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    “Non c’è giustizia climatica senza l’accesso al cibo sano e sostenibile per tutti”

    Come movimento Slow Food rivolgiamo questo appello ai governi e alle istituzioni che prendono parte alla COP30, la 30esima Conferenza delle Parti in programma in Brasile dal 10 al 21 novembre. Ci uniamo all’appello rivolto ai leader del mondo affinché pongano al centro dell’azione per il clima una transizione equa dei sistemi alimentari. Le soluzioni alla crisi climatica devono sfamare le persone senza affamare il pianeta e passano attraverso la rigenerazione degli ecosistemi e la difesa delle diversità: non soltanto la biodiversità agricola, ma anche la varietà dei paesaggi e delle culture che hanno a che fare con l’alimentazione e con il cibo.
    Oggi i sistemi alimentari sono al tempo stesso causa e vittima della crisi climatica. Siamo però convinti che possano esserne anche la soluzione, a patto che si fondino sui princìpi del buono, pulito e giusto. Al centro dei negoziati della COP30 di Belém va messo chi oggi è ai margini dei sistemi alimentari: chi pratica l’agroecologia, i pescatori artigianali, le donne, i giovani e le popolazioni indigene, le persone afro-discendenti e le vittime di un approccio colonialista che sfrutta, conquista e impone.

    Giornata di consapevolezza sulle perdite e gli sprechi alimentari

    Perché ancora sprechiamo più di 130 kg di cibo all’anno

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    26 Settembre 2025

    Da Belém vogliamo un segnale di fiducia, il rilancio di una visione multilaterale per affrontare la crisi climatica. La lotta contro il cambiamento climatico è destinata a fallire, se non si agisce in modo determinato per trasformare i sistemi alimentari. È ora di dare voce a chi ha in mano le soluzioni. Ai partecipanti alla COP30 chiediamo di: Promuovere l’agroecologia. I governi devono mettere in cima alle priorità la transizione verso sistemi alimentari agroecologici. Significa: superare il modello di un’agricoltura industriale e di un allevamento e di una pesca intensivi; modificare i meccanismi che assicurano sussidi economici a chi pratica un’agricoltura dannosa per la salute di uomo, ambiente ed esseri viventi; ripensare il modo di produrre, fare ricerca, scambiare beni e conoscenza in linea con i principi dell’agroecologia.

    Alimentazione sostenibile

    Una dieta “universale” per salvare la Terra: può evitare 40mila morti premature al giorno

    di Luca Fraioli

    03 Ottobre 2025

    I milletrecento miliardi di dollari all’anno della cosiddetta Roadmap Baku-Belém, da mobilitare entro il 2035 nell’ambito della finanza climatica verso i Paesi in via di sviluppo per sostenere percorsi di sviluppo a basse emissioni e resilienti al clima, devono essere indirizzati verso l’ambiente e verso chi produce cibo, e non verso i combustibili fossili. Riconoscere la sovranità alimentare come azione per il clima. La resilienza climatica inizia con il diritto delle comunità di decidere come produrre e consumare il proprio cibo. I governi devono sostenere soluzioni che scongiurino fenomeni di dumping (cioè l’export di prodotti sottocosto con l’obiettivo di conquistare mercati esteri) e riducano la dipendenza dalle catene di approvvigionamento globali che, fondandosi su un approccio estrattivo delle risorse, sono responsabili di deforestazione, accaparramento di terra e acqua.
    I meccanismi di compensazione delle emissioni di Co2 non rappresentano soluzioni reali al problema della crisi climatica, così come la cieca fiducia nella tecnologia che in verità non fa altro che ritardare l’adozione di soluzioni concrete. Ripensare la finanza climatica. Gli investimenti finanziari in ambito agroalimentare devono essere volti a garantire la sovranità alimentare, non al servizio del profitto. Gli obiettivi in ambito climatico e di tutela della biodiversità richiedono un considerevole aumento dei finanziamenti in ambito alimentare, sia pubblici che privati, in particolare per chi è più colpito dalla crisi climatica. Le risorse devono raggiungere direttamente le comunità, per sostenere progetti di mitigazione e adattamento, proteggere la biodiversità e garantire il diritto al cibo. No alla finanziarizzazione dei sistemi agroalimentari, sì alla tutela dell’interesse pubblico. Garantire il diritto al cibo. Le politiche per il clima devono tenere in considerazione il diritto di tutte e tutti a un cibo buono, pulito e giusto. Tutti devono avere accesso a diete nutrienti, varie, sostenibili dal punto di vista ambientale e legate alla cultura locale.

