Settembre 2024

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    Che aria respiriamo in Europa? Lo svela l’Agenzia Europea per l’Ambiente

    In quali città europee si respira l’aria più pulita? E in quali la peggiore? In rete si trovano tante classifiche, talvolta collegate a sponsorizzazioni varie di brand e marchi, che provano a tracciare – non sempre in maniera affidabile – lo stato della qualità dell’aria in Europa, un po’ come era avvenuto per Milano lo scorso febbraio.

    L’emergenza

    “Milano paragonata a Delhi per l’inquinamento atmosferico: la crisi del clima non aiuta a respirare”

    di Giacomo Talignani

    19 Febbraio 2024

    Chi offre uno sguardo più completo e attendibile è però la Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) che a fine agosto ha pubblicato un aggiornamento della European City Air Quality, in sostanza una classifica dove – attraverso dati monitorati per due anni – vengono elencate le 375 città europee dove sono stati fatti rilevamenti specifici di livelli medi di particolato fine (PM 2,5) attraverso oltre 500 stazioni di monitoraggio nel 2022 e nel 2023. Come noto i livelli indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sulla presenza di particolato sono molto al ribasso, si parla di 5 microgrammi per metro cubo di aria (5 ?g/m 3), per cui soltanto 13 città in Europa – in un contesto generale che è comunque di miglioramento rispetto al passato della qualità dell’aria – risultano essere entro i limiti. Fra queste, come si poteva ipotizzare nel Paese che ospita una Pianura Padana fortemente inquinata, non c’è l’Italia.

    Da noi, la città con la migliore qualità dell’aria secondo il rapporto EEA è Sassari in Sardegna, al ventunesimo posto della classifica europea. La seconda città italiana, ma solo al 65° posto, è Livorno, mentre terza fra quelle tricolore risulta essere Savona, al 148° posto. Purtroppo, osservando la classifica al contrario, l’Italia conta invece diverse città nelle peggiori dieci d’Europa. Al primo posto per livelli di inquinanti tra le città del Vecchio Continente c’è la città croata di Slavonski Brod, l’unica considerata davvero da bollino rosso (“very poor” nella scala di qualità EEA). Segue, sul podio delle peggiori, Nowy Sacz in Polonia e sul terzo gradino spunta l’italiana Cremona. Nella top 10 delle realtà con la peggior aria però ci sono anche altre italiane: Vicenza (4°), Padova (5°), Venezia (6°) e Piacenza (7°). Appena fuori dalle prime dieci l’EEA indica poi altre quattro realtà del Nord e della Pianura, tutte tra la undicesima e la quattordicesima posizione: Torino, Bergamo, Brescia e Treviso. Sempre fra quelle con più particolato, Milano è al diciannovesimo posto.

    Al contrario, se si osservano invece i luoghi in cui si può respirare l’aria meno inquinata, al primo posto in assoluto ci sono le svedesi Uppsala e Umea, prima e seconda, seguite da Faro in Portogallo. Al quarto posto l’islandese Reykjavik, poi le finlandesi Oulu e Tampere, di nuovo la Svezia con Norrkoping, Funchal in Portogallo e infine al nono posto e decimo posto Tallin e Narva, entrambe in Estonia. Le mappe visuali, che indicano con colori blu e azzurri le aree con qualità dell’aria migliore e con giallo e rosso quelle peggiori, mostrano poi con chiarezza come a godere di un’aria più sana siano soprattutto i Paesi Scandinavi e quelli del Nord Europa, mentre l’Italia, ma anche la Polonia o i Balcani, risultano per lo più di colore giallo.

