24 Settembre 2024

Daily Archives

consigliato per te

  • in

    Basta bottiglie di plastica, inquinano e contengono inquinanti

    L’acqua del rubinetto? “Pietra angolare della responsabilità ambientale e della salute pubblica”. Il messaggio arriva dal commento ospitato in questi giorni sulle pagine di BMJ Global Health: in gioco c’è la salute dell’ambiente sì, ma anche quella umana.
    A firmare quello che suona come un rinnovato appello a prediligere borracce e caraffe, sono alcuni esperti della Weill Cornell Medicine del Qatar e del New York Medical College, che mettono sul piatto numeri e ragioni per rinvigorire le azioni contro quello che definiscono senza dubbio un consumo “eccessivo” di acqua in bottiglia. Non c’è un aspetto, nei vari da loro affrontati, in cui il consumo di acqua imbottigliata possa apparire superiore a quella del rubinetto. Parliamo, ovviamente, dei paesi a medio e alto reddito, dove l’acqua del rubinetto è controllata, potabile e generalmente di buona qualità. In Italia, per esempio, quella del rubinetto rispetta largamente i parametri richiesti per legge, come reso noto nei mesi scorsi dal Centro nazionale per la sicurezza delle acque (CeNSiA) dell’Istituto superiore di sanità (Iss).

    Ambiente

    Dal Giappone, le perle di ceramica per purificare l’acqua del rubinetto e ridurre la plastica

    di Paolo Travisi

    13 Agosto 2024

    L’acqua in bottiglia non conviene quasi mai
    Non certo dal punto di vista energetico, scrivono Amit Abraham e colleghi: è più dispendiosa di circa duemila volte rispetto a quella del rubinetto, e per produrre un solo litro di questa possono servire fino a 35 litri di acqua. E i numeri sono enormi, dal momento che, ricordano gli autori, le stime dicono che ogni minuto al mondo si comprano un milione di bottiglie, che finiscono in buona parte dei casi in giro per l’ambiente: il 12% dei rifiuti di plastica arriva da qui.

    Longform

    Tutto quello che sappiamo sulle microplastiche e quanto inquinano

    di Paola Arosio

    18 Luglio 2024

    Se non bastasse a preoccupare il problema ambientale – poca la plastica riciclata, molta quella dispersa, con tutti i rischi relativi alla diffusione per l’ambiente, e i problemi per gli ecosistemi – anche sul fronte della salute le bottigliette di plastica sono problematiche. Secondo quanto riferiscono i ricercatori spesso i controlli richiesti per l’erogazione delle acque municipali sono maggiori di quelli che devono ottemperare i produttori di acqua in bottiglia (senza considerare, ricordano, che in alcuni casi, altro non si tratta che di acqua del rubinetto imbottigliata). Ma oltre alle norme, le confezioni di plastica possono rilasciare una serie di inquinanti collegati a diversi problemi di salute, compresi solo in parte.

    Acqua del rubinetto, perché un italiano su tre non si fida (e fa male)

    di Elvira Naselli

    16 Luglio 2024

    Problematici sono in particolare i contenuti di sostanze quali ftalati, microplastiche – fino a centinaia di migliaia per litro, secondo alcuni studi – Pfas, bisfenolo A, alchilfenoli.

    La contaminazione
    Non è chiaro come queste sostanze influenzino la salute, ma sono state correlate a disfunzioni del metabolismo lipidico, dell’equilibrio ormonale ma anche a problemi gastrointestinali, cardiovascolari e neurologici, scrivono gli autori: “La contaminazione diffusa con microplastiche, interferenti endocrini e altre sostanze pericolose tradisce l’immagine pulita dell’acqua in bottiglia”. Il messaggio è per tutti, ma soprattutto per i decisori e i governatori, che possono e devono guidare le politiche per garantire acqua sicura, aiutare a ridurre l’utilizzo della plastica, specie quella monouso, e rinvigorire il messaggio che l’acqua del rubinetto è molto spesso la scelta migliore che si possa fare. LEGGI TUTTO

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    Pfas, le nuove regole Ue sulle sostanze pericolose per l’ambiente e la salute

    La Commissione europea ha imposto nuove restrizioni sull’uso di alcune sostanze chimiche pericolose per la salute e l’ambiente, vietando l’acido perfluoroesanoico (PFHxA) e i suoi derivati, composti sviluppati dall’industria negli anni ’40 per la loro capacità di resistere all’acqua. Queste sostanze, appartenenti alla famiglia dei PFAS, sono note come “sostanze chimiche eterne” per la loro persistenza nell’ambiente, che porta alla contaminazione del suolo e delle acque, inclusa quella potabile.