    Biodiversità

    Il pesce scorpione e altre specie aliene nei nostri mari: “Attenti a quei 4!”

    di Pasquale Raicaldo

    27 Giugno 2025

    Tutto ciò richiede una governance alimentare inclusiva, politiche pubbliche incisive e il perseguimento di eventuali violazioni di diritti umani e norme ambientali. Abbandonare i combustibili fossili. Stop alla dipendenza dei sistemi alimentari dai combustibili fossili. Fertilizzanti sintetici e pesticidi, oltre ad avvelenare l’ambiente e i suoli, sono strettamente legati all’utilizzo dei combustibili fossili per la loro produzione. I governi devono abbandonare questo tipo di prodotti chimici di sintesi, promuovendo soluzioni alternative, a cominciare dalla produzione comunitaria di energia rinnovabile. Difendere i sistemi alimentari locali.

    Biodiversità

    Gli sgombri stanno scomparendo dall’Atlantico: “Tagliare la pesca del 77% o li perderemo”

    di Giacomo Talignani

    03 Ottobre 2025

    Le filiere alimentari corte producono meno emissioni e meno sprechi lungo la filiera, rafforzano le economie locali, proteggono la diversità alimentare e il patrimonio culturale delle comunità. I governi devono investire in sistemi alimentari locali, promuovendo e sostenendo i mercati contadini e le iniziative che avvicinano produttori e consumatori, rifornire le mense scolastiche con alimenti stagionali e regionali, anche nell’ottica di educare a un rapporto sano con il cibo. Nel futuro che immaginiamo il cibo ci unisce gli uni agli altri e agli ecosistemi. I governi devono agire con urgenza, saggezza, umiltà e amore per la Terra. Non tenere conto dei sistemi alimentari e della biodiversità nei tavoli di confronto sul clima significa occuparsene in maniera incompleta. Fate sì che la COP30 sia ricordata come il punto di svolta. Il futuro è Slow, non veloce. Il futuro deve nutrire, non impoverire. Il futuro lo vogliamo ricco in diversità, non uniforme. Il futuro deve essere buono, pulito e giusto per tutte e tutti.

    *Presidente di Slow Food Italia LEGGI TUTTO

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    “A Venezia porteremo idee nuove sul clima. COP e transizione non funzionano più”

    Parola d’ordine “pragmatismo”. Con questo richiamo, a Venezia sull’isola di San Servolo, dal 16 all’18 ottobre, studenti, professori, aziende, policy makers e rappresentati provenienti da tutto il mondo si riuniranno per la quarta Dolomite Conference Global Governance del Climate Change and Sustainability – Venice Edition per tentare di indicare soluzioni concrete alla crisi climatica e alla sostenibilità “in modo da suggerire qualcosa di pragmatico in vista della COP30. Ad esempio: come affrontare il fondo perdite e danni per i Paesi meno sviluppati, ma anche ripensare al mercato delle case in Italia, che non funziona più” spiega il professor Francesco Grillo, docente che insegna sostenibilità ed economia all’Università Bocconi di Milano e all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole ed è direttore del think tank Vision che ha organizzato la conferenza. A lui abbiamo chiesto perché, oggi più che mai, sia necessario riportare la questione climatica al centro dopo oltre due anni di offuscamento tra la rilevanza delle guerre in corso e l’oscurantismo portato avanti dalle politiche negazioniste di Donald Trump.

    Il professor Francesco Grillo  LEGGI TUTTO

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    Il “second hand” cancella la CO2 di 3,7 milioni di auto

    Il mercato dell’usato ha un potenziale enorme sia per l’economia circolare che direttamente per l’ambiente. La conferma arriva dall’Osservatorio Second Hand Economy di BVA Doxa che ha analizzato lo scenario italiano in relazione ai comportamenti e le attività registrate nel 2024. Il primo dato eclatante è questa modalità di vendita e acquisto lo scorso anno è stata praticata da circa 27,2 milioni di persone e secondo le stime ha consentito non solo un notevole risparmio economico ma anche ridotto le emissioni di CO2 e di rifiuti, contribuendo alla conservazione di risorse.