    Dalle statistiche elaborate dall’Agenzia inoltre emerge come “tre europei su quattro vivono in aree urbane e la maggior parte di loro è esposta a livelli pericolosi di inquinamento atmosferico” scrivono dall’EEA che, citando l’Oms, parla anche dell’importanza di migliorare la qualità dell’aria per “ridurre significativamente le morti premature causate dall’inquinamento atmosferico”. Ricordando anche gli impegni legati al Green Deal, con un obiettivo di riduzione al 2030 di almeno il 55% delle morti premature causate dal particolato (rispetto ai livelli 2005), l’Agenzia Europea ha spiegato infine che nel prossimo aggiornamento non solo indicherà le città con maggiori concentrazioni di PM 2,5 – inquinante fra i più impattanti sulla salute – ma anche “un’analisi sugli impatti dell’inquinamento atmosferico sugli ecosistemi e sulla salute umana, includendo decessi e malattie che possono essere attribuiti alla scarsa qualità dell’aria”. LEGGI TUTTO

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    Cementificazione, rifiuti, pesca illegale: i reati che minacciano coste e mari

    Boom di reati ambientali contro le coste italiane nel 2023: secondo il report “Mare Monstrum” di Legambiente sull’aggressione criminale alle coste e al mare del nostro Paese i reati ambientali accertati sono stati 22.956, +29,7% rispetto al 2022. Insieme alle violazioni amministrative, la media è di 8,4 illeciti per km di costa, uno ogni 119 metri. Ciclo illegale del cemento (che contribuisce al 45% del totale dei reati accertati lo scorso anno), dei rifiuti, mare inquinato, pesca illegale si confermano gli illeciti più diffusi. Il rapporto viene presentato alla vigilia dell’anniversario dell’assassinio di Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica che ha dedicato la sua vita alla tutela del mare e delle coste del Cilento.

    Secondo il rapporto di Legambiente in fortissimo aumento anche la violazione delle normative che regolano la nautica da diporto: 2.059 illeciti penali accertati nel 2023, + 230% rispetto al 2022. Sono 25.545 le persone denunciate nel 2023, in aumento del 43% rispetto al 2022. Cresce, però, l’efficacia dell’azione repressiva, come dimostra il numero di persone arrestate (204, +98,1% rispetto al 2022) e quello dei sequestri, pari a 4.026, in crescita del 22,8% sul 2022.

    Un reato su due (50,3%) si concentra nelle 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa, Campania (3.095 illeciti penali), Sicilia (3.061), Puglia (3.016) e Calabria (2.371), che guidano nell’ordine, come numeri assoluti, la classifica regionale, seguite dal Lazio (1.529 reati) e dalla Toscana (1.516). Nelle prime dieci regioni figurano Sardegna, Veneto, Liguria e Marche. Proprio questa regione è, invece, la prima come numero di illeciti complessivi (reati e violazioni amministrative) per km di costa (38,9), seguita da Friuli-Venezia Giulia (31,9 illeciti per km) e Basilicata (30,9). Di fronte a questo quadro, Legambiente lancia dieci proposte che hanno al centro quattro macro temi: la lotta all’abusivismo edilizio, su cui l’associazione ambientalista chiede ad esempio di velocizzare l’abbattimento degli immobili abusivi, anche prevedendo finanziamenti a favore dei Comuni; la lotta alla maladepurazione, per uscire dalle onerose procedure d’infrazione dell’Unione europea; il tema dei rifiuti; il contrasto della pesca illegale, con adeguati interventi normativi e sanzioni davvero efficaci.

    “Anche quest’anno, a fronte dell’impegno quotidiano delle Capitanerie di porto e delle forze dell’ordine contro l’aggressione alle coste e al mare del nostro Paese, con il nostro report Mare mostrum – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – ribadiamo l’esigenza di rafforzare il ruolo e le attività di competenza di tutte le istituzioni coinvolte, dai singoli Comuni alle Regioni e alle ARPA”. “Il ciclo illegale del cemento – commenta Enrico Fontana, responsabile Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente – rappresenta la quota più significativa dei reati ambientali analizzati anche in questa edizione di Mare Monstrum, a causa, principalmente, della miriade di abusi edilizi che continuano a sfregiare l’Italia. Un fenomeno devastante per lo sviluppo sociale, ambientale ed economico dell’intero Paese, che colpisce principalmente il Sud, in particolare le regioni a tradizionale insediamento mafioso, e le aree costiere, le perle estive del Belpaese e su cui bisogna intervenire con una mano decisa e con abbattimenti non più rimandabili. L’abusivismo edilizio lungo le coste, inoltre, fa da moltiplicatore dei fenomeni d’inquinamento, a causa degli scarichi diretti in mare degli immobili costruiti illegalmente”. LEGGI TUTTO

