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    Mascherine facciali, da scarto inquinante a prodotto ad alte prestazioni

    È dallo scoppio della pandemia di Covid-19, che i ricercatori di tutto il mondo studiano come riciclare l’enorme quantità di mascherine che si è accumulata nelle discariche. Che se da un lato protegge dalla diffusione di virus, dall’altra è considerato un prodotto altamente inquinante. Fino adesso i tentativi di riutilizzo non hanno però convinto del tutto sia gli scienziati che gli investitori. Nei vari esperimenti non si mai trovato quell’equilibrio fondamentale tra efficienza delle prestazioni dei nuovi prodotti, benefici economici e impatti ambientali associati alla nuova produzione. Alcune volte il processo era troppo costoso oppure poco efficiente oppure consumava troppe materie prime. Allora che fare?

    La nuova ricerca
    Gli esperimenti non si sono mai fermati e ora una nuova ricerca che arriva dalla Cina e pubblicata su Engineering spiega come i ricercatori dell’università di Scienza e Tecnologia di Huazhong siano riusciti, grazie all’uso di una tecnologia innovativa, a convertire semplici mascherine gettate in discarica in prodotti verdi di alto valore come l’idrogeno e i nanotubi di carbonio (CNT) materiale utilizzato anche in ambito aerospaziale e di stoccaggio di energia. Non solo. Secondo i ricercatori, il nuovo sistema di riciclo sarebbe sostenibile anche dal punto di vista economico, sia perché la tecnologia per creare CNT su larga scala con le mascherine facciali è poco costosa sia per le abbondanti riserve della materia prima a basso costo visto che si trova in discarica. Considerando che il potenziale di inquinamento delle mascherine facciali è principalmente correlato ai componenti polimerici, mentre i fili metallici possono essere facilmente riciclati, la plastica era l’obiettivo.

    La polemica

    Nonostante i treni gratis, i potenti di Davos continuano a usare i jet privati e ad emettere CO2

    di  Giacomo Talignani

    22 Gennaio 2025

    Dai rifiuti allo spazio: i nanotubi di carbonio
    Il processo utilizzato dagli scienziati cinesi che hanno coordinato gli esperimenti si basa dunque sulla conversione termochimica, principalmente sulla pirolisi catalitica, dei rifiuti polimerici: simile al processo di raffinazione della plastica e che mira a soddisfare la domanda di veicoli elettrici e a idrogeno. Gli autori del nuovo studio hanno utilizzato il FeNi-MW (catalisi assistita da microonde con FeNi/Al 2 O 3) per convertire le maschere facciali in CNT e idrogeno, con elevate rese.

    Unione Europea

    Ue, da oggi vietato usare Bisfenolo A nei contenitori per alimenti

    di  Paolo Travisi

    20 Gennaio 2025

    Si legge nella ricerca: “Rispetto alle tradizionali tecnologie di incenerimento e discarica per la gestione dei rifiuti pericolosi, la tecnologia di pirolisi catalitica adalte temperature sviluppata in questo studio per la produzione di CNT dalle mascherine scartate offre diversi vantaggi. Da una prospettiva di economia circolare, non solo elimina i batteri per soddisfare i requisiti del trattamento dei rifiuti medici pericolosi, ma trasforma anche le mascherine scartate in prodotti di alto valore”.

    “Fattibile dal punto di vista economico”
    E se oggi già viene considerata l’opzione più economicamente fattibile e sostenibile dal punto di vista ambientale nell’attuale contesto di mercato e tecnologico “si prevede che il prezzo dei CNT diminuirà gradualmente man mano che la domanda di mercato per loro continua a crescere e la tecnologia di pirolisi catalitica diventerà più matura”.

    Perchè sono così inquinanti
    Scrivono gli autori dello studio: “Vale la pena ricordare che lo smaltimento improprio delle mascherine può rappresentare una vera e propria minaccia ecologica, tra cui la diffusione di virus e l’esacerbazione dell’inquinamento da microplastiche. È stato anche dimostrato che il virus infettivo può sopravvivere sulle mascherine per diversi giorni, mettendo potenzialmente in pericolo la fauna selvatica, la vita marina e persino gli esseri umani. Inoltre, le mascherine scartate dai professionisti medici possono contenere numerosi microrganismi patogeni e richiedono una manipolazione attenta. Le attuali tecnologie utilizzate per il trattamento dei rifiuti medici, come l’incenerimento ad alta temperatura e la sterilizzazione seguite da discarica, presentano sfide ambientali ed economiche. Ad esempio, l’incenerimento ad alta temperatura genera gas pericolosi e le scorie prodotte dall’incenerimento dei rifiuti possono essere una potenziale fonte di microplastiche. Queste preoccupazioni ambientali richiedono l’installazione di costosi dispositivi di controllo dell’inquinamento. Il settore del trattamento dei rifiuti medici, in particolare nei paesi in via di sviluppo, deve affrontare sfide significative a causa degli elevati costi e della mancanza di prodotti di valore in uscita. Pertanto, gli attuali metodi di smaltimento delle mascherine facciali possono causare impatti ambientali sostanziali e consumo di risorse”. LEGGI TUTTO

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    Energia, un italiano su quattro pronto a traslocare per una casa più sostenibile

    La casa del futuro per gli italiani dovrà essere efficiente dal punto di vista energetico e sostenibile. Sarà per il caro bollette o per una nuova consapevolezza ambientale, ma secondo una nuova ricerca condotta a livello europeo un italiano su 4 si dice pronto a cambiare casa con l’obiettivo di ridurre gli sprechi energetici. Soprattutto cercando di riscaldare e rinfrescare consumando poco.

