13 Settembre 2024

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    Il filodendro: tipi, cura, esposizione e come annaffiare

    Il filodendro è una pianta appartenente alla famiglia delle araceae ed è in vendita in diverse varietà, per lo più a carattere rampicante o ricadente, anche se si trovano alcuni tipi arbustivi. Questo sempreverde si può coltivare facilmente in vaso, tra le mura domestiche.

    La cura in vaso del filodendro
    Il filodendro, dal greco “amico degli alberi”, è una pianta che gradisce una temperatura compresa tra i 18°C e i 24°C e non ama assolutamente le correnti d’aria fredda. Per prendersi correttamente cura del filodendro in casa è necessario garantire una temperatura minima di 13°C, giacché già a 10°C la pianta riporta gravi danni e rischia anche di morire. Proprio per questo, è consigliabile sistemare il filodendro in un angolo dell’abitazione, magari su una mensola o su un mobile basso. In questo modo, si può godere di uno splendido esemplare sempreverde in piena forma. Ricordiamo, però, di non prendere questa pianta qualora si avessero animali domestici, giacché risulta essere tossica per cani e gatti.

    I tipi di filodendro da coltivare in appartamento
    Del filodendro è possibile trovare ben oltre 500 specie suddivise per dimensioni e colori, caratteristiche che rendono unico ogni esemplare. Infatti, se ne trovano di tipi con foglie grandi o sfumature differenti. Per esempio, la Monstera deliciosa si presenta con grandi foglie forate ed è ideale da collocare in ambienti spaziosi. Il filodendro gloriosum, invece, è un tipo di pianta che ha delle splendide foglie, ma richiede molto più tempo per la sua crescita. Tra le altre varietà diffuse che si trovano facilmente vi è anche il filodendro Brasil che si contraddistingue per essere un esemplare con foglie a forma di cuore verde scuro, a carattere rampicante. Il filodendro Xanadu, invece, ha foglie grandi e lobate e si sviluppa come un cespuglio. Se si desidera un tipo di filodendro davvero speciale, però, non si può fare a meno di menzionare il philodendron Pink Princess che ha foglie verde scuro con una punta di rosa acceso.

    Qual è il terreno migliore per il filodendro?
    Per ottenere una pianta sana è importante selezionare il miglior terriccio disponibile. In tal caso, è necessario usare per questa sempreverde un terriccio ricco di sostanze organiche, con un mix di torba, terriccio e foglie di faggio. Sul fondo del vaso è preferibile sistemare una serie di ciottoli che consentiranno di drenare meglio l’acqua ed eviteranno i cosiddetti ristagni idrici.

    L’annaffiatura del filodendro
    Questa pianta ornamentale richiede annaffiature abbondanti, specie durante la stagione estiva. Durante il resto dell’anno si possono diminuire. È importante far asciugare completamente la superficie del terreno prima di proseguire con la successiva annaffiatura. In questo modo, il terreno ha tutto il tempo di asciugare, evitando inconvenienti che possono influenzare in qualche modo sulla crescita della pianta.

    L’esposizione consigliata per il filodendro
    Il filodendro non gradisce il sole diretto e, anzi, nella maggior parte dei casi la luce di questo genere compromette le foglie, bruciandole. È meglio selezionare un punto della casa o dell’ufficio dove vi è abbondante luce diffusa, poiché in caso di assenza di luminosità si rischia di ottenere una pianta priva di foglie con internodi più lunghi.

    La concimazione del filodendro
    Il filodendro può essere concimato durante il periodo primaverile ed estivo: è preferibile farlo ogni 3 settimane, utilizzando un concime liquido per piante verdi, da diluire proprio con l’acqua delle annaffiature. Selezionare un concime che contiene in prevalenza l’azoto può aiutare nella crescita la pianta.

    La potatura e il rinvaso del filodendro
    Il filodendro non ha bisogno di alcuna potatura, bensì è necessario pulire la pianta con regolarità, togliendo le foglie danneggiate o morte. In questa maniera, si favorisce una crescita sana e forte della sempreverde. Questa “potatura” si può effettuare in qualunque momento dell’anno e spesso è sfruttata anche per dare la forma che si desidera alla pianta. Tra i mesi di febbraio e marzo ci si può occupare del rinvaso della pianta. Il nostro consiglio è di selezionare un vaso leggermente più grande e di sostituire il vecchio terriccio in superficie (circa 2-3 centimetri). Dopodiché, si può rinvasare la pianta, avendo l’accortezza di aggiungere un supporto utile per il sostegno della pianta.

