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    Algoritmi e analisi del suolo: “Così salviamo l’agricoltura da siccità e alluvioni”

    In tutto il mondo il degrado del suolo si sta diffondendo: cattive pratiche di coltivazione, uso irrazionale dell’acqua, di diserbanti, taglio di alberi, ma anche incendi, siccità, precipitazioni intense riducono la capacità di assorbire carbonio, amplificando la crisi climatica. Non solo. Dagli anni Sessanta, abbiamo perso il 21% della produttività agricola proprio a causa del cambiamento climatico e, ogni anno, spendiamo globalmente 50 miliardi di dollari per i danni causati dalle inondazioni sempre più frequenti. Si parla sempre più spesso di agricoltura sostenibile sostenuta dalle innovazioni tecnologiche e dall’intelligenza artificiale. La ricerca è infatti orientata a cercare soluzioni per coniugare produzione agricola e sostenibilità cercando di promuovere pratiche economicamente vantaggiose proteggendo la biodiversità e le risorse naturali. E se la parola chiave è “prevenzione”, il passo ulteriore da fare oggi è rendere i dati e le analisi per proteggersi dal cambiamento climatico un diritto accessibile a tutti. Si può fare.

    Riciclo

    “Un bioreattore per trasformare lino e canapa in fibra da riusare al posto della plastica”

    02 Novembre 2025

    GreenAnt e le formiche tessitrici
    Su questa traccia prendono vita startup come GreenAnt nata come progetto di agricoltura sostenibile, dedicato all’allevamento di formiche tessitrici, una specie endemica del Sud-Est asiatico capace di proteggere le coltivazioni di mango da parassiti e malattie senza l’uso di pesticidi chimici. In pratica, un potente pesticida naturale. “Nel 2022, con il supporto di uno dei più prestigiosi centri di ricerca thailandesi, abbiamo lanciato un primo programma per promuovere pratiche agricole più sostenibili e ridurre la dipendenza dai prodotti chimici – spiega il ceo di GreenAnt Mario Simmaco – Durante questa fase pilota ci siamo resi conto che molti agricoltori non potevano adottare metodi più sostenibili perché non avevano accesso a strumenti finanziari o assicurativi che li proteggessero dal rischio di perdita del raccolto. In quel momento abbiamo capito che la vera innovazione non era soltanto nella biologia, ma nella connessione tra dati, rischio e finanza. È così che siamo passati da un progetto agricolo a una piattaforma globale per la resilienza climatica, dove tecnologia e finanza lavorano insieme per lo sviluppo sostenibile”. Ma l’idea innovativa È proprio su questo cambio di paradigma che GreenAnt vuole contribuire: rendere la prevenzione e la protezione climatica un diritto accessibile a tutti.

    Startup

    Dalle bucce di patate nasce il packaging sostenibile per frutta e verdura

    di Gabriella Rocco

    28 Ottobre 2025

    Le previsioni e l’agricoltura di precisione
    Oggi GreenAnt costruisce prodotti combinati, in cui dati satellitari, intelligenza artificiale e strumenti finanziari si integrano per creare soluzioni di protezione. “Come? Traduciamo le previsioni meteorologiche in azioni concrete come strumenti assicurativi che si attivano automaticamente prima che un disastro naturale colpisca – spiega ancora Simmaco che con Anya Bégué e Qi Liu hanno fondato la Startup – Un tema cruciale per l’Italia visto che viviamo in un Paese in cui gli eventi climatici estremi, dalle alluvioni in Emilia-Romagna agli incendi nel Sud, stanno diventando frequenti. Ma il sistema di gestione del rischio è ancora concentrato quasi esclusivamente sull’emergenza e poco sulla prevenzione. Per costruire un futuro resiliente servono dati accessibili e strumenti assicurativi inclusivi, che permettano anche a famiglie, imprese agricole e piccoli comuni di proteggersi prima che i danni avvengano”.

