15 Luglio 2024

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    Il tessuto che abbatte le temperature anche di 9°C

    Aria condizionata ed abiti leggeri potrebbero non essere più sufficienti per contrastare il riscaldamento globale e le ondate di calore sempre più frequenti. Quest’anno si sono già verificate ondate di calore in diverse aree del mondo, con temperature record in città in Messico, India, Pakistan e Oman con oltre 50°. E si prevede che entro il 2050, le popolazioni – circa il 68% dell’umanità – si sposteranno sempre di più dalle zone rurali alle città, che diventeranno delle vere e proprie isole di calore, dove cemento, marciapiedi e grattacieli provocheranno un ulteriore innalzamento delle temperatura a cause delle radiazioni termiche emesse dai materiali usati in città. Mentre tentiamo di abbattere le emissioni inquinanti, le stesse che hanno provocato e provocano tuttora l’alterazione del clima, si studiano metodi alternativi al caldo imperante. All’università di Chicago, per l’esattezza alla Pritzker School of Molecular Engineering, un gruppo di ricerca ha sviluppato un nuovo materiale, che può essere usato sia come tessuto per l’abbigliamento, per le automobili, nella conservazione degli alimenti e persone nella progettazione di edifici.

    Tecnologie green

    Ci vestiremo di funghi, ecologici e sensibili alla luce

    di Giacomo Talignani

    06 Febbraio 2021

    La sperimentazione di questo materiale innovativo, condotta sotto il sole cocente dello stato americano dell’Arizona, ha avuto risultati significativi sia nei confronti del riscaldamento solare diretto, sia nella radiazione termica emessa dalla pavimentazione e dagli edifici “diminuendo” di 2,3 gradi Celsius la percezione anche rispetto ad un tipo di tessuto usato negli sport di resistenza all’aperto ed addirittura di 8,9° rispetto alla nobile seta, comunemente utilizzata per camicie, abiti e altri indumenti estivi. “Dobbiamo ridurre le emissioni di carbonio e rendere le nostre città carbon negative o carbon neutral”, ha affermato Po-Chun Hsu, autore dello studio, “ma nel frattempo, le persone stanno risentendo dell’impatto di queste alte temperature”, con conseguenze anche gravi, che possono rendere necessario il ricovero ospedaliero, fino ad arrivare alla morte.

    Come funziona questo nuovo tessuto? Prendendo come esempio quello usato per gli sport all’aria aperta che funziona riflettendo la luce del sole, ma nel caso della città infuocata dai raggi solari che calano dall’alto e dal calore che sale dal basso dei marciapiedi e lateralmente dagli edifici, questi non avrebbero un grande effetto, per così dire “rinfrescante”. Infatti, indossando materiali progettati per riflettere la luce solare diretta, secondo gli studiosi di Chicago appena il 3% dei loro vestiti è esposta alla luce diretta, mentre il 97% dei vestiti viene riscaldato dalla radiazione termica, che questo tipo di tessuto non è in grado di contrastare.

    “La luce solare è visibile, la radiazione termica è infrarossa, quindi hanno diverse lunghezze d’onda. Ciò significa che è necessario avere un materiale che abbia due proprietà ottiche contemporaneamente. È molto impegnativo da realizzare”, ha affermato il co-autore Chenxi Sui, parlando delle difficoltà nel creare un materiale in grado di proteggere totalmente chi lo indossa, che ha aggiunto: “È necessario giocare con la scienza dei materiali per progettare e sintonizzare il materiale in modo da ottenere diverse risonanze a diverse lunghezze d’onda”. Il nuovo tessuto progettato dal gruppo di ricerca di Chicago, sotto brevetto provvisorio, potrebbe contribuire ad un sistema di raffreddamento passivo in grado di ridurre la necessità di sistemi ad alto consumo energetico e dispendiosi in termini di costi. Il riferimento è all’utilizzo massiccio dell’aria condizionata, che in paesi come Stati Uniti e Giappone, è usato da il 90% delle famiglie, con un dispendio energetico notevole, mentre in India ed in alcune parti dell’Africa, la percentuale è minima, il 5%.