    Energia

    Inquinamento, le batterie al litio sono una (nuova) sorgente di PFAS

    di Sandro Iannaccone

    12 Luglio 2024

    “Stiamo eliminando le sostanze nocive dai prodotti che i cittadini utilizzano quotidianamente, come i tessuti, i cosmetici e gli imballaggi alimentari” ha dichiarato Maros Sefcovic, vicepresidente esecutivo Ue per il Green Deal, commentando le nuove misure Eu in linea con il regolamento Reach, il principale strumento normativo europeo per proteggere la salute umana e l’ambiente dai rischi delle sostanze chimiche.

    Salute

    Pfas nelle giacche a vento per bambini: rintracciate le sostanze chimiche nocive nel 63% dei test

    di Paolo Travisi

    25 Aprile 2024

    La restrizione vieterà la vendita e l’uso dell’acido perfluoroesanoico in una concentrazione pari o superiore a 25 ppb per la somma del PFHxA e dei suoi sali, o pari a 1.000 ppb per la somma delle sostanze correlate al PFHxA, misurata in materiali omogenei. Questo divieto si applicherà a una vasta gamma di articoli di consumo: prodotti tessili (tovaglie e tende oscuranti), cuoio, pellicce e pelli utilizzate nell’abbigliamento (tra cui giacche antipioggia) e relativi accessori (quali borse), calzature, carta e nel cartone utilizzati come materiali a contatto con gli alimenti (per esempio, scatole per pizza), spray impermeabilizzanti, cosmetici.

    Un ambito particolarmente delicato riguarda le schiume antincendio, dove saranno applicate eccezioni per garantire la sicurezza in contesti critici. Tuttavia, alcuni settori strategici, come quello dei semiconduttori e delle batterie per l’idrogeno, manterranno per ora la possibilità di utilizzare queste sostanze.

    Il nuovo regolamento sugli “inquinanti eterni”
    Messo a segno un passo importante verso la riduzione delle sostanze tossiche nell’ambiente. L’obiettivo principale è limitare l’uso di questi composti laddove il rischio non sia adeguatamente controllato, i costi economici siano limitati rispetto ai benefici per la salute umana e l’ambiente, ed esistano alternative sostenibili.
    “Sostituire le ‘sostanze chimiche eterne’ aiuta a mantenere l’ambiente sano, a preservare le risorse e a promuovere l’innovazione in alternative più pulite. La direzione è chiara e le imprese avranno a disposizione periodi di transizione sufficienti per adattarsi” ha aggiunto il Commissario Sefcovic. La restrizione, infatti, entrerà in vigore dopo periodi transitori compresi tra 18 mesi e 5 anni a seconda dell’uso, lasciando il tempo necessario per sostituire la sostanza con alternative più sicure.

    Nella catena alimentare
    Negli ultimi 20 anni, l’UE ha intensificato le sue azioni per contrastare l’inquinamento da PFAS, anche nel cibo che mangiamo. Nel 2020, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), che da anni monitora la diffusione l’impatto dei PFAS negli alimenti, ha stabilito una nuova soglia di sicurezza per i principali composti perfluoroalchilici, che tendono ad accumularsi nell’organismo umano. La dose settimanale tollerabile di gruppo (DST) è stata fissata a 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo, ma non ha riguardato i PFHxA. Due anni dopo, la Commissione Ue ha emesso una raccomandazione (CE2022/1431) che invita gli Stati membri, in collaborazione con gli operatori del settore alimentare, a monitorare la presenza di PFAS, inclusi i PFHxA, negli alimenti dal 2022 al 2025.

    Ambiente

    La denuncia di Greenpeace: “Acqua contaminata da PFAS nei fiumi toscani”

    di redazione Green&Blue

    19 Marzo 2024

    “Finora l’EFSA ha ricevuto e pubblicato i dati di monitoraggio per il 2022” ha affermato Hans Steinkellner, responsabile scientifico di EFSA. “Seguiranno i dati di monitoraggio per il 2023, 2024 e 2025. Quando saranno pervenuti dati sufficienti, la Commissione europea potrà eventualmente richiedere all’EFSA una valutazione di follow-up sulla contaminazione da sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) negli alimenti.” LEGGI TUTTO

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    In due foto di Meloni il nodo dell’automotive italiano

    Facciamo un esercizio comparativo e accostiamo due foto recenti della presidente del consiglio Giorgia Meloni. La prima è di pochi giorni or sono e la vede ritratta mentre parla alla platea di Confindustria: sta dicendo che l’obiettivo europeo di vendita di auto 100% zero emission, al 2035, è “autodistruttivo” e va radicalmente ridiscusso; e paventa, se così non fosse, l’azzeramento dell’automotive nell’Unione, la perdita di 14 milioni di posti di lavoro e altre catastrofi.

