 75.000 persone in 87 lingue in 77 Paesi che rappresentano l’87% della popolazione mondiale. Il sondaggio rivela che la stragrande maggioranza degli intervistati (80%) vuole che i suoi leader facciano di più per combattere il riscaldamento globale. La richiesta è particolarmente chiara nei Paesi più poveri (89%), ma rimane alta anche nei Paesi del G20 (76%) e tra i maggiori emettitori di gas serra, Cina (73%) e Stati Uniti (66%).

    In un momento in cui i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi devono presentare nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 entro l’inizio del 2025, “questi risultati dimostrano senza dubbio che i cittadini di tutto il mondo sono favorevoli a un’azione coraggiosa per il clima”, ha commentato Cassie Flynn, responsabile del clima dell’UNDP. In 62 dei 77 Paesi presi in esame, la maggioranza degli intervistati auspica una “rapida” eliminazione dei combustibili fossili, anche in Cina (80%) e negli Stati Uniti (54%), ma non in Russia (16%). “Il cambiamento climatico è alle porte e la gente lo sa”, ha insistito Cassie Flynn.

    Il 56% degli intervistati ha dichiarato di pensare regolarmente al riscaldamento globale, almeno ogni settimana, se non ogni giorno. Questa percentuale è più alta tra le donne (57%) che tra gli uomini (55%) e tra gli ultrasessantenni (59%), che sembrano aver raggiunto le giovani generazioni in termini di consapevolezza della crisi climatica. Più della metà degli intervistati (53%) ha inoltre dichiarato di essere “più preoccupato dell’anno scorso” per il riscaldamento globale, mentre il 15% si è detto meno preoccupato.

    In testa alla classifica in termini di aumento dell’ansia per il clima ci sono le Figi (80% di preoccupazione in più), l’Afghanistan (78%), il Messico e la Turchia (77%). In fondo alla lista troviamo l’Arabia Saudita (25% di preoccupazione in più), la Russia (34%), la Repubblica Ceca (36%) e la Cina (39%). In questo contesto, il 69% degli intervistati afferma che il riscaldamento globale sta già avendo un impatto sulle loro “decisioni importanti”, come ad esempio la scelta del luogo in cui vivere.

    Anche se questo non si traduce necessariamente in realtà. Riferendosi alle contraddizioni tra le preoccupazioni da un lato e le scelte elettorali o di consumo dall’altro, il responsabile del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) Achim Steiner sottolinea il concetto di “percezione errata”: “Farei volentieri di più, ma gli altri non lo fanno, quindi non faccio nulla”. LEGGI TUTTO

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    Il polo industriale di Priolo un girone dantesco di inquinamento e morte

    C’è un libro, Il mare colore veleno (Fazi Editore, 18 euro) scritto dal giornalista Fabio Lo Verso, che spiega perché la sentenza 105 della Corte Costituzionale con riguardo al “Decreto Priolo” può davvero rappresentare una svolta nel modo in cui l’Italia guarda alle industrie inquinanti, cambiando la tendenza ad anteporre i posti di lavoro alla salute delle persone e dell’ambiente. Lo Verso, siciliano di origine ma ormai cittadino svizzero, ha raccolto le testimonianze di attivisti, ex operai, sindaci, politici, procuratori, esponenti della comunità scientifica e difensori dell’industria, ma anche gente comune, famiglie colpite da gravissimi lutti, per raccontare “il quadrilatero della morte” del più grande polo petrolchimico d’Italia, quel polo che il governo Meloni ha cercato di sollevare dalle responsabilità ambientali in nome “dei settori produttivi strategici”.

    Lo Verso, davvero questa sentenza può cambiare qualcosa?”Plaudo a giudici che si sono fatti carico con testardaggine di una lotta e di un’emergenza che in tanti ignorano. La Corte ha riconosciuto che bisogna ribaltare un modo di vedere il lavoro. Finalmente, salute e ambiente sono state ritenute più importanti delle ragioni economiche. C’è stato un precedente con la sentenza sull’Ilva, ma l’importanza di questo atto è anche di portare l’attenzione su Priolo, una catastrofe di cui non si parlerà mai abbastanza”.