    Fondata nel 2021 nei Paesi Bassi GreenAnt ha un obiettivo: rendere il rischio climatico gestibile e assicurabile. Il team opera principalmente tra l’Aia, nei Paesi Bassi, e Boston, dove si concentrano rispettivamente le attività di sviluppo tecnologico e di collaborazione con il mondo accademico e finanziario. “Stiamo inoltre aprendo una nuova sede in Italia, per rafforzare la nostra presenza nel Mediterraneo e contribuire più da vicino alla resilienza climatica del territorio italiano, che negli ultimi anni è stato tra i più colpiti da alluvioni e incendi in Europa”. Tra le sette startup innovative, selezionale dall’acceleratore FoodSeed per ridisegnare in chiave sostenibile il futuro del cibo. FoodSeed è parte della Rete Nazionale di CDP Venture Capital che il 21 ottobre scorso ha presentato i progetti finalisti della terza edizione: Prospecto, Bloxy, AlmaSerum, Kymia, PeelPack, GreenAnt e NOIET.

    La storia

    Le scienziate: “Catturiamo le emissioni delle navi per aiutare gli oceani”

    di Paola Arosio

    17 Ottobre 2025

    Una mappa dinamica dei rischi climatici
    Previene i rischi climatici e aumenta le rese, così la startup ha sviluppato Desidera uno strumento di nuova generazione per la mitigazione dei rischi climatici e la gestione di precisione del territorio agricolo. “È un motore di analisi predittiva che combina dati satellitari, meteorologici e ambientali con algoritmi di intelligenza artificiale per creare una comprensione precisa e dinamica del territorio. Grazie a Desidera, siamo in grado di definire le soglie che trasformano la pioggia in alluvione, di stimare il livello di rischio in tempo reale e di tradurre tutto questo in azioni economiche e strumenti di protezione anticipata”. Non è solo una piattaforma di analisi: si può chattare direttamente con la sua AI, ponendo domande e ricevendo risposte personalizzate su rischi, previsioni o condizioni di un’area specifica. È come avere un consulente ambientale e finanziario sempre a disposizione, capace di spiegare dati complessi in linguaggio chiaro e operativo”, spiegano i fondatori. Desidera amplierà le proprie capacità includendo anche analisi sul rischio di siccità e sul rischio di incendio. “Gli agricoltori possono sapere con giorni di anticipo se una pioggia rischia di allagare i campi o se un periodo di siccità si protrarrà troppo a lungo. Queste informazioni permettono di pianificare semine, irrigazioni e raccolti in modo più efficiente, riducendo sprechi e perdite e migliorando la sostenibilità delle produzioni agricole”. LEGGI TUTTO

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    Le zucche possono accumulare inquinanti più di altre verdure

    Popolarissime di questi tempi, sia sulle tavole che negli addobbi per i festeggiamenti di Halloween, le zucche sono ortaggi del tutto particolari. Non tanto sotto il profilo nutrizionale – come verdure, sono ricche di fibre, vitamine e minerali – quanto sotto quello ambientale. Secondo alcuni ricercatori giapponesi, infatti, c’è qualcosa che rende le zucche particolarmente […] LEGGI TUTTO

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    E se le città fossero riprogettate per le persone e per il Pianeta?

    Courbevoie, Francia, è un fiorente centro d’affari a ovest di Parigi. È anche in prima linea negli sforzi per ridurre lo spreco alimentare, riunendo supermercati locali, ristoranti e rivenditori. Invece di lasciare che gli avanzi vadano sprecati, la città li reindirizza ad associazioni di beneficenza e versochi ne ha bisogno. Inoltre, le scuole educano i bambini al valore del cibo e sperimentano il riciclo, invece di limitarsi a smaltire i rifiuti alimentari.

    Come membro della Green Cities Network dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), Courbevoie si impegna a dimostrare che essere una città non significa mettere la sostenibilità in secondo piano. Le città possono diventare soluzioni ad alcune delle sfide più urgenti che il nostro secolo ci pone.

    Entro il 2050, quasi sette miliardi di persone – pari a circa il 70% della popolazione mondiale – vivranno nelle città. Questo non è solo un cambiamento demografico. È una trasformazione massiccia del tessuto sociale, economico e ambientale del pianeta. Le città stanno diventando l’habitat principale degli esseri umani, spesso con conseguenze dannose. PER CHI? Ambiente o salute delle persone?

    Oggi, nella Giornata Mondiale delle Città, dobbiamo ricordare che non possiamo permetterci di lasciare che l’urbanizzazione proceda con il pilota automatico oppure in modo automatico.