    Le avversità in cui può incorrere il filodendro
    Come avviene spesso per le piantine ornamentali, anche il filodendro teme l’acqua in eccesso: infatti, annaffiature sbagliate possono far sorgere il marciume dell’apparato radicale, portando la pianta alla morte. Naturalmente, anche la carenza di acqua provoca danni al filodendro: l’irrigazione scarsa fa ingiallire le foglie. La pianta non soffre di malattie da parassiti e ciò è dovuto alla presenza di foglie più dure che non sono gradite al palato degli insetti. Possono comunque comparire degli afidi che si combattono con un prodotto antiparassitario. LEGGI TUTTO

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    Ripartono da Milano le giornate “Insieme a te per l’ambiente” di McDonald’s

    La sensibilità ambientale ha fatto grossi passi in avanti negli ultimi anni, eppure sono ancora troppi i rifiuti che inquinano parchi, spiagge, strade e più in generale i luoghi pubblici che animano le nostre città, causando degrado e pericoli per la nostra salute e per quella dell’ambiente. A confermarlo sono anche i dati diffusi dall’indagine “Beach Litter 2024” di Legambiente: monitorando 33 spiagge in tutta Italia, rivela il report, ogni 100 metri di spiaggia è emersa una media di 705 rifiuti, tra i quali un mozzicone di sigaretta ogni metro e più di un pezzo di plastica ogni due metri. E proprio ripulire dai rifiuti parchi, spiagge, strade e luoghi pubblici è l’obiettivo dell’iniziativa “Insieme a te per l’ambiente” promossa da McDonald’s in collaborazione con Assoambiente e Utilitalia. La quarta edizione è partita oggi a Milano (con il patrocinio del Comune e con il supporto operativo di Amsa) e ha visto protagonisti oltre 300 volontari, dipendenti sia della sede di Assago di McDonald’s, sia di tutti gli altri 31 ristoranti del brand presenti in città, impegnati a ripulire alcuni spazi verdi e aree pubbliche e a riqualificare aree giochi e complementi di arredo urbano.
    Tra i parchi cittadini coinvolti nell’iniziativa ci sono il Parco della Resistenza, Parco Monte Stella, Parco Baden Powell, Parco della Martesana e Parco Alessandrina Ravizza.

    Le immagini della quarta edizione di “Insieme a te per l’ambiente”

    L’iniziativa è stata promossa da McDonald’s, in collaborazione con Assoambiente e Utilitalia

    “Siamo orgogliosi di essere qui oggi, con le persone che lavorano nella sede di Assago, per dare il nostro contributo alla riqualifica del Parco della Resistenza. E non solo qui. Oggi siamo presenti in tante altre aree cittadine, insieme ai nostri licenziatari e dipendenti di Milano e provincia”, ha sottolineato nel corso dell’iniziativa Giorgia Favaro, amministratrice delegata McDonald’s Italia. Con questo gesto, ha proseguito, “vogliamo fare la nostra parte per riconsegnare ai cittadini di Milano spazi pubblici fruibili e vivibili. Giornate come queste sono l’occasione non solo per restituire quanto le comunità locali ci danno ogni giorno, ma anche per sensibilizzare su un fenomeno quanto mai attuale come il littering, ossia l’abbandono dei rifiuti nell’ambiente”.
    Questa quarta edizione dell’evento ha segnato anche l’inizio della partnership con Retake, fondazione non profit attiva nella tutela dell’ambiente e la cura dei beni comuni, con la quale McDonald’s ha siglato una collaborazione che vedrà le due realtà lavorare in sinergia in alcune delle prossime tappe. La giornata è stata anche l’occasione per fare un bilancio dei risultati raggiunti fin qui. “Siamo partiti quattro anni fa con questo progetto e da allora, grazie al contributo dei nostri 155 imprenditori sul territorio italiano, abbiamo effettuato 350 tappe e coinvolto oltre 15 mila persone in tutta Italia, arrivando a raccogliere circa 10 mila sacchi di rifiuti abbandonati”, ha raccontato Favaro. “Con questa quarta edizione vogliamo dare nuovo slancio all’iniziativa e siamo sicuri che con l’aiuto di Retake riusciremo a fare ancora meglio”.
    Le giornate “Insieme a te per l’ambiente” proseguiranno a Roma, dove il 27 settembre è in programma una nuova tappa dell’evento. Il progetto si inserisce nel più ampio percorso di transizione ecologica intrapreso dall’azienda ormai da diverso tempo. Tra le azioni che sono state promosse negli ultimi anni ci sono, ad esempio, l’eliminazione della plastica monouso in favore di materiali più sostenibili come la carta; l’installazione di nuovi contenitori per la raccolta differenziata nelle sale e nei dehors; la formazione interna; la collaborazione con Comieco per garantire la riciclabilità del packaging in carta e campagne di sensibilizzazione sulle corrette modalità di raccolta dei rifiuti rivolte ai consumatori. LEGGI TUTTO

