Settembre 2024

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consigliato per te

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    Riscaldamento, torna il bonus per rinnovare l’impianto con biomassa o pompa di calore

    Tornano i bandi della Regione per chi decide di rottamare vecchie stufe e camini per passare ad impianti a biomasse più efficienti oppure per cambiare totalmente la tipologia di riscaldamento e passare all’elettrico. Un’opportunità offerta tra l’altro da Emilia-Romagna, Lazio, Campania e Friuli. I contributi regionali sono integrativi agli interventi che possono essere finanziati dal […] LEGGI TUTTO

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    Valditara: “L’appello dei pedagogisti sugli smartphone segue la mia linea”

    L’appello dei pedagogisti, pubblicato su Repubblica, per il divieto dell’uso dei telefoni cellulari e dei social rispettivamente sotto i 14 e i 16 anni, “va nella direzione che io ho fortemente sostenuto e che ho trasformato in realtà con il divieto dell’utilizzo del cellulare fino a 14 anni nelle scuole italiane”, spiega il ministro dell’Istruzione […] LEGGI TUTTO

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    Dentro il grande caos dei concorsi per docenti: metà sono ancora da fare. Obiettivo 46.000 assunzioni fallito. La scuola riparte sulle spalle dei soliti precari

    ROMA – La ripartenza della scuola – mercoledì 11 settembre e giovedì 12 le date valide per la maggior parte delle regioni italiane – rimette al centro la questione della presenza, e della bontà, dei docenti italiani. Dalla loro qualità e dalla loro continuità dipendono molte delle sorti formative degli studenti del Paese. LEGGI TUTTO

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    Le foreste vergini possono salvare il Pianeta

    Sono il polmone verde del pianeta: essenziali per noi, custodi della biodiversità globale. Ma le foreste non se la passano troppo bene. Ed è colpa, neanche a dirlo, del cambiamento climatico. Aleggia così lo spettro di un ritorno al passato ancestrale: a quando, cioè, 300 milioni di anni fa, la terra era decisamente più calda e non c’erano foreste. Neanche umani, però. C’è un ultimo, interessante studio che fa ora luce sui possibili scenari futuri legati al riscaldamento globale e che, soprattutto, sembra indicare una strada maestra per preservare il patrimonio rappresentato dalle foreste. Il titolo è singolare: “The soil-conscious forestry and the forbidden apple”, vale a dire “La selvicoltura attenta al suolo e la mela proibita”.

    La metafora biblica – toccare il frutto avrebbe avuto conseguenze devastanti per l’umanità – rimarca l’inderogabile necessità di evitare qualsiasi impatto antropico sulle foreste ancora vergini, le cosiddette Intact Forest Landscapes. I tratti più estesi si trovano nei bacini del Rio delle Amazzoni e del Congo e nelle foreste boreali settentrionali, il 75% della loro estensione globale è dunque compreso tra Canada, Russia, Brasile, Perù e Repubblica Democratica del Congo. “Quel che chiediamo – spiega Augusto Zanella, tra gli autori della pubblicazione, ordinario di dendrologia ed ecologia del suolo all’Università degli Studi di Padova – è che le foreste vergini vengano lasciate evolvere indisturbate, dal momento che rappresentano senza dubbio uno ‘scrigno’ di biodiversità potenzialmente decisivo per il nostro futuro. Serve che la loro estensione resti consistente, condizione essenziale perché sopravvivano, continuano a essere indipendenti dal resto del Pianeta. Ad oggi, si tratta di foreste non sfruttate e influenzate solo in modo indiretto dall’uomo. E la loro funzione è fondamentale anche per il contrasto al cambiamento climatico. Ma domani, che accadrà?”.