    La sentenza sostenibile

    di Riccardo Luna

    16 Giugno 2024

    Come spiegherebbe a chi non conosce il polo industriale siciliano perché viene indicato come “il quadrilatero della morte”?”Quando parlo del mio libro inizio da due dati di fatto documentati. Il primo, che serve a inquadrare il disastro ambientale, è che la massa di sostanze tossiche sversate solo nella rada di Augusta ha formato un impasto demenziale con cui, se fosse calcestruzzo, si farebbero 3mila palazzi di 6 piani. Ed è un dato minimo, perché alcuni studi fanno stime maggiori. Il secondo descrive bene i danni derivati alla salute dei cittadini, perché nel 2019 è stato accertato che la possibilità di sviluppare un tumore in conseguenza dell’inquinamento delle zona, oltre ad essere altissima, è la stessa sia per chi lavora nelle fabbriche del polo, sia per chi vive nella zona. Sono questi gli effetti del più grande polo petrolchimico d’Italia, il secondo in Europa, un Moloch che produce il 37% del PIL della regione con tre impianti di raffinazione petrolifera, due stabilimenti chimici, tre centrali elettriche, un cementificio, due fabbriche di gas industriale e decine di aziende dell’indotto”. LEGGI TUTTO

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    Una nuova GigaFactory per l’idrogeno verde alle porte di Milano

    Duecento posti di lavoro diretti e un indotto complessivo di circa 2.000 persone, è quanto genererà la Italian GigaFactory, visione di uno sviluppo sostenibile e di indipendenza energetica del Paese. La fabbrica è destinata a diventare un polo di eccellenza tecnologica pronto a fornire soluzioni innovative e performanti volte alla decarbonizzazione e a promuovere l’economia circolare. L’11 giugno 2024 è stato posto il primo mattone nell’area ex Rapisarda, a Cernusco sul Naviglio, in provincia di Milano, dove prima si producevano tubi. Tra un anno e mezzo sarà una fabbrica all’avanguardia nel mondo per l’idrogeno verde. È quello che si produce a partire dall’acqua usando le energie rinnovabili. In mezzo al processo ci sono gli elettrolizzatori. La milanese Industrie De Nora è un leader globale nella loro produzione e qui ne realizzerà un nuovo tipo ad alta efficienza, di cui dal 2020 uno dei soci principali è la multinazionale Snam.

    Italy for climate

    In Molise i camion dei rifiuti vanno a idrogeno

    di Matteo Marini

    25 Marzo 2024

    La Italian Gigafactory sarà di 25 mila metri quadrati, coperti da pannelli fotovoltaici. La capacità produttiva è di 2 GW equivalenti. Vi lavoreranno, spiega Paolo Dellachà, amministratore delegato di De Nora, “circa 200 unità come dipendenti interni, ma siccome ci avvarremo di una filiera di fornitori italiani, ci aspettiamo un indotto di circa 2.000 mila persone. Si tratta di un progetto ambizioso ed unico per capacità produttiva e dimensioni, che conferma la centralità di De Nora nel panorama europeo come facilitatore della transizione energetica”. L’investimento è di circa 100 milioni, di cui 32 finanziati dal PNRR; che potranno aumentare fino a 63 milioni di euro. Con l’idrogeno si possono sia alimentare mezzi di trasporto sia immagazzinare energia sia creare i nuovi e-fuels. Per questo è compatibile con il concetto di neutralità tecnologica. La fabbrica, ha detto il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana, “rappresenta quello che ho sempre sostenuto debba essere la sostenibilità”.

    La strada verso la GigaFactory

    L’11 giugno 2024 hanno preso il via ufficialmente i lavori di costruzione della GigaFactory, un’opportunità per il territorio e per gli operatori della transizione energetica. La GigaFactory ospiterà uno dei più grandi poli produttivi d’Italia di sistemi, attrezzature e componentistica per la generazione di idrogeno verde. Il gruppo De Nora e Snam hanno deciso di costituire il 27 maggio 2022 una società ad hoc, De Nora Italy Hydrogen Technologies. Nel luglio 2023, il ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha firmato con De Nora Italy Hydrogen Technologies (DNIHT) un decreto di concessione, riconoscendo a DNHIT un contributo di 32,25 milioni di euro per le spese relative al fondo creato dal ministero. Questo fondo supporta finanziariamente le imprese coinvolte in Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo (Fondo IPCEI). I fondi destinati alle agevolazioni per DNHIT potrebbero essere incrementati fino a un massimo di circa 63 milioni di euro, in seguito alle risorse aggiuntive provenienti dalle iniziative a supporto dell’IPCEI Idrogeno. Una volta completati i lavori, tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026, lo stabilimento produrrà elettrolizzatori per la generazione di idrogeno verde, sistemi e componenti per l’elettrolisi dell’acqua e celle a combustibile per la mobilità.