    In sintesi è una forma di economia circolare di facile accesso, concreta e misurabile. E infatti Vaayu – la piattaforma di climate tech che supporta le aziende nel monitoraggio, misurazione e riduzione dell’impatto ambientale – è stata coinvolta da su Subito.it, la principale piattaforma per la compravendita di beni di seconda mano in Italia, per un’analisi puntuale. Un’analisi basata su un calcolo delle emissioni accurato e trasparente, affiancato alle valutazioni sul ciclo di vita dei prodotti, una mappatura più granulare delle emissioni legate al business e un sondaggio integrativo su “comportamenti in termini di trasporto e imballaggio”. Nello specifico sono finite sotto la lente le compravendite tra privati avvenute nella quasi totalità delle categorie Market ed escludendo i settori Immobili, Motori e Lavoro.

    Emissioni, 450mila tonnellate di CO2 risparmiate in un anno
    Nel 2024 su Subito.it sono stati venduti circa 11,5 milioni di oggetti e di fatto, secondo le stime, facendo risparmiare 450mila tonnellate di CO2. Praticamente come fa scomparire le emissioni di 3,7 milioni di auto che viaggiano tra Milano e Roma. Il trend è positivo perché rispetto al 2023 il risparmio è aumentato di circa il 40%, considerando una singola compravendita su Subito (pari a 39 kg di CO2). LEGGI TUTTO

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    Le api selvatiche minacciate in Europa: quasi cento specie a rischio

    Per la prima volta, le api selvatiche sono state ufficialmente classificate come ‘in pericolo’ all’interno dell’Europa: grazie a un grande lavoro di monitoraggio e raccolta dati che ha colmato una lacuna di lunga data, i ricercatori hanno esaminato lo stato di conservazione della specie Apis mellifera in sette paesi europei, stimando un calo medio delle popolazioni selvatiche del 56% in un decennio.

    Questo ha permesso di aggiornare la Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (Iucn) anche se, per quanto riguarda la regione europea, i dati rimangono molto carenti per aree come i Balcani, i Paesi Baltici, la Scandinavia e l’Europa orientale.

    I ricercatori hanno monitorato, tra il 2013 e il 2025, 698 siti sparsi in Francia, Germania, Lussemburgo, Polonia, Spagna, Svizzera e Regno Unito. Secondo i dati raccolti, l’Europa ha la più bassa densità del mondo di colonie che vivono libere in natura, dal momento che gli alveari gestiti negli allevamenti superano di gran lunga quelli selvatici, e queste già scarse colonie stanno anche vedendo diminuire i loro abitanti. Le principali minacce, come riporta la Iucn, arrivano dalla perdita di habitat a causa di agricoltura e aree abitate, da specie aliene invasive, dall’ampio uso di pesticidi, erbicidi e fungicidi e anche da alcune pratiche dell’apicoltura moderna, come il commercio di api regine.

    “Proteggere le api selvatiche non significa solo salvare una specie iconica, ma anche salvaguardare la nostra sicurezza alimentare, la biodiversità e gli ecosistemi per il futuro”, ha commentato sulla rivista The Conversation Arrigo Moro dell’Università irlandese di Galway, che ha collaborato con la Iucn per rivalutare lo stato di conservazione delle popolazioni selvatiche di Apis mellifera: “Rappresentano un serbatoio genetico vitale che potrebbe contribuire a rendere le api, sia selvatiche che allevate, più resilienti alle minacce future”. LEGGI TUTTO

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    Abelia, l’arbusto che si adatta: coltivazione, esposizione, fioritura e cura

    Per decorare giardini, bordure, siepi, terrazzi e balconi, l’abelia è sempre una scelta vincente, che regala colore e bellezza, portando con sé un tocco di eleganza. Vigoroso e dalla fioritura lunga, profumata e abbondante, l’arbusto cresce rapidamente e si distingue con il portamento arcuato, i fusti lunghi, i fiori tubulosi e le piccole foglie verdi e lucide, che in autunno virano sulle sfumature del bronzo e del rosso. Grazie alla sua straordinaria capacità di adattamento alle diverse condizioni, coltivare l’abelia è semplice e non richiede cure complesse, se non pochi e semplici accorgimenti per mantenerla al meglio.