    Biodiversità

    Nella Sila la “giovane foresta vetusta” è rinata

    di Fabio Marzano

    31 Agosto 2024

    Dubbi legittimi, proprio mentre il Wwf rinnova l’allarme per l’Amazzonia, sempre più vicina a un possibile collasso. “Quel che è certo – aggiunge provocatoriamente Zanella – è che non possiamo sperare di andare a vivere su un altro pianeta perché non siamo abbastanza evoluti per viaggiare nello spazio e anche fossimo in grado di migrare su Marte tra meno di 100 anni, staremmo su quel pianeta molto peggio che nei deserti più caldi o più freddi del nostro pianeta”. L’articolo suggerisce allora una serie di misure di gestione per le foreste di ambienti temperati e si propone di finanziare gli Stati che ancora possiedono foreste vergini, proprio “perché non vengano utilizzate e diventino beni preziosi per l’umanità”.Già, ma quali sono le gestioni suggerite per le foreste? La parola chiave è silvicoltura sistemica: “Il concetto fondamentale è che la foresta esiste in sé e non ha bisogno dell’uomo per svilupparsi. – spiegano i ricercatori – Ma il suo divenire è sempre difficile da prevedere, poiché la sua è una co-evoluzione con tutti i viventi del pianeta, uomo compreso.“Proponiamo così una selvicoltura che tenga conto del cambiamento di suolo con l’età degli alberi. Quando la foresta è giovane e in forte crescita, avviene un trasferimento di nutrimenti dal suolo agli alberi; quando invece è matura o stra-matura, la foresta restituisce i nutrimenti al suolo”, spiegano i ricercatori, citando i risultati di studi iniziati da Jean André dell’università di Savoia e da François Ponge e Niolas Bernier del Museo di Storia Naturale di Parigi, poi proseguiti in Italia grazie al progetto Dynamus, che l’Università di Padova porta avanti in collaborazione con i colleghi francesi e con il Centro di Ecologia Alpina di Trento, con il supporto della Provincia di Trento e dall’Unione Europea.Dunque, gli alberi maturi sono considerati cruciali per il ripristino delle risorse del suolo e lo sviluppo delle nuove generazioni di piante.

    “Se asportiamo gli alberi quando sono ancora relativamente giovani, impediamo la restituzione di nutrimenti al suolo, con un conseguente impoverimento del sistema nel lungo periodo. – annota Zanella – Un albero forestale vive centinaia di anni: una quercia può arrivare anche a 500-700 anni, un pioppo invece a 100-200 anni; ci sono sequoie anche di 2000 anni. Invece, i cicli forestali raramente supero i 100-150 anni. La chiave di tutto è nel lavorare affinché questi cicli durino di più, sfruttando dunque l’apporto fondamentale degli alberi secolari o millenari. Del resto, non è quello che accade anche con la nostra specie, nella quale solo gli individui maturi e spesso anziani a favorire la crescita delle nuove generazioni?”. LEGGI TUTTO

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    McKinsey: “Con il Saf fino al 50% di emissioni in meno per l’aviazione”

    Con il carburante sostenibile (Saf), le compagnie aeree hanno la possibilità di ridurre le proprie emissioni nette fino al 50%. A dirlo è l’ultimo studio di McKinsey&Company, dal titolo “How the aviation industry could help scale sustainable fuel production”, che analizza le sfide e le prospettive di decarbonizzazione dell’industria dell’aviazione entro il 2050.
    Al momento, spiega il rapporto, i carburanti sostenibili, il cui utilizzo nei motori a reazione odierni è già certificato, producono circa l’80% di emissioni di gas serra in meno rispetto al cherosene fossile. Il problema, evidenzia l’analisi, è che la domanda di carburante per aviazione sostenibile potrebbe superare l’offerta entro il 2030, a meno che si verifichi un aumento significativo del volume della capacità produttiva. In questo contesto, le compagnie aree più virtuose stanno adottando diverse strategie in materia di approvvigionamento di Saf, tra cui investimenti azionari, al fine di sostenere la crescita dell’ecosistema.
    Secondo le stime dell’associazione internazionale del trasporto aereo, l’industria del Saf è ancora agli albori. Nel 2024, la capacità produttiva non supererà 1,5 milioni di tonnellate metriche (Mt), appena lo 0,5% del fabbisogno totale di carburante per jet. “Tuttavia – riporta lo studio – ci aspettiamo che la domanda aumenti, sostenuta dalle regolamentazioni e degli impegni volontari delle compagnie aeree. La domanda globale stimata di Saf obbligatorio è di circa 4,5 milioni di Mt nel 2030. Considerando la domanda obbligatoria e quella target, questa cifra aumenta di 2 milioni di Mt dall’Asia e di 10 milioni di Mt dall’America del Nord, per un totale di 16 milioni di Mt o più”.
    Stando agli annunci delle più grandi compagnie aeree, le previsioni si attestano su un consumo complessivo di Saf di oltre 20 milioni di Mt nel 2030. “Tuttavia – prosegue lo studio – in un settore particolarmente interessato dalla volatilità, da un’intensa competizione globale e margini ridotti, alcune compagnie aeree potrebbero non riuscire a raggiungere i propri obiettivi di decarbonizzazione, se il Saf rimane costoso e in poca disponibilità di approvvigionamento. Ad esempio, il Saf costa attualmente circa 3 volte di più rispetto al cherosene fossile”.
    Dal lato dell’offerta, sono in corso progressi in tutto il mondo. Le principali aziende energetiche, le compagnie aeree, le start-up e le scale-up stanno perseguendo più di 200 progetti di produzione di Saf. “Alcuni – sottolinea lo studio – sono già in funzione, mentre altri sono in fase di sviluppo, in attesa delle decisioni finali sugli investimenti (Fid)”. Tenendo conto di tutti gli impianti già annunciati, McKinsey stima che “la capacità produttiva annuale globale di Saf possa avvicinarsi a 11-25 milioni di Mt entro il 2030”.
    Ma queste forniture sono ancora accompagnate da tante incertezze. “Ad esempio – segnala lo studio – non tutti i progetti annunciati si concretizzeranno. L’espansione della produzione oltre l’uso degli oli di scarto richiederà lo sviluppo di tecnologie nuove e immature, con i tassi di interesse relativamente elevati e i premi di rischio che potrebbero scoraggiare gli investimenti, specialmente in tecnologie immature come i carburanti sintetici”. Espandere la produzione di Saf richiede inoltre finanziamenti significativi, che vanno dal venture capital agli investimenti in infrastrutture per la costruzione di impianti di Saf. Però, gli investitori sono frenati dall’incertezza della domanda futura e della preparazione tecnologica.
    “In questo, i protagonisti del settore dell’aviazione – prosegue l’analisi – possono svolgere un ruolo chiave aiutando a creare slancio per l’ulteriore espansione della capacità produttiva di Saf. I player più proattivi del settore stanno implementando una serie di strategie di approvvigionamento in materia di Saf, a partire da contratti di acquisto fino ad investimenti azionari in fornitori e produzione: accordi individuali di offtake, partnership e consorzi, investimenti diretti, fondi Saf”.
    In particolare, lo studio di McKinsey individua tre best practice per la progettazione e la costituzione di fondi Saf.

