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    Dal fotovoltaico alla caldaia, i bonus per rendere la casa più efficiente

    Ultimi mesi per approfittare della detrazione del 50% per installare i pannelli solari sulla prima casa. A partire dal 1° gennaio 2026, infatti, salvo novità nella legge di Bilancio, la detrazione si ridurrà drasticamente al 36% anche se l’intervento riguarda, appunto, la casa nella quale si abita. Chi ha in programma interventi di questo tipo, perciò, si dovrà affrettare. Sono agevolabili in questo ambito anche i sistemi di accumulo da aggiungere ai pannelli esistenti come pure il revamping, ossia l’ammodernamento e l’ampliamento degli impianti. In alternativa alla detrazione è possibile guardare ai bandi locali ancora aperti che consentono di avere un contributo sulle spese alternativo alla detrazione.

    Bonus per nuovi pannelli e batterie di accumulo
    La detrazione fiscale del 50% per ristrutturazioni edilizie si applica anche all’installazione di impianti fotovoltaici e relativi sistemi di accumulo. L’agevolazione permette di recuperare metà della spesa sostenuta in 10 anni attraverso la dichiarazione dei redditi. L’installazione dei pannelli è un intervento di edilizia libera per cui non è necessaria alcuna autorizzazione comunale, tranne il caso di impianti nei centri storici o su immobili vincolati. La detrazione spetta per acquisto e installazione di pannelli e sistemi di accumulo, anche se acquistati separatamente, ma anche per il potenziamento o sostituzione di impianti esistenti, entro la potenza massima agevolata di 20kW.

    Rientrano nella detrazione le spese accessorie (opere edili, certificazioni, collaudi). L’agevolazione è prevista nell’ambito del bonus casa per cui in caso di altri lavori edilizi occorre l’ importo massimo detraibile di 96.000 euro comprende tutti gli interventi. Per la detrazione il pagamento deve avvenire esclusivamente tramite bonifico bancario o postale con causale specifica dedicata agli interventi di ristrutturazione.

    Contributi locali per i pannelli abbinati alle pompe di calore
    Per chi ha rinviato l’investimento fino ad oggi, in alcuni casi c’è la possibilità di ottenere un contributo diretto in alternativa alla detrazione approfittando dei bandi regionali ancora aperti. I contributi possono essere anche sono più generosi della detrazione, e comunque la loro liquidazione è immediata, il che è molto più vantaggioso rispetto all’attesa di 10 anni per recuperare la metà dell’importo speso. Operativamente perciò conviene controllare sul sito della propria regione se si ha la possibilità di accedere a questa tipologia di finanziamento che favorisce sia la produzione di energia che il risparmio energetico. Nella maggior parte dei casi, infatti, i fondi sono destinati a sostenere l’installazione di impianti fotovoltaici abbinati alle pompe di calore, a fronte della sostituzione dei vecchi impianti. Molte le opportunità da questo punto di vista in quanto il contributo può riguardare anche la sostituzione di stufe a biomassa, e non solo di vecchie caldaie a gas.

    I bandi regionali
    La regione Friuli-Venezia Giulia, ad esempio, ha stanziato 70 milioni di euro per il 2025 destinati a sostenere l’installazione di fotovoltaico e accumulo sulla prima casa. Le domande si possono presentare fino a fine anno.

    Anche in Basilicata il bando regionale per i cittadini resta aperto fino al 31 dicembre 2025 con 39 milioni di euro disponibili. Contributi fino a 10.000 euro per fotovoltaico con accumulo e pompe di calore, con potenza minima di 3 kW per gli impianti solari.

    Infine la Toscana con il bando “Casa a zero emissioni” offre 6 milioni per pompe di calore abbinate a fotovoltaico nei 14 Comuni della Piana Lucchese. Bando aperto fino a esaurimento fondi. LEGGI TUTTO

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    Faroe, nuova mattanza da record di globicefali e delfini

    La mattanza continua. Altri 285 globicefali sono stati uccisi, secondo l’associazione Sea Shepherd, in un solo giorno alle isole Faroe durante una delle battute di caccia del “grind”, la tradizionale uccisione dei cetacei che da anni si ripete nel territorio del nord Europa. I numeri dell’ultima battuta di caccia avvenuta a a Fuglafjørõur la rendono una delle più grandi dell’anno: il grindadrap, da quando è iniziato a gennaio, ha già visto in dieci diversi eventi un totale di “almeno 1000 uccisioni di globicefali (pilot whales, ndr) e altri cetacei” nel 2025, sostengono le associazioni animaliste. Un numero che supera già ora le stime dello scorso anno (circa 750 cetacei). Le stesse organizzazioni denunciano come anche nell’ultima battuta il branco predato includeva delle femmine gravide e dei cuccioli e sostengono come il bilancio reale delle morti potrebbe essere “molto più alto di quello ufficiale”.