    Abelia e la sua esposizione ideale
    L’abelia dona splendidi fiori anche in autunno, infondendo colore agli ambienti con il suo fogliame dalle nuance calde. Bellezza, resistenza e fioritura prolungata sono i punti di forza di questa pianta ornamentale sempreverde, appartenente alla famiglia delle Caprifoliaceae. Originaria del Messico e dell’Asia orientale, si adatta a diversi tipi di terreno e a condizioni climatiche differenti e può raggiungere un’altezza fino a 2 metri.

    L’arbusto fiorisce dalla primavera all’autunno con piccoli fiori tubulosi, numerosi e colorati, che spaziano dal bianco al rosa fino al lilla. Il loro delicato profumo attira api e farfalle, rendendo l’abelia una risorsa preziosa per il giardino e la sua biodiversità.

    Per quanto riguarda l’esposizione, predilige un luogo soleggiato, ma può adattarsi anche all’ombra parziale. Posizionare l’arbusto in una zona soleggiata favorisce una fioritura più abbondante e un fogliame dai colori vivaci: in estate, durante le ore centrali della giornata, è consigliabile spostarlo però temporaneamente in un luogo più in ombra se coltivato in vaso.

    Pur essendo resistente, in caso di inverno rigido la pianta può perdere il suo fogliame e soffre i venti freddi, dovendo proteggerla con un telo. L’abelia va piantata in autunno o in primavera, in un terreno drenato, fertile, umido e leggermente acido, anche se cresce nei substrati sabbiosi e argillosi.

    Abelia, coltivazione in giardino e vaso
    Pianta ornamentale molto apprezzata, l’abelia è facile da coltivare e non richiede cure complesse. Se coltivata in piena terra, i semi di abelia vanno posizionati in superficie, visto che necessitano di luce per germinare, mantenendo una distanza di 5 centimetri tra ciascuno. Una volta cresciute, le piantine possono essere diradate a una distanza di 40-50 centimetri, in quanto l’abelia tende a svilupparsi in ampi cespugli.

    La coltivazione tramite semi può richiedere però molto tempo e non sempre porta a una germinazione uniforme. Proprio per questo, per avere maggiori possibilità di successo e ottenere le piantine più velocemente, si può procedere con la propagazione per talea, con cui ricavare esemplari uguali alla pianta madre.

    Un’alternativa consiste nel mettere a dimora una pianta di abelia cresciuta in vaso: si procede creando una buca di almeno 30 cm, ponendo sul fondo uno strato di argilla espansa o sabbia per aumentare il drenaggio e riempiendola con del terriccio fertile unito a del compost. Si estrae la pianta dal contenitore delicatamente per poi porla nella buca e ricoprirla con il substrato, compattando il tutto e irrigandolo in modo abbondante.

    L’abelia si presta a essere coltivata in vaso, dovendo scegliere un recipiente abbastanza capiente, di 30-40 centimetri di diametro, per garantire spazio sufficiente alle radici. Il vaso deve avere fori di drenaggio in modo da evitare i ristagni d’acqua. Il terriccio impiegato deve essere leggero, fertile e arricchito con compost maturo, sabbia e perlite. Sul fondo del recipiente è possibile aggiungere uno strato di ghiaia oppure argilla espansa per aumentare ulteriormente il drenaggio.

    Come nel caso della semina in piena terra, i semi vanno posti in superficie e appena ricoperti con il terreno, in modo che ricevano la giusta quantità di luce per germogliare. I semi vanno distanziati di 2-3 centimetri l’uno dall’altro per poi trapiantare le piantine in vasi singoli una volta diventate robuste e con almeno 2-3 foglie. Anche per questa opzione procedere tramite semi può richiedere più tempo, mentre la propagazione tramite talea consente di ottenere nuove piantine in modo più rapido.