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    La carta docente da quest’anno può essere ridotta da 500 a 420 euro. Cosa succede per i precari della scuola

    ROMA – Il 31 agosto è scaduta la possibilità di utilizzare il bonus di 500 euro della Carta del docente relativo all’anno scolastico 2022-’23. Il residuo del bonus erogato per l’anno scolastico in corso (2023/’24, appunto) sarà spendibile anche il prossimo anno, mentre quello non utilizzato per l’annualità precedente rischia di andare perso. Ogni LEGGI TUTTO

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    “Basta con l’algoritmo per l’assegnazione delle cattedre: sulla nostra vita non può decidere un programma”. Le proteste dei precari della scuola

    Gira l’algoritmo delle supplenze e iniziano le proteste dei precari. I primi bollettini sono stati pubblicati tra sabato e domenica scorsi in alcune province del Piemonte e della Lombardia. E via via nelle altre province. L’altro ieri mattina, a Milano una ventina di persone si è presentata alla sede dell’Ufficio scolastico provinciale, il Provveditorato agli […] LEGGI TUTTO

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    “Senza interventi in futuro la siccità in Sicilia e Sardegna sarà ancora più dura”

    Quest’estate in Sicilia sono scomparsi laghi, agricoltori e allevatori litigano per l’acqua, gli invasi sono sempre più a secco, gli alberghi si riforniscono con le autobotti, calano le produzioni di agrumi, olive e fichi d’india e in alcune aree la capacità idrica è ormai inferiore addirittura del 90%. Eppure, tutto questo, se visto fra qualche anno potrebbe essere ancora un ottimo ricordo: in futuro infatti, se si verificherà un innalzamento della temperatura media globale di 0.7 gradi, la Sicilia sarà soggetto al più alto grado della scala, una siccità “eccezionale”, con una desertificazione devastante tanto per intendersi.

    A dirlo è uno studio importante, di una delle organizzazioni più citate e affidabili per questo tipo di previsioni, la World Weather Attribution, che ha visto coinvolti circa 15 ricercatori tra scienziati di Italia, Svezia, Stati Uniti, Regno Unito e Paesi Bassi. Gli scienziati sostengono infatti che il cambiamento climatico in atto, quello innescato dalle azioni dell’uomo e dall’uso di combustibili fossili, ha reso la siccità sia in Sicilia sia in Sardegna più grave e il 50% più probabile. Uno scenario che viene tracciato in un 2024 che si appresta a diventare l’anno più caldo di sempre e che ha colpito duro per la siccità sia in Sicilia, dove le risorse idriche sono sempre più scarse, sia in Sardegna dove sia la mancanza di piogge sia le elevate temperature permettono ad agenti patogeni come la Phytophthora di diffondersi rapidamente, portando alla moria di centinaia di chilometri di boschi, oggi sempre più secchi e ingialliti.

    Biodiversità

    Perché i boschi della Sardegna stanno soffrendo

    di Giacomo Talignani

    28 Agosto 2024

    Eppure, per gli scienziati, se l’attuale mondo non fosse così riscaldato dall’uso dei combustibili fossili, e dunque con una temperature di circa 1.3 gradi inferiori all’attuale, questa siccità nelle isole sarebbe solo “grave”, ma non “estrema” come sta accadendo. Una crisi che nell’Italia dell’agroalimentare colpisce soprattutto l’agricoltura, già in ginocchio, e fa traballare anche il mercato dell’occupazione. Lo studio avverte anche che siccità simili peggioreranno con ogni frazione di grado di riscaldamento in più. L’analisi si sofferma poi sull’impatto del calore persistente che fa evaporare l’acqua dai terreni, le piante e dai bacini idrici è che alla base dell’aumento del rischio di siccità, ma anche sull’importanza di piani per la gestione dell’acqua e sul fatto che – come in parte sta già avvenendo – se le isole sperimenteranno ancora siccità tali le colture come grano e olive saranno sempre più minacciate.