    Fisco verde

    Energia rinnovabile, al via gli incentivi per i Gruppi di autoconsumo

    di  Antonella Donati

    14 Gennaio 2025

    Il 28% disposto perfino a trasferirsi all’estero
    D’altronde le nuove tecnologie applicate anche alla transizione energetica stanno già cambiando radicalmente l’assetto delle nostre abitazioni. Così, in linea con la media europea, il 24% degli italiani ha dichiarato di desiderare una nuova soluzione abitativa. Di questi, il 17% prevede di traslocare entro i prossimi 12 mesi, mentre il 28% valuta il trasferimento in un Paese straniero, con l’obiettivo di trovare una vita economicamente più sostenibile. Una percentuale significativa visto anche che l’aumento dei costi abitativi in Italia è inferiore rispetto alla media europea (-15%).

    Fisco verde

    Bonus elettrodomestici, come sostituire il vecchio con il nuovo per consumare meno

    di  Antonella Donati

    08 Gennaio 2025

    Lo scenario emerge dal RE/MAX European Housing Trend Report 2024, che offre un’analisi approfondita dei cambiamenti che stanno influenzando il mercato immobiliare europeo, esplorando come le pressioni finanziarie, le preferenze in evoluzione e le preoccupazioni legate alla crisi climatica stiano plasmando le decisioni abitative.

    Voglia di casa green
    Nei principali trend che stanno guidando l’evoluzione della scelta della casa in Italia, una parola chiave sembra quella di assicurare per la propria famiglia uno stile di vita più green. Gli italiani infatti hanno affermato che quando cercano una nuova casa ora attribuiscono grande valore agli spazi esterni: il 52% considera fondamentali balconi, terrazze o giardini, una percentuale superiore rispetto alla media europea del 44%. Altri fattori, come la disposizione degli spazi interni (9%) e la vicinanza al luogo di lavoro (16%), risultano meno cruciali, segnalando invece una maggiore attenzione al miglioramento dello stile di vita e del comfort abitativo.

    Fisco verde

    Dai pannelli alle caldaie: aumentano gli impianti finanziati dal “Conto termico”

    di  Antonella Donati

    18 Dicembre 2024

    La sostenibilità anche economica
    Inoltre, il 44% degli italiani è interessato a immobili dotati di sistemi per l’efficientamento energetico, il 26% desidera vicinanza a spazi verdi, il 24% valuta essenziale la prossimità a servizi quali scuole e negozi, mentre il 23% considera fondamentale un buon collegamento con i trasporti pubblici. Non solo. Dall’indagine di RE/MAX Europe emerge che se il 39% degli intervistati in Italia segnala un aumento dei costi abitativi nell’ultimo anno, il 58% considera la sostenibilità economica della propria abitazione più importante di qualsiasi altro aspetto.

    La ricerca
    Il sondaggio fornisce una fotografia dei desiderata raccolti intervistando 20 mila persone in Regno Unito, Francia, Germania, Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Svizzera, Turchia e Italia. In generale, dall’indagine emerge che il mercato immobiliare europeo sta attraversando cambiamenti profondi, influenzati dalle sfide internazionali in corso e dal crescente costo della vita. Ciò sta portando le famiglie di tutta Europa a rivalutare le esigenze abitative per meglio bilanciare le pressioni finanziarie con il desiderio di migliorare le condizioni di vita. Per molti europei, i costi abitativi rappresentano infatti la voce di spesa più significativa del bilancio familiare. In media, il 38% del reddito mensile è destinato a mutui, affitti e bollette. LEGGI TUTTO

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    Biocombustibili, il problema della certificazione di sostenibilità

    La sostenibilità dei biocombustibili – a base di residui organici vegetali – non è solo un tema ambientale ma anche regolamentare; qualcuno direbbe che l’Italia è in una fase “sliding doors”, un bivio caratterizzante per il futuro. Ne è convinta l’Associazione EBS (Energia da biomasse solide) che recentemente ha contribuito insieme ai ministeri dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e dell’Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle Foreste, enti certificatori e altre associazioni a dar vita a un tavolo tecnico per semplificare le procedure e l’iter certificativo entrato in vigore dallo scorso agosto. In pratica con il recepimento delle direttive europee è stato inaugurato l’obbligo di un sistema di certificazione della sostenibilità dei biocombustibili che riguarda tutti gli operatori industriali con impianti di taglia superiore ai 20 MW termici. Nello specifico bisogna ricordare che le biomasse solide sono la parte biodegradabile che si ricava dalla manutenzione dei boschi e dai residui delle attività agricole e agroindustriali. Si pensi al legno delle potature, i sottoprodotti delle lavorazioni (es. lolla), la paglia, le vinacce, le sanse residuali della molitura dell’olio, etc. In Italia (Eurostat 2021) rappresentano tra i biocombustibili il 32,1% della produzione; più di biogas (21,7%), rifiuti urbani rinnovabili (17,6%) e biocarburanti liquidi (2%).