    Con più forza e con una campagna internazionale chiamata Stop the Grind dal 2021 Sea Shepherd e altri gruppi – dopo la terribile mattanza del 12 settembre di quattro anni fa in cui morirono quasi 1500 animali in un solo giorno – si battono per chiedere uno stop a questa antica pratica che fa parte della tradizione e della cultura delle Faroe, un tempo nata per il consumo di carne e oggi perpetuata nel tempo per mantenere il rito.

    Nonostante l’estate 2025 fosse iniziata con una buona notizia, ovvero la decisione dell’Islanda di chiudere la caccia alle balene, con un messaggio indiretto che suonava d’esempio per gli altri Paesi (Giappone e Norvegia) che insistono ancora sulla caccia, l’uccisione dei cetacei e la sospensione del grindadrap alle Faroe non è mai veramente stata presa in considerazione: ogni anno le acque del mare continuano a colorarsi di rosso sangue e le carcasse vengono allineate lungo la riva. Un’azione “raccapricciante” che non trova sosta nemmeno, ricordano gli ambientalisti, dopo alcuni avvertimenti delle autorità delle Isole Faroe sul rischio di tossicità legato al consumo di carne di globicefali e dopo il fatto che, per eccedenza, alcune autorità hanno rifiutato la carne in eccesso.

    Biodiversità a rischio

    Un silenzio inaspettato e preoccupante: i suoni scomparsi delle balenottere azzurre

    di Giacomo Talignani

    06 Agosto 2025

    Quest’anno per dar conto di quanto stava avvenendo tra i fiordi e le acque delle Faroe i volontari di Sea Shepherd hanno girato diverse dirette, diffuse sui social network, che documentavano una caccia “avvenuta per ore”. Mentre i responsabili delle uccisioni hanno parlato della morte di “solo” una settantina di esemplari, i membri dell’associazione hanno sostenuto invece come i numeri fossero decisamente maggiori, con arpioni e coltelli pronti a colpire un branco di almeno 400 esemplari. Una discordanza di numeri che per Sea Shepherd è segnale di “mancanza di monitoraggio” su quanto sta avvenendo. La carne continua poi a essere distribuita fra i locali e anche venduta online: la giustificazione principale del “grind” è infatti ancora legata, oltre alle tradizioni, a motivazioni commerciali.

    Per Valentina Crast, direttrice della campagna di Sea Shepherd, “la caccia al Fuglafjørõur mette in luce la crudeltà e l’avidità che animano queste attività. Oltre 285 mammiferi marini sono stati massacrati in un massacro caotico che si è protratto per oltre 90 minuti. Intere famiglie sono state sterminate, non per mettere cibo sulle tavole della gente, ma per lasciare carne ammucchiata sulle isole, con eccedenze rifiutate persino dagli stessi faroesi. Nonostante questo, le uccisioni continuano”.

    Negli ultimi 40 anni, in media, nelle isole Faroe ogni anno sono stati uccisi 1150 fra globicefali, delfini e varie specie di cetacei. In un contesto di sempre maggiore difficoltà per la biodiversità, dove i cetacei si trovano a sopravvivere in mari più caldi, acidi e impattati dall’inquinamento da plastica, Sea Shepherd e altre associazioni si sono unite in una coalizione per chiedere la fine, per sempre, dell’inutile uccisione di animali. LEGGI TUTTO

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    Rudbeckia: coltivazione, esposizione, fioritura e varietà della “margherita gialla”

    È uno dei fiori più solari dell’estate, capace di resistere alla calura e di regalare macchie di colore fino all’autunno inoltrato. La Rudbeckia, conosciuta anche come margherita gialla o Susan dagli occhi neri, è una pianta perenne ornamentale originaria del Nord America, apprezzata sia per la facilità di coltivazione, sia per l’impatto visivo delle sue corolle dorate. Scopriamo insieme come coltivarla, l’esposizione ideale, i segreti della fioritura e le varietà più interessanti.