    Secondo i ricercatori, oltre l’abbigliamento, creando una versione più spessa protetta da uno strato invisibile di polietilene, si potrebbe impiegare sui di edifici o automobili, abbassando le temperature interne, dunque riducendo i costi e l’impatto ambientale dell’aria condizionata. “Si possono risparmiare molti soldi in raffreddamento, elettricità ed energia perché si tratta di un processo passivo”, ha evidenziato uno dei ricercatori. Analogamente, il materiale potrebbe essere utilizzato per trasportare e conservare latte e altri alimenti che altrimenti si rovinerebbero con il caldo, riducendo l’impatto della refrigerazione. LEGGI TUTTO

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    2023, in duemila anni mai un’estate così calda: la conferma dagli alberi

    Il 2023 è stato un anno, climaticamente, da ricordare. Ha fatto caldo, tanto caldo, ma non solo, come è stato più volte ripetuto, relativamente alla storia recente. Anche considerando una prospettiva ben più estesa, il 2023 è stato un anno da record. Il più caldo nel corso degli ultimi duemila anni, sostiene oggi uno studio pubblicato su Nature. A suggerirlo è l’analisi delle temperature degli ultimi due millenni effettuata anche grazie alle informazioni contenute negli anelli degli alberi.

    Più in dettaglio i ricercatori hanno fatto affidamento sui dati provenienti dai dati relativi alle variazioni di temperatura estraibili dall’analisi dell’ampiezza degli anelli degli alberi. Quelli disponibili per l’emisfero nord, su cui hanno concentrato le analisi, consentono di guardare indietro fino a duemila anni fa (per le latitudini delle zone comprese tra i 30 e i 90 gradi nord). I dati che mostrano oggi tengono conto di queste analisi storiche, così come anche delle misurazioni effettuate grazie alle stazioni meteorologiche in epoche più recenti, mostrando un quadro complessivo, commenta da Cambridge Ulf Büntgen, tra gli autori della ricerca: “Solo con le ricostruzioni climatiche possiamo avere una visione migliore della variabilità naturale e contestualizzare i cambiamenti climatici di origine antropica più recenti”. Il focus dichiarato delle loro analisi era dunque di capire quanto il 2023 (in particolare l’estate) fosse stato anomalo non solo relativamente ai tempi recenti – quelli segnati dalle registrazioni strumentali – ma anche rispetto alle estati dell’emisfero nord del passato.

    2023, quando il clima ha infranto ogni record. Ma quando abbiamo anche capito che una via d’uscita forse esiste

    di Elena Dusi

    31 Dicembre 2023

    Procedendo in questo modo i ricercatori snocciolano una serie di numeri che sottolineano, ancora di più, l’eccezionalità del 2023. Storicamente e anche rispetto a epoche più recenti. Le prime analisi strumenti infatti, scrivono, apparirebbero distorte, in particolare che sarebbero state considerate più calde di quanto effettivamente fossero (i ricercatori parlano di warm bias). Considerando questo aspetto, l’aumento delle temperature rispetto alla media del 1850-1900 avrebbe già superato i 2°C, e quindi il limite di 1,5°C fissato dagli accordi di Parigi, riferiscono gli autori.

    Dati

    Clima, nuovo record nel 2023: mai così alte le temperature minime (+1,20°C)

    di redazione Green&Blue

    11 Luglio 2024

    Lo scarto di temperatura del 2023 è di 1,19°C rispetto all’estate più calda (il 246) di prima che venissero misurate le temperature, almeno di mezzo grado pur considerando l’incertezza sui dati. Diventa ancora maggiore se il 2023 viene confrontato con la media delle temperature dedotte per gli anni dal 1 al 1890, ed è pari a 2,20°C. Un valore, proseguono gli esperti, che sottolinea ancora di più la dimensione del fenomeno del riscaldamento globale della nostra epoca, quella dell’antropocene. Sì, concludono gli autori, El Niño ha di certo contribuito a rendere il 2023 particolarmente terribile, ma è esistito anche in passato. Non ci sono attenuanti, è il monito già ascoltato: serve ridurre subito le emissioni di gas serra. LEGGI TUTTO