    Per Mariam Zachariah, ricercatrice presso il Grantham Institute Climate Change and the Environment dell’Imperial College di Londra “la Sardegna e la Sicilia stanno diventando sempre più aride a causa dei cambiamenti climatici. Il caldo torrido e prolungato colpisce le isole con maggiore frequenza, facendo evaporare l’acqua dai terreni, dalle piante e dai bacini idrici. Per gli agricoltori e le città che hanno sopportato mesi di restrizioni idriche, questo studio è una conferma: il cambiamento climatico sta intensificando la siccità” spiega la ricercatrice parlando di due realtà dove è stato dichiarato lo stato di emergenza idrica già da mesi (in Sicilia a marzo e in Sardegna a luglio). Fra le evidenze dello studio, anche le difficoltà nella gestione dell’acqua che c’è, per lo più legate all’invecchiamento di strutture idriche e cattiva gestione. “Limitare le perdite d’acqua dovute all’invecchiamento delle tubature e aumentare la capacità di stoccaggio in Sardegna e in Sicilia contribuirà a ridurre simili carenze idriche negli anni di scarse precipitazioni” ricorda per esempio Maja Vahlberg del Climate risk consultant alla Red Cross Red Crescent Climate Centre.

    Per un’altra importante scienziata, Friederike Otto, “i cambiamenti climatici stanno rendendo la Sardegna e la Sicilia più calde, più secche e meno fertili. Le colture utilizzate per produrre la cucina simbolo dell’Italia, come il grano e le olive, stanno morendo a causa del caldo feroce, ben oltre i 40°C. Per evitare che la siccità peggiori ulteriormente, dobbiamo smettere di bruciare combustibili fossili”. L’italiano Luigi Pasotti, dirigente responsabile al Servizio Informativo Agrometeorologico Siciliano (SIAS) – Sicilia orientale, sostiene invece come sia “fondamentale sviluppare strategie di adattamento per proteggere settori vitali per la Sicilia e la Sardegna, come l’agricoltura e il turismo, ma sarà altrettanto importante per l’Italia rispettare gli accordi internazionali sulla riduzione delle emissioni”. Vista l’importanza dello studio anche alcune delle principali associazioni ambientaliste italiane sono intervenute per ribadire l’urgenza di agire, soprattutto in chiave decarbonizzazione. Per il Wwf “non è certo un allarme nuovo – dice Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia – .A partire dalla prossima legge finanziaria, quindi, ci aspettiamo misure per finanziare un’economia a carbonio zero, capace di aiutare cittadini e imprese nel percorso della transizione energetica, insieme all’identificazione delle misure prioritarie e dei finanziamenti per attuare un serio piano di adattamento”,, mentre Greenpeace sottolinea come “la carenza idrica che da mesi sta mettendo in ginocchio le due principali isole italiane è una drammatica conseguenza della crisi climatica. A pagare il prezzo della siccità estrema in Sardegna e in Sicilia – amplificAssociazioni ata da un uso inefficiente delle risorse idriche e da infrastrutture inadeguate – sono le persone che subiscono razionamenti di acqua, gli ecosistemi naturali e persino interi settori produttivi come l’agricoltura e il turismo. Danni gravissimi di cui si dovrebbe invece chiedere conto alle aziende del petrolio e del gas” spiega Federico Spadini, campaigner Clima di Greenpeace Italia. LEGGI TUTTO

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    Bonus e contributi, come programmare l’installazione di un impianto fotovoltaico

    Ultimi mesi a disposizione per usufruire del bonus fotovoltaico al 50%. Se non ci saranno novità nella legge di Bilancio, infatti, dal 2025 la detrazione scenderà al 36%. Per chi abita in paesi con meno di 5.000 abitanti e decide di installare un impianto creando un gruppo di autoconsumo, però, c’è la possibilità di usufruire ancora per due anni del rimborso immediato del 40% della spesa grazie ai fondi del PNNR. Il bonus fiscale e il contributo non sono cumulabili, ma per i gruppi di autoconsumo è prevista anche la tariffa incentivante per 20 anni. In fase di programmazione dell’investimento, dunque, occorrerà valutare la convenienza tra le due opzioni.