    La rapida urbanizzazione spesso porta con sé un modello che conosciamo. Gli spazi verdi lasciano il posto al grigio del cemento. Gli ecosistemi naturali vengono asfaltati. L’inquinamento aumenta e i rifiuti si accumulano. Il costo della vita sale mentre la crisi climatica colpisce le città con aumento delle temperature, inondazioni più gravi e condizioni meteorologiche sempre più irregolari.

    Sebbene tutto ciò faccia pensare che la tendenza alla rapida urbanizzazione globale sia un percorso che porta al disastro, non deve necessariamente essere così. Le città potrebbero – e dovrebbero – fare le cose in modo molto diverso.

    Questa è l’idea alla base della Green Cities Initiative, lanciata dalla FAO nel 2020. L’obiettivo è aiutare le città di tutto il mondo a ripensare come nutrire le persone, come gestire la terra e l’acqua e come sostenere comunità urbane per renderle più sane e resilienti.

    Molte città come Courbevoie si stanno unendo al Green Cities Network della FAO per condividere esperienze e innovazioni, accedere al supporto tecnico della FAO e ottenere assistenza finanziaria. Sempre più città in tutto il mondo sono pronte ad ampliare gli spazi verdi, pianificare abitazioni e trasporti sostenibili, partecipare alla produzione di cibo sano, utilizzare meglio le risorse idriche e collegare tutto ciò alle loro economie.

    L’obiettivo della Green Cities Initiative è generare miglioramenti tangibili nella salute e nel benessere delle persone e del loro ambiente in 1.000 città in tutto il mondo entro il 2030. Questo percorso contribuisce anche all’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 11 (SDG 11) – Città e comunità sostenibili.

    Ma cosa rende esattamente una città “verde”? Una città verde è quella che trova un autentico equilibrio tra le persone e la natura. In termini pratici, significa tre cose.

    Primo, una città verde pone la salute e il benessere umano al centro dello sviluppo urbano. Ciò significa che i sistemi agroalimentari sono progettati per fornire cibo nutriente, prodotto localmente e a prezzi accessibili agli abitanti della città. Il contatto quotidiano con la natura fa parte della vita urbana – nei parchi, nei giardini, nelle strade alberate e lungo i corridoi verdi. Gli spazi pubblici verdi sono sicuri, accoglienti e accessibili a tutti, e sono co-progettati con i cittadini per garantire una distribuzione equa dei benefici.

    Secondo, una città verde protegge, ripristina e gestisce gli ecosistemi come infrastruttura urbana essenziale. La natura urbana è trattata come un sistema di supporto vitale. Alberi, zone umide, suoli e corsi d’acqua vengono ripristinati per regolare la temperatura, catturare l’acqua piovana e filtrare gli agenti inquinanti. Il territorio urbano è pianificato e gestito per fornire simultaneamente benefici come cibo, ombra, svago e habitat, e per connettersi con i paesaggi periurbani e rurali. La resilienza climatica è integrata nella pianificazione per ridurre l’esposizione a inondazioni, ondate di calore e siccità.

    Terzo, essa costruisce economie che riciclano le risorse, riducono i rifiuti e sostengono posti di lavoro sostenibili. I rifiuti organici vengono recuperati dal cibo, trasformati in mangimi per animali o convertiti in biogas e input agricoli. L’acqua viene raccolta e riutilizzata, e materiali rinnovabili disponibili localmente, come il legno proveniente da fonti sostenibili, vengono impiegati per la costruzione e lo sviluppo delle infrastrutture. Gli investimenti nello sviluppo delle capacità e nell’innovazione sostengono le imprese locali, creano posti di lavoro verdi e diversificano le economie urbane.

    Fondamentalmente, gli impatti di una vera città verde si estendono oltre i suoi confini lavorando//interagendo con gli spazi periurbani e rurali che la circondano. Sia attraverso l’agricoltura, le foreste sostenibili o la protezione degli ecosistemi, una città verde è pianificata e gestita in connessione diretta con i paesaggi rurali che la sostengono.

    E questo non è solo un discorso teorico. Molte città stanno già dimostrando che è possibile riprogettare la vita urbana per funzionare meglio per le persone e per il pianeta. Kigali, Ruanda, è impegnata in un’iniziativa di piantumazione di alberi che copre l’intera città. Colombo, Sri Lanka, sta rafforzando l’agricoltura urbana installando serre e attrezzature per giardini. Ulaanbaatar, Mongolia, sta lavorando per migliorare gli spazi verdi esistenti, anche piantando specie arboree autoctone e proteggendo le fonti d’acqua.