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    L’impatto del cambiamento climatico aumenta sul reddito dei più ricchi

    Secondo il Potsdam Institute for Climate Impact Research, nei prossimi anni gli eventi meteorologici imprevedibili legati al riscaldamento globale sono destinati ad aumentare maggiormente i rischi economici per i consumatori ad alto reddito. “I più poveri sono attualmente i più vulnerabili, ma tutti sono sempre più a rischio, secondo lo studio pubblicato su The Lancet […] LEGGI TUTTO

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    Groenlandia, una frana dovuta ai cambiamenti climatici ha scatenato uno tsunami e un sisma durato 9 giorni

    Un’enorme frana causata dal crollo della cima di una montagna nel remoto fiordo di Dickson, nella Groenlandia nord-orientale, ha a sua volta generato un mega-tsunami alto 200 metri che ha continuato a oscillare nel fiordo per 9 giorni, facendo registrare in tutto il mondo un segnale sismico mai osservato in precedenza. È quanto emerge dallo studio “A rockslide-generated tsunami in a Greenland fjord rang the Earth for 9 days”, pubblicato su Science, cui hanno collaborato 68 scienziati provenienti da 40 Istituzioni di 15 Paesi.”Quando abbiamo iniziato questa avventura scientifica eravamo tutti piuttosto perplessi e nessuno di noi aveva la più pallida idea di cosa avesse causato quel segnale sismico così particolare: sapevamo solo che era in qualche modo associato alla frana”, racconta Kristian Svennevig, del Geological Survey of Denmark and Greenland (GEUS), primo autore dell’articolo. “Si è trattato della prima frana e del primo tsunami dovuti allo scioglimento dei ghiacci osservati nella Groenlandia orientale, a dimostrazione del fatto che i cambiamenti climatici hanno già un forte impatto anche in quella zona”. Per l’Italia, hanno preso parte alla ricerca l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), l’Università di Catania e l’Università degli Studi di Padova.

    “La nostra ricerca è iniziata nel settembre del 2023, quando un misterioso segnale sismico della durata di 9 giorni è stato scoperto nelle registrazioni provenienti da stazioni sismiche installate in tutto il mondo, dall’Artide all’Antartide”, spiega Flavio Cannavò, ricercatore dell’Ingv e co-autore dello studio. “Abbiamo subito notato, però, che il segnale appariva completamente diverso dai segnali sismici che vengono registrati in caso di terremoto: conteneva, infatti, una singola frequenza di vibrazione, simile a un ronzio dal suono monotono”.

    La contemporanea notizia di un enorme tsunami verificatosi nel fiordo di Dickson ha spinto ricercatori di numerosi enti di ricerca e università in tutto il mondo a unire le forze per cercare di capire se i due eventi fossero in qualche modo collegati. Il team multidisciplinare ha quindi analizzato dati sismici e infrasonici, misurazioni sul campo, dati della rete locale di sensori oceanografici, immagini dal vivo e da satellite e simulazioni numeriche di onde di tsunami, riuscendo a ricostruire la straordinaria sequenza di avvenimenti a cascata innescata nel settembre dello scorso anno. “È straordinario come, al giorno d’oggi, sia possibile riunire facilmente un team internazionale con capacità eterogenee per risolvere problemi complessi e riuscire a spiegare fenomeni mai documentati in tempi brevi”, spiega Andrea Cannata, ricercatore dell’Università di Catania e co-autore dello studio. “In particolare – aggiunge – è stato scoperto che la frana che ha dato inizio a tutto è stata causata dal crollo all’interno del fiordo di oltre 25 milioni di metri cubi di roccia e ghiaccio, una quantità sufficiente a riempire 10mila piscine olimpioniche. Il crollo, a sua volta, è stato causato dall’assottigliamento, avvenuto nel corso dei decenni, del ghiaccio alla base della montagna che sovrastava il fiordo, evidente espressione degli effetti dei cambiamenti climatici”.

    Il fiordo di Dickson prima e dopo la frana  LEGGI TUTTO

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    Italia in prima linea: il ponte storico tra Europa e Popoli Indigeni per la giustizia climatica passa dal futuro

    L’Italia che innova è pioniera di un nuovo modello culturale e ambientale che collega l’Europa con le antiche saggezze dei Popoli Indigeni. Popoli che sono fondamentali per affrontare la crisi climatica globale, anche perché detengono e proteggono l’85% della biodiversità a livello mondiale. E dunque parlare di sostenibilità senza il “fattore indigeno” non ha assolutamente senso, perché sarebbe come parlare di natura e impatto ambientale senza le persone che se ne prendono cura.