    Il bonus del 50%
    Per quanto riguarda i bonus, le spese di acquisto e di realizzazione di un impianto fotovoltaico di­retto alla produzione di energia elettrica al servizio di un immobile residenziale godono della detrazione del 50%. Il bonus fiscale è ammesso ai sensi della lettera h) del comma 1 dell’art. 16-bis del TUIR che riconosce la detrazione agli interventi “relativi alla realizzazione di opere finalizzate al conseguimento di risparmi energetici con particolare riguardo all’installazione di impianti basati sull’impiego delle fonti rinnovabili di energia”. Possono usufruire dell’incentivo solo i pannelli destinati al consumo domestico con una potenza massima di 20KW. Si può trattare di prima o seconda casa, senza alcuna differenza. L’installazione può avvenire sia sul tetto che su una pertinenza, ad esempio sul box. Nella spesa agevolata rientrano non solo i costi per l’acquisto e la posa in opera dei pannelli, ma anche tutte le spese accessorie all’intervento, da quelle edilizie alle spese di tipo tecnico per la dichiarazione di conformità e messa a norma dell’impianto, come pure l’eventuale aggiunta di un sistema di accumulo. Il limite di spesa ammesso alla detrazione è unico e vale sia per l’impianto sia per il sistema di accumulo.

    Gli incentivi per i gruppi di autoconsumo
    Se i pannelli vengono installati con l’obbiettivo di creare un gruppo di autoconsumo scattano anche i contributi. Il gruppo è un insieme di almeno due utenti che si associano per condividere l’energia elettrica prodotta da un impianto da fonte rinnovabile installato su uno stesso edificio. Si può creare un gruppo di autoconsumo, dunque, anche su una villetta bifamiliare, o di un immobile nel quale si trovano sia appartamenti che locali commerciali, e che ciascuno abbia una propria utenza. Una volta entrato in funzione l’impianto il Gse pagherà una tariffa incentivante per ogni MWh prodotto e condiviso. L’importo varia in funzione della grandezza dell’impianto, e vai dai 60 euro per gli impianti più grandi agli 80 euro per quelli più piccoli, ossia fino ai 200kw. È prevista inoltre una maggiorazione di 4 euro nelle regioni del centro (Lazio, Marche, Toscana, Umbria, Abruzzo) e di 10 euro o nelle regioni del nord (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto). La tariffa incentivante verrà riconosciuta per 20 anni. Alla tariffa va aggiunto l’ulteriore corrispettivo Arera di valorizzazione per l’energia autoconsumata.

    Il contributo PNNR
    Se si decide di realizzare un impianto al servizio di un gruppo di autoconsumo in un paese con meno di 5.000 abitanti è possibile richidere il contributo del 40% a rimborso dei costi sostenuti. In particolare l’impianto di produzione per la cui realizzazione è richiesto il contributo in conto capitale, deve avere potenza non superiore a 1 MW ed entrare in esercizio entro diciotto mesi dalla data di ammissione al contributo e, comunque, non oltre il 30 giugno 2026. Tutte le informazioni sul sito del Gse. LEGGI TUTTO

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    La zantedeschia o calla: coltivazione, esposizione e cura

    La calla – o zantedeschia – è un genere di pianta rizomatosa che appartiene alla famiglia delle aracee. Le origini si possono collocare in modo particolare in tutta la regione africana che si trova al di sotto del Sahara. Questa pianta perenne può avere le foglie sempreverdi o caduche, a seconda delle specie. Il tratto caratteristico della zantedeschia è la tipica infiorescenza con la spata allungata, un elemento che conferisce una notevole eleganza alla pianta.La calla è coltivata anche nel nostro paese e, in modo particolare, la sua coltivazione è molto diffusa nelle aree litoranee (soprattutto in Liguria). Si tratta di una pianta che per vegetare in modo ottimale richiede una temperatura media attorno ai 15 gradi o, per le specie a fioritura tardiva, di circa 20 gradi. Le origini del nome scientifico della calla sono da ricondurre al fatto che questo genere è dedicato al botanico italiano Francesco Zantedeschi.