    Alla Prima Conferenza Internazionale sulle Città Verdi, tenutasi a Roma questo mese, decine di sindaci, ministri e esperti urbani provenienti da tutto il mondo si sono riuniti per condividere ulteriori soluzioni concrete – dalle fattorie verticali in America Latina e i sistemi di compostaggio in Europa alle cinture verdi in Africa, dove la crescita esplosiva della popolazione urbana e gli impatti sempre più gravi del cambiamento climatico rendono questo lavoro particolarmente urgente. Attraverso la Green Cities Initiative in Azione per l’Africa della FAO, e con il supporto del governo italiano, dieci città in Algeria, Costa d’Avorio, Kenya, Mozambico e Uganda stanno ora sviluppando piani d’investimento dettagliati per ripristinare gli ecosistemi, sostenere gli agricoltori urbani, migliorare i sistemi alimentari e idrici, e garantire che i benefici raggiungano le comunità vulnerabili.

    Solo una forte leadership, investimenti e sostegno pubblico possono consentire la trasformazione delle nostre città. Ma molte, contrariamente alle convinzioni più diffuse, sono già sulla buona strada per diventare veri motori del cambiamento sostenibile.

    *Zhimin Wu, Direttore della divisione delle foreste dell’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) LEGGI TUTTO

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    Supereroi con una missione speciale a Lucca Comics: salvare la Terra

    Vecchi paraurti, alettoni, fanali e cavi elettrici. Pezzi di scarto delle auto diventate braccia e gambe, ali e volti di sei robot alti oltre quattro metri. Quest’anno Lucca Comics & Games la più grande manifestazione europea dedicata al fumetto, al gioco e alla cultura pop accoglie una missione speciale: salvare il pianeta. A condurla non solo eroi di carta o dello schermo ma sei giganteschi supereroi dell’ambiente. Sei super robot trasformabili, difensori dell’ambiente, firmati Scart, il laboratorio artistico del Gruppo Hera, e Casa Lamborghini realizzati con gli scarti di produzione delle vetture del Toro. Un progetto che nasce nell’ambito della collaborazione fra le due aziende, finalizzata alla promozione dell’economia circolare nella gestione e valorizzazione degli scarti industriali. Una dimostrazione di quanto anche la cultura pop può essere un potente strumento educativo e quanto l’arte possa ispirare comportamenti virutosi.

    Ambiente

    Polemica per le marmotte di plastica in montagna. Il Cai: “Un simbolo per riflettere”

    a cura della redazione di Green&Blue

    05 Agosto 2025

    Dagli scarti di vecchie auto i sei guerrieri
    La presentazione, in anteprima mondiale a Lucca, in occasione del giorno di apertura di Lucca comics & games. Tre coppie di robot umanoidi – una figura maschile e una femminile – capaci di trasformarsi da supercar a guerrieri difensori del pianeta, e che rappresentano ognuno un elemento vitale per la natura: aria, acqua e terra. La loro missione è chiara: salvaguardate la Terra e ricordare a chi li osserva che i rifiuti possono rinascere come opere d’arte e simboli di cambiamento. Così in piazza San Giusto, accanto alla Lamborghini Revuelto, iconica V12 Hpev della casa di Sant’Agata Bolognese, sono arrivati Gea Stone e Jotun Forge paladini della terra; in piazza San Michele, Skyrenn (la madre dei venti) e Jetron (il navigatore dei venti), protettori dell’aria; nel cortile di palazzo Guinigi, Marixx (la sirena del cambiamento) e Mega Tide (il guardiano del blu), alfieri delle acque. “Abbiamo voluto fondere il linguaggio dei supereroi con quello del riuso creativo – hanno spiegato gli artisti del progetto Scart – per mostrare che anche ciò che consideriamo scarto può trasformarsi in qualcosa di straordinario per la collettività”.