    La seconda foto, e siamo alla fine dello scorso luglio, la vede sorridente mentre stringe cordialmente la mano al presidente Xi Jinping, nel corso di una missione in Cina che aveva, tra i suoi scopi principali, quello di convincere le case auto di Pechino a impiantare la loro produzione elettrica in Italia.

    La distanza temporale tra i due scatti è minima; quella politica, invece, è apparentemente incolmabile. Eppure in Meloni e nel suo governo quelle due linee – la battaglia in Europa contro l’auto elettrica e il tentativo di rilanciare l’automotive nazionale, attirando i carmaker cinesi – convivono, per quanto contraddittorio ciò possa apparire.

    Il ministro Urso ha dichiarato che il 25 settembre chiederà all’Unione di anticipare la revisione dei regolamenti sulla riduzione delle emissioni di CO2 da auto e van. “Chiunque conosca il sistema produttivo sa che gli investimenti si fanno se c’è certezza”, ha dichiarato Urso. “Chiedo di anticipare questa decisione (rivedere l’impegno al 2035, ndr) perché se lasciamo l’incertezza fino al 2026 (…) rischiamo il collasso dell’industria”.

    L’assunto da cui muove il ministro per il Made in Italy è corretto: la certezza delle prospettive industriali è cruciale per mobilitare capitali e sostenere la transizione. Il ragionamento che ne consegue è invece fragile: proprio perché dobbiamo garantire stabilità e prospettiva all’industria europea, che già molto ha investito, il punto non dovrebbe essere quando ridiscutere gli obiettivi che l’Unione si è data, quanto piuttosto confermarli e sostenerli con misure di finanza pubblica dell’Unione, come suggerito dal report di Mario Draghi.

    L’Italia continua nel suo braccio di ferro (perdente) con Tavares e con Stellantis, chiedendo che la produzione del gruppo, nello stivale, torni a un milione di veicoli. Per tutta risposta il ceo portoghese continua a tagliare la produzione e a migrarla in Polonia, Serbia, Turchia e nord Africa. Di produttori cinesi pronti a investire in Italia, nel mentre (ma speriamo di essere smentiti presto), neppure l’ombra. Per quale motivo dovrebbero venire a produrre auto elettriche in un Paese che continua a segnalarsi per la sua ostilità a quella tecnologia?

    L’Italia reclama una via di “neutralità tecnologica” al 2035; non si è accorta, forse, che è esattamente quel che prevede la normativa, che non dice in alcun passaggio che le auto vendute a partire da quella data dovranno solo essere elettriche: potrà esserci spazio per ogni tecnologia (idrogeno o carburanti sintetici) che consegua gli obiettivi climatici e si dimostri percorribile in termini industriali.

    La partita del nostro governo è intesa a garantire mercati ai biocarburanti di ENI, già rigettati dall’Europa come vettori troppo emissivi e non conformi alla normativa; e a far sopravvivere, in qualche modo e in qualche misura, il motore endotermico, una tecnologia vecchia e largamente inefficiente in termini energetici. Se questo può rassicurare, nel brevissimo termine, parte della nostra industria componentistica, non può rappresentare per contro una prospettiva industriale per il Paese.

    Meloni e Urso sembrano immaginare l’Italia come una “nicchia” industriale per l’endotermico, magari l’ultima a ‘resistere’ in un’Europa convertita alla produzione elettrica. Contano forse, in questo modo, di costruire una rendita di posizione che invece non potrà concretizzarsi. Non è e non sarà l’Italia a produrre auto “fossili” di serie B, o componentistica endotermica, magari per i mercati extraeuropei; altri Paesi possono farlo con maggiore competitività. Il nostro ha bisogno di innovare; ovvero, di fare l’esatto contrario delle battaglie di retroguardia a cui assistiamo da mesi. La prospettiva industriale dell’elettrificazione dell’auto è ben più che concreta: lo dimostra la competizione tra Cina, USA e Unione Europea, nonché gli enormi investimenti dell’industria. Che piaccia o meno, questa è la sola partita che le economie europee possono giocare, Italia inclusa.

    *Andrea Boraschi – Direttore Transport & Environment LEGGI TUTTO