    Stabilire obiettivi e target di investimento chiari: per questo, non solo i leader all’interno della compagnia aerea devono essere allineati, ma anche l’intero consorzio di stakeholder e le potenziali aziende target devono concordare obiettivi generali e metriche di successo.
    Coinvolgere i partner giusti per favorire sinergie e supporto alle società in portafoglio: sebbene alcuni fondi siano istituiti da una singola azienda, la collaborazione con un consorzio di partner può fornire vantaggi sinergici che vanno oltre la scala, ad esempio unendo gli stakeholder in tutto l’ecosistema, aumentando la consapevolezza e l’impatto e consentendo ai partner di sostenere congiuntamente le politiche di supporto.
    Plasmare la governance con l’obiettivo di agire rapidamente, concentrarsi sui rendimenti e coinvolgere gli esperti: le best practice per i fondi di venture capital aziendali prevedono la creazione di una struttura di governance simile a quella dei fondi di venture capital indipendenti, con decisioni di investimento autonome nell’ambito del mandato concordato del fondo. LEGGI TUTTO

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    Clima, nei prossimi due decenni il 70% della popolazione subirà i danni delle temperature estreme

    Siccità, inondazioni, innalzamento del livello del mare lungo le zone costiere, impatto sulla biodiversità, sull’economia e soprattutto sulla salute degli abitanti del pianeta. Le conseguenze dei cambiamenti climatici si stanno ripercuotendo su molti aspetti della nostra vita, ma quello che ancora non è chiaro è la velocità con cui stanno alterando le nostre esistenze. A […] LEGGI TUTTO

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    La crisi del clima fa aumentare i fulmini. Ecco come proteggersi

    Le prime perturbazioni dopo la lunga estate di caldo ha riportato agli onori della cronaca il tema della pericolosità dei fulmini. Nel mondo si contano otto milioni di fulmini al giorno, ovvero 100 al secondo. Una cifra elevata, destinata ad aumentare ancora a causa del riscaldamento globale, come conferma un recente studio pubblicato su Scientific Reports e condotto da Takuro Michibata, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Okayama, in Giappone.

    La ricerca tiene conto dei graupel
    L’esperto ha realizzato esperimenti basati su simulazioni dell’atmosfera in tre epoche (preindustriale, attuale, futura), includendo per la prima volta i graupel, noti anche come neve tonda, una precipitazione solida, costituita da granelli di ghiaccio di forma sferica del diametro di circa 2-5 millimetri. “L’attività dei fulmini dipende da vari fattori, tra cui instabilità atmosferica, aerosol, profondità delle nuvole, graupel, rendendo difficile una modellizzazione accurata”, premette lo scienziato. Tuttavia, dopo numerosi calcoli e altrettanti esperimenti, Michibata è riuscito a stabilire che il tasso medio di fulmini è aumentato del 7,1% dal periodo preindustriale a oggi a causa del progressivo riscaldamento globale. Più evidente l’impatto del futuro incremento di temperature sui fulmini, con un aumento previsto del 18,4%.