    Energia rinnovabile e programmabile nella produzione
    Il conferimento di questa risorsa consente, tramite sofisticati impianti ad alta temperatura, di produrre circa 4.100 GWh l’anno – pari a circa il 13% del settore rinnovabile. Non solo è un approccio circolare (delle biomasse residuali bisognerà pur far qualcosa), ma contribuisce alla gestione del patrimonio boschivo e nel rispetto del ciclo del carbonio non si generano emissioni aggiuntive di gas serra. In pratica la CO2 rilasciata nella combustione della biomassa è pari a quella assorbita dalle piante durante il loro ciclo di vita. Non di meno andrebbe ricordata la possibilità di programmare la produzione e quindi rispondere a necessità diverse indipendentemente dai fattori atmosferici. I tredici operatori che fanno parte di EBS grazie a 16 stabilimenti dislocati su tutto il territorio italiano – con capacità complessiva di 250 MWe – generano una produzione elettrica annua superiore ai 1.500 GWh. In pratica il 40% della produzione nazionale proveniente da biomassa solida. Ed ecco spiegata la preoccupazione che la complessità dei regolamenti possa generare effetti collaterali negativi nel settore. Da una parte c’è il tema di una filiera articolata, dall’altra la difficoltà per gli stessi enti di certificazione di accreditarsi per tempo. “I primi incontri si sono tenuti negli scorsi mesi presso il Masaf rivelandosi molto utili per condividere il punto della situazione di criticità e proposte da parte dei diversi portatori d’interesse coinvolti. Entro la fine di gennaio è atteso un nuovo tavolo ai fini della semplificazione della procedura”, spiega il presidente di EBS, Andrea Bigai.

    Le sfide del tavolo tecnico
    Le centrali a biomassa solida hanno sempre richiesto forti investimenti e notevoli costi di esercizio. Il comparto ha quindi manifestato l’esigenza di un sistema di sostegni che in effetti è previsto dalla nuova normativa: si parla di un regolamento di prezzi minimi garantiti. Il problema è che mancano ancora direttive operative. Non solo. Secondo il presidente Bigai bisognerebbe considerare la peculiarità dello scenario italiano e quindi “l’esistente patrimonio di tracciabilità autorizzativa e documentale e di controlli periodici che ormai da anni gli ispettori del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sistematicamente attuano, e le caratteristiche dei primi operatori delle nostre filiere”. Già, perché la maggior parte degli operatori è di piccole dimensioni e di conseguenza il costo di una certificazione non sarebbe sostenibile rispetto al ricavo ottenuto dall’attività. “Il rischio è che si possa perdere una parte della filiera, a svantaggio di tutta la collettività che vedrebbe compromettere un sistema ben rodato di economia circolare, di impiego a cascata dei residui, di valorizzazione energetica degli scarti”, sottolinea il presidente. Senza contare “un aumento dei costi variabili della nostra generazione elettrica, con effetto contrario rispetto all’obiettivo della legge che mirava ad abbassarli, considerando che la materia prima rappresenta il 95% del costo variabile”.

    Da rilevare che comunque lo Stato gode di benefici fiscali annui diretti e indiretti, nonché, secondo le stime dell’associazione, un prelievo fiscale dell’indotto di circa 442mila euro per MW installato. Fra le proposte migliorative EBS suggerisce che i terzisti che fungono da collettore per i fornitori di biomassa possano essere considerati “come primo punto di raccolta facendo enormemente diminuire il numero di soggetti da certificare, con il vantaggio di confrontarsi con realtà strutturate”. Bigai ricorda infatti che i singoli fornitori sono circa un migliaio e spesso collocati anche in zone remote e montane. “Il loro coinvolgimento diretto richiederebbe dunque un impiego notevole di tempo e risorse anche da parte degli enti accreditati”. Il tavolo tecnico dovrebbe definire a breve termine “puntuali misure attuative di chiarimento e semplificazione” fondamentali per le indicazioni operative dedicate agli organismi di certificazione. Senza dimenticare che una volta raggiunto l’obiettivo la mole di richieste di certificazione da evadere saranno 3-4 mila, per di più caratterizzate da schemi diversi. “Da questo punto di vista, emerge l’importanza di assicurare l’interoperabilità tra sistemi di certificazione riconosciuti e l’opportunità di procedere per fasi, secondo un ordine logico per tipologia di realtà. Gli operatori elettrici industriali (circa 50, ndr.) assicurano il loro massimo sforzo e la loro totale disponibilità a collaborare”, conclude Bigai. LEGGI TUTTO

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    Così Vilnius è diventata capitale verde d’Europa nel 2025

    Con i suoi parti fioriti, con le sue colline dolci e sinuose, con i suoi fiumi che si intrecciano come dei nastri, Vilnius, in Lituania, è stata nominata capitale verde d’Europa per il 2025 dalla Commissione europea, succedendo a Valencia, in Spagna, e ottenendo così un contributo di 600mila euro. La giuria, composta da esperti, ha elogiato “il forte impegno per la sostenibilità, mantenuto con un approccio realistico e concreto” e ha riconosciuto i risultati positivi ottenuti in vari ambiti, tra cui qualità dell’aria, cambiamenti climatici, biodiversità, inquinamento acustico.