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    La missione di salvare gli squali dalla minaccia dell’uomo

    Dalla parte degli squali. Per studiarli, raccontarli e – soprattutto – proteggerli. Più della metà delle specie, nel Mediterraneo, è a rischio di estinzione. Indiziata numero uno la cattura accidentale nelle attività di pesca. Le conseguenze? Decisamente negative per la biodiversità del Mare Nostrum: squali e razze svolgono un ruolo importante nel mantenimento dell’equilibrio degli ecosistemi marini. All’indomani della Giornata mondiale dello squalo, lo Shark awareness Day, che si celebra ogni anno il 14 luglio, diventano ancor più iconiche le storie di ricercatrici e ricercatori che dedicano la loro vita alla tutela degli elasmobranchi.

    “Vulnerabili e a rischio, ma possiamo proteggerli”
    Naturaliste come la biologa marina Emanuela Fanelli, che insegna biologia della pesca presso l’Università politecnica delle Marche, occupandosi in particolare di reti trofiche, ambienti profondi e conservazione di specie ed ecosistemi vulnerabili. Sarà lei la coordinatrice del progetto Life Prometheus, che partirà il primo ottobre. “Il mio interesse per gli squali – racconta – è nato quando avevo dodici anni, con il famigerato film di Spielberg. Se lo squalo mi faceva paura, rimasi affascinata dalla figura del biologo che lo studiava, provando a difenderlo. E iniziai a chiedermi dove fosse la verità”. Ora che lo ha ampiamente scoperto, Emanuela si metterà alla guida di un progetto che nasce per migliorare lo stato di salute delle popolazioni di 8 specie di squali e razze, identificate come target principale (l’Iucn le classifica come a grave rischio di estinzione o a rischio), e di altre 7 altre specie secondarie. Coordinato dall’università Politecnica delle Marche, il progetto coinvolge 21 partners da 5 paesi europei (Spagna, Francia, Italia, Grecia e Cipro) e opererà in 12 aree mediterranee, dalle Baleari a Cipro. “Promuoveremo l’uso di deterrenti elettromagnetici per ridurre le catture accidentali e non volute di squali e razze da posizionare su palangari e reti da posta. – spiega Fanelli – Poi favoriremo pratiche di pesca alternative, per esempio l’inversione della pesca con i palangari tra notte e giorno, che possono ridurre le catture delle verdesche, e sosterremo la pesca di specie più redditizie quando gli squali sono oggetto di pesca, come palombi e spinaroli – in primis specie aliene come il granchio blu e il pesce scorpione, sensibilizzando anche i consumatori. Non ultimo – dice – promuoveremo pratiche di turismo sostenibile nelle aree di aggregazione di alcune di queste specie. Sono specie sensibili – aggiunge – perché raggiungono la maturità sessuale tardivamente e producono un numero relativamente basso di uova, le specie ovipare, o di cuccioli, le specie vivipare: questo li rende più vulnerabili alle forti pressioni antropiche, in primis la sovrapesca”.

    Squali in Adriatico da proteggere
    Nel mar Adriatico – in particolar modo nell’area più settentrionale – si concentra, invece, l’attività di un’altra biologa molto attiva nello studio e nella tutela di squali e razze. Lei si chiama Licia Finotto ed è assegnista di ricerca presso l’Università di Padova. Con il suo gruppo di ricerca approfondisce vari aspetti della biologia e della ecologia, in particolare la dieta, i movimenti e il ciclo biologico. “Si tratta di informazioni essenziali per la loro conservazione. – spiega – Inoltre, stiamo studiando gli impatti che la pesca, sia commerciale che ricreativa, ha su questi animali. Spesso gli squali non sono il bersaglio della pesca, ma vengono catturati accidentalmente e poi rilasciati in mare dopo aver sperimentato ferite e stress. L’obiettivo della nostra ricerca è la valutazione del tasso di sopravvivenza dopo il rilascio per immaginare una possibile introduzione di una taglia minima commerciale cosicché gli animali giovani, con basso valore economico, vengano rilasciati e possano crescere, riprodursi e supportare la popolazione naturale”. Laurea in biologia marina con una tesi su dieta e biologia riproduttiva di alcune specie di squali, dottorato di ricerca presso la Monash University, in Australia, dove ha studiato gli effetti a lungo termine dello stress dovuto alla cattura in squali, razze e chimere, Licia ha visto scoccare la proverbiale scintilla quand’era piccola: “Trascorrevo le mie estati con la maschera da sub, coltivando il sogno di diventare biologa marina perché affascinata dai documentari sui grandi squali bianchi. – racconta – Durante gli studi universitari l’acquisita consapevolezza che anche l’Adriatico è popolato di squali, meno carismatici e per questo meno studiati, sebbene non meno in pericolo, mi ha spinto a voler contribuire alla loro protezione. Ma perché gli squali sono sempre più a rischio? “A minacciarli, con la pesca eccessiva e non regolamentata, anche l’inquinamento e la distruzione degli habitat – annota la biologa marina – E gli squali sono particolarmente vulnerabili – sono fra i vertebrati più minacciati al mondo – a causa delle peculiarità del loro ciclo vitale. Sono animali che raggiungono grandi dimensioni e maturano sessualmente ad età e taglie elevate, e perciò sono facilmente catturati anche prima di essersi riprodotti. E producono pochi piccoli”.

    Da Portofino al Banco di Santa Croce: riflettori sugli squali
    Nei giorni scorsi, in occasione della Giornata mondiale dello squalo, diverse iniziative sono state promosse in Italia per sensibilizzare il grande pubblico. Il Wwf Italia, da sempre in prima linea nella tutela degli squali, ha intensificato i suoi sforzi di educazione e sensibilizzazione a partire dallo Scuba Diving Camp – Shark edition: giovani dai 18 ai 35 anni, hanno scoperto la subacquea nell’Area Marina Protetta di Portofino e approcciato al mondo degli squali con un aperitivo scientifico dedicato insieme al Centro Studi Squali di Massa Marittima. Non si ferma la straordinaria attività di Eleonora de Sabata, portavoce di un altro progetto Life volto a tutelare gli squali, l’European Sharks, coordinato dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn, con il coinvolgimento di diverse realtà in Croazia, Francia e Italia, conclusione prevista nel 2027. Con MedSharks, de Sabata protegge da anni in particolare la nursery di gattopardi individuata a ridosso del Banco di Santa Croce, in Campania, tra Vico Equense e Castellammare di Stabia; qui sabato scorso ha preso forma l’iniziativa “Un caffè con gli squali”, al Bikini Diving di Marina di Stabia. Attivissimi in queste ore i partner del progetto Life Elife, cofinanziato dalla Commissione europea e nato con l’obiettivo di migliorare la conservazione di alcune specie di elasmobranchi promuovendo pratiche di conservazione nel contesto della pesca professionale, attraverso azioni pilota e dimostrative, messe in atto nei porti italiani e greci. Tra gli altri, gli Acquari di Cattolica e Genova, hanno invitato il pubblico a partecipare a speciali appuntamenti compresi nel biglietto d’ingresso: il primo ha dedicato le sessioni di pasto degli squali toro all’informazione e alla sensibilizzazione dei visitatori sulle problematiche legate alla pesca accidentale. LEGGI TUTTO

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    Ginepro: coltivazione in giardino e vaso, cura e consigli

    Col nome di ginepro ci riferiamo a un genere che conta diverse decine di specie tra alberi ed arbusti, tra i quali, alcuni che crescono spontaneamente anche nel nostro paese. Le sue origini sono da ricercare tra l’Europa, l’Asia e l’America del Nord. Questa pianta si contraddistingue per le sue foglie a forma di aghi o squamiforme, che possono avere una colorazione con diverse tonalità, che spaziano dal verde brillante al verde-blu. Al ginepro è associata una simbologia particolare, che risale al periodo della pestilenza in Europa: in quegli anni, le persone ritenevano di poter sconfiggere la peste ingerendo le bacche o bruciandone il legno. Talvolta è anche definito fiore della morte, perché lo si trova nei pressi di cimiteri. 

