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    Aglaonema, come curare la “pianta del buio”

    Sono molte le persone che la scelgono come pianta da appartamento e vedendone la conformazione e scoprendone la facilità di coltivazione è facile capirne il motivo. L’Aglaonema è infatti una pianta da interni molto popolare: originaria delle foreste tropicali e subtropicali dell’Asia, è in grado di crescere senza difficoltà anche in condizioni di scarsa luminosità. Non a caso, infatti, è anche chiamata “pianta del buio”, ma nonostante non richieda difficili attenzioni, è necessario seguire alcuni semplici step per prendersene cura al meglio.

    Caratteristiche dell’Aglaonema: la sempreverde cinese
    Appartiene alla famiglia delle Araceae e conta circa 50 varietà differenti. L’Aglaonema, conosciuta anche come “sempreverde cinese”, è caratterizzata da foglie oblunghe e lanceolate, elementi che la rendono particolare ed esteticamente apprezzata. Queste, infatti, possono andare dal verde screziato di bianco, al giallo, al rosso vivo o addirittura anche al rosa. L’Aglaonema produce inoltre delle infiorescenze a spadice molto simili a quelle della Calla. Ciò che comunemente chiamiamo fiore, nell’Aglaonema è chiamato spadice, ossia quella specie di “asta” che si nota al centro della spata (foglie bianche e/o verdi che avvolgono il fiore, dette anche “brattee”).

    Le varietà
    Dell’Aglaonema ci sono circa cinquanta varietà, che la rendono ancora più interessante dal punto di vista estetico. Tra le più note ci sono: l’Aglaonema Silver Queen, il cui nome suggerisce il colore delle venature delle sue foglie, ovviamente argentate. Si tratta di una varietà particolarmente apprezzata per essere resistente e adattabile a varie intensità di luce. Accanto a questa non si può non citare l’Aglaonema Red Valentine, che presenta foglie verdi con bordi e venature rosso fuoco. Si aggiungono alla lista anche l’Aglaonema Maria, l’Aglaonema Pictum Tricolor e l’Aglaonema Emerald Beauty. La prima, molto popolare, presenta foglie verdi scure e venature un po’ più chiare, ma la sua particolarità sta nella sua capacità di purificare l’aria, rimuovendo alcune delle principali tossine. L’Aglaonema tricolore, invece, è una varietà un po’ più esotica rispetto alle altre e le sue foglie presentano tonalità che vanno dal verde, al bianco e anche al rosa. Rispetto a quella precedente, l’Aglaonema rosa ha bisogno di un po’ più di cura: umidità elevata e temperature non troppo basse. Infine, c’è l’Aglaonema Emerald, caratterizzata da foglie verdi luminosissime ed extra lucide. Questa varietà è perfetta per chi sta cercando una pianta resistente e dall’aspetto più tropicale delle altre: scarsa luminosità e siccità non le fanno paura.

    Esposizione e temperatura
    La coltivazione ideale dell’Aglaonema è in appartamento. In questo ambiente, infatti, la “pianta del buio” starà benissimo, dato che le temperature sotto i 15° non sono sue alleate. È importante evitare correnti d’aria fredde durante la stagione invernali, preferendo sempre zone interne alla casa che siano lontane da finestre o da fonti eccessive di calore. Lo pseudonimo “pianta del buio” descrive perfettamente la sua capacità di crescere bene anche in luoghi poco luminosi. L’Aglaonema, infatti, sopravvive anche con scarsa luminosità, ma sarebbe sempre meglio posizionarla in luoghi in cui questa sia presente, non in modo diretto (l’esposizione al sole non le farà bene), ma comunque presente nella giusta quantità. In particolare, l’Aglaonema tricolore, essendo nota per le sue foglie estremamente variegate, se esposta un po’ più alla luce apprezzerà e diventerà anche più luminosa. Durante l’estate l’Aglaonema va protetta dai raggi solari diretti: se colpita in modo forte, infatti, potrebbe seccarsi velocemente e le sue foglie potrebbero bruciarsi.

    Come annaffiare correttamente l’Aglaonema
    Essendo una pianta d’appartamento, l’Aglaonema necessita della giusta quantità d’acqua ma senza esagerare. Prima di procedere con una nuova annaffiatura, infatti, è sempre bene verificare l’umidità del terreno toccandolo semplicemente con un dito. Se questo si presenta asciutto nei primi centimetri, significa che l’Aglaonema deve essere bagnata, diversamente no. La frequenza di irrigazione aumenta nel periodo primaverile-estivo, mentre da novembre a febbraio la distanza tra un’annaffiatura e l’altra sarà più ampia. Oltre a ciò potrebbe essere molto utile nebulizzare le foglie in modo alternato: se non inumidito, infatti, la pianta perderà vigore, luminosità e compattezza.