    La storia

    “Dai frigoriferi all’idrogeno verde”. La storia di Othman Kerroumi, ingegnere energetico di 27 anni

    di Dario D’Elia

    19 Gennaio 2024

    Il focus rimarrà sulle applicazioni alcaline che, secondo il parere di De Nora, mantengono ancora la quota di mercato più alta. Oltre alla gamma di soluzioni già esistenti, spazio ovviamente alle nuove tecnologie. Tra queste, ad esempio, l’innovativo elettrolizzatore Dragonfly da 1 MW che De Nora ha recentemente introdotto sul mercato, registrando un importante numero di ordini. Questa iniziativa permetterà ai partner di contribuire notevolmente sia alla riduzione dei costi di produzione degli elettrolizzatori sia al raggiungimento dell’obiettivo di capacità installata finale, essenziale per la transizione energetica in Europa. LEGGI TUTTO

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    “L’Italia deve ampliare il permesso di soggiorno per chi emigra a causa del clima”

    Almeno 216 milioni di persone nel mondo entro il 2050 saranno costretti a lasciare la propria casa per colpa del cambiamento climatico. Un dramma globale emerso dall’ultimo rapporto reso noto dalla Banca Mondiale, che ha messo in relazione gli spostamenti della popolazioni con l’impatto che avranno sui mezzi di sussistenza delle persone e la perdita di vivibilità di luoghi esposti a eventi climatici estremi. Entro il 2050, si legge, l’Africa subsahariana potrebbe contare fino a 86 milioni di migranti climatici interni e 19 milioni il Nord Africa. In Asia orientale e Pacifico si stimano 49 milioni, 40 milioni per le aree asiatiche meridionali.  Considerazioni che hanno portato alla nuova ricerca di ActionAid  “Il cambiamento climatico non conosce frontiere”, che analizza gli aspetti giuridici, normativi della mobilità umana legata ai disastri naturali, al degrado ambientale e al clima. Un’analisi condotta in occasione della Giornata mondiale del rifugiato e che mette in luce come Unione europea e Italia non riconoscano la necessità di garantire maggiore protezione a chi si sposta e si sposterà per fuggire da luoghi divenuti invivibili. Per ActionAid c’è solo una strada: “L’Italia deve rafforzare la protezione per chi si muove in risposta ai disastri, al cambiamento climatico e al degrado ambientale”. L’unica possibilità per mettere in sicurezza chi scappa da alluvioni e siccità è ampliare per queste popolazioni il permesso di soggiorno, includere tra le motivazioni quello per calamità.

     

    L’indagine in Gambia

    È uno dei Paesi africani dove la migrazione interna e internazionale è più forte e la crisi climatica mostra i suoi segni attraverso siccità, desertificazione, salinizzazione ed erosione del suolo. ActionAid fa notare che “in Paesi come il Gambia, dove il 65% della popolazione vive nelle aree urbane e dove la povertà generalizzata, la disoccupazione, il declino del turismo e dell’agricoltura sono determinanti per la spinta alla migrazione, è necessario rafforzare le strategie di adattamento climatico e ambientale, sostenendo coloro che decidono di rimanere nel luogo di origine, ma, allo stesso tempo, proteggere e supportare chi decide o è costretto a spostarsi verso i centri urbani o al di fuori del Paese, massimizzando così il potenziale della migrazione come strategia di adattamento”. 