    Per comprendere tale ponte è indispensabile conoscere la storia della relazione geopolitica tra Europa e indigeni e non, invece, girarsi dall’altra rispetto al passato coloniale di molte nazioni europee.

    Come potremmo creare un ponte da una parte tra popoli che vivono uno stigma e lacune volontarie nei programmi scolastici, assenza di consapevolezza, e dall’altra tra i popoli che ne portano le lancinanti ferite?

    Come possiamo creare una coscienza dell’umanità sulla questione climatica, se non siamo in grado di formarla questa coscienza? E soprattutto perché dovremmo formarla e formarla in fretta? È letteralmente una questione di vita o di morte sul Pianeta Terra (e non “del” Pianeta Terra).

    La crisi climatica è in corso. E nessuno di noi individualmente può fermarla. È una questione globale, che richiede per definizione un’azione collettiva planetaria, che dovremmo svolgere prima del collasso climatico.

    Per la precisione oggi abbiamo 4 anni e 313 giorni, per il climate clock, orologio variabile in base ai nostri modelli e comportamenti, messi in campo secondo coscienza.

    Possiamo migliorare? Certo. Come Europa, ad esempio, abbiamo un passato di colonizzazioni e dominazioni culturali, di cui non parliamo troppo, neanche a scuola, perché è fatto di genocidi ed ingiustizie.

    Come Italia abbiamo anche la memoria dormiente del pensiero sulla fonte della civilizzazione dell’umanità e allo stesso tempo una pericolosa e gioiosa illusione illuminista.

    Se andate al Museo di Vatolla, in provincia di Salerno, nel nostro nel Sud Italia, scoprirete ad esempio il capolavoro di Giambattista Vico (1688-1744) “La Scienza Nuova”. E quindi dove risiede, secondo il grande pensatore, la civilizzazione dell’umanità? Nella storia dei popoli che comprende per tutti un passaggio da essere istintivo ad essere civilizzato ed è un passaggio culturale e niente affatto naturale..

    Radici e futuro.

    Al centro, la scienza, la scoperta, la conoscenza, l’esplorazione per il bene e una mentalità sostenibile prima di azioni fintamente sostenibili. Su queste basi è nata Smily Academy, l’Accademia indigena – con sede in India, Italia, Brasile e Ghana -, che studia la sostenibilità dentro i luoghi iconici delle popolazioni indigene e in quelli affetti dalla crisi climatica, di cui naturalmente è vittima anche l’Italia.

    Il tema è che da questa parte del mondo si produce abbastanza inquinamento e si procura abbastanza ingiustizia anche per l’altra parte del mondo. Chi inquina di meno, oggi subisce più danni dalla crisi climatica, come dimostrano ad esempio le inondazioni ad Assam, in India, dove ha sede una delle branch di Smily Academy, oltre all’Italia appunto.

    Il viaggio nei luoghi e nel tempo della sostenibilità passa dalla profonda conoscenza della sua e quindi della nostra storia.

    La parola stessa “sostenibilità” è oggi abusata ed è soprattutto una parola del passato, perché ci limitiamo ad usarne una definizione del 1987 a 3 dimensioni (economica, sociale ed ambientale) dimenticando la quarta dimensione su cui Smily Academy (acronimo di Sustainable Mindset and Inner Level for Youth – cioè mentalità sostenibile e dimensione interiore per i giovani) è stata fondata, tra Europa e Popoli Indigeni.

    La quarta dimensione della sostenibilità è quella invisibile: la dimensione interiore, quella legata all’anima, alla mentalità, alla connessione con noi stessi, gli altri e la natura.

    Riusciremo a renderla visibile? No. Riusciremo a prenderne coscienza piena, capendo che è quel filo invisibile l’unico a legarci alla nostra storia, al nostro presente e al futuro che scriveremo? Dipende. Dipende da come gestiremo educazione e conseguente azione climatica, tenendo dentro tutte le 4 dimensioni della sostenibilità in un processo trasformativo cruciale che passa dal fare all’essere e dall’impresa alla eco-impresa.