    Come coltivare l’Aglaonema in vaso: consigli utili
    Una volta acquistata, l’Aglaonema può essere rinvasata senza troppa preoccupazione nel vaso selezionato, facendo attenzione a utilizzare sempre un terriccio adatto alle piante d’appartamento. Anche la concimazione è importante, meglio se annuale: si consiglia l’utilizzo o di un fertilizzante liquido per piante verdi (da diluire nell’acqua per l’annaffiatura) ogni 15 giorni in primavera e in estate e 1 sola volta al mese durante le stagioni fredde, oppure l’uso del concime a bastoncino per piante verdi, o ancora il concime a cessione programmata. Questi ultimi sono molto pratici: il primo basta infilarlo nel terreno ogni 8 settimane, mentre il secondo rilascerà tutte le sostanze nutritive direttamente nel terreno fino a ben 6 mesi (la distribuzione basterà eseguirla due volte all’anno).

    Quando rinvasare l’Aglaonema
    La cura dell’Aglaonema richiede piccole attenzioni, ma comunque necessarie. Ad esempio, dopo due anni dall’acquisto e dal suo invaso, si consiglia di travasare la pianta del buio in un vaso leggermente più grande. Durante questa operazione è altamente consigliabile verificare lo stato del terriccio ed eventualmente sostituirlo.

    Come curare la “pianta del buio”: problemi comuni
    La resistenza è una delle sue caratteristiche principali e questo si deve alla sua frequente coltivazione in ambienti chiusi. Tuttavia, l’Aglaonema può comunque essere colpita da Acari, Afidi e Cocciniglie, i nemici assoluti delle piante. Per prevenire questa situazione spiacevole, è consigliabile trattare la pianta del buio utilizzando il classico sapone molle, mentre in presenza di insetti si consigliano prodotti più specifici, come l’estratto di ortica o gli oli vegetali. Davanti a situazioni di “sofferenza” dell’Aglaonema, quindi foglie macchiate, malattie fungine (dovute soprattutto a una scorretta irrigazione o a un’esposizione solare troppo diretta), è sempre meglio rinvasare la pianta e sostituire il terriccio. LEGGI TUTTO

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    Il paradosso di Bezos, da grande “filantropo per il clima” ai complimenti al negazionista Trump

    L’ultima donazione l’ha fatta appena un paio di settimane prima delle elezioni americane: 60 milioni di dollari alla National Fish and Wildlife Foundation con lo scopo di ripristinare e conservare le praterie delle Grandi Pianure statunitensi. Fiumi di denaro per salvaguardare fiumi e territori naturali, una generosità che ha fatto scattare per il fondatore di Amazon Jeff Bezos e alla sua Bezos Earth Fund l’ennesimo applauso, con tanto di grazie da parte dei conservazionisti. Eppure, anche la figura del miliardario americano, così come quella di Elon Musk, primo sostenitore di Donald Trump, climaticamente parlando non è priva di incongruenze.

    Editoriale

    Una scomoda verità

    di  Riccardo Luna

    06 Novembre 2024

    Anzi, si potrebbe dire che è un paradosso: da una parte, come altre miliardari, Bezos per generare i suoi profitti è un forte emettitore di gas serra, sia per il consumo di energia sia per le spedizioni legate ad esempio ad Amazon e, contemporaneamente, lo è anche per il suo stile di vita. Una recente ricerca dell’Oxfam, che ha valutato l’impatto ambientale di 50 ultra ricchi (compresi Bezos e Musk), stima per esempio come in 90 minuti questi miliardari emettano più CO2 – tra aerei privati, yacht e investimenti nel fossile – di una persona media in tutto l’arco di una vita.

    Di recente però, a stridere con la sua figura di filantropico combattente contro la crisi del clima, c’è anche stato un tweet con cui Bezos, subito dopo la rielezione di Trump, si è congratulato con il neo presidente con parole dolci per colui che è considerato – da scienziati ed esperti di clima – non solo un negazionista che ha tacciato il riscaldamento globale come una “bufala”, ma anche un politico che intende andare in direzione totalmente contraria alla necessaria decarbonizzazione a suon di “trivellare, baby, trivellare” come ha detto più volte The Donald.