    Durante la stagione vegetativa, la pianta può essere concimata ogni 4-6 settimane con un fertilizzante per piante da fiore. Ogni 2 anni si procede con il rinvaso ricorrendo a un contenitore più grande.

    Abelia e la sua cura
    La manutenzione dell’abelia è semplice, ma richiede alcune cure specifiche. Per quanto riguarda l’irrigazione, la pianta necessita di annaffiature costanti in particolare durante i periodi di siccità, dovendo mantenere il terreno umido e mai secco. Tuttavia è sempre importante evitare i ristagni idrici, responsabili del marciume radicale. Da marzo a ottobre si può annaffiarla una volta a settimana: durante l’estate è bene procedere al mattino presto, premurandosi che non ci sia troppa differenza tra la temperatura dell’acqua e quella dell’apparato radicale, potenziale causa di stress. Tra un’irrigazione e l’altra bisogna sempre verificare che il terreno sia asciutto. Durante il periodo invernale le annaffiature vanno ridotte.

    La potatura dell’abelia non è strettamente richiesta, ma può essere utile per mantenerne la forma e la salute. All’inizio della primavera si può intervenire leggermente rimuovendo i rami morti, danneggiati e incrociati. Dopo la fioritura, è possibile eliminare i germogli in eccesso e i rami meno robusti, favorendo così la nuova produzione di fiori.

    Manutenzione dell’abelia
    L’abelia è molto resistente e, se curata con le giuste accortezze, tende a non essere soggetta a parassiti e malattie. Malgrado questo, può essere attaccata occasionalmente da afidi, acari, mosche bianche e ragnetto rosso o da malattie fungine. Per contrastare questi problemi, è necessario intervenire prontamente, utilizzando prodotti ad hoc o rimedi naturali come miscele di acqua e sapone oppure olio di neem.

    Un’altra criticità che può presentarsi è la mancata fioritura, dovuta spesso alla concimazione non sufficiente e alla scarsa luce: per ovviare a questo problema, bisogna nutrire la pianta con del fertilizzante e spostarla in un luogo più soleggiato.

    I rami che perdono le foglie possono essere la spia di un substrato eccessivamente secco o di un vaso troppo piccolo. In questi casi bisogna aumentare le irrigazioni e rinvasare l’abelia in un recipiente più grande. LEGGI TUTTO

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    Le scie degli aerei sono responsabili di un effetto serra indiretto

    Le scie di condensazione generate dal passaggio degli aerei di linea possono essere dannose per l’ambiente. Più di quando si credesse in passato – al netto delle teorie complottiste sulle presunte scie chimiche. Il tema di fondo è che sempre più ricercatori e studi, sostengono che i cosiddetti contrail (condensation trail), di fatto scie lunghe e sottili di vapore acqueo e cristalli di ghiaccio che si manifestano in cielo dagli scarichi dei velivoli, possono contribuire al riscaldamento climatico attraverso l’effetto serra indiretto. Il tema era emerso già diversi anni fa, adesso arrivano nuove conferme capaci di delineare quali tipo di scie hanno impatto e in quali condizioni.

    Scie di condensazione ed effetto serra indiretto
    I contrail si formano in specifici casi, ovvero quando il vapore acqueo, presente nei gas di scarico dei motori dei velivoli, si cristallizza attorno alla fuliggine espulsa dal motore. Un fenomeno abbastanza diffuso; è sufficiente volgere gli occhi al cielo. Normalmente le scie si dissipano in tempi relativamente rapidi, ma nell’alta atmosfera (sopra i 3mila metri) dove l’aria è già sovrasatura di ghiaccio, prendono un’altra consistenza e diventano persistenti. In alcuni casi si parla di ore e lunghezze di centinaia di chilometri, con il rischio di trasformazione in vere e proprie nubi artificiali. In pratica questi banchi intrappolano il calore irradiato dalla superficie terrestre, aumentando il riscaldamento globale. L’effetto è paragonabile a quello dei gas serra.

    L’industria aeronautica è scettica al riguardo. International Air Transport Association sostiene che “la comprensione scientifica degli effetti climatici dell’aviazione, diversi dalla CO2, è cresciuta, ma permangono notevoli incertezze nella previsione della formazione delle scie di condensazione e dell’impatto climatico”.