    Arte e attivismo

    Concerto dei Fulu Miziki, la musica che nasce dai rifiuti

    di Fiammetta Cupellaro

    14 Settembre 2025

    Realizzati in Toscana, disegnati da Giuseppe Camuncoli
    I robot, realizzati nei mesi scorsi all’interno dei laboratori Scart di Santa Croce sull’Arno e Pisa, sono nati dalla penna del celebre fumettista Marvel, Giuseppe Camuncoli, che ha ideato il character design di ciascuno in collaborazione con Giacomo Gheduzzi. Gli studenti delle Accademie di Belle Arti di Firenze, Ravenna e del Poli.design (fondato da Politecnico di Milano) hanno poi dato forma alle intuizioni dell’autore, facendosi ispirare dagli scarti di produzione di Lamborghini: cofani, fiancate, alettoni, tubi, volanti, monitor, cruscotti, paraurti, fanali e altri componenti, in gran parte in fibra di carbonio. Fasci di cavi elettrici multicolori, ad esempio, sono così diventati l’apparato cardio-circolatorio degli umanoidi mentre le spazzole dei tergicristalli hanno dato forma ai capelli di Skyrenn. Messaggeri di un messaggio universale quello di difendere la Terra. LEGGI TUTTO

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    Il vero mostro di Halloween è lo spreco. Dalle zucche ai vestiti, è tempo di riciclo

    Il mostro più spaventoso di Halloween è lo spreco. Questa notte milioni di persone nel mondo festeggeranno la festa del “dolcetto o scherzetto” con costumi mostruosi, tante decorazioni e una innumerevole quantità di zucche. Dietro al divertimento, gli scherzi e gli effetti speciali per rendere la celebrazione sempre più “paurosa”, c’è però un lato preoccupante che in anni di maggiore consapevolezza sulla necessità di una migliore impronta ambientale sta emergendo con forza: l’enorme volume di sprechi che vengono generati, per esempio quelli delle celebri zucche in cui inserire le candele, ma anche la grande quantità di costumi e materiali in plastica spesso destinati a finire in discarica.

    Conoscere i volume dell’impatto di queste criticità può aiutarci a ragionare su un Halloween più sostenibile in cui realizzare per esempio costumi con materiale di scarto o riciclato, oppure l’importanza di recuperare, cucinare o usare per il compostaggio le zucche anziché avviarle al macero e a conseguenti emissioni di metano. Una fotografia dell’impronta negativa ambientale di Halloween la restituiscono bene due realtà dove questa ricorrenza è fortemente celebrata, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Nel Regno Unito per esempio si stima che ogni anno vengano prodotte 18mila tonnellate di scarti di zucca. Solo in territorio britannico 22 milioni di zucche vengono gettate, per uno spreco alimentare che è stimato in 32 milioni di sterline. In media, solo una persona su nove cucinerà – dopo averle intagliate e trasformate in simboli della paura – le zucche utilizzate. A livello di costumi si parla invece di sette milioni di capi gettati via dopo Halloween, vestiti che vengono indossati una sola volta da quasi la metà delle persone. Secondo il gruppo Hubbub, che ha condotto uno studio sui rifiuti, buona parte di questi capi, il 63%, contiene poliestere che può impiegare anche due secoli a decomporsi e l’83% dei costumi è fatto in generale con parti di plastica non riciclabile. Per questo le stime indicano una produzione di circa 2000 tonnellate di rifiuti di plastica solo nella settimana di Halloween, tenendo conto anche degli imballaggi delle caramelle usate per il famoso “dolcetto o scherzetto”.

    Negli Stati Uniti gli sprechi diventano esponenziali. Partendo dai dolcetti, la stima è che in media ogni bambino che bussa con il suo contenitore per raccogliere cioccolatini alle porte dei vicini genera in media mezzo chilo di spazzatura. Il numero delle zucche che finiscono al macero poco dopo un solo giorno di festa è poi davvero incredibile: si parla di 450 milioni di chili di zucche. Come costumi, saranno invece 35 milioni i capi che finiranno per essere gettati, secondo FairylandTrust. Infine, un altro spreco da non sottovalutare, è quello dei semi di zucca, che sono considerati una miniera d’oro dal punto di vista nutrizionale dato che contengono proteine, zinco, magnesio e grassi sani. Anche questi potrebbero essere risparmiati nella corsa al consumismo, così come la parte delle zucche intagliate e magari difficili da consumare può sempre essere donata a fattorie locali in grado di riusarle come mangime per gli animali. Tutti numeri, quelli che riguardano Usa e Uk, che ci aiutano a ragionare sull’enorme impatto di una festa che sta crescendo per volumi di consumo anche in Italia. Di recente la Coldiretti ha stimato, per l’Halloween 20225, un valore di circa 30 milioni di euro legato alla “zucca economy”. Quest’anno, dopo forti cali di produzione legati alla crisi del clima, la coltivazione di zucca si è leggermente ripresa e le stime indicano un raccolto totale di quasi 40mila tonnellate, con un prezzo medio al dettaglio intorno a 2 euro al chilo anche se “può arrivare al doppio o al triplo” a seconda di varietà o se già sbucciate, ricorda la Coldiretti. Un prezzo non da poco che, oltre alla questione emissioni e inquinamento da plastica, dovrebbe essere un motivo in più per riutilizzare anziché sprecare. LEGGI TUTTO