    Big congratulations to our 45th and now 47th President on an extraordinary political comeback and decisive victory. No nation has bigger opportunities. Wishing @realDonaldTrump all success in leading and uniting the America we all love.— Jeff Bezos (@JeffBezos) November 6, 2024

    Anche i media americani si interrogano su come Bezos possa essere un imprenditore contemporaneamente impegnato – con tanto di donazioni milionarie (finora sono già oltre 2 i miliardi di dollari elargiti) della sua Bezos Earth Fund – sia nella battaglia climatica, sia ad appoggiare il neo presidente degli States che di cambiamento climatico non vuol sentir parlare? Negli Stati Uniti la fondazione di Bezos è diventata una delle voci più influenti su clima e biodiversità ma non è stata esente da critiche proprio per questi possibili conflitti di interesse e per il ruolo, anche di inquinatore sia a livello di emissioni sia come impatto della plastica, del suo fondatore. Bezos però – e vale la pena ricordarlo in vista della Cop29, la Conferenza delle parti sul clima che sta per iniziare in Azerbaijian – da anni continua a sventolare la bandiera di magnate coinvolto in prima linea nella lotta al riscaldamento globale. C’era sempre lui, per esempio, dietro al Climate Pledge, un piano per puntare a zero emissioni nette nel 2040. E sempre lui, quando ha lanciato la sua fondazione, ha parlato del “più grande impegno filantropico di sempre per combattere il cambiamento climatico e proteggere la natura” e del fatto che “la Terra è l’unica cosa che abbiamo tutti in comune: proteggiamola, insieme”. Anche se ora si sta concentrando su altro rispetto ad Amazon, per esempio il suo Washington Post (che ha poi ritirato un possibile endorsement per Kamala Harris), e anche se Amazon stessa è impegnata a rendicontare le sue emissioni che sta tentando di tagliarle, alcuni media americani hanno dunque espresso perplessità per il tweet di Bezos in cui di fatto “bacia l’anello di Trump il vincitore” e si interrogano su un altro importante fatto.

    Emissioni

    In 90 minuti i miliardari più ricchi emettono più CO2 di un cittadino qualunque in una vita intera

    di  Giacomo Talignani

    04 Novembre 2024

    La transizione energetica ed ecologica, ora come ora, negli States è trainata dalle aziende: molte di quelle della Silicon Valley (e non solo) stanno guidando questo cambiamento e – mentre Trump promette di smantellare protezioni e impegni ambientali – sono quelle che potrebbero assicurarne la continuità. Per questo, scrive per esempio The Verge, “è imbarazzante il rapido appoggio di Bezos a Trump” dopo che lo stesso imprenditore si è impegnato ad essere uno dei più grandi filantropi per il clima a livello mondiale. Nella lista di coloro che giocano questo doppio ruolo, ricorda sempre The Verge, ci sono anche altri big – da Tim Cook di Apple a Mark Zuckerberg di Meta – che hanno fatto le loro congratulazioni al neo eletto presidente. Motivo per cui viene facile chiedersi: dietro questa strategia, non c’è forse un modo – più che per proteggere il clima – di proteggere soprattutto i propri interessi finanziari? LEGGI TUTTO

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    Microplastiche nelle acque reflue: nascondono virus e batteri

    Virus e batteri, alcuni pericolosi per la salute umana e per l’ambiente, sarebbero in grado di sopravvivere al trattamento delle acque reflue “nascondendosi” nelle microplastiche. Soprattutto quelle legate alla catena alimentare. È quanto emerge da un nuovo studio condotto dai ricercatori della Norwegian University of Life Sciences e pubblicato sulla rivista PLOS ONE.