    Tra parchi e foreste
    La città, immersa nel verde, vanta anzitutto numerosi parchi e foreste, che si estendono per il 61% della sua superficie. L’amministrazione ha istituito 18 siti naturali, designati per tutelare 19 specie e 18 tipi di habitat, oltre a sei aree protette e a dieci riserve. Nel 2021 è stata, inoltre, avviata la campagna Green wave, grazie alla quale sono stati piantati oltre 68mila alberi e arbusti.

    Tira una buona aria
    In dieci anni, quattro stazioni di monitoraggio hanno rilevato le concentrazioni medie annue di Pm10 e Pm2,5, evidenziando che il valore soglia non è mai stato superato. In accordo con il Programma di gestione della qualità dell’aria 2020-2025, nei primi tre anni sono state attuate 151 misure di miglioramento. Nel 2022 gli abitanti hanno ricevuto informazioni sui pericoli di bruciare l’erba vecchia e la plastica, sui benefici della ristrutturazione degli edifici, sull’uso di risorse energetiche rinnovabili. Inoltre, un altro programma ha sostenuto la sostituzione delle vecchie caldaie a combustibile solido, inefficienti e inquinanti, con moderni sistemi di generazione di calore, che hanno emissioni ridotte o nulle.

    Acqua di qualità
    Aria, quindi, ma anche acqua. Quest’ultima viene fornita ai quartieri attraverso 272 pozzi profondi (da 40 a 245 metri). “Considerando i parametri complessivi, il 90% dell’acqua potabile è ottima o molto buona e soddisfa tutti gli standard lituani ed europei”, rende noto il sindaco Valdas Benkunskas. Nel 2021 sono state installate 16 fontane, aumentate a 33 nel 2022: residenti e turisti hanno bevuto più di cinque milioni di bicchieri da questa fonte, con un risparmio di due milioni di bottiglie di plastica. Sono stati, inoltre, installati distributori fissi di acqua in oltre cento scuole.

    Le acque reflue vengono, invece, raccolte e depurate in un apposito impianto, che utilizza un trattamento meccanico e biologico per azoto e fosforo.

    Filobus, biciclette e auto elettriche
    In città circolano autobus alimentati a Gpl, autobus ibridi o elettrici, filobus. Di recente è stata ampliata la rete di piste ciclabili (oltre cento chilometri che collegano i vari quartieri) ed è stato attivato un servizio di condivisione di biciclette, oltre che di auto e scooter elettrici. Sono, inoltre, state costruite nuove stazioni di ricarica per veicoli a elettricità.

    Rifiuti ed economia circolare
    Nel territorio urbano sono presenti contenitori interrati, semi-interrati, fuori terra per la raccolta dei rifiuti misti e di carta, plastica, vetro, metallo. In passato ai residenti che vivono in case private sono state fornite cassette di compostaggio per i rifiuti derivanti dal giardinaggio e dagli scarti alimentari. In città è disponibile anche un’infrastruttura per la raccolta di stoffe e tessuti, mentre materiali da costruzione e demolizione, apparecchiature elettriche ed elettroniche, batterie, prodotti contenenti amianto vengono conferiti separatamente in cinque siti dedicati.

    Crisi climatica

    Anno nuovo, i buoni propositi per l’ambiente (a costo zero)

    di  Giacomo Talignani

    27 Dicembre 2024

    Verso il 2030
    Molte azioni orientate alla sostenibilità sono già state messe in pratica, ma il primo cittadino ci tiene a guardare al futuro. “La nostra città punta a diventare climaticamente neutra, ovvero a raggiungere zero emissioni nette di gas serra, entro il 2030”, annuncia. “Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, nel 2022 è stata creata una speciale commissione pubblica che lavora sulla transizione sostenibile, mettendo a punto strategie e programmi attuativi. Il tutto sempre coinvolgendo i residenti, anche attraverso un’apposita applicazione per smartphone”. LEGGI TUTTO

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    Quando la sostenibilità dei vini italiani passa dalle bollicine

    I vini italiani certificati VIVA (certificati nell’ambito del programma italiano VIVA, un’iniziativa promossa dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) promossi per quanto riguarda il loro impatto ambientale, infatti, specie per quelli frizzanti, l’impatto è leggermente inferiore rispetto al benchmark europeo di riferimento. L’impianto di nuovi vigneti, e il connesso cambiamento d’uso del suolo, l’utilizzo di energia nelle cantine e l’imballaggio del prodotto (principalmente vetro!) sono i fattori che contribuiscono maggiormente all’impronta ambientale dei vini italiani.