    Rudbeckia: caratteristiche generali della pianta
    La Rudbeckia appartiene alla famiglia delle Asteraceae e comprende oltre 20 specie tra annuali, biennali e perenni. La sua caratteristica più distintiva è il contrasto tra i petali giallo vivo e il centro scuro quasi nero, un dettaglio che attira farfalle, api e altri impollinatori.

    Si adatta bene sia in aiuole soleggiate sia in vasi capienti su balconi e terrazzi, con una fioritura che può protrarsi da luglio a ottobre. Grazie alla rusticità e alla resistenza, è adatta anche a chi non ha il pollice verde o dispone di poco tempo per la manutenzione.

    Rudbeckia: terreno, annaffiatura, concimazione e potatura
    Coltivare la Rudbeckia è semplice, ma conoscere qualche accorgimento può fare la differenza. Ad esempio, partendo dal terreno, bisogna ricordarsi che questa pianta dai fiori gialli preferisce un substrato fertile, ben drenato, leggermente acido o neutro. Un buon terriccio universale arricchito con compost o letame maturo garantirà una crescita vigorosa.
    Per quanto riguarda invece l’annaffiatura, se coltivata in piena terra la Rudbeckia adulta sopporta brevi periodi di siccità. Se coltivata in vaso, invece, ha bisogno di una regolare irrigazione, ma attenzione sempre ai ristagni idrici, che possono causare marciume radicale.

    Sulla concimazione poche e semplici regole: durante la stagione vegetativa, utilizzare un fertilizzante per piante da fiore ogni 2-3 settimane aiuterà la Rudbeckia a fiorire in modo sano e forte.
    Infine, ma non per importanza, è da considerare anche la potatura: eliminare i fiori appassiti stimola la produzione di nuove gemme e prolunga il periodo di fioritura.

    Una particolarità interessante: la Rudbeckia è autoseminante. Lasciando maturare i semi sui capolini, l’anno successivo spesso compariranno nuove piantine spontanee.

    Esposizione della Rudbeckia: dove posizionarla
    Per dare il meglio, la Rudbeckia ha bisogno di molta luce. Per questo, l’esposizione ideale è in pieno sole, dove la pianta sviluppa steli robusti e fiori di dimensioni maggiori.
    Può tollerare mezza ombra, soprattutto nelle regioni più calde, ma con una fioritura meno abbondante. In zone ventose è consigliabile fornire un sostegno alle varietà più alte, per evitare che gli steli si pieghino.

    Fioritura: quando fiorisce la Rudbeckia
    Uno dei motivi per cui la Rudbeckia è così amata sta nella longevità della fioritura. Infatti, a partire da luglio e fino arrivare a ottobre, questa pianta perenne regala corolle che resistono bene anche dopo le prime frescure autunnali. Il fiore, simile a una margherita ma con petali più sottili e disposti in cerchio attorno a un disco centrale scuro, ha un aspetto selvatico e naturale, perfetto per giardini in stile prateria, bordure miste o composizioni spontanee.
    Molte varietà sono apprezzate anche come fiori recisi: immersi in acqua, durano diversi giorni, portando un tocco di sole in casa.

    Le varietà della Rudbeckia: dalle classiche alle più scenografiche
    Tra le specie di Rudbeckia più gettonate dai clienti, ci sono:

    Rudbeckia hirta: annuale o biennale, con fiori di 5-10 cm di diametro e petali gialli, arancio o bicolori. È la più coltivata nei giardini domestici;
    Rudbeckia fulgida ‘Goldsturm’: perenne, compatta e molto rustica. Fiorisce da luglio a settembre con corolle giallo intenso. Perfetta per bordure soleggiate;
    Rudbeckia laciniata: alta fino a 2 metri, con petali giallo limone e centro verde. Ideale come sfondo in aiuole miste;
    Rudbeckia triloba: perenne di breve vita, produce una miriade di piccoli fiori e si adatta bene anche a terreni poveri;
    Rudbeckia subtomentosa ‘Henry Eilers’: originale per i petali tubolari giallo canarino. Più rara, ma molto decorativa.