    Clima: fattore di vulnerabilità

    Il rapporto ricorda che la crisi climatica è uno dei fattori di vulnerabilità che influenza le decisioni migratorie di milioni di persone del pianeta: movimenti dalle campagne ai centri urbani, spostamenti interni ai paesi, fino alle migrazioni internazionali. Un fattore destinato a contare sempre di più con l’inasprirsi dell’impatto degli eventi ambientali estremi improvvisi e progressivi. Siccità, ondate di calore, inondazioni e tempeste stanno causando devastanti conseguenze sociali ed economiche, costringendo la metà della popolazione mondiale a fronteggiare difficoltà nell’accesso all’acqua, riduzioni della produttività agricola e il deterioramento e l’erosione dei mezzi di sussistenza. Se i fattori ambientali sono identificati come minacce o “moltiplicatori di vulnerabilità”, capaci di esacerbare condizioni di iniquità preesistenti, come si decide di migrare o restare? Nella ricerca ActionAid mostra come le disuguaglianze e le dinamiche di potere esistenti svolgono un ruolo determinante nel risultato del percorso migratorio, influenzandone la destinazione, la durata e le condizioni. 

    Roberto Sensi, policy advisor global inequality ActionAid Italia, denuncia: “La governance internazionale delle migrazioni è il risultato di profonde disuguaglianze economiche e sociali. In questo contesto, gli interessi degli stati prevalgono sui diritti umani. La risposta alle migrazioni climatiche risente di questo approccio, focalizzandosi esclusivamente sulla dimensione esterna, trascurando l’ampliamento della protezione legale interna come efficace intervento a sostengo della migrazione come forma adattamento ai cambiamenti climatici”.

     

    Il Patto sulla migrazione e sull’asilo

    Oggi non esiste una protezione umanitaria stabilita dal quadro giuridico europeo per i migranti climatici. L’Unione Europea sotto la presidenza di Ursula Von Der Leyen, secondo ActionAid, “ha creato una separazione distinguendo nettamente le iniziative del Green Deal Europeo dalla governance della migrazione e dell’asilo attraverso il Nuovo Patto sulla Migrazione e sull’Asilo. Il Patto menziona il cambiamento climatico tra le maggiori sfide globali che caratterizzano il presente e il futuro dei flussi migratori, senza tuttavia adottare impegni concreti”.  

    In Italia

    Attualmente la protezione per coloro che sono costretti a fuggire a causa di fattori climatici ed ambientali è affidata alla competenza nazionale. In Italia, nonostante le modifiche alle norme sul diritto d’asilo apportate dal 2018 in poi la protezione temporanea – che fornisce protezione collettiva e temporanea “per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea”- viene affiancata proprio nel 2018 da uno strumento specifico e individuale, il Permesso di soggiorno per calamità, che fornisce protezione a chi fugge per cause climatico-ambientali di migrazione. Il Governo Meloni elimina la possibilità di convertire in permesso di soggiorno per motivi di lavoro quello ottenuto per calamità e limita le possibilità di rinnovo, garantendo un livello minimo di protezione e non lascia spazio per una maggiore permanenza del beneficiario sul territorio nazionale. Nelle raccomandazioni del report ActionAid chiede al Governo italiano di rafforzare e ampliare questo strumento per dare protezione ampia a chi arriva in Italia per motivazioni legate a disastri e crisi climatica. LEGGI TUTTO

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    La virtù di tacere: nel secolo dell’ingorgo delle parole il silenzio è d’oro se non viene imposto

    Si potrebbe sviluppare l’argomento in questo modo. Il Novecento è stato il secolo in cui ci siamo alzati tutti in piedi per dire la nostra. Nei partiti e nei movimenti di massa abbiamo condiviso un’intuizione decisiva: per esistere occorreva tappezzare le piazze di linguaggio. Il silenzio era il male degli ultimi, era un sintomo di […] LEGGI TUTTO

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    Il diario digitale: nel romanzo di massa dei blog gli eroi della presunzione di Flaubert

    È l’autobiografia della specie umana alla prova del ventunesimo secolo: un volume invisibile fatto di miliardi di pagine senza carta. Forse nessuna epoca potrà vantare una simile quantità di testimonianze. Dei quasi otto miliardi di umani vivi adesso, lo storico del futuro conoscerà umori, malumori, stati d’animo, desideri. La maturità al debutto con lo scritto […] LEGGI TUTTO