    La varietà di specie e cultivar di calla
    Esistono numerose specie di calla, che si contraddistinguono per una maggiore (o minore) rusticità e per la fioritura precoce (o tardiva). La specie più famosa e diffusa è probabilmente quella della Zantedeschia aethiopica, alta circa un metro, e contraddistinta dalle foglie di colore verde scuro, nonché dalle infiorescenze con la spata color bianco panna. La aethiopica rientra tra le calle rustiche – può sopportare occasionalmente una temperatura minima attorno agli zero gradi – e con fioritura precoce. Tra le calle meno rustiche e con fioritura tardiva troviamo invece la zantedeschia albomaculata. Questa varietà, come suggerisce il nome stesso, ha le foglie che si differenziano per le screziature di color bianco. La temperatura minima dev’essere pari ad almeno dieci gradi. La zantedeschia aethiopica flamingo è invece una cultivar che si differenzia per la sua spata di color rosa fenicottero, caratteristica dalla quale deriva il suo nome. La zantedeschia frozen queen ha invece un’infiorescenza con la spata di color rosa ciclamino, mentre le foglie – di forma irregolare – hanno un’insolita colorazione bianco-argentea nella parte più interna.

    La calla è una pianta da esterno o dev’essere coltivata in casa?
    In Italia, la calla può essere coltivata tanto in piena terra quanto in vaso. Nelle località che sono situate sui litorali – o che beneficiano di microclimi favorevoli, come sui laghi settentrionali – possiamo scegliere di coltivarla in giardino. Se decidiamo di coltivare la calla in vaso, ricordiamoci di scegliere un contenitore dal diametro di almeno 20-25 centimetri. Tra la zolla con i rizomi e il lato interno del vaso bisogna mantenere tra i 2-3 centimetri di terra, in modo tale da garantire un’innaffiatura ottimale. Quando dobbiamo rinvasare la calla, scegliamo un contenitore che sia di un paio di centimetri più ampio del precedente. Il periodo del rinvaso varia a seconda delle specie con fioritura precoce o tardiva: nel primo caso, dobbiamo rinvasare la calla durante la seconda metà dell’estate. La calla con fioritura tardiva dev’essere rinvasata invece durante la seconda metà del periodo invernale.

    Quando si mettono a dimora i bulbi (rizomi) di calla?
    Nel caso della calla, si parla più propriamente di rizomi (e non di bulbi). Il periodo ideale per la messa a dimora cambia in funzione della varietà a fioritura tardiva o precoce: nel primo caso, dobbiamo piantarla nel mese di ottobre. Nel secondo, invece, il momento più proficuo è in marzo. I rizomi devono essere interrati a circa 10 centimetri di profondità, avendo l’accortezza di mantenere una distanza di circa 50 centimetri tra gli esemplari.

    Dove posizionare la calla
    La pianta privilegia l’esposizione in luoghi che sono contraddistinti da tanta luminosità, ma con l’accortezza di evitare le posizioni in cui la calla possa ricevere l’irraggiamento solare diretto. Per comprendere quale sia l’esposizione ideale, possiamo osservare i luoghi in cui si trovano esemplari cresciuti spontaneamente: nella maggior parte dei casi, la calla può beneficiare di una parziale ombreggiatura che scherma i raggi del sole.

    Il terreno per la coltivazione della calla
    Per coltivare in modo ottimale la calla, dobbiamo ricreare le sue condizioni ambientali ideali e, cioè, quelle tipiche dei contesti umidi. Il terreno dev’essere quindi fertile e, al tempo stesso, favorire anche il mantenimento di un buon livello di umidità. A questo scopo, è possibile sfruttare un terriccio organico ma che assicuri al tempo stesso un buon drenaggio.