    Rudbeckia: malattie e parassiti comuni
    La Rudbeckia è in genere poco soggetta a problemi, ma in condizioni di elevata umidità può essere attaccata da oidio (mal bianco) o da peronospora. È importante garantire una buona aerazione ed evitare ovviamente irrigazioni sulle foglie. Gli afidi e le lumache possono danneggiare germogli e foglie giovani: in questi casi, meglio intervenire con metodi naturali come il sapone molle o barriere fisiche.

    Perché scegliere la Rudbeckia
    I motivi per i quali scegliere la Rudbeckia sono diversi, ma qui li abbiamo sintetizzati in pochi e concisi punti.

    È facile da coltivare, anche per principianti;
    Garantisce una lunga fioritura;
    Attira insetti impollinatori, favorendo la biodiversità;
    Si adatta sia alla piena terra, sia ai contenitori.

    La Rudbeckia è un investimento sicuro per chi desidera un giardino luminoso, naturale e a bassa manutenzione. Che sia un’ampia aiuola o un vaso sul balcone, questa pianta saprà trasformare lo spazio con il suo giallo solare e il suo fascino intramontabile. LEGGI TUTTO

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    Quanto è blu il cielo? Ce lo dice il cianometro

    A volte appare pallido, altre vibra di un celeste brillante, altre ancora assume sfumature che vanno dall’indaco al viola. Da oltre due secoli è possibile misurare il colore del cielo grazie a uno strumento chiamato cianometro, che trasforma la poesia del firmamento in numeri.

    Inventato nel Settecento
    Il primo dispositivo di questo tipo fu creato nel 1789 dal fisico e naturalista svizzero Horace-Bénédict de Saussure. Appassionato alpinista, osservò, durante le sue ascensioni, che la tonalità del cielo diventava via via più intensa con l’aumentare dell’altitudine.

    Per studiare il fenomeno ideò un disco di carta suddiviso in tasselli, ciascuno con una diversa sfumatura di azzurro. La scala comprendeva 53 toni numerati progressivamente: il bianco corrispondeva al grado 1, ossia un cielo quasi privo di saturazione, velato o lattiginoso, mentre il blu profondo era associato al grado massimo, il 53, equivalente alla massima intensità cromatica percepibile a occhio nudo. Confrontando il cielo con questi campioni, l’osservatore poteva attribuirgli un valore numerico preciso.

    Grazie a questo metodo, lo scienziato evidenziò, per esempio, che sulla vetta del Monte Bianco il cielo appariva pari al grado 39 della scala. Fu anche tra i primi a ipotizzare che l’intensità del colore dipendesse dalla quantità di umidità e di particelle sospese nell’atmosfera.

    Tecnologia

    Lampioni che ascoltano il traffico: -65% dei consumi energetici

    di Dario D’Elia

    20 Luglio 2025

    La versione contemporanea
    Il cianometro attuale riprende l’idea del suo inventore, ma utilizza tecnologie avanzate per misurare e visualizzare la tonalità della volta celeste con maggiore precisione. Nel 2016 a Lubiana, nominata Capitale verde d’Europa, è stato installato un monolite in vetro e acciaio alto circa tre metri, ideato dal designer Martin Bricelj Baraga, in collaborazione con l’Agenzia slovena per l’ambiente e con il Museum of Transitory Art. Grazie a fotocamere e sensori digitali, cattura a intervalli regolari le immagini del cielo e le confronta, tramite software, con il campione cromatico di Saussure. Parallelamente, integra i dati delle centraline ambientali e delle stazioni meteorologiche collegate.

    Sul pannello dell’installazione compaiono, perciò, sia il colore del cielo in tempo reale sia un indicatore della qualità dell’aria, rappresentato da una scala cromatica che va dal verde (aria pulita) al rosso (aria molto inquinata) e affiancato da numeri che evidenziano le concentrazioni di Pm10, ozono, biossido di azoto e altri inquinanti. Icone aggiuntive segnalano la fonte prevalente di contaminazione, che può derivare da traffico, attività industriali o riscaldamento domestico.

    Lo strumento possiede, inoltre, pannelli solari, il che lo rende autosufficiente dal punto di vista energetico, in modo che possa funzionare senza bisogno di elettricità.