    I popoli indigeni del Forum mondiale sulla giustizia climatica che rappresenta 400 milioni di persone, hanno nominato nel 2023 un’europea a capo della cooperazione strategica internazionale. Fatto inedito. E noi qui? Ce la faremo a fare cose anti-storiche, profondamente inclusive, per il bene del futuro nostro e delle giovani generazioni tanto disorientate? Riusciremo a cambiare la nostra mentalità predatoria ed estrattiva, facendo pace con noi stessi, prima di dirci sostenibili o addirittura attivisti ambientali? O ci faremo testimoni del “divide et impera” come stiamo assistendo nella corsa sciagurata di Donald Trump che nel non poter convincere, decide di confonderci? Dipende realmente da ciascuno di noi e da tutti.

    Claudia Laricchia, Presidente e cofondatrice di Smily Academy e docente su sostenibilità e popolazioni indigene per lo European Institute of Innovation for Sustainability EIIS e per la Rome Business School.

    Roberto Reali, Consiglio Nazionale delle Ricerche; Dottorato di ricerca in Storia dell’Europa, Università “La Sapienza” di Roma e Professore all’Università di Tor Vergata di Roma. LEGGI TUTTO

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    Clima, con un po’ di aiuto le farfalle tornano a prosperare

    I cambiamenti climatici e l’agricoltura intensiva, che distrugge gli habitat selvatici e fa un uso intenso di pesticidi, stanno riducendo drasticamente le popolazioni di farfalle in tutto il mondo: 11% in meno negli ultimi 25 anni. Fortunatamente, con un po’ di impegno sembra che si possa fare molto per modificare la situazione. Uno studio appena pubblicato sul Journal of Applied Ecology rivela infatti che gli interventi di gestione dell’habitat – cioè le misure messe in campo per rendere gli ambienti più accoglienti per le specie selvatiche – sono in grado di rallentare se non addirittura invertire questa drammatica perdita di biodiversità nel mondo delle farfalle.

    La sopravvivenza e l’habitat
    Lo studio è stato realizzato da un team guidato dai ricercatori della Washington State University e ha analizzato i dati sulle popolazioni di 31 specie di farfalle considerate “a rischio”, in 10 diversi stati americani, rivelando un declino medio del numero di esemplari pari all’8% anno. Ovvero, una riduzione del 50% delle popolazioni studiate nell’arco di appena un decennio. I dati analizzati hanno permesso di accertare una delle principali cause di questo declino, ovvero il cambiamento dei pattern di attività degli insetti causato dall’aumento delle temperature.
    Il fenomeno, in realtà, è noto da tempo: temperature più miti portano le farfalle (e molti altri animali) a ritornarne attive sempre più precocemente dopo i mesi invernali, e rimanerlo più a lungo prima del ritorno del freddo. Meno chiaro, almeno fino ad oggi, era come questi cambiamenti comportamentali influissero sulla sopravvivenza delle farfalle: se un periodo di attività prolungato, insomma, fosse dannoso, benefico, o privo di effetti.

    Cosa fare per aiutarle
    “Abbiamo scoperto che per queste farfalle un grande spostamento nei pattern di attività ha in genere effetti negativi: le popolazioni che hanno mostrato i cambiamenti maggiori, infatti, hanno anche subito il declino più pronunciato del numero di esemplari”, spiega Collin Edwards, ricercatore della Washington State University che ha partecipato allo studio. “Fortunatamente, abbiamo scoperto anche che la gestione dell’habitat sembra ridurre gli effetti del cambiamento climatico sulle attività delle zanzare, visto che le popolazioni sottoposte più spesso a simili interventi hanno evidenziato i cambiamenti minori nelle loro abitudini”.

    Tutorial

    Cosa piantare nell’orto a settembre

    06 Settembre 2024

    Gli interventi citati nello studio comprendono falciature, incendi controllati, rimozione di erbacce e messa a dimora di piante, mirati a migliorare la disponibilità di flora adatta allo sviluppo dei bruchi e all’alimentazione e la sopravvivenza delle farfalle. Azioni che ovviamente vanno modulate sulle esigenze di ogni zona e di ogni specie di insetto, e che possono essere messe in campo su più livelli: da quello pubblico, su ampia scala, a quello privato, con le piccole iniziative che può prendere ognuno di noi nel proprio giardino di casa.
    “Vorremmo incoraggiare le persone a piantare fiori selvatici e piante adatte ad ospitare i bruchi e a fornire nettare per le farfalle”, aggiunge Cheryl Schultz, professoressa di biologia della conservazione della Washington State University che ha coordinato lo studio. “Se possibile, dovrebbe trattarsi di interventi che non richiedano pesticidi, perché più riusciamo a eliminare i pesticidi dal nostro ambiente, meglio sarà per le farfalle e gli altri insetti”. LEGGI TUTTO