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    Refiberd, la startup californiana che con l’AI migliora il riciclo dei tessuti

    Il futuro della moda sostenibile si basa sull’innovazione. Le imprese che lavorano per trovare soluzioni virtuose per l’industria oggi saranno quelle che guideranno il domani. Tra le startup innovative che si impegnano per creare un’industria migliore nella moda, per fare un passo avanti verso la sostenibilità e promuovere un’economia circolare al 100%, emerge Refiberd.

    Tutorial

    Tessuti sostenibili: quali sono e come sceglierli

    02 Agosto 2025

    Vincitrice dell’eBay Circular Fashion Fund e del Trailblazer programme del Global Fashion Summit 2025, l’azienda californiana fondata nel 2020 da Sarika Bajaj e Tushita Gupta, ha sviluppato una tecnologia di identificazione della composizione tessile che combina imaging iperspettrale ad alta definizione e intelligenza artificiale. Questa innovazione ottimizza la catena di riciclo dei tessuti, migliora l’autenticazione degli indumenti per la rivendita e garantisce una migliore tracciabilità dei materiali.

    “Attualmente, gli scarti di abbigliamento si accumulano in tutto il mondo con scarse possibilità di essere riciclati, a causa di miscele di materiali complesse che non si scompongono facilmente per essere trasformate in qualcos’altro. Non solo, la maggior parte delle etichette dei capi di abbigliamento sono etichettate in modo errato, rendendo più difficile per i riciclatori tessili sapere con cosa stanno lavorando. Con Refiberd utilizziamo l’imaging iperspettrale e l’intelligenza artificiale per esaminare e classificare la composizione dei materiali degli indumenti in modo che possano essere finalmente riciclati”. Ha raccontato alla stampa la Ceo Sarika Bajaj.

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    Olio di semi di cotone per tessuti idrorepellenti senza Pfas né formaldeide

    di Sara Carmignani

    21 Agosto 2025

    “Sarti e artigiani locali attori chiave”, come funziona il modello Refiberd
    La tecnologia (in attesa di brevetto) permette di posizionare il tessuto in oggetto sotto una telecamera iperspettrale che rileva il modo in cui la luce interagisce con i materiali: materiali diversi assorbono e riflettono la luce in modo diverso in base alla loro composizione chimica, consentendone l’identificazione. I dati raccolti sul tessuto sono combinati in un cubo iperspettale ed elaborati da un modello di apprendimento automatico, che produce una previsione del materiale del tessuto. LEGGI TUTTO

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    Come coltivare una pianta di oleandro

    L’oleandro, Nerium oleander, è senza dubbio una delle piante ornamentali più affascinanti e diffuse nei nostri giardini e terrazzi. I suoi fiori vivaci e le foglie sempreverdi incantano lo sguardo, ma nascondono un dettaglio che va conosciuto: l’oleandro è velenoso in tutte le sue parti. Coltivarlo non è complesso, perché richiede pochi interventi durante l’anno e cure molto semplici. Originario dell’Asia, l’oleandro ormai cresce in modo del tutto spontaneo nel territorio del mediterraneo. Si riconosce per le sue foglie ovali lunghe e di colore verde scuro (tipica la nervatura centrale), per i suoi rami tinti di verde brillante e naturalmente per i suoi fiori dai colori brillanti (dal bianco, rosa e persino rosso).

    Coltivazione e cura dell’oleandro: in vaso e/o in terra
    Coltivare l’oleandro è piuttosto semplice. Questa pianta, infatti, può essere tenuta sia in vaso, sia in terra e fatta eccezione per i primi due anni, durante i quali si dovrà essere un po’ più attenti dal punto di vista dell’irrigazione, una volta che le radici avranno attecchito per bene, l’arbusto riuscirà a resistere anche nei periodi di siccità intensa.
    Se si sceglie la coltivazione in vaso, basterà avere a mente un paio di informazioni essenziali. Intanto, bisognerà scegliere contenitori ampi, profondi e con fori di drenaggio. Sul fondo, sarà utile disporre una giusta quantità di argilla espansa e poi coprire con del terriccio ben drenato. Il vaso consigliato è di circa 40 cm di diametro; in questo modo l’oleandro crescerà sano e forte. Essendo una pianta termofila ed eliofila, il sole è il suo migliore amico. Non è un caso, infatti, che abbia bisogno di almeno 6-8 ore di luce diretta al giorno, utile per garantire fioriture abbondanti.