    Innovazione

    Il dispositivo portatile che monitora la qualità dell’aria che ci circonda

    di Gabriella Rocco

    12 Settembre 2025

    La diffusione in Europa
    Sull’onda del successo di Lubiana, altre città hanno attuato il progetto. Nel maggio 2017 un cianometro è stato posizionato a Breslavia, in Polonia: questo dispositivo è connesso in rete con quello sloveno, permettendo un confronto diretto dei dati tra le due città. Negli anni successivi lo strumento è stato collocato anche altrove. Nel 2022, per esempio, sono stati realizzati nuovi allestimenti, seppur temporanei, in altre due città europee: Dresda, in Germania, e Ginevra, in Svizzera.

    Ovunque l’installazione è stata concepita come un efficace mezzo di sensibilizzazione ambientale. In un’epoca in cui l’inquinamento atmosferico è spesso un problema invisibile, visualizzare la qualità dell’aria aiuta il pubblico a comprendere in modo semplice concetti astratti e complessi.

    Oltre a essere utili dal punto di vista divulgativo, i cianometri raccolgono anche dati rilevanti: tutte le misurazioni vengono, infatti, inviate a un archivio online consultabile da esperti e cittadini. Nel tempo, questa banca dati consentirà di documentare l’evoluzione della qualità dell’atmosfera urbana, mettendo in evidenza variazioni correlate a politiche ambientali e a cambiamenti climatici. LEGGI TUTTO

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    Che fine ha fatto l’educazione ambientale nella nostre scuole?

    Gli studenti di una scuola media di Napoli hanno adottato il parco pubblico vicino la scuola. Ogni mese ragazzi e ragazze, con i volontari si occupano della pulizia del verde, raccolgono i rifiuti e fanno piccole manutenzioni. In Umbria lo scorso anno è nato il progetto “L’orto dei piccoli”: chi cura l’insalata, chi le erbe aromatiche. “Così i bambini hanno imparato non solo quanto tempo e lavoro richiede prendersi cura della terra, ma anche non sprecare il cibo”, spiegano gli insegnanti. A Venezia i bambini delle materne a turno salgono su un vaporetto insieme agli insegnanti per andare a conoscere le isole della laguna. Piccole storie che raccontano come la materia “Educazione all’ambiente” viene affrontata nelle scuole in Italia. Senza nessuna regia.
    Diritto di tutti, ma senza linee guida
    Perché se da una parte, è diventata una materia obbligatoria quando lo è diventata anche l’Educazione Civica (a partire dall’anno scolastico 2020-21 sono previste 33 ore all’anno) in tutte le scuole dalla primaria alla secondaria di secondo grado, dall’altra le modalità in cui viene insegnata sono lasciate all’autonomia delle singole scuole. Non è infatti previsto un programma nazionale unico. Questo significa che ogni preside o direttore didattico può decidere quali docenti coinvolgere e in quali materia trattare i temi ambientali. Risultato? L’autonomia ha portato in questi anni ad una grande varietà di esperienze. Così, ci sono scuole molto attive sul fronte ecologico e che organizzano progetti interdisciplinari altre invece che la inseriscono solo in scienze o geografia. Altre ancora collaborano con enti e associazioni esterne, come Legambiente, WWF e Marevivo che propongono iniziative e corsi di formazione per i docenti.

    Biodiversità

    Lavori green, la guida ambientale: “Un’escursione è un viaggio culturale”

    di Fiammetta Cupellaro

    11 Marzo 2025

    Scuole verdi
    Anche l’approccio didattico è lasciato alla sensibilità del corpo docente: può essere solo teorico, oppure prevedere esperienze in laboratorio, uscite all’aperto, utilizzare supporti digitali o meno. Insomma, tutto è affidato alla sensibilità del corpo docente: così nella stessa città ci possono essere scuole in cui si organizza un orto didattico, oppure lezioni sul clima, la pulizia del proprio quartiere, incontri con gli esperti e altre in cui semplicemente si chiama un esperto per tenere qualche lezione in classe di scienza sul riciclo e sull’inquinamento. Entrambe le formule rispettano formalmente l’obbligo, ma con un grado di coinvolgimento e profondità molto diverse.