    Trasporti

    Lo studio T&E: “Meno scie e cambio di tragitto per il 3% dei voli per dimezzare le emissioni”

    di Pasquale Raicaldo

    13 Novembre 2024

    L’organizzazione non-profit Contrails.org è di diverso avviso. Ha stimato che le emissioni di CO2 dell’aviazione, dal 1948 al 2018, hanno contribuito per circa 1,5% del riscaldamento globale. Mentre considerando le scie di condensazione bisognerebbe aggiungere un ulteriore 1–2%. In sintesi tra emissioni di CO2 dovute alla combustione del carburante e l’effetto schermo si rischia un “doppio riscaldamento climatico”, come ha dichiarato lo scorso anno Edward Gryspeerdt, ricercatore presso il Grantham Institute for Climate Change and the Environment dell’Imperial College di Londra e autore di uno studio sull’argomento.

    Per altro secondo l’esperto, gli aerei più moderni sarebbero più dannosi di quelli vecchi, proprio a causa della loro migliore efficienza e della conseguente riduzione delle temperature dei gas di scarico – che favorirebbe la creazione di scie.

    E le prospettive future sembrerebbero anche peggiori, almeno a opinione del gruppo di attivisti di Transport and Environment. In base alla loro ricerca, nell’arco di 20 anni l’effetto serra indiretto causato dalle scie di condensazione di un singolo volo sarà più dannoso delle sue emissioni di anidride carbonica. L’unico controbilanciamento è dato dal fatto che in 100 anni i contrail di un volo genereranno solo un terzo dell’effetto di riscaldamento causato dalle emissioni di carbonio.

    La polemica

    Trump cancella le informazioni sulla crisi climatica ma rilancia sulle scie chimiche

    di Giacomo Talignani

    15 Luglio 2025

    La soluzione è in un cambio di rotta
    Royal Aeronautical Society (RAS) nel 2023 ha pubblicato uno studio sulle strategie di mitigazione del fenomeno della supersaturazione del ghiaccio. Ebbene, la più semplice teoricamente potrebbe essere quella di effettuare rotte che evitano gli strati più a rischio. Per altro richiederebbe solo un consumo extra di carburante. La stima è che per una rotta che prevede un 20% di tratta a rischio sarebbe sufficiente l’impiego di uno 0,5% di carburante in più. Ma non è così semplice perché le condizioni meteorologiche incidono su ogni parametro e quindi bisognerebbe renderebbe le rotte molto più flessibili, forse troppo, poiché verrebbero richiesto anche di cambiare altezza e direzione. L’analista aeronautico Andrew Charlton ha confermato al Financial Times che questo approccio complicherebbe i piani di volo sia per i piloti che per i controllori di volo.

    La convinzione diffusa però è che adesso che è emerso il problema sia la progettazione dei velivoli che i sistemi di rotta e controllo possano individuare metodi adeguati per ridurre l’impatto ambientale. LEGGI TUTTO

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    Non solo spazzatura: dai rifiuti elettronici possiamo estrarre materie prime critiche

    I rifiuti elettronici europei non sono solo spazzatura, ma anzi una miniera dalla quale poter recuperare le materie prime critiche, spesso molto difficili da reperire ma cruciali per lo sviluppo tecnologico ed economico dell’Unione europea. A sottolinearlo è il nuovo rapporto Critical Raw Materials Outlook for Waste Electrical and Electronic Equipment, redatto dal consorzio FutuRaM e finanziato dall’Unione Europea, che, in occasione dell’International E-Waste Day, che si celebra oggi 14 ottobre, evidenzia appunto come le materie prime critiche disponibili nella “miniera urbana” di rifiuti elettronici europei potrebbero raddoppiare entro il 2050, e che con il riciclaggio si potrebbe ridurre la loro domanda, isolando l’Ue dai rischi per la sicurezza dell’approvvigionamento, creando posti di lavoro e, al contempo, promuovendo l’agenda climatica.