    Sono alcuni dei risultati che si evincono da uno studio pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, condotto dai professori Ettore Capri, ordinario di Chimica Agraria presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali per una filiera agro-alimentare sostenibile (DISTAS) dell’Università Cattolica, campus di Piacenza, e Lucrezia Lamastra, associata di Chimica Agraria presso lo stesso dipartimento si è occupato di valutare l’impronta ambientale di alcuni vini italiani con la metodologia PEF, promossa dalla Commissione Europea. Questa metodologia nasce per standardizzare la valutazione degli impatti ambientali ed offre un benchmark di riferimento per singola categoria di prodotto (il vino in questo caso) rispetto al quale confrontare gli impatti relativi al prodotto in analisi. Oggi c’è una pressante richiesta di strumenti precisi per quantificare la sostenibilità e valutare il contributo di prodotti e processi allo sviluppo sostenibile. Nel 2013, la Commissione Europea ha introdotto un indice chiamato Impronta Ambientale di Prodotto (PEF), fornendo una metodologia standardizzata per valutare gli impatti ambientali dei prodotti in diversi settori industriali. La PEF si misura valutando l’impatto ambientale di un prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento. In particolare, per calcolare la PEF di un prodotto si considerano consumi di energia, materie prime, emissioni e rifiuti, analizzando 16 categorie di impatto ambientale (es. emissioni di CO?, acidificazione, consumo idrico, deplezione dello strato di ozono, formazione di smog fotochimico e particolato fine) per produrre quel dato prodotto.

    I VINI ITALIANI
    La produzione vitivinicola italiana dell’annata 2024, Secondo i dati presentati da Osservatorio Assoenologi, Ismea e Unione italiana vini (Uiv), si attesta a 41 milioni di ettolitri in crescita del sette per cento rispetto all’anno passato. Sebbene i volumi risultino inferiori rispetto alla media dell’ultimo quinquennio, l’Italia si conferma primo produttore mondiale.

    LA SOSTENIBILITÀ DELLA PRODUZIONE VINICOLA
    Nonostante il suo potenziale e la disponibilità di linee guida specifiche per il vino, l’applicazione della PEF rimane praticamente inesplorata nel settore. Questo studio contribuisce alla conoscenza applicando la PEF per valutare gli impatti ambientali della produzione italiana di alcuni vini fermi e spumanti rispetto ai benchmark europei, spiegano gli autori. Inoltre, mira a individuare i punti nevralgici e a fornire indicazioni per strategie di mitigazione efficaci.

    Nello studio sono stati inclusi 27 vini certificati nell’ambito del programma italiano VIVA, un’iniziativa promossa dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE di cui UCSC è referente scientifico dal 2010) lanciata nel 2011 per promuovere la sostenibilità nella filiera vitivinicola italiana. Di questi 27 vini sono state raccolte e utilizzate tutte le informazioni necessarie per eseguire una valutazione del ciclo di vita in conformità al protocollo PEF.

    “Abbiamo preso 27 vini certificati VIVA e abbiamo confrontato la loro impronta ambientale di prodotto (PEF) con il valore di riferimento (benchmark – BM) fornito dalla metodologia PEF – spiega Lamastra. La metodologia PEF fornisce un benchmark di riferimento livello europeo, diverso per vini fermi e frizzanti. Pertanto, i vini VIVA sono sati suddivisi in fermi e frizzanti ed il loro valore confrontato al BM. I risultati hanno dimostrato che i vini fermi analizzati sono leggermente più impattanti del BM, mentre i vini frizzanti sono meno impattanti”.

    “Bisogna considerare, però – precisa l’esperta – che il benchmark europeo rappresenta un ipotetico vino medio europeo piuttosto che uno specifico vino in particolare. La più bassa performance dei vini fermi italiani in questo studio può, in parte, essere attribuita all’uso esclusivo di bottiglie in vetro, mentre il benchmark europeo tiene conto dell’utilizzo, almeno in parte, di bag-in-box e bottiglie in PET, non sempre compatibili con la qualità dei nostri vini. Infatti, quando il confronto viene fatto con i vini frizzanti, dove anche il riferimento europeo è confezionato nel vetro per esigenze legate alle specifiche del prodotto (i vini frizzanti non possono essere imbottigliati in bag in box o tetrapack), i vini italiani analizzati sfoggiano performance migliori del benchmark di riferimento europeo. Al di là delle differenze negli impatti complessivi, si nota, dal confronto con il benchmark, un diverso contributo dato dai vari fattori in gioco (risorse idriche, terreno, etc) all’impatto complessivo. Il benchmark europeo è caratterizzato da una maggior impatto sulla scarsità idrica e sull’acidificazione dovute ad un maggior ricorso all’irrigazione e all’applicazione di fertilizzanti. Se si analizzano invece le fasi del ciclo di vita che contribuiscono maggiormente agli impatti ambientali, si vede come contribuiscano in modo significativo l’impianto di nuovi vigneti, l’uso di energia in cantina e il packaging impiegato”.