    Entra a scuola la “Consapevolezza finanziaria”
    Così dopo la prima campanella già suonata in molte regioni di Italia, oltre 7 milioni di bambini e ragazzi tornano in classe senza sapere bene cosa faranno durante le ore di Educazione Civica dedicata all’ambiente, allo sviluppo sostenibile e la tutela del patrimonio. “Non solo. Quest’anno questa materia è stata depotenziata – spiega Claudia Cappelletti, responsabile Scuola per Legambiente – il Ministero dell’Istruzione ha introdotto sempre nella stessa materia ‘Educazione Civica’, anche l’insegnamento della ‘Consapevolezza economica e finanziaria’ per tutte le scuole. Eppure, l’ambiente era stata presentato come uno dei tre pilastri dell’Educazione Civica, gli altri due erano lo studio della Costituzione e l’uso consapevole delle tecnologie digitali”. A questo punto quanto tempo rimarrà agli studenti per coltivare l’orto a scuola, oppure pulire con gli insegnanti il tratto di spiaggia davanti casa e imparare con i volontari la raccolta differenziata e non sprecare il cibo? “Molto poco. Visto che dovranno dividerlo con chi insegnerà loro cosa vuol dire risparmio e investimento, banche e bilancio” tiene a sottolineare ancora Cappelletti che con Legambiente continua a proporre iniziative per insegnare la tutela all’ambiente.
    “Come diventare cittadini consapevoli”
    “Purtroppo è un’occasione persa. Speriamo che da parte delle scuole che godono appunto di autonomia didattica e organizzativa continuano a organizzare laboratori e uscite per gli studenti. Cerchiamo poi di far capire quanto sia importante inserire il tema della sostenibilità in ogni materia. Deve essere multidisciplinare: non può essere inserita solo durante l’ora di Scienze o Geografia. Anche l’approccio pratico, con i laboratori, le uscite, le esperienze fuori dalla scuola è importante e va salvato. Da parte nostra offriamo delle chiavi di lettura per studenti e docenti, ma poi l’obiettivo resta quello della scuola che deve formare i cittadini di domani, attivi e consapevoli. Un aspetto importante per la loro crescita. Come insegnare loro a diventare imprenditori e leggere un bilancio”. LEGGI TUTTO

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    L’assenza delle correnti di acqua fredda nel Pacifico preoccupa gli scienziati

    Come ogni anno, da oltre quarant’anni, gli scienziati nei mesi scorsi – tra gennaio ed aprile – si aspettavano di osservare un fenomeno chiave del Pacifico che regola vita e clima. Con molta sorpresa, e una preoccupazione difficile da nascondere, quel fenomeno però in questo 2025 per la prima volta in assoluto non si è verificato. Un cambiamento chiave, inatteso, che apre a una domanda: siamo davanti a un pericoloso punto di non ritorno? Il fenomeno in questione riguarda le acque e le correnti dell’oceano Pacifico, un oceano sempre più caldo, acido e dove la biodiversità è in costante difficoltà. Ogni anno tra gennaio e aprile una grande massa di acqua fredda solitamente risale dalle profondità del Golfo di Panama verso la superficie: questo passaggio è quello decisivo che regola sistemi climatici e vita marina nella regione. Da quando esistono studi e rilevazioni, è sempre avvenuto con puntualità. Ma all’inizio del 2025 gli scienziati hanno osservato quella che è stata definita “una interruzione senza precedenti”, ben raccontata all’interno di uno studio pubblicato su PNAS da un gruppo internazionale di ricercatori.

    Riscaldamento globale

    Il crollo della corrente atlantica è un rischio reale, il nostro clima ne sarebbe sconvolto

    di Giacomo Talignani

    29 Agosto 2025

    Per via di correnti e acqua fredda che risalgono in superficie solitamente le acque del Pacifico al largo della costa di Panama registrano tra gennaio e aprile un drastico calo della temperatura che, a sua volta, causa una complessa interazione tra atmosfera e oceano. Questa risalita fa parte di un processo naturale che, tra le altre cose, contribuisce a mettere in circolo i ricchi nutrienti dei fondali oceanici che a loro volta alimentano la vita (e la pesca) degli organismi marini di un Golfo da sempre soggetto ai forti venti settentrionali che, quando si incanalano verso sud attraverso Panama e il Pacifico, contribuiscono a rimescolare le acque.