    Nelle foreste il 77% degli incendi è provocato da fulmini
    Un allarme che era già stato lanciato da uno studio pubblicato nel novembre del 2023 su Nature Geoscience e realizzato dai ricercatori dell’Università di Leeds, nel Regno Unito. La ricerca ha evidenziato che il 77% degli incendi nelle foreste boreali è imputabile ai fulmini, mentre gli incendi nelle foreste tropicali sono perlopiù di origine dolosa. “Le regioni boreali immagazzinano grandi quantità di carbonio nella vegetazione e nel suolo”, rende noto Declan Finney, ricercatore della School of Earth and Environment dell’ateneo britannico e autore dell’analisi. “Perciò, quando le fiamme divampano, tali zone emettono maggiori quantità di anidride carbonica e di altri gas serra rispetto ad altre aree. Nonostante occupino solo l’1% della superficie terrestre, le foreste boreali incendiate producono, infatti, più dell’8% delle emissioni totali di anidride carbonica derivanti dagli incendi a livello globale. Si stima, tra l’altro, che questi ultimi potrebbero amplificare le emissioni di gas serra del 30% entro la fine del secolo”. Il rischio è che si instauri un circolo vizioso: l’incremento della CO2 nell’atmosfera causa un ulteriore riscaldamento, che assorbe una maggiore quantità di umidità nell’aria, la quale a sua volta provoca temporali violenti con una probabilità elevata di fulmini, che accrescono la possibilità di incendi.

    Un pericolo per le persone
    I fulmini, come dardi vaganti, non solo nuocciono a foreste e boschi, ma possono anche attentare alla nostra incolumità. Gli esperti hanno calcolato che circa il 10% delle persone colpite muore, soprattutto per arresto cardiaco, mentre il 90% presenta disabilità di vario grado. Secondo il National Weather Service, tra il 2009 e il 2018, negli Stati Uniti, sono stati registrati 27 vittime di fulmini e 243 infortunati.

    Come proteggersi
    “Guardare il meteo”
    Informarsi sulle condizioni meteorologiche prima di pianificare un’attività all’aperto, come una scampagnata, una giornata dedicata alla pesca o alle attività balneari, un’escursione o una via alpinistica, è uno dei consigli principali della Protezione civile. E, quindi, leggere in anticipo i bollettini di previsione emessi dagli uffici meteorologici competenti.

    Allontanarsi in tempo
    Scrive sul sito la Protezione civile: “Se vedi i lampi, specie nelle ore crepuscolari e notturne, il temporale può essere ancora lontano, anche a decine di chilometri di distanza. In questo caso allontanati per tempo, precedendo l’eventuale avvicinarsi del temporale”. Cosa diversa se si sentono i tuoni: “Se però senti i tuoni, anche se ti sembrano lontani, il temporale è a pochi chilometri, se non più vicino. In questo caso sei in pericolo, raggiungi immediatamente un luogo riparato”.

    In montagna
    “Scendi immediatamente di quota, evitando la permanenza su percorsi particolarmente elevati, esposti o di forma appuntita, come creste o vette, tenendoti alla larga dai percorsi attrezzati con funi e scale metalliche e interrompi immediatamente eventuali ascensioni in parete”, sono le prescrizioni della Protezione civile. Che aggiunge nei suoi consigli: “Raggiungi rapidamente un percorso a quote inferiori, camminando, se possibile, lungo avvallamenti del terreno (conche, valloni, fossati ma fai attenzione a eventuali inondazioni in caso di forti piogge). Se sei insieme ad altre persone, non tenetevi per mano e camminate a una distanza di almeno 10 metri gli uni dagli altri. Cerca riparo all’interno di una costruzione o, se raggiungibile in tempi brevi, in automobile. Ricoveri meno sicuri, ma utili in mancanza di alternative migliori, sono grotte, bivacchi o fienili, a patto di mantenersi distanti dalla soglia e dalle pareti”. Mai mettersi sotto gli alberi che attirano i fulmini.