    Il ginepro ha un significato particolare nel linguaggio delle piante: lo possiamo donare a qualcuno per dirgli che vogliamo proteggerlo da un nemico o da qualcosa di particolarmente negativo. Ciò è dovuto a quanto suggerisce il suo nome in greco, arkeuthos, che significa “contrastare un nemico”.

    Il ginepro ricadente o strisciante

    Il ginepro ricadente o strisciante, come suggerisce il nome stesso, è un arbusto di ridotte dimensioni che si presta ad essere coltivato quando serve una pianta tappezzante. La varietà ricadente non supera quasi mai il mezzo metro di altezza, mentre si espande in larghezza per diversi metri. Una delle varietà tra le più comuni è quella con le foglie (aghi) di una tonalità tra il blu e il verde, sebbene ne esistano anche altre di colori più chiari. Gli esemplari femmina producono delle bacche di color nero, mentre quelli maschio presentano delle pigne di color giallo. La varietà strisciante gradisce l’esposizione al sole, sebbene si adatti a crescere anche in mezz’ombra. La sua rusticità gli permette di superare senza particolari problemi gli inverni freddi e le estati calde. Il suo terreno ideale è contraddistinto da una leggera acidità.

    Come coltivare in vaso e giardino

    Possiamo coltivare il ginepro anche in vaso, soprattutto nel caso in cui volessimo preparare una talea alla successiva messa a dimora in piena terra. Il contenitore ideale per un piccolo esemplare di ginepro ha una dimensione ideale attorno ai 20 centimetri di diametro. Ricordiamoci di prestare molta attenzione all’innaffiatura: per uno sviluppo ottimale delle radici del ginepro, possiamo annaffiare un paio di volte alla settimana. Quando l’esemplare ha raggiunto un certo livello di maturità, possiamo lasciare che l’irrigazione avvenga tramite le piogge.

    Il ginepro non è particolarmente esigente in fatto di terreno, sebbene prediliga quelli contraddistinti da una buona capacità drenante: è una pianta che si adatta anche a crescita nei terreni particolarmente poveri e con una tendenza all’aridità. Nel caso di messa a dimora in piena terra, possiamo prediligere un mix tra sabbia, terra da giardino e terriccio, in modo tale da impedire il ristagno idrico a livello radicale. Il periodo ideale per la piantumazione è durante l’autunno.

    Cura, annaffiatura e potatura

    Questa pianta richiede delle innaffiature regolari, tali da impedire che il terreno si possa asciugare troppo, solo durante il periodo che ne segue la messa a dimora. Una volta raggiunta la maturità, la pianta non necessita di particolari annaffiature, se non nel caso di prolungati periodi siccitosi durante l’estate. Per quanto riguarda la concimazione, possiamo ricorrere all’uso dello stallatico o a un concime in granuli a lento rilascio, avendo cura di concimare verso la fine dell’inverno. Il ginepro non ha particolari pretese neanche in termini di potatura: di solito, possiamo limitarci a guidarne in modo armonioso la crescita. In linea di massima, i rami più anziani andrebbero eliminati solo quando danneggiati, avendo cura di scegliere l’inizio della primavera o il mese di settembre. I tagli troppo frequenti impediscono inoltre alla pianta di sviluppare le sue caratteristiche bacche, che di solito possiamo raccogliere nei mesi a cavallo tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno.

    Parassiti e malattie

    Il ginepro può essere attaccato principalmente da due tipologie di insetti: i pidocchi o le cocciniglie. Nel primo caso, gli afidi colpiscono le foglie e causano anche l’insorgenza di alcuni funghi, attirati dalla melata prodotta da questi insetti. Quando il ginepro è infestato dalle cocciniglie, le sue foglie presentano tutta una serie di macchie, sul lato inferiore delle foglie, che vanno dal colore bianco al marrone. Se le infestazioni sono individuate sul nascere, possiamo ricorrere al classico rimedio della pulizia con un batuffolo di ovatta imbevuto di alcol, trattando le parti della pianta colpite dall’avversità. Qualora ci accorgessimo un po’ troppo tardi della presenza di questi insetti sgraditi, potremmo sottoporre il ginepro ad un trattamento con un antiparassitario ad hoc. LEGGI TUTTO