    Il problema è stato riscontrato durante i test condotti negli impianti di trattamento progettati per eliminare i materiali contaminanti dalle acque reflue. In realtà, i ricercatori hanno scoperto che non solo i sistemi di depurazione non riuscirebbero a rimuovere le microplastiche, ma che al loro interno proteggono virus e batteri. A quel punto quando le acque reflue vengono rilasciate, sono colonizzate da biofilm microbici, patogeni per l’uomo e l’ambiente. “Questo studio evidenzia la possibilità che le plastidi contribuiscano alla diffusione di agenti patogeni dalle acque reflue trattate, ponendo sfide per la salute ambientale e gli sforzi di riutilizzo dell’acqua”, hanno spiegato i ricercatori. LEGGI TUTTO

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    “Con Trump meno vincoli all’industria petrolifera, ma sarà il mercato a guidare le sue scelte”

    “Drill, drill, drill”. L’incoraggiamento del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump a perforare in lungo e in largo la nazione che effetti avrà sul mercato mondiale dell’energia? “Potremmo assiste a un calo dei prezzi di petrolio e benzina, ma nel settore energetico ci sono dei trend definiti dall’industria, dalla tecnica, dall’economia, difficili da invertire anche se si siede nello Studio Ovale”, risponde Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia.

    Professor Tabarelli, Trump manterrà le promesse fatte alla lobby dei petrolieri americani?
    “Quello che ha detto in campagna elettorale sul petrolio è soprattutto retorica per prendere voti. Gli americani hanno l’ossessione della libertà di movimento, della benzina che costa 80 centesimi al litro e sulla quale nessun presidente metterebbe le tasse. Dopodiché Trump creerà probabilmente ulteriori facilitazioni all’industria petrolifera, per nuove esplorazione e nuovi gasdotti. Ma non vedo chissà quale spinta ai consumi”.

    Elezioni Usa 2024: la vittoria di Trump rischia di frenare la corsa contro il tempo per il clima

    di  Giacomo Talignani

    06 Novembre 2024

    Cosa glielo fa pensare?
    “I dati ci dicono che i consumi di petrolio Usa stanno calando nonostante una economia in crescita, quindi sta aumentando la loro efficienza energetica. Questi sono trend di fondo che vanno aldilà della politica. Ma poi c’è anche la preoccupazione dell’oil&gas per un eccessivo calo dei prezzi dovuto all’aumento della produzione: ci sarebbero meno guadagni e non solo negli Usa. La stessa cosa vale per gli alleati Sauditi e per i nemici Russi, primi e secondi nella classifica degli esportatori mondiali di greggio subito prima dell’America. Ma comunque non è escluso che Trump voglia far scendere i prezzi. Gli farebbe comodo per tenere sotto controllo l’inflazione, tema cruciale in campagna elettorale, e compensare le sue politiche che porteranno quasi certamente ad una crescita del debito pubblico Usa”.

    Editoriale

    Una scomoda verità

    di  Riccardo Luna

    06 Novembre 2024

    E per noi piccola Europa e piccolissima Italia cosa potrebbe cambiare?
    “Siamo grandi importatori di petrolio e gas, quindi una politica di spinta alle estrazioni potrebbe essere una buona notizia dal punto di vista dei prezzi: benzina e gasolio potrebbero costare meno. Anche se noi continuiamo a pagare carissimo il gas. Negli Usa è quotato 7 dollari al megawattora grazie al fracking, da noi quello importato proprio dall’America supera i 40”.

    Biden ha bloccato le trivellazioni in Alaska concesse da Trump  LEGGI TUTTO

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    Pfas, dalla carta da forno all’acqua: indistruttibili e (quasi) inevitabili

    Praticamente indistruttibili, potenzialmente nocivi. Soprattutto: presenti dappertutto, o quasi. Si chiamano PFAS, acronimo di perfluorinated alkylated substances. Vale a dire sostanze poli e perfluoro alchiliche, acidi molto forti con una struttura chimica in grado di renderli termicamente stabili e resistenti ai processi naturali di degradazione, al punto da essere definiti “inquinanti eterni”. La molecola più nota, l’acido perfluoroottanoico (PFOA), è stata classificata come “cancerogeno per l’uomo” sulla base di prove ‘sufficienti’ di cancro negli animali da esperimenti; possibile cancerogeno per l’uomo, sulla base di forti prove meccanicistiche, è anche l’acido perfluoroottansolfonico (PFOS). Sigle e nomi impronunciabili per composti chimici di origine sintetica che sono ovunque, intorno a noi. E spesso è persino difficile accorgersene, anche leggendo le indicazioni di prodotto.