    Al mare o al lago
    “Evita qualsiasi contatto o vicinanza con l’acqua: il fulmine, infatti, può causare gravi danni anche per folgorazione indiretta, dovuta alla dispersione della scarica che si trasmette fino ad alcune decine di metri dal punto colpito. Quindi, esci immediatamente dall’acqua e allontanati dalla riva, così come dal bordo di una piscina all’aperto; ricorda anche che barche, canoe e piroghe, anche se coperte, non proteggono in alcun modo dai fulmini”, è il consiglio sul sito della Protezione civile.“Cerca rapidamente riparo all’interno di un edificio o, se non è possibile, in un’automobile, tenendo presente che in luoghi molto ampi e piatti, come le spiagge, si è maggiormente esposti. Liberati di ombrelli, ombrelloni, canne da pesca e qualsiasi altro oggetto appuntito di medie o grandi dimensioni”. LEGGI TUTTO

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    Carta e cartone, la raccolta raggiunge numeri record

    L’ultimo allarme è stato lanciato dall’agenzia Climate X, secondo cui entro il 2050 diverse decine di luoghi e monumenti dal patrimonio culturale globale, tutelati dall’Unesco, potrebbero sparire o essere soggetti a danni irreparabili a causa di inondazioni, erosione costiera, frane, pericoli causati dal vento, tempeste e cicloni. La notizia conferma una volta di più l’importanza di agire in maniera concreta per contrastare il preoccupante fenomeno legato ai cambiamenti climatici e limitare gli effetti dell’azione umana sul nostro Pianeta. Un grosso ruolo in questo obiettivo è giocato dal riciclo degli imballaggi che sono più volte finiti sotto i riflettori negli ultimi anni per il loro potere inquinante. Su questo fronte buone notizie arrivano dagli ultimi dati Comieco – Consorzio nazionale per la raccolta e il recupero degli imballaggi cellulosici contenuti nel 29esimo Rapporto Annuale sulla raccolta differenziata di carta e cartone in Italia.
    In base al report, lo scorso anno la raccolta differenziata di carta e cartone nel nostro Paese è cresciuta di quasi il 3% rispetto al 2022, raggiungendo la quota record di oltre 3,7 milioni di tonnellate. Un andamento che si è riflesso positivamente anche sul tasso di riciclo degli imballaggi cellulosici, arrivato al 92,3%, in netto anticipo sugli obiettivi Ue al 2030 (85%). Risultati ai quali ha contribuito la sensibilità in crescita tra i cittadini verso la raccolta differenziata: questi ultimi hanno conferito infatti nel 2023 mediamente circa 64 kg ciascuno, un risultato mai raggiunto in precedenza al quale ha concorso anche il risultato record messo a segno dal Sud che ha raggiunto in media i 50 kg/ab.
    Guardando allo spaccato per macro-aree, il Nord si è confermato il bacino più consistente in termini di quantità con quasi 1,9 milioni di tonnellate raccolte, in crescita del 2,8% rispetto al 2022. La crescita è stata trainata da Veneto (più 9,9%), Emilia-Romagna (più 2,7%) e Liguria (più 8,1%). Il Centro è cresciuto complessivamente dell’1,5% su una raccolta totale pari a 871 mila tonnellate, con le migliori performance raggiunte da Lazio (più 2,7%), Toscana (più 1,5%) e Umbria (più 0,9%). Numeri positivi sono stati raggiunti anche al Sud che ha superato le 983 mila tonnellate raccolte con un incremento del 4,5%. L’unica regione in flessione rispetto al 2022 è risultata l’Abruzzo (meno 1,3%), mentre tutte le altre hanno migliorato le proprie performance. La Campania ha incrementato la raccolta del 4,5%, il Molise del 7,6% e la Puglia del 2,3%. La Sicilia, con un balzo del 9,9% sull’anno precedente (migliore performance italiana insieme al Veneto), da sola ha registrato più della metà dell’incremento dei volumi al Sud. In crescita è risultata anche la Sardegna (più 3,2%) che ha riconfermato la migliore performance pro-capite della macroarea.
    Per il futuro, osserva Carlo Montalbetti, direttore generale Comieco, “stimiamo che la raccolta differenziata di carta e cartone abbia ancora un potenziale di 700 mila tonnellate/anno, di cui oltre 400 mila al Sud. Per intercettarle”, prosegue, “stiamo lavorando con un piano di supporto ai Comuni del meridione che prevede un investimento di 3,5 milioni di euro. A questo”, conclude il direttore generale, “si aggiunge un ulteriore aumento della capacità di trattamento dei rifiuti cartacei a fronte degli investimenti sull’impiantistica generati dai cofinanziamenti del Pnrr: 58 progetti in fase di cantierizzazione, la maggior parte nell’area Centro-Sud del Paese”. LEGGI TUTTO