    Questo tipo di analisi ha ricadute potenzialmente importanti: uno studio PEF, infatti, non permette solo di analizzare l’impatto ambientale di un prodotto, ma anche di offrire suggerimenti per migliorare il profilo della sostenibilità portando a individuare misure di mitigazione efficaci rispetto agli obiettivi, spiegano i professori Capri e Lamastra. Pertanto, le soluzioni più efficaci sono quelle in grado di ridurre i “punti critici” evidenziati dall’analisi. I processi che contribuiscono maggiormente in questo senso, concludono gli esperti, restano la fase di trasformazione (con i connessi usi energetici) e il packaging. “Lo shift verso energie rinnovabili e verso packaging più leggeri e sostenibili potrebbe rivelarsi un driver importante”, sottolineano. A tal proposito si può fare l’esempio della Sicilia. Alcune aziende certificate VIVA siciliane, aderenti anche al protocollo SOStain, hanno stretto un accordo con OI e SARCO per produrre bottiglie da riciclo di vetro siciliano più leggere (3 punti a favore: bottiglie al 90% di vetro riciclato, più leggere e da filiera di riciclo completamente siciliana).

    Affrontare questi elementi potrebbe migliorare la competitività ambientale del settore vinicolo italiano rispetto alle sue controparti europee. Tuttavia, per convalidare questi risultati, sono necessari ulteriori studi, sia in Italia che in altre regioni vinicole europee. Tali iniziative di ricerca miglioreranno e rafforzeranno la metodologia PEF, favorendone l’adozione come strumento primario per la valutazione dell’impatto ambientale del vino a livello comunitario. LEGGI TUTTO

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    I gruppi di negazionisti del cambiamento climatico nascono nei Paesi con le politiche più verdi

    C’è il cambiamento climatico, e poi c’è chi nega la sua esistenza. O, più recentemente, chi sostiene che in ogni caso le misure messe in atto dai governi e dalle istituzioni intergovernative per contrastarlo non serviranno a nulla. Ma come nascono questi movimenti? Dove e perché si creano i gruppi di negazionisti del cambiamento climatico? Jared Furuta e Patricia Bromley, rispettivamente ricercatore e docente presso l’Università di Stanford (Stati Uniti), hanno provato a rispondere a questa domanda analizzando i dati relativi al periodo 1990-2018 e riguardanti più di 160 paesi e centinaia di associazioni di negazionisti in tutto il mondo. Dai risultati dello studio, appena pubblicato su Plos One, è emerso che questo tipo di gruppi o associazioni tende a formarsi specialmente nei paesi che seguono politiche più ambientaliste.

    Le origini

    Mario Tozzi: com’è nato il negazionismo

    di Mario Tozzi

    07 Ottobre 2024

    Entrando nel dettaglio, i due autori della ricerca hanno valutato diversi parametri per quantificare l’impegno dei vari paesi nella protezione dell’ambiente e nel contrasto al cambiamento climatico: per esempio, il numero di accordi internazionali in vigore, il numero di organizzazioni ambientaliste nazionali presenti, il numero di leggi o politiche di mitigazione del cambiamento climatico che vengono promulgate in un determinato periodo di tempo. Per quanto riguarda invece l’identificazione delle organizzazioni che negano il cambiamento climatico o che comunque operano per contrastare le politiche ambientaliste, Furuta e Bromley hanno consultato database creati per esempio da gruppi di ricerca che hanno pubblicato studi su questa materia in precedenza, oppure liste compilate da gruppi ambientalisti, o, al contrario, hanno cercato fra i partecipanti di conferenze nate per negare il cambiamento climatico e l’utilità delle politiche verdi, come la Heartland Institute’s International Conference on Climate Change.

    In particolare, per essere selezionati dai due ricercatori, i gruppi o le organizzazioni in questione dovevano aver partecipato attivamente ad azioni o progetti di contrasto alle politiche climatiche del proprio Paese. Inoltre, specificano gli autori nello studio, si tratta di gruppi civili o di organizzazioni non profit, mentre sono state escluse dalla selezione aziende o associazioni a scopo di lucro. In totale, Furuta e Bromley hanno identificato 548 organizzazioni sparse per 51 paesi. La maggior parte è concentrata nei paesi occidentali industrializzati e 350 (circa il 60% del totale) si trovano negli Stati Uniti. Come anticipato, dalle analisi è emerso che questi movimenti tendono a nascere proprio nei Paesi che si impegnano maggiormente nella lotta la cambiamento climatico. I ricercatori hanno infatti osservato una correlazione positiva con tutti i parametri sopracitati, come il numero di organizzazioni ambientaliste nazionali, il numero di leggi o politiche di mitigazione del cambiamento climatico che vengono promulgate ogni anno.