    Carta da forno

    Sotto la lente d’ingrandimento, per esempio, finisce la diffusissima carta forno: per renderla resistente alle alte temperature e ai cibi grassi, i PFAS diventano utilissimi. Sottoposta a temperature troppo alte, espongono a un rischio di graduale esposizioni a tossicità. Un rischio trasversale: secondo l’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (Isde Italia) gran parte della carta forno in commercio in Italia conterrebbe PFAS (qui il .pdf). “Si tratta di tracce il più delle volte minime, che non presentano una tossicità acuta ma che possono interferire sui nostri sistemi biologici, per esempio favorendo la colesterolomia o problemi a reni e tiroide, talvolta – con l’accumulo anche nel cervello – causando persino problemi cognitivi”, spiega Sara Valsecchi, ricercatrice presso l’Istituto di Ricerca sulle Acque del Cnr.

    “Il punto – aggiunge – è che non c’è l’obbligo di riportare la loro presenza in etichetta. E allora è il legislatore che deve accelerare, magari su pressione dei consumatori”.

    Greenpeace e la campagna ‘Acque senza veleni’
    “Per orientarsi può essere fondamentale cercare le carte forno che siano dichiaratamente “PFAS free”, e in generale non superare mai le temperature limite di utilizzo specificate sulla confezione, senza disdegnare alternative assolutamente ecologiche, dai tappetini antiaderenti per il forno al vecchio metodo del burro e della farina”, spiega Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, che da anni insiste sulle conseguenze dei PFAS sulla salute umana. E che ha appena concluso la seconda parte della campagna “Acque senza veleni”, raccogliendo campioni di acqua potabile in 260 comuni in tutte le regioni italiane, per verificare proprio la presenza di PFAS.“A breve avremo i risultati – dice – anche se sono già noti diversi gravi casi di contaminazione, come in alcune aree del Veneto, dove più di 350 mila persone sono esposte al problema, e del Piemonte, dove a rischio sarebbero almeno 77 comuni. Noi abbiamo esteso i controlli in tutto il Paese, quelli delle istituzioni sono frammentari se non addirittura assenti. Un’inerzia che rischia di trasformare l’inquinamento da PFAS in un’emergenza nazionale fuori controllo”.

    Ambiente e salute

    Basta bottiglie di plastica, inquinano e contengono inquinanti

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    25 Settembre 2024

    Nelle falde, nei corsi d’acqua e, infine, nei nostri rubinetti le sostanze arrivano dopo essere liberate dall’industria chimica o da quelle che impiegano queste molecole nella produzione. “Ma anche i depuratori non sono attrezzati, e dunque sotto accusa ci sono anche i reflui industriali e civili”, dice Ungherese.

    Salute

    Pfas nelle giacche a vento per bambini: rintracciate le sostanze chimiche nocive nel 63% dei test

    di Paolo Travisi

    25 Aprile 2024

    Dal Dopoguerra a oggi: storia di un “boom”
    La storia dei PFAS ha quasi un secolo, la loro fortuna è nell’impermeabilità all’acqua e la resistenza ai grassi. “Sono composti industriali che hanno iniziato a diffondersi dal Dopoguerra, quando se ne sono comprese le applicazioni industriali: sono, di fatto, indistruttibili. – rileva, dal suo laboratorio del Cnr, Sara Valsecchi – Ma quella che è la loro forza si è rivelata una criticità: restano nell’ambiente, ce li ritroviamo nell’acqua e nel cibo, si muovono attraverso l’aria. Sono difficili da rimuovere. Il 98% della popolazione occidentale è esposta al rischio da una loro contaminazione nel tempo”.

    Già, perché l’utilizzo dei PFAS è ultra-pervasivo: la carta forno è in ottima compagnia. “Dai vestiti alle padelle antiaderenti, fino ai contenitori alimentari in carta con protezione oleorepellente, sono utilizzati dappertutto. – segnala Ungherese – Persino sui monitor di alcuni smartphone e sul rivestimento del filo interdentale”.
    Ma qualcosa si muove: l’Agenzia Americana per la Protezione Ambientale ha proposto standard più restrittivi, per esempio, sui PFAS presenti nell’acqua potabile (il livello di Pfoa e i Pfos deve rimanere inferiore a quattro parti per trilione ovvero quattro nanogrammi per litro). “In Italia entrerà in vigore una nuova legge nel 2026, ma i limiti sono più alti e non tengono conto della cancerogenicità delle due sostanze, emersa proprio mentre il decreto seguiva il suo iter”, denuncia il responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Chiediamo allora che si preveda l’obbligo di dichiararne la presenza nell’etichettatura dei molteplici prodotti in cui sono utilizzati, pur sapendo che è al momento utopistico in assenza di obblighi di legge. – aggiunge – Nel frattempo, i consumatori possono condizionare il mercato, scegliendo solo prodotti per i quali è espressamente specificata l’assenza dei PFAS”.