    L’innaffiatura della calla
    L’annaffiatura della calla deve assecondare l’alternanza di periodo di riposo vegetativo, ripresa dell’attività vegetativa e fioritura, che varia a seconda delle specie con fioritura precoce o tardiva. Nel caso della calla con fioritura precoce, da giugno a gennaio dobbiamo ridurre al minimo le innaffiature, preoccupandoci di non far mai inaridire il terreno. Da febbraio a maggio, invece, dobbiamo seguire la fase di vegetazione e fioritura della calla, incrementando la quantità di acqua proprio quando iniziano a sbocciare i fiori. La calla con fioritura tardiva, invece, richiede poca acqua nei mesi tra ottobre e febbraio. La frequenza di annaffiatura deve essere invece aumentata nei mesi tra aprile ed ottobre.

    La concimazione della calla
    Anche la concimazione della calla deve seguire le esigenze particolari delle specie, tardive o precoci, a partire dal momento in cui spuntano i boccioli dei fiori. Nel caso della calla con fioritura precoce, dobbiamo prevedere la concimazione tra febbraio e giugno. Quella con fioritura tardiva, invece, dev’essere concimata nei mesi compresi tra aprile ed ottobre. Per la concimazione possiamo aggiungere del fertilizzante liquido all’acqua di irrigazione, per almeno due volte al mese.

    La potatura della calla
    Per quanto riguarda la potatura, la calla non ha particolari esigenze. Dobbiamo però avere l’accortezza di recidere tutte le foglie secche o comunque danneggiate, per evitare che possano favorire l’attacco da parte di parassiti.

    Le tipiche avversità che colpiscono la calla
    La calla non è una pianta particolarmente colpita dalle malattie: nella maggior parte dei casi, le avversità sono il risultato di errori colturali. Quando le foglie hanno un aspetto sbiadito, con una colorazione verde un po’ spenta, la causa è da imputare all’eccessiva aridità del terreno. In questo caso, possiamo rimediare al problema avendo cura di innaffiare in modo più regolare la calla. Nel caso in cui le foglie avessero dei segni di bruciatura, potremmo individuare la causa nell’irraggiamento solare diretto. Dovremmo quindi preoccuparci di spostare la pianta in un luogo con un’esposizione ottimale. L’accumulo di gocce di acqua sulla superficie delle foglie, nel caso di soleggiamento diretto, può causare un ulteriore ingrandimento delle macchie scure. LEGGI TUTTO

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    Centinaia di jet privati e rifiuti, la parabola sempre meno green del Burning Man

    Nelle ultime ore del Burning Man costosissimi jet privati, uno dopo l’altro, lasciano la polverosa pista dell’aeroporto temporaneo di Black Rock City. Quegli aerei, insieme a una lunga scia di altre incongruenze, stanno diventando il simbolo di un festival famosissimo ma sempre più in difficoltà, che negli ultimi anni “ha perso la sua anima” come sostengono i partecipanti della prima ora, quelli che nel 1986 si radunarono a Baker Beach in California. Quasi quarant’anni dopo, la grande festa oggi spostata nel deserto del Nevada sta diventando un evento sempre più destinato ai ricchi e con una impronta ambientale, nonostante gli sforzi per tracciare un bilancio di sostenibilità, difficile da difendere.

    Lo scorso anno, quello dell’edizione disastrosa – quando le piogge bloccarono nel fango oltre 72mila persone, tra bagni chimici che non funzionavano e distese di detriti – ha visto anche una serie di proteste ambientaliste sia per il massiccio uso di jet privati, sia per l’eccesso di rifiuti in plastica monouso. Nell’edizione attuale, iniziata il 25 agosto e conclusa in queste ore, il via vai di aerei privati si è però ripetuto, con forte disappunto degli ambientalisti. I giornali locali parlano di centinaia di jet, tra 800 e 3000, partiti e poi nuovamente decollati per raggiungere il luogo della festa, il tutto in una pista d’atterraggio costruita per l’occasione e che sarà poi smantellata. Per ridurre la polvere, sulla pista, viene sprecata e utilizzata una grande quantità di acqua. Su quella pista arrivano voli charter e jet privati di ogni tipo, particolarmente costosi: un volo sola andata per un viaggio di appena 45 minuti da Reno può costare anche 800 dollari, mentre quelli andata e ritorno sono sui 1500. Aerei di quindici posti, da prenotare con compagnie private, sono quotati intorno ai 20mila dollari di noleggio.