    Lo scenario

    Enrico Giovannini: “Così usano dati corretti per raccontare balle sul riscaldamento globale”

    di  Luca Fraioli

    07 Ottobre 2024

    E forse non è nemmeno così sorprendente: secondo i risultati dello studio, i movimenti negazionisti nascono in sostanza come reazione opposta alle politiche di contrasto al cambiamento climatico. Un aspetto interessante emerso dalla ricerca, inoltre, è che non sembra esserci una particolare correlazione fra la nascita di questi movimenti e gli interessi economici dei paesi presi in esame, nel contesto per esempio delle emissioni di gas serra o della dipendenza dalle risorse petrolifere. E lo stesso discorso sembra valere per altri fattori analizzati dai ricercatori, come il livello di sviluppo economico o di disuguaglianza del reddito, o l’ideologia della leadership politica. Gli autori concludono esortando i governi e in particolare gli organi predisposti alle politiche di contrasto al cambiamento climatico a indagare in modo sistematico i modi in cui i loro sforzi potrebbero innescare movimenti reazionari controproducenti e a pensare questi ultimi come parte di un unico processo: “Piuttosto che vedere le strutture e le politiche pro-ambiente come completamente separate dal movimento contrario – si legge nella pubblicazione – la nostra enfasi sulla cultura e sull’identità suggerisce che entrambi i movimenti sono intrecciati e si evolvono in tandem l’uno con l’altro come parte di un processo dinamico”. LEGGI TUTTO

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    Dagli audiolibri ai prestiti, come diventare lettori green

    Un libro è un viaggio, un nuovo inizio, un buon amico. È un maestro paziente, un dialogo con il passato e uno sguardo verso il futuro. Anche leggere ha, però, un impatto ambientale, a cominciare dalla carta. Secondo il report del 2023 di Paper based packaging, proprio quest’ultima è responsabile del 35% degli alberi abbattuti nel mondo. Oltre alla materia prima, ci sono poi colle, inchiostri, finiture. In proposito, Carl-Otto Gensch, studioso dell’Oko-Institut, istituto per l’ecologia applicata di Friburgo, in Germania, ha calcolato che la produzione di dieci libri di 200 pagine l’uno con carta vergine genera circa undici chili di emissioni di anidride carbonica, che diventano nove nel caso dei volumi realizzati con carta riciclata.
    Al termine della fase produttiva, c’è poi quella distributiva: un percorso che va dalla tipografia all’utente finale per un totale di oltre 650 chilometri in media, secondo la ricerca del gruppo Aware (Assessment on waste and resources) del Politecnico di Milano. La buona notizia è che i lettori possono fare molto per rendere la lettura più sostenibile, mettendo in pratica alcuni semplici consigli.
    E-book solo per accaniti lettori
    Libro di carta o digitale? È questo il dilemma, quando si tratta di impatto sul nostro pianeta. Sul tema sono state svolte varie ricerche, ma la risposta non è univoca. Perché, come ha sottolineato Anthropocene Magazine in uno studio del 2020, tutto dipende dalle abitudini di lettura. In sintesi, si può dire che i lettori occasionali dovrebbero preferire il cartaceo, mentre i topi di biblioteca, che leggono due o più libri al mese, dovrebbero optare per il digitale. Avendo cura, una volta acquistato un e-reader, di utilizzarlo il più a lungo possibile, evitando di sostituirlo precocemente con un nuovo modello.
    Il bello (e il buono) degli audiolibri
    Chi, invece, ama ascoltare saggi e romanzi senza avvalersi del testo scritto può puntare sugli audiolibri, l’opzione senza dubbio più sostenibile, visto che non comporta l’acquisto di una specifica tecnologia (i libri si possono fruire da smartphone o da computer) e che l’impatto di streaming e archiviazione dei file è minimo. È stato, in proposito, calcolato che il flusso di dati audio di un audiolibro della durata di circa dieci ore genera solo 0,026 chili di anidride carbonica.
    Via libera agli acquisti di seconda mano
    La copia di Orgoglio e pregiudizio degli anni Trenta comprata in una libreria che vende volumi di seconda mano ha senz’altro un’impronta di carbonio inferiore rispetto a quella di un best seller appena pubblicato spedito direttamente a casa. Acquistare un libro usato significa risparmiare carta, energia, carburante, senza rinunciare ad arricchire la propria collezione personale di volumi. Il vintage è, quindi, un’ottima idea, da attuare anche al di fuori del settore editoriale, per quanto riguarda, per esempio, abiti, arredi, tecnologie.
    Prestiti in biblioteca per risparmiare
    Recarsi in biblioteca, meglio se a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici, e prendere in prestito i libri scegliendoli dagli ampi cataloghi è un buon modo per essere lettori eco-friendly, oltre che per risparmiare. Le biblioteche offrono anche una vasta scelta di e-book e audiolibri da scaricare comodamente, e gratuitamente, da casa propria.

    Viceversa, chi possiede un libro che ha già letto e che non desidera conservare nel proprio studio o in salotto può donarlo alla biblioteca di zona, ma pure alla scuola pubblica di quartiere, magari facendo prima una telefonata per accertarsi che accettino la donazione. Spesso anche le piccole caffetterie locali e i centri per anziani accolgono volentieri i libri dati in regalo.
    Il riciclo creativo tra bijoux e ghirlande
    Se un libro è giunto alla fine della sua vita e non può essere donato, può sempre essere trasformato. Basta un po’ di creatività (e qualche tutorial su Internet) per realizzare bijoux, ghirlande, buste, carta da parati. Così davvero i libri non muoiono mai. LEGGI TUTTO

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    “Il Green Deal aiuta l’Europa a non pagare l’energia a prezzi assurdi, altro che imbroglio”

    “Il Green deal non è affatto un imbroglio”. Andrea Tilche oggi insegna Clean Technologies for the Energy Transition all’Università di Bologna, ma per vent’anni ha lavorato alla Commissione europea, dove per lungo tempo è stato anche responsabile dei programmi di ricerca sui cambiamenti climatici. In quel ruolo ha rappresentato la Ue presso il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu. Insomma, ha contribuito anche lui ad accumulare le conoscenze scientifiche che hanno portato l’Unione a varare il suo piano di decarbonizzazione.