    Scegliere bene per indirizzare il mercato
    “Del resto al momento non c’è alcun obbligo. – ribadisce Valsecchi – Di certo i consumatori possono ridurre al minimo l’utilizzo di packaging alimentare, in particolare quello legato al cibo precotto. Tracce di PFAS sono presenti, per esempio, nei diffusissimi cartoni della pizza”.Una crescente attenzione dei consumatori potrebbe, dunque, premiare le realtà virtuose. “Nel caso delle padelle antiaderenti, gli esempi di aziende che dichiarano l’assenza di PFAS non mancano”, rileva la voce di Greenpeace. E sui social hanno sempre più seguito influencer come Rossana Dian, che ha ideato una linea di pentole antiaderenti prive di PFAS, PTFE e altre sostanze potenzialmente nocive.

    Unione Europea

    Pfas, le nuove regole Ue sulle sostanze pericolose per l’ambiente e la salute

    di  Cristina Bellon

    24 Settembre 2024

    “Abbiamo motivo di credere che la strada verso un utilizzo ridotto al minimo delle sostanze perfluoro alchiliche sia segnata. – dice Valsecchi – Fino a qualche anno fa erano presenti in quantità significative anche nei cosmetici, a contatto diretto con la pelle. Poi, quasi tutte le realtà industriali li hanno eliminato, su pressione degli enti regolatori. Noi del Cnr, in qualità di consulenti del ministero dell’Ambiente sui tavoli Ue, siamo pronti a ribadire la necessità di un cambio di passo”. LEGGI TUTTO

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    Come coltivare il topinambur in vaso e in giardino

    Noto anche con il nome di carciofo di Gerusalemme, il topinambur appartiene alla famiglia delle Asteraceae. Questa splendida pianta perenne è apprezzata per i suoi tuberi, commestibili sia crudi, sia cotti, che sono molto simili allo zenzero. Originaria del nord America, la sua coltivazione è piuttosto semplice, visto che non richiede cure particolari. Inoltre, si adatta bene a qualsiasi tipo di suolo, anche se preferisce quelli ben drenati.

    Topinambur: dove posizionarlo
    Pianta del genere Helianthus, dotata di infiorescenza a capolino, il topinambur viene chiamato a livello scientifico Helianthus tuberosus. Questa pianta rustica è bulbosa e perenne e si contraddistingue per le sue radici e i suoi fiori gialli, che assomigliano a delle margherite. Il topinambur crescendo raggiunge fino ai 3 metri di altezza: ne esistono diverse varietà, tra le quali la più comune è la helianthus tuberosus, contraddistinta da uno sviluppo molto rigoglioso, tuberi di grandi dimensioni e una forte resistenza alle malattie. Questa pianta perenne rizomatosa sopporta bene il freddo, prosperando in diverse condizioni climatiche e terreni differenti, prediligendo quelli drenati, ben lavorati e ricchi di sostanze nutritive.

    Il topinambur va posizionato in un luogo che sia soleggiato, facendo in modo che riceva tra le 6 e le 8 ore di luce solare diretta al giorno, assicurando così un suo sviluppo ottimale. Tuttavia un sole troppo intenso potrebbe danneggiarne le foglie: quindi, dovrà essere collocato in una zona in cui riceva il sole al mattino e nel resto della giornata l’ombra. Anche se si adatta alle zone di ombra parziale, un’esposizione alla luce solare ridotta può comportare meno fiori e una crescita minore. Per quanto riguarda la temperatura per la sua coltivazione dovrebbe essere tra i 15 e i 20 gradi. Il topinambur è molto produttivo e richiede un luogo spazioso, visto che tende a espandersi: contraddistinto da una crescita rapida, si sviluppa molto in altezza.

    Come coltivare il topinambur
    Facile da coltivare e dalla bassa manutenzione, il topinambur si può piantare in giardino durante la primavera, periodo perfetto per il suo clima più mite, in modo tale da raccogliere tra maggio e settembre le radici. I tuberi vanno posizionati a circa 15 centimetri di profondità, lasciando tra di loro una distanza di 30 centimetri.