    Fin dagli anni Ottanta le rilevazioni hanno sempre indicato la risalita iniziare intorno alla terza settimana di gennaio per poi concludersi ad aprile, un evento capace di abbassare la temperatura media dell’acqua intorno ai 18 gradi. Quest’anno però l’evento non è avvenuto prima di marzo e le acque più fredde sono rimaste in superficie pochissimo, meno di un paio di settimane, tant’è che le temperature medie dell’acqua superficiale sono scese solo a 23 °C.

    Riscaldamento globale

    Agosto 2025 il terzo più caldo mai registrato per gli oceani

    a cura della redazione di Green&Blue

    04 Settembre 2025

    “È stata una sorpresa” sostiene al New York Times Ralf Schiebel, paleoceanografo del Max Planck Institute for Chemistry che studia la regione. “Non avevamo mai visto niente del genere prima” ha poi aggiunto. La causa non è chiara. Complice potrebbe essere la scarsa intensità dei venti alisei che spingono l’acqua calda superficiale lontano dalla costa, risultati in genere nel 2025 meno forti e persistenti. Ma i ricercatori non escludono allo stesso tempo che possa trattarsi di un fenomeno collegato alla crisi del clima. Di certo, aggiunge Steven Paton, fra i coautori dello studio e ricercatore dello Smithsonian Tropical Research Institute, “possiamo affermare con chiarezza che è accaduto qualcosa di molto insolito a cui dobbiamo prestare attenzione”.

    Fra le possibilità individuate come cause oltre al cambiamento degli alisei tipici della stagione secca a Panama c’è anche un possibile cambiamento nei sistemi di alta e bassa pressione che influenzano i modelli meteorologici stagionali (che a loro volta modificano l’intensità degli alisei) oppure i possibili impatti legati al fenomeno naturale de La Niña, la fase fredda di un ciclo oscillante di temperature dell’acqua nell’Oceano Pacifico, ma anche le temperature elevate dovute a ondate di calore e crisi del clima sono sul banco degli imputati.

    Riscaldamento globale

    Ondate di calore marine: 2023 senza precedenti per intensità ed estensione

    di Simone Valesini

    03 Agosto 2025

    Per capire l’impatto a lungo termine di questi fattori e come potrebbero aver cambiato le dinamiche nel Golfo di Panama serviranno ulteriori ricerche spiegano gli esperti. Comprenderlo, è però fondamentale per un fatto: senza più quelle acque fredde cariche di nutrienti la vita marina del Pacifico potrebbe essere compromessa e avere “importanti ripercussioni sull’intera catena alimentare” dicono gli scienziati.

    Dall’esistenza di piccoli pesci sino a quella di coralli o alla vita di delfini e balene migratrici, la maggior parte degli organismi marini dipende infatti proprio dalle dinamiche di correnti e acque. Per esempio la massa fredda del Golfo di Panama offre ai coralli maggiori possibilità di sopravvivere alle ondate di calore marino rispetto ad altre aree del mondo. Ora i ricercatori – sostenendo di dover indagare ancora – temono che questo fenomeno possa rivelarsi un punto di non ritorno: per questo osservate speciali nei prossimi mesi saranno anche le masse d’acqua fredda delle Galapagos, del Costa Rica e di altri luoghi e sistemi degli oceani dove gli alisei potrebbero calare. In particolare, osservato speciale sarà poi tutto il Pacifico, oceano che, come ha scritto recentemente sui social anche il meteorologo e ricercatore del CNR-Lamma Giulio Betti, sta subendo un cambiamento radicale a causa di “temperature superficiali del mare troppo alte” con ripercussioni che potranno farsi sentire ovunque. “Non sorprendiamoci se nei prossimi mesi continueremo a parlare di caldo anomalo ed eventi alluvionali – scrive Betti -. Siamo ufficialmente entrati in una fase ignota, perché se 2023 e 2024 potevano essere eccezioni, il 2025 suona come una conferma: siamo ad un tipping point”. LEGGI TUTTO

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    Dal ghiaccio salato si può ottenere energia pulita e sostenibile

    Il ghiaccio salato può generare una carica elettrica mille volte più elevata rispetto al ghiaccio normale quando viene filtrato. Lo dimostra uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Materials, condotto dagli scienziati della Xìan Jiaotong University. Il team, guidato da X. Wen, S. Shen e G. Catalan, ha ideato un approccio in grado di generare una […] LEGGI TUTTO