    Le materie prime critiche
    Le materie prime critiche (in inglese critical raw materials, Crm) sono materiali come per esempio rame, alluminio, silicio, tungsteno e palladio, che, però, presentano alti rischi di approvvigionamento, perché difficili da reperire e dipendenti da pochi Paesi fornitori. Sapere quali prodotti e componenti contengono quali materie prime critiche è quindi il primo passo per recuperarli. Sono presenti, per esempio, in molti dispositivi di utilizzo comune: il rame in cavi e schede, l’alluminio in involucri e telai e metalli del gruppo del platino nei display. Piccole quantità di palladio, neodimio, disprosio, tantalio, gallio e altre terre rare vengono invece utilizzate in laptop, touchscreen, asciugacapelli, trapani elettrici, controller di gioco e dispositivi medici.

    “È difficile immaginare la civiltà moderna senza materie prime critiche”, ha commentato Pascal Leroy, direttore generale del Waste Electrical and Electronic Equipment Forum, l’organizzazione che promuove l’International E-Waste Day. “Senza di esse, non possiamo costruire le batterie, le turbine, i chip e i cavi che sostengono il futuro verde e digitale dell’Europa. Sfruttando i nostri rifiuti elettronici anziché il pianeta, gli europei hanno una grande opportunità di costruire le proprie catene di approvvigionamento circolari, ridurre l’esposizione agli shock globali e garantire i mattoni del nostro futuro”.

    I dati sul riciclo
    Dal nuovo rapporto, che ha analizzato i dati completi in tutta l’Ue che tracciano le Aee dalla prima vendita fino al recupero a fine vita, è emerso che sono state generate 10,7 milioni di tonnellate di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), pari a circa 20 kg a persona, nel 2022, di cui 1 milione di tonnellate di materie prime critiche. Il 54% del totale (5,7 milioni di tonnellate) è stato gestito in conformità alle normative Ue, e ciò ha permesso di recuperare circa 400 mila tonnellate di materie prime critiche, nonostante ne siano andate perse circa 100 mila tonnellate. Il rimanente 46% dei totale, invece, è stato gestito al di fuori dei canali conformi e ciò ha causato perdite ingenti: 3,3 milioni di tonnellate mescolate a rottami metallici, 700 mila tonnellate di rifiuti elettronici smaltite in discarica o incenerite e 400 mila tonnellate esportate per il riutilizzo.

    Le previsioni
    Entro il 2050, si prevede che il volume totale di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche aumenterà da queste 10,7 milioni di tonnellate a una quantità compresa tra 12,5 e 19 milioni di tonnellate all’anno e che la quantità di materie prime critiche aumenterà da circa 1 milione di tonnellate a una quantità tra 1,2 e 1,9 milioni di tonnellate all’anno.

    A seconda delle scelte politiche, dei tassi di raccolta e dell’efficienza del riciclo, l’Europa potrebbe recuperare una maggiore quantità di materie prime critiche, compresa tra 0,9 e 1,5 milioni di tonnellate all’anno. Ma per farlo, dovrà ampliare la raccolta con più punti di ritiro, migliorare la progettazione per lo smantellamento e aumentare la capacità di riciclo dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.

    “L’Europa dipende da paesi terzi per oltre il 90% delle sue materie prime critiche, eppure ne ricicliamo solo una piccola parte, pari all’1%”, ha commentato Jessika Roswall, commissaria Ue per l’ambiente, la resilienza idrica e l’economia circolare competitiva. “Abbiamo bisogno di un vero cambiamento di mentalità nel modo in cui l’Europa raccoglie, smantella e trasforma questa montagna di rifiuti elettronici in rapida crescita in una nuova fonte di ricchezza. Le perturbazioni commerciali, dai divieti di esportazione alle guerre, mettono a nudo la vulnerabilità dell’Europa. Il riciclo è sia un imperativo ambientale che una strategia geopolitica”.

    “I rifiuti elettronici europei non sono spazzatura, sono una risorsa multimiliardaria che aspetta solo di essere sbloccata”, ha aggiunto Kees Baldé, coordinatore scientifico del progetto FutuRaM e ricercatore principale del Global e-Waste Monitor. “Ogni chilogrammo che recuperiamo e ogni dispositivo che ripariamo rafforza la nostra economia, riduce la nostra dipendenza e crea nuovi posti di lavoro. Avere le informazioni giuste è fondamentale per il processo decisionale e lo sviluppo di politiche volte a migliorare la gestione delle risorse”. LEGGI TUTTO