    Oltre che in giardino, il topinambur può essere coltivato in vaso: si dovrà ricorrere a un contenitore di grandi dimensioni, per permettere alla pianta di sviluppare con facilità le sue radici. Al suo interno va posto un mix di sabbia e argilla per poi piantare i tuberi sempre a 15 centimetri di profondità, operazione che in questo caso può essere eseguita dalla fine dell’inverno alla primavera, eccetto quando il terreno diventa congelato. Visto che la pianta continua a germogliare e moltiplicarsi da sola, quando viene piantata non sono necessari successivi trapianti.

    Quando raccogliere i tuberi
    I tuberi del topinambur impiegano tra i 90 e i 120 giorni per maturare. Questo ortaggio invernale va raccolto tendenzialmente durante l’autunno fino a dicembre, quando la pianta diventa tutta secca in seguito alla fioritura. Più l’arbusto è alto e il fusto è grande più sottoterra il topinambur darà soddisfazioni: la grandezza dei tuberi prodotti è strettamente connessa alla tipologia di terreno e quanto è stato lavorato.

    Il processo di raccolta può essere eseguito nel corso del tempo, raccogliendo i tuberi al bisogno di volta in volta, visto che resistono anche nel corso dell’inverno. Per la raccolta è necessario scavare i tuberi dal terreno sottostante la pianta, ricorrendo a una zappa oppure una forca da vangatura, andando a una profondità dai 10 ai 25 centimetri.

    Prendersi cura del topinambur: consigli utili
    Il topinambur richiede una bassa manutenzione. Per assicurarsi un suo sviluppo rigoglioso è necessario occuparsi in modo regolare delle sue annaffiature, visto che per crescere richiede una buona quantità d’acqua. Tuttavia, è importante evitare di inzuppare totalmente il terreno per scongiurare i ristagni idrici. Durante la primavera e l’estate, il topinambur dovrebbe essere bagnato circa una volta alla settimana. In caso di estati molto calde, la frequenza va aumentata a una volta al giorno, mentre dopo il periodo del raccolto si può interrompere considerando che la pianta ha raggiunto il suo ciclo di vita non avendo più bisogno di un terreno umido. Appena interrato è cruciale mantenere il terreno sempre ben umido per far sì che le radici si sviluppino in modo ottimale.

    Nel corso della crescita del topinambur è necessario nutrirlo, ricorrendo a un fertilizzante ricco di azoto da impiegare ogni 2 settimane. Per quanto riguarda la potatura, questa operazione è fondamentale: all’inizio della stagione primaverile è necessario tagliare gli steli morti oppure deboli, occupandosi successivamente dei germogli sovraffollati. Eseguire la potatura assicura una corretta circolazione dell’aria, consentendo alla pianta di crescere in modo più rigoglioso e dicendo addio all’insorgere di eventuali malattie.

    Inoltre, bisogna ricordarsi anche di tagliare le foglie secche e di rimuovere le erbacce con regolarità. Questo ortaggio può essere attaccato da malattie e parassiti, come gli afidi e le limacce, che ne rallentano la crescita, contribuendo anche a portarlo alla morte e, pertanto, qualora si presentino bisogna intervenire tempestivamente ricorrendo a dei prodotti ad hoc. LEGGI TUTTO

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    Cop29: von der Leyen, Macron e Putin saltano il vertice del clima a Baku

    A meno di una settimana dall’inizio della Cop29 in Azerbaijan alcuni leader mondiali delle principali economie, tra cui Stati Uniti, Russia, Unione Europea, Brasile e Francia hanno annunciato che non saranno presenti all’evento più importante dedicato al cambiamento climatico e al futuro del pianeta. L’ultima defezione è arrivata dalla presidente della Commissione europea Ursula von […] LEGGI TUTTO

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    Sempre meno risorse idriche in Italia: nel 2023 sono diminuite del 18,4% a causa della siccità

    Nel 2023 la precipitazione totale annua relativa al territorio nazionale, con quasi 924 mm, corrispondenti a circa 280 miliardi di metri cubi, ha fatto registrare un aumento del 28,5% rispetto al 2022, anno in cui con circa 719 mm si è toccato il minimo storico dal 1951 ad oggi. Tuttavia, confrontata con la precipitazione media sul lungo periodo 1951-2023 (quasi 950 mm) quella del 2023 risulta in leggera flessione. Perché questo incremento rispetto al 2022? Prevalentemente per l’elevato volume di piogge nel mese di maggio del 2023, stimato in quasi 163 mm, circa 49 miliardi di metri cubi, che è stato, a livello nazionale, più del doppio di quello che mediamente caratterizza lo stesso mese (circa 23 miliardi di metri cubi sul lungo periodo).
    È quanto emerge dalle valutazioni prodotte dall’Ispra attraverso il modello Bigbang che fornisce il bilancio idrologico nazionale, il quadro quantitativo della risorsa idrica e, più in generale, la situazione idrologica nel 2023, ricostruendo trend e differenze rispetto ai valori medi del lungo periodo 1951-2023 e del trentennio climatologico 1991-2020.