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    In Svizzera gli orologi si riciclano nei forni solari

    Nella Watch Valley, tra Ginevra e Basilea, i maestri orologiai adesso dispongono di due forni a energia solare che consentono di riciclare gli scarti metallici e ottenere preziosi lingotti di acciaio. Il segreto di questo successo di economia circolare si deve alla start-up giurassiana Panatere – dal dialetto locale che con lo stesso termine indica il cestino di vimini usato dai contadini per la raccolta di frutta. LEGGI TUTTO

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    Legambiente, foreste a rischio: bruciati 94 mila ettari. Il doppio rispetto al 2024

    Messe a dura dagli incendi, dallo sfruttamento, dalla perdita di biodiversità, le foreste italiane stanno vivendo un momento di grande vulnerabilità. Da nord a sud. Eppure, non solo rivestono un ruolo cruciale – ricoprono il 40% del territorio nazionale – nel contrasto al cambiamento climatico, ma sono anche custodi di una straordinaria biodiversità. Così appare preoccupante il report presentato da Legambiente all’ottavo Forum sulle Foreste e che fotografa la situazione nel 2025. Un anno complicato: da inizio anno al 15 ottobre sono bruciati ben 94.070 ettari di territorio, pari a 132 mila campi da calcio. Quasi il doppio rispetto agli ettari andati in fumo nel 2024 ossia 50.525. “Se le politiche di gestione forestale venissero attuate concretamente, potrebbero catturare oltre 20 milioni di tonnellate all’anno, lo stesso impatto di circa 5 milioni di auto”, spiegano i ricercatori di Legambiente.

    Il focus

    Il nuovo regolamento dell’Ue obbliga le aziende a contrastare la deforestazione

    di Stefano Comisi

    21 Ottobre 2025

    Le aree più colpite
    Il Sud Italia si conferma l’area più colpita dalle fiamme: maglia nera alla Sicilia, con 49.064 ettari bruciati in 606 incendi; seguita da Calabria, con 16.521 ettari in 559 eventi, Puglia con 8.009 ettari in 114 eventi, Campania con 6.129 ettari in 185 eventi, Basilicata con 4.594 ettari in 62 eventi. Ci sono poi il Lazio con 4.393 ettari in 133 eventi e Sardegna con 3.752 ettari in 57 eventi. A livello provinciale, le province più colpite, sono quelle siciliane di Agrigento (17.481 ettari bruciati), Caltanissetta (11.592), Trapani (7.148), seguite da Cosenza (6.720) e Foggia (4.9739).

    Il report

    Fao: la deforestazione nel mondo rallenta, ma non basta

    di Giacomo Talignani

    21 Ottobre 2025

    La proliferazione del bostrino
    All’impennata degli incendi, si affianca l’accelerata della crisi climatica che contribuisce a rendere le foreste più fragili e vulnerabili con eventi meteo estremi sempre più intensi, ondate di siccità, e un’estate 2025 che per l’Italia, secondo Copernicus, è stata la quinta più calda registrata dal 1950 ed è stata segnata da un’anomalia termica di +1,62°C. Preoccupa anche la proliferazione del bostrico, un piccolo coleottero che negli ultimi anni è uno dei principali responsabili dei gravi danni alle foreste alpine già devastate dalla tempesta Vaia e causando il disseccamento e la morte di molti abeti rossi. Ingenti anche i danni economici.