    Burning Man, un morto e 70mila bloccati nel deserto: l’uragano trasforma il festival in un incubo di fango

    di Massimo Basile

    03 Settembre 2023

    Il gran numero di velivoli e in generale di mezzi con cui viene raggiunta la sperduta località in cui si tiene il grande Festival della controcultura Usa, come hanno ricordato decine di attivisti impegnati in una protesta lo scorso anno è la causa principale dell’enorme impatto ambientale di questa manifestazione: oltre il 90% dell’impronta di carbonio dell’evento deriva proprio dai viaggi andata e ritorno, mentre un altro 5% è legato ai generatori a diesel e gas per accendere luci e condizionatori. Report del 2020 stimavano come ogni Burning Man generi in media 100mila tonnellate di CO2, in pratica quanto producono 22mila auto a benzina all’anno, un ritmo decisamente poco sostenibile. Tra critiche all’impatto ambientale, complessità logistiche, drammi come quello dello scorso anno e anche alcuni casi di persone decedute, il fascino del costosissimo ed esclusivo Festival quest’anno sembra aver subito una battuta d’arresto significativa.

    Sono stati per esempio venduti meno biglietti (non è andato per la prima volta subito sold out) e la reputazione del Burning Man appare in netto calo. Anche per questo, coloro che partecipano già da anni al Burning Man, stanno chiedendo una svolta, una rivoluzione per recuperare l’identità originaria – e meno impattante – del Festival, quello in cui l’anima ecologica e non consumistica dell’evento era ancora viva, quando lo spirito verde “bruciava” ancora. Su questo Corinne Loperfido, artista e partecipante del Burning, di recente ha scritto sul San Francisco Chronicle, giornale che segue da vicino l’andamento del raduno, un articolo che critica fortemente lo spirito perduto dell’evento, diventato ormai sempre più elitario e meno attento all’ambiente. L’autrice sottolinea ad esempio come il Burning si sia trasformato ormai in un “raduno irriconoscibile” che deve essere reinventato, soprattutto dal punto di vista ambientale. “Ho visto pellicce sintetiche, costumi illuminati a Led, cassonetti delle città limitrofe traboccanti di vestiti fast fashion e plastica” in un Festival che sembra sempre più lontano da quel concetto iniziale di “non lasciare traccia”. “Non sembra molto autosufficiente – scrive Loperfido – se si considerano i combustibili fossili necessari per raggiungere l’evento e alimentare i grandi veicoli ricreazionali, oppure per l’aria condizionata”.

    La stessa autrice, invitando a ripensare alla natura e l’organizzazione del Festival, non si augura che la festa finisca, ma che si possa costruire qualcosa di nuovo e meno impattante. “Viviamo su una Terra in fiamme, letteralmente e figurativamente. Il caos climatico sta provocando inondazioni, incendi e ondate di calore che sembrano solo diventare più gravi con ogni stagione che passa. Organizzare un festival incredibilmente costoso e dannoso per l’ambiente alla luce di questo stato del mondo sembra semplicemente sbagliato. Non sto proponendo che tutto il divertimento venga annullato, ma sto chiedendo alle persone di concentrare le proprie risorse e attenzione a livello locale e di portare l’ispirazione e i principi del Burning Man nelle loro comunità. Gli organizzatori del Burning Man dovrebbero imparare dai fallimenti di quest’anno e ridimensionare l’evento del Nevada. In cambio, dovrebbero raddoppiare i loro sforzi per supportare gli eventi regionali del Burning Man, rendendoli altrettanto speciali e stimolanti, su una scala che infligga molto meno danni ambientali e richieda meno risorse per organizzarli”. LEGGI TUTTO