    Lo studio

    Clima, nei prossimi due decenni il 70% della popolazione subirà i danni delle temperature estreme

    di Fiammetta Cupellaro

    09 Settembre 2024

    Le stime del Bigbang mostrano che nel 2023 il contributo alla ricarica degli acquiferi in Italia è stato di 53 miliardi di metri cubi (corrispondente al 19% delle precipitazioni), a fronte di una media annua del 22,7% sul periodo 1951-2023. L’aliquota di precipitazione che si è trasformata in deflusso superficiale – vale a dire che non si è infiltrata o che non è stata trattenuta dal suolo – è stimata in circa 66 miliardi di metri cubi, corrispondenti al 23,7% della precipitazione, rispetto a un’aliquota media annua di poco più del 25% sul lungo periodo. La quota di evapotraspirazione ha raggiunto il 59,4% della precipitazione, rispetto alla media annua di lungo periodo che ammonta a circa il 52%. Ciò è stato causato dalle alte temperature, superiori alle medie climatologiche di riferimento, verificatosi anche nel 2023.

    Agricoltura

    Meteo estremo, inquinamento e import: il miele italiano è ancora in crisi

    di  Antonio Piemontese

    01 Novembre 2024

    A scala nazionale, nel 2023 si conferma, come ormai avviene da diversi anni, il trend negativo della disponibilità naturale di risorsa idrica rinnovabile, (la quantità di precipitazione – al netto della perdita per evapotraspirazione – che rimane disponibile nell’ambiente per gli ecosistemi e per i diversi usi). Con i suoi circa 373 mm, corrispondenti a 112,4 miliardi di metri cubi sul territorio nazionale, la disponibilità di risorsa idrica, sebbene in ripresa rispetto al minimo storico del 2022 (quasi un +68%), ha fatto comunque registrare una riduzione a livello nazionale del 18,4% rispetto alla media annua del lungo periodo 1951-2023 e di quasi il 16% rispetto al trentennio climatologico 1991-2020. Tale riduzione è l’effetto combinato di un deficit di precipitazione, specialmente nei mesi di febbraio, marzo, settembre e dicembre, e di un incremento dei volumi idrici di evaporazione dagli specchi d’acqua e dal terreno e di evapotraspirazione dalla vegetazione.

    A livello di distretto idrografico, il massimo valore della disponibilità naturale della risorsa idrica nel 2023 è quello delle Alpi Orientali, con un valore di circa 664 mm (poco più di 23 miliardi di metri cubi), valore che costituisce il 51,2% della precipitazione annua e che corrisponde a circa 5 volte la disponibilità di risorsa nel Distretto della Sicilia per lo stesso anno. Nel 2023, è infatti il Friuli Venezia Giulia la Regione con il massimo di precipitazione totale annua (più di 1750 mm), così come è la Sicilia la Regione con il valore minimo di precipitazione (565,5 mm). In termini di disponibilità naturale della risorsa idrica, è tuttavia la Puglia la Regione che segna il minimo con 100 mm nel 2023 (quasi la metà del valore medio sul lungo periodo).

    In linea generale, la siccità ha continuato a caratterizzare tutto il 2023 pur in maniera diversificata sul territorio nazionale e sebbene in minor misura rispetto al 2022. Situazioni di siccità estrema e severa hanno interessato nei primi mesi dell’anno – in particolare nel mese di febbraio – i territori del Nord e del Centro Italia, già colpiti dalla grave siccità del 2022, attenuandosi nel corso del 2023. Di contro, negli ultimi tre mesi dell’anno, che generalmente risultano i più piovosi, in particolare in Sicilia e in parte della Calabria ionica, si è registrato un consistente deficit di precipitazione. Tale deficit ha determinato una situazione di siccità estrema con effetti in termini di severità idrica che si sono protratti nel 2024 investendo il centro-sud Italia e le isole maggiori e aggravandosi ulteriormente per le scarse precipitazioni nel prosieguo dell’anno. LEGGI TUTTO