    Professor Tilche, ieri a Davos il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha invece definito il Green deal proprio un imbroglio. Perché non è così?
    “Chi attacca le politiche climatiche dimentica che, sia negli Usa che in Europa, sono state varate per rispondere a precisi impegni internazionali, quelli determinati dall’Accordo di Parigi, accordo che si basa su una valutazione scientifica di quanto sta succedendo: abbiamo ancora un tot di carbonio che possiamo emettere, prima che le temperature superino la soglia di 1,5 gradi o 2 gradi. Altro che imbroglio, il Green deal è stato un approccio molto razionale della Commissione e dei Paesi membri per dire: negoziamo una serie di politiche per aiutare tutti le nazioni a stare dentro questo percorso, con la migliore combinazione tra impegni climatici e crescita economica”.

    Perché allora il green deal è nel mirino?
    “Perché attacca l’industria dell’oil&gas, è solo questo. Attacca un oligopolio, che in Italia è un monopolio rappresentato dall’Eni, il quale domina il settore energetico con petrolio e gas naturale. E’ un mondo potentissimo che ha al suo servizio molta parte della politica. Naturalmente poi ci sono sullo stesso fronte altre industrie fortemente dipendenti dall’oil&gas, a cominciare dall’automotive”.

    Il dietrofront di Trump rispetto all’Amministrazione Biden rischia di contagiare anche l’Europa?
    “L’Europa non ha nessuna convenienza a seguire Trump perché il Vecchio Continente non ha risorse proprie in fatto di oil&gas. Anzi, è nel nostro interesse investire sulle rinnovabili per far scendere i prezzi dell’energia. In questo momento compriamo tantissimo gas naturale liquefatto proprio dagli Usa a prezzi assurdi. Se poi si guarda agli investimenti privati per cambiare il sistema energetico, questi si stanno concentrando sulle cose che costano meno, che sono l’eolico e fotovoltaico. Insomma, la strada è quella segnata dal Green deal, una strada molto studiata e molto discussa con tutti gli stati membri. Chi afferma che sia stato imposto dice una balla colossale”.

    I paesi

    Cop29, Unione europea: indietro dal Green Deal non si può tornare

    di  Claudio Tito

    09 Novembre 2024

    Si dice che le destre populiste puntino sulla paura per guadagnare consensi? Ma la paura della fine del mese fa più paura della fine del mondo?
    “Sì, dicono che gli investimenti per il Green deal costano troppo. E che l’auto elettrica costa di più dell’auto a benzina o a gasolio. Ma non è vero. Se si calcola il costo totale di possesso di un’auto elettrica che percorre 15.000 km all’anno e che è ricaricata a casa, si scopre che si risparmia tantissimo: ha un’efficienza energetica quattro volte superiore e non richiede quasi manutenzione. Senza contare i costi sanitari che oggi paghiamo con l’inquinamento da combustibili fossili delle nostre città”.

    Ha appena pubblicato online un appello nel quale critica la premier Meloni e il suo governo per la loro “fobia” contro il cosiddetto ‘ambientalismo ideologico’. Cosa l’ha spinta a scriverlo?
    “Proprio mentre si sta scatenando la guerra al Green deal, ho voluto aiutare a fare chiarezza. Un marziano che non conoscesse la nostra politica si chiederebbe perché gli strali della presidente del Consiglio sono scoccati contro gli ambientalisti e non contro le grandi compagnie di petrolio e gas, per i quali l’Italia è totalmente dipendente dall’estero e in balia della volatilità dei prezzi. Nonostante Meloni pochi mesi fa abbia firmato dichiarazioni molto impegnative sul clima da presidente di turno del G7, continua a parlare di neutralità tecnologica, gas naturale, ‘decarbonizzazione non deve comportare la desertificazione economica’. Viene da chiedersi se con la sua partecipazione plaudente all’insediamento di Trump, non abbia voluto dare anche il suo assenso al nuovo abbandono statunitense degli Accordi di Parigi”.

    Quelle a cui stiamo assistendo sono solo turbolenze, o possono compromettere seriamente i Green deal statunitense ed europeo?
    “Non è facile rispondere. La transizione può essere molto conveniente anche dal punto di vista economico, ma bisogna volerla. Se invece la politica si mette di traverso può creare grandi problemi problemi. Da noi c’è l’esempio delle automobili: quando hanno incominciato a dare incentivi anche all’Euro 6 hanno bloccato di fatto le vendite di auto elettriche”. LEGGI TUTTO