    Scarsa la pianificazione forestale
    Appena il 18% delle foreste ha un piano di gestione vigente. Spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente: “Serve maggiore integrazione tra politiche nazionali, regionali con le strategie comunitarie e globali e un serio impegno da parte del Paese nel contrastare la deforestazione globale attraverso l’applicazione del regolamento EUDR”. E ancora. “La gestione sostenibile delle foreste è una grande opportunità per ridurre i rischi, da quello idrogeologico agli incendi, per aumentarne la fruizione e per garantire l’approvvigionamento nazionale di legname per le filiere produttive nazionali, riducendo le importazioni. Servono le giuste politiche nazionale e regionali e adeguati sostegni alla filiera, che continuano purtroppo a latitare”. LEGGI TUTTO

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    Veleni silenziosi, il lato oscuro del DDT e un insegnamento per il futuro

    Diclorodifeniltricloroetano. Un nome così complesso per una formula ben nota. La storia del DDT, che sembra così lontana, è più attuale che mai. È il 1874, quando il giovane chimico austriaco Othmar Zeidler lo sintetizza per la prima volta, il DDT rimane quasi dimenticato fino al 1939. È il chimico svizzero Paul Hermann Müller a scoprirne le potenti proprietà insetticide e la sua efficacia straordinaria. Il DDT agiva per contatto, aveva una bassa tossicità acuta per i mammiferi e, soprattutto, era incredibilmente persistente. È proprio la persistenza, all’inizio celebrata come un vantaggio, che rivelerà il suo lato oscuro. Il DDT è infatti un inquinante organico capace di resistere alla degradazione per decenni, accumularsi nei tessuti adiposi e magnificarsi lungo la catena alimentare, ossia diventare sempre più concentrato man mano che si passa dagli organismi più in basso a quelli più in alto nella catena alimentare.

    Ma facciamo un passo indietro.

    Il miracolo durante la guerra
    A metà ‘900 il DDT si rivela decisivo contro tifo e malaria poiché efficace contro un’ampia varietà di parassiti, tra cui il pidocchio (che all’epoca era uno dei principali vettori del tifo), lo scarabeo del Colorado (flagello delle coltivazioni di patata) e la zanzara anofele, responsabile della trasmissione della malaria. A metà degli anni ’40 a Napoli, il DDT viene usato per reprimere un focolaio di tifo: per la prima volta nella storia un’epidemia di questa malattia venne arrestata. Nello stesso periodo, la sperimentazione prosegue a Ostia, estendendosi al delta del Tevere e alla zona sud-orientale della Pianura Pontina, territori storicamente colpiti dalla malaria. In Sardegna, infine, per cinque anni vengono distribuite oltre 70.000 tonnellate di DDT con l’obiettivo di eradicare la zanzara Anopheles labranchiae, vettore della malattia. I casi di malaria crollarono quasi a zero.
    Il DDT diventa simbolo di progresso e modernità. Le immagini di aerei e camion che spruzzano nuvole di pesticida nei parchi, tra bambini che giocano, riflettono l’euforia di quegli anni per le nuove conquiste della scienza. Nel 1948, Paul Hermann Müller riceve il Premio Nobel per la Medicina con la motivazione che il DDT aveva “portato benefici immani all’umanità, salvando milioni di vite”.
    I primi segnali d’allarme
    Alla fine degli anni ’50 arrivano i primi segnali d’allarme. Lo studioso statunitense Joseph Hickey osserva un drastico declino nelle popolazioni di falchi pellegrini e aquile calve a causa di gusci d’uovo sottili e fragili, che si rompevano sotto il peso dei genitori durante la cova compromettendone così la riproduzione. La colpa era del DDE, il metabolita del DDT che permaneva nell’ambiente e interferiva con il sistema ormonale degli uccelli, impedendo il corretto assorbimento del calcio necessario alla formazione di gusci robusti.

    Primavera silenziosa
    In questo clima di crescente preoccupazione, nel 1962 la biologa Rachel Carson pubblica “Primavera Silenziosa”, il libro che segna una svolta nella consapevolezza ambientale. La Carson denuncia il lato oscuro dell’uso massiccio dei pesticidi: gli insetticidi non solo eliminano gli insetti nocivi, ma si diffondono nell’ambiente e lungo le catene alimentari, colpendo anche uccelli, pesci e altre specie. Il libro mette in luce come tutti gli esseri viventi siano strettamente interconnessi e interdipendenti, e trasforma l’allarme scientifico in un vero e proprio movimento di opinione pubblica globale.

    Le ripercussioni, però, non riguardavano solo la natura. Già alla fine degli anni Quaranta si osservano tra i lavoratori esposti al DDT, disturbi neurologici acuti come tremori, vertigini e nausea. Negli anni ’50 e ’60 diventa evidente che il DDT si accumula nel tessuto adiposo e nel latte materno, raggiungendo anche persone non direttamente esposte e prolungando l’esposizione per anni.

    La risposta dell’Industria
    Critiche feroci arrivano dalle industrie produttrici di pesticidi: cercano di screditare la Carson, mettendone in dubbio le competenze e l’attendibilità delle sue ricerche. Tuttavia, la sua denuncia — fondata su centinaia di studi e dati scientifici — colpisce nel segno e raggiunge la cultura popolare. I cittadini chiedono risposte e tutele. In questo contesto, organizzazioni ambientaliste come il WWF, fondato nel 1961, assumono un ruolo decisivo: finanziano ricerche indipendenti sugli effetti del DDT, promuovono campagne di sensibilizzazione e fanno pressione sui governi per regolamentarne l’uso.

    I divieti
    Nel 1972 l’EPA (Environmental Protection Agency) vieta la maggior parte degli usi del DDT negli Stati Uniti, segnando una svolta decisiva nelle politiche ambientali. Poco dopo anche l’Italia ne bandisce l’uso, la vendita e la detenzione, ponendo fine a decenni di impiego diffuso. Nel 2001 la Convenzione di Stoccolma sugli Inquinanti Organici Persistenti inserisce il DDT nella “lista nera” delle sostanze da eliminare a livello globale, pur consentendo deroghe nei Paesi senza alternative efficaci ed economicamente accessibili per il controllo della malaria.

    Il ritorno dell’Aquila
    I dati confermano le tesi della Carson. Negli anni ’60, la popolazione di aquila calva negli Stati Uniti continentali era ridotta a circa 400 coppie nidificanti anche a causa dell’uso del DDT. Dopo il divieto del pesticida nel 1972 e all’avvio di programmi intensivi di protezione, la tendenza di invertì rapidamente. Nel 2007, la popolazione superava le 11.000 coppie nidificanti, un successo tale da consentirne la rimozione dalla lista delle specie minacciate.

    La storia non finisce qui
    Nonostante i divieti, i residui di DDT sono ancora oggi presenti nei tessuti di grandi cetacei, come capodogli e balenottere anche del Mare Nostrum, a testimonianza della straordinaria persistenza di questa sostanza nell’ambiente. Tracce di DDT sono state individuate anche lungo la catena alimentare, in particolare in specie ittiche destinate al consumo umano. Durante la campagna “Detox” del 2005, ricerche finanziate dal WWF hanno rilevato residui significativi di DDT sia nei tonni e pesci spada sia nel sangue umano, evidenziando come questa sostanza continui a essere rilevabile a decenni di distanza dal suo divieto.

    Il glifosato e la lezione che non abbiamo ancora imparato
    La storia del DDT dimostra che anche soluzioni apparentemente efficaci possono comportare conseguenze a lungo termine per ambiente e salute, evidenziando l’importanza di valutazioni scientifiche rigorose prima della loro diffusione. Quello che accadde allora è il simbolo per tante battaglie ambientali di oggi: è la parabola dell’entusiasmo per una tecnologia potente, dell’allerta scientifica indipendente e della mobilitazione civile. La lezione del DDT è più attuale che mai. Sostanze come il glifosato e altri pesticidi, ancora presenti nei nostri campi e sulle nostre tavole, sollevano interrogativi analoghi sulla sicurezza a lungo termine per l’uomo e per l’ambiente.

    Se il glifosato solleva problematiche simili a quelle del DDT, non dovremmo impegnarci per trovare strategie e soluzioni migliori? Per noi, la risposta è: sicuramente sì.
    “Storie di sostenibilità” è la nuova rubrica del WWF nell’ambito della campagna Our Future
    (*Eva Alessi è responsabile sostenibilità WWF Italia) LEGGI TUTTO