    Dove piantare l’oleandro
    Che si tratti di una coltivazione in vaso o in terra, l’oleandro deve essere piantato in una zona dal clima temperato. Come ogni pianta, anche lui teme i ristagni d’acqua, che causano marciume radicale, mentre per quanto riguarda il freddo, è piuttosto “fragile”. Durante le stagioni invernali e davanti a temperature particolarmente rigide, l’oleandro potrebbe soffrire, perciò va protetto. Se ci si trova in zone dove le piogge sono frequenti, il consiglio è sempre lo stesso: coprire la pianta con un telo specifico già a partire dal mese di ottobre ed esporla poi di nuovo con la nuova primavera. In zone molto fredde, invece, l’oleandro cresce meglio in vaso; in questo modo spostarlo sarà più semplice, ma l’attenzione per quanto riguarda l’irrigazione sarà maggiore.

    Infine, ma non per importanza: le radici dell’oleandro sono invasive? In vaso, no: limitate dallo spazio. In terra, sviluppano un apparato radicale vigoroso ma non marcatamente invasivo. Per tenerlo come “nano” o arbusto contenuto, la coltivazione in vaso è la scelta ideale.

    Annaffiatura dell’oleandro: cosa sapere
    L’oleandro non richiede troppe attenzioni, ma quelle base sì. Ad esempio, per quanto riguarda l’annaffiatura, basta sapere che se coltivato a terra l’impegno sarà minimo. Durante i primi anni di crescita (estate soprattutto), questa pianta dai fiori meravigliosi dovrà essere irrigata almeno due volte al mese. Superata questa fase, l’irrigazione diventerà più sporadica.
    Se coltivata in vaso, invece, l’irrigazione sarà maggiore e seguirà le fasi della vita della pianta. A partire dalla primavera, annaffiare l’oleandro diventerà un impegno un po’ più “regolare”. È infatti in questo periodo dell’anno che il substrato terroso sarà più asciutto, elemento fondamentale dal punto di vista del rischio del ristagno radicale.

    Quando e come potare un oleandro
    La potatura dell’oleandro va effettuata con cura, poiché si tratta di una pianta velenosa in tutte le sue parti. Vanno dunque adottate tutte le precauzioni del caso e utilizzate di conseguenza le giuste attrezzature (guanti da giardiniere, cesoie, abiti che coprano braccia e gambe). Il periodo migliore per potare questa bellissima pianta è il post-fioritura, quindi sia durante la stagione autunnale, sia verso la fine dell’inverno.
    Potare l’oleandro è molto semplice: si può procedere con il tagliare i vecchi rami dalla radice, ma dopo il periodo successivo alla fioritura si consiglia sempre di tagliare al di sopra del nodo fogliare, oppure tagliare i rami della pianta di un terzo. In questo modo non solo si renderà l’aspetto migliore, ma si contribuirà a favorire una crescita più rigogliosa per il futuro.
    Se l’oleandro è coltivato in vaso, la potatura cambia. In questo caso la pianta sarà da potare subito dopo la fioritura, tagliando tutti rami fioriferi di almeno la metà.

    Oleandro: malattie e parassiti
    L’oleandro può essere minacciato da funghi e parassiti, facilmente riconoscibili se si osservano bene foglie e rami. Tra le malattie fungine, la maculatura provoca chiazze irregolari e caduta delle foglie, la fumaggine annerisce la superficie fogliar, la rogna, favorita da potature errate, riduce la fioritura, mentre il cancro rameale, trasmesso da attrezzi infetti, causa escrescenze sui rami.
    Tra gli insetti, il ragnetto rosso intreccia sottili ragnatele e succhia la linfa, mentre la cocciniglia (le foglie gialle sono un indizio), visibile sotto le foglie, provoca ingiallimenti e caduta. Per prevenire, essenziale evitare ristagni d’acqua e garantire un buon drenaggio.

    Quanto è velenoso l’oleandro? Le caratteristiche della pianta
    L’oleandro contiene glicosidi cardioattivi, detti cardenolidi, tra cui oleandrina, oleandrigenina, digitoxigenina e altri, che agiscono sul muscolo cardiaco rallentando o alterando il battito, e possono causare aritmie, iperkaliemia e insufficienza cardiaca. Tutta la pianta è tossica: foglie, fiori, rami, radici, semi, corteccia, e persino l’acqua in cui restano immersi rami o fiori può diventare velenosa. I fumi derivati dalla combustione dell’oleandro sprigionano sostanze tossiche per inalazione.

    Basta che un bambino ingerisca una sola foglia perché l’intossicazione risulti fatale; negli adulti, l’ingestione di poche foglie (2-5) può scatenare sintomi seri, mentre 10-20 foglie possono causare la morte. Attenzione anche agli animali; bastano due foglie per arrecare gravi disturbi a un cane di 10 kg, mentre una dose di 30 g è letale per un bovino o un cavallo.

    Tra i sintomi da avvelenamento più frequenti: nausea, vomito, dolori addominali, confusione, cefalea, bradicardia o tachicardia, aritmie, fino ad arresto cardiaco, coma o morte. Il contatto con linfa o lattice può causare irritazioni cutanee e oculari.

    Prezzo e varietà dell’oleandro
    Il prezzo dell’oleandro in vaso varia in base a varietà, dimensioni e condizioni: piante sane, con foglie verdi e prive di macchie, in vasi ben drenati, costano di più. In generale, un oleandro “nano” o già formato per terrazzi può costare da circa 10 a 30 €, ma prezzi più elevati si hanno per varietà ibride o più grandi (dati indicativi, può variare a seconda dei vivai locali e la zona).

    Esistono diverse varietà: fiori rosa, bianchi, gialli, anche stradoppi o variegati; alcune sono più resistenti alle malattie, altre offrono fioriture più abbondanti. Esteticamente parlando, sono tutte meravigliose. LEGGI TUTTO

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    Riciclo creativo: creare vasi con oggetti da buttare

    Quando si parla di piante, la scelta dei vasi in cui farle prosperare ricopre un ruolo cruciale. Il recipiente in cui si andranno a coltivare non svolge solo uno scopo funzionale, ma anche estetico, incidendo in modo significativo sull’aspetto generale della pianta e dell’ambiente. Se si possiedono vecchi oggetti oppure materiali inutilizzati, un’idea originale e pratica è sicuramente quella di riciclarli adibendoli a vasi per le proprie piante: in questo modo si compie una scelta ecologica, grazie alla quale ridurre la mole dei rifiuti. Ricavare dei vasi dagli oggetti da buttare rende più sostenibili le nostre vite e infonde anche un tocco ricercato agli spazi. Di seguito approfondiamo una serie di idee di riciclo creativo facili e d’impatto con cui realizzare dei vasi fai da te originali.

    Creare vasi con oggetti da buttare
    Per abbellire gli spazi, le piante rappresentano sempre una soluzione ottimale, vista la loro capacità di portare bellezza e colore in ogni luogo, rendendolo più accogliente, curato e suggestivo. Se poi si coltivano le piante in vasi riciclati creati da oggetti che altrimenti butteremmo potremmo contare su pezzi unici, personalizzati, creativi e funzionali. Con questo semplice gesto si evitano gli sprechi e si riducono i rifiuti prodotti.

    Oltre a permetterci di seguire uno stile di vita più sostenibile, questa scelta porta vantaggi anche a livello economico, evitando di comprare nuovi recipienti, e dal punto di vista estetico regala originalità agli ambienti. Ricavare un vaso da un oggetto di recupero è una via intelligente, con cui ottenere una soluzione cucita su misura, adatta alle esigenze della pianta e dello spazio in cui è collocata. Inoltre, questa attività fai da te è divertente, fantasiosa e stimolante, consentendoci di sbizzarirci con tante idee di riciclo creativo. Guardando all’universo degli oggetti domestici da riciclare per creare vasi per piante home made, le possibilità sono davvero variegate.

    Tazze e tazzine
    Per dare forma a dei vasi frutto del riciclo creativo si può ricorrere a tazze o tazzine vecchie, rotte oppure spaiate, trasformandole in graziosi recipienti. Questi oggetti possono accogliere piante di piccole dimensioni, succulente, piante grasse e aromatiche. Ci basta riempire la tazza, ponendo sul fondo dell’argilla espansa per poi aggiungere del terreno ben drenato e sistemare la piantina scelta. Con questa soluzione di riciclo molto decorativa si ottengono dei mini vasi originali, sostenibili, eleganti e retrò. Per garantire un migliore drenaggio si può anche forare il fondo della tazzina con una puntata diamantata per ceramica. Al pari di tazze e tazzine, si possono ricavare vasi di riciclo da vecchi oggetti di uso quotidiano come ciotole, brocche e bicchieri.

    Lattine
    Altra idea di riciclo funzionale e creativa è ricorrere alle lattine vuote, trasformandole in vasi suggestivi. Essendo cilindriche, alte e sottili, queste danno vita a vasi scenografici, infondendo uno stile moderno agli spazi. Prima di tutto si deve lavare con attenzione la lattina vuota, per poi procedere verniciando la sua superficie con un colore a scelta. Una volta che è totalmente asciutta si riempie di terra per poi collocare la piantina al suo interno.

    Bottiglie di plastica
    Dalle bottiglie di plastica si possono ricavare facilmente dei vasi fai da te versatili e sostenibili, con cui ridurre la mole dei rifiuti prodotti e contare su una soluzione molto decorativa. Per fare questo si procede tagliando la parte superiore della bottiglia, per poi dipingere la sua superficie e forare il fondo per garantire un buon drenaggio. In seguito si può aggiungere dell’argilla espansa o dei ciottoli e il terriccio e infine sistemare la piantina. Il vaso creato sarà pratico, leggero e d’impatto, perfetto per terrazzi e interni. Con le bottiglie di plastica è anche possibile realizzare un suggestivo orto verticale eco-friendly, da fissare a pareti o strutture.

    Flaconi vuoti dei detersivi
    I flaconi vuoti dei detersivi sono potenziali elementi green di riciclo, con cui dare forma a vasi creativi, pratici e sostenibili, grazie ai quali ridurre i rifiuti generati. Per iniziare si lava accuratamente il flacone, assicurandosi che sia completamente vuoto e non ci sia nessun residuo al suo interno. Si procede tagliando la parte superiore del contenitore, colorando poi il recipiente con vernici spray e decorandolo a piacere. In seguito, si pongono sul suo fondo ciottoli o argilla espansa per il drenaggio e si sistemano terreno e pianta scelta, potendo optare per un arbusto di medie dimensioni. Ideali per decorare giardini e terrazzi, questi vasi suggestivi fai da te si adattano agli esterni, ma anche agli interni. Come nel caso delle bottiglie di plastica, anche i flaconi dei detersivi possono essere anche impiegati per creare un orto verticale creativo.

    Vecchio annaffiatoio
    Se in un angolo della casa si trova un vecchio annaffiatoio invece che buttarlo questo può essere impiegato per realizzare un suggestivo vaso fai da te. Per farlo bisogna pulire l’oggetto con grande attenzione per poi personalizzarlo a piacere, verniciandolo e aggiungendo sul fondo dell’argilla espansa per il drenaggio, riempiendolo in seguito con la terra e la pianta. Il risultato sarà un vaso unico nel suo genere con cui abbellire gli spazi, donandogli un tocco rustico.

    Cassette di legno
    Per creare un angolo sostenibile e creativo un’idea molto decorativa è riciclare delle vecchie cassette di legno di frutta e verdura, dalle quali ottenere delle fioriere rustiche. Dopo averla pulita in profondità, la cassetta usata va carteggiata, facendo in modo di eliminare le schegge, per poi colorarla con una vernice spray. Una volta asciutta, bisogna porre sul fondo della juta in modo tale da evitare che l’umidità danneggi il legno. Si procede riempiendo la cassetta di terra e infine con le piante: ecco che la nostra fioriera è pronta per decorare terrazzi o giardini, abbellendo l’ambiente e rendendolo ricercato.

    Vecchie scarpe
    Per creare vasi fai da te originalissimi una possibilità è ricorrere a vecchie scarpe, che possono ospitare le piante, dando vita a fantasiosi recipienti. Dagli stivali alle scarpe da ginnastica, ricorrendo a calzature rovinate si possono creare dei vasi di riciclo adatti alle piante che amano l’umidità. Sul fondo della suola bisogna realizzare dei fori per garantire il corretto drenaggio e aggiungere dell’argilla espansa per poi inserire il terriccio e la pianta scelta. Questa soluzione divertente ed ecologica si presta per abbellire il giardino, potendo per esempio sistemare i vasi creati dalle scarpe lungo il viale o appendendoli a una staccionata.

    Mobili inutilizzati
    Se si desidera ricavare delle grandi fioriere è possibile impiegare mobili vecchi o che non si usano più. Per questo scopo si prestano bene sedie, comodini, bauli e cassetti, con cui realizzare delle fioriere rustiche e scenografiche, adatte a interni, terrazzi e giardini. Ad esempio si può impiegare una vecchia cassettiera, ricavando dai cassetti delle fioriere dove collocare le piante, dando vita a un suggestivo effetto a cascata. Per composizioni dallo stile shabby chic si possono utilizzare delle valigie vintage, ponendo sul fondo un telo impermeabile forato, per poi riempire di terra il contenitore e sistemare la pianta scelta. LEGGI TUTTO

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    Amazzonia in crisi: tra deforestazione e una COP30 piena di guai

    Due mesi di tempo per uscire da una giungla di contraddizioni e guai. Il 6 novembre a Belem, stato di Parà, in Brasile, ci sarà il vertice dei capi di stato e dei leader mondiali che, di fatto, anticiperà l’inizio dei negoziati per salvare il mondo, quella COP30 (dal 10 al 21 novembre) che è stata indicata come la Conferenza delle parti sul clima cruciale per trovare una soluzione nel tamponare l’avanzata del surriscaldamento globale. Una COP che per volere di Luiz Inácio Lula, presidente del Brasile, si svolgerà in una città simbolo dell’Amazzonia, Belem, nonostante appaia ben poco attrezzata per ospitare un evento di tale portata con almeno 50mila fra delegati e visitatori in arrivo da tutto il Pianeta.

    La grande foresta pluviale amazzonica è stata scelta come base perché è un’icona: è il simbolo perfetto della vita, della biodiversità, dei sistemi naturali che plasmano il clima e di come la sua resilienza sia profondamente legata alle nostre esistenze. Insomma, se siamo in grado di proteggerla allora abbiamo ancora chance di salvarci. Eppure, questo simbolo, proprio oggi 5 settembre in cui si celebra la prima edizione del “Rise for the Amazon Day”, di fatto una giornata mondiale dedicata all’azione per l’Amazzonia, è in grado di mostrarci tutte le contraddizioni e le incongruenze che l’umanità sta praticando. Mentre continuano a crescere le emissioni climalteranti, tra le politiche negazioniste di Donald Trump che sta tagliando fondi alla ricerca, puntando sui combustibili fossili e affossando le rinnovabili, buona parte delle potenze mondiali – ad eccezione forse della Cina – sta rallentando le politiche climatiche. Lo stesso Brasile che ospita la COP non solo è entrato nell’OPEC+, cartello dei Paesi produttori di petrolio, ma sta anche pianificando nuove estrazioni lungo il Rio delle Amazzoni. In questo contesto, in cui il clima non fa sconti tra innalzamento delle temperature, ondate di calore e incendi, l’Amazzonia sta inoltre nuovamente inviando segnali preoccupanti dopo che il governo attuale era riuscito a frenare il tasso di deforestazione altissimo della precedente amministrazione Bolsonaro.

    Biodiversità

    Le aree di foresta amazzonica bruciata restano calde e stressate per decenni

    di Sara Carmignani

    06 Agosto 2025

    L’allarme: torna a crescere la deforestazione
    Proprio nel cuore verde del Pianeta, simbolo della COP30, le cose non vanno affatto bene. Gli ultimi dati a disposizione da parte dell’Istituto Nazionale Brasiliano per la Ricerca Spaziale (INPE), di luglio, ci dicono infatti che le aree deforestate in Amazzonia sono aumentate del 91% a maggio 2025, il secondo peggior risultato nella serie storica di quel mese, con quasi mille chilometri quadrati di foresta disboscati (come 137 campi da calcio in un solo mese). Tra agosto 2024 e luglio 2025 la deforestazione è aumentata in totale del 4%, mentre per fortuna gli incendi sono calati. L’Amazon Institute of People and the Environment (Imazon) aggiunge poi che il 79% della recente deforestazione si è verificata soprattutto su terreni privati. Deforestazione che continua ad essere legata soprattutto all’agricoltura e all’allevamento di bestiame, ma ci sono anche forti connessioni sia con l’estrazione mineraria e petrolifera e persino con la COP stessa dato che, per permettere la logistica dell’evento, sono stati tagliati diversi alberi a favore di una autostrada.

    Deforestazione

    Cop30 in Brasile: abbattuti ettari di foresta amazzonica per costruire l’autostrada

    di Giacomo Talignani

    12 Marzo 2025

    Tutto ciò non fa che aumentare i rischi sia per la nostra salute che per quella degli ecosistemi. In un articolo apparso su Nature Climate Change viene specificato come migliaia di persone abbiano perso la vita in Sudamerica a causa della connessione fra ondate di calore e disboscamento negli ultimi vent’anni, si parla di quasi mezzo milione di vittime se si considerano tutti i tropici. In un altro studio appena pubblicato i ricercatori dell’Università di San Paolo quantificano inoltre per la prima volta l’impatto della perdita di foreste e del cambiamento climatico sul bioma: in Amazzonia si parla di una riduzione delle precipitazioni del 74% e un aumento delle temperature del 16% durante la stagione secca. Nel frattempo, ricorda il Wwf, come se non bastasse, lo scorso mese le autorità brasiliane hanno sospeso la moratoria sulla soia, “una misura chiave per la protezione della foresta amazzonica che dal 2006 ha evitato la deforestazione di circa 17.000 chilometri quadrati in quanto questo legume è un’enorme minaccia per la deforestazione” una decisione “frutto anche della pressione politica della lobby dell’agroindustria” spiegano dall’associazione ambientalista stimando come questa scelta possa portare a “ulteriori 10.000 chilometri quadrati che potrebbero essere deforestati per la produzione di soia”. Un bel paradosso per un Paese che punta a raggiungere il target Deforestazione Zero entro il 2030.

    Crisi alloggi e motel dell’amore trasformati in stanze per i delegati
    In questo contesto, mentre dall’Europa soffiano venti di riduzione del Green Deal e un possibile indebolimento del Regolamento UE sulla Deforestazione (EUDR) che richiede di garantire tracciabilità e controlli lungo la filiera, la COP30 che inizierà fra due mesi – dove sono attesi centinaia di leader mondiali, dove potrebbe esserci una presenza o un messaggio anche di Papa Leone XIV e dove sicuramente non ci sarà Donald Trump che ha trascinato gli Usa fuori dall’Accordo di Parigi – dovrà riuscire a rispondere con forza a tutto l’affossamento, l’oscurantismo e i passi indietro che negli ultimi mesi hanno colpito le politiche climatiche e la stessa Amazzonia. Per riuscirci, come sempre, sarà necessario un forte multilateralismo, un negoziato dove tutti i Paesi – con ugual peso – dovrebbero essere coinvolti. Questo però rischia di non accadere per un’altra incongruenza: a Belem, dove sono stati investiti milioni di euro per poter ospitare la COP30, è in corso un vero e proprio scandalo alloggi.

    I prezzi delle (poche) strutture presenti sono stati aumentati anche di quindici volte e, già esauriti hotel e pensioni, ci sono forti polemiche per la corsa di privati che a costi esorbitanti stanno mettendo a disposizione ogni tipo di alloggio. Siamo arrivati al punto, racconta The Guardian, che persino i motel a ore e quelli che vengono definiti “i motel dell’amore”, i tanti luoghi destinati agli incontri a luci rosse, siano trasformati in alloggi di fortuna. “Le nostre camere sono dotate di sedie erotiche. Vuole che vengano rimosse?” si è visto scrivere in una mail chi ha provato a chiedere informazioni su costi e prenotazione di questi luoghi, spiega il tabloid inglese. Mentre si cercano soluzioni di ogni tipo per gli alloggi, anche a bordo di navi da crociera e strutture galleggianti distanti un’ora dall'”Hangar” che è sede della conferenza, molti Paesi si stanno così tirando indietro.

    Ci sono state più lettere degli stati insulari, africani, ma anche dell’Austria (i cui negoziatori hanno annunciato di non andare), di delegati, giornalisti e operatori che hanno invitato a spostare la COP a Rio, un invito respinto al mittente. Di fatto oggi, anziché essere un vertice inclusivo, sta diventando un meeting esclusivo: finora solo il 30% delle 200 nazioni che fanno parte della convenzione quadro Onu hanno infatti già prenotato e assicurato la loro presenza.

    Minacce ai giornalisti e rischio fallimento
    Criticare o mostrare al mondo quanto sta avvenendo, parlare della crisi alloggi e dei paradossi di un Brasile che celebra l’avvio della COP30 e poi punta sul petrolio per centrare la transizione energetica con ricadute spesso sulle comunità locali, in Brasile sta diventando oltretutto sempre più complesso, denuncia Reporters Sans Frontieres spiegando come “i giornalisti locali affrontano gravi minacce, mancanza di risorse e disinformazione dilagante”.

    Fra le voci che stanno provando a raccontare cosa avviene, ricordando per esempio come in Brasile siano in aumento anche le emissioni di metano e parlando di tutte le fragilità dell’Amazzonia, c’è l’Observatorio do Clima. Come molti, anche l’Observatorio ha parlato di chance per il Brasile nell’ospitare la COP, nonostante poca coerenza interna tra l’avanzata dei combustibili fossili e la leadership climatica che Lula si è intestato. La COP30 avrebbe però ancora una forte possibilità di successo se fosse in grado di affrontare, ad esempio, la causa portante del global warming, trovando un impegno mondiale per smarcarsi dalle fonti fossili: per assurdo però, proprio la mancanza di hotel a Belem, potrebbe compromettere tutto. Come dice Márcio Astrini, direttore dell’Observatorio, oggi non dovremmo stare qui a parlare di crisi di alloggi ma di “combustibili fossili che sono il tema chiave che dovremmo avere all’ordine del giorno”. Un tema che dovremo affrontare nelle negoziazioni. “Ma per negoziare – conclude Astrini parlando al Guardian – è necessaria una stanza piena di negoziatori: se non verranno come faranno a negoziare su questi argomenti? Semplicemente non accadrà”. LEGGI TUTTO

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    Filtri di sigaretta tra i più inquinanti del pianeta, ma ancora non c’è il divieto

    Il duplice danno del fumo di sigaretta. Per la salute di chi è dipendente dalla nicotina. Per la salute dell’ambiente, visto che i filtri sono fatti di una plastica chiamata acetato di cellulosa: un materiale non biodegradabile, ma fotodegradabile, cioè che si disgrega sotto l’azione della luce UV, frammentandosi in microplastiche, inquinando fiumi e oceani. Per dissolversi nell’ambiente impiegano diversi anni, dai 5 ai 12 a seconda delle condizioni. Il risultato è un danno ambientale di dimensioni enormi e difficilmente contenibile.

    Inquinamento

    Plastica, mozziconi e cotton fioc: sulle spiagge 892 rifiuti ogni 100 metri

    a cura della redazione di Green&Blue

    02 Aprile 2025

    Si stima che i mozziconi di sigaretta siano il rifiuto più diffuso sul pianeta. Ogni anno sono scartati 4,5 trilioni di filtri e circa 800.000 tonnellate di questa plastica finiscono nell’ambiente. Insomma un problema non da poco, che si somma anche alla poca consapevolezza, da parte dei fumatori, sul ruolo marginale del filtro delle sigarette (introdotto negli anni Cinquanta), nel ridurre i danni da fumo. L’industria del tabacco lo introdusse ormai 70 anni fa, quando iniziò a crescere la preoccupazione pubblica che il fumo di sigaretta fosse correlata al cancro ai polmoni. Vennero introdotti i filtri, come protezione dalle sostanze tossiche del fumo, ma le ricerche scientifiche successive hanno smentito quella che ancora oggi è una falsa credenza.

    Ma torniamo al tema che ci riguarda più da vicino: l’inquinamento ambientale da mozziconi di sigaretta. Il problema è che mentre le istituzioni internazionali hanno preso di petto certe tematiche, come la recente legislazione europea che ha limitato le plastiche per prodotti monouso come cannucce e piatti, i filtri delle sigarette sono riusciti a sfuggire alle maglie di questo tipo di regolamentazione. Infatti, in base alla Direttiva europea sulla plastica monouso (direttiva UE 2019/904), i filtri delle sigarette che contengono plastica non sono stati vietati, ma sono soggetti a misure per ridurne l’impatto ambientale.

    Tra le principali disposizioni c’è la responsabilità in capo ai produttori dell’industria del tabacco che sono obbligati a coprire i costi della gestione dei rifiuti, dei mozziconi e delle campagne di sensibilizzazione. Inoltre le confezioni di prodotti del tabacco con filtri contenenti plastica devono riportare un’etichetta che informa i consumatori della presenza di plastica e dell’impatto ambientale negativo del filtro, se disperso nell’ambiente. In Italia, non è stata approvata una legge che vieta la commercializzazione di sigarette con filtri non biodegradabili, ma è stato presentato in Senato un disegno di legge (DDL S. 765) per obbligare i produttori a utilizzare filtri naturali e biodegradabili. Tuttavia, non è ancora diventata legge.

    Il trattato

    Accordo globale sulla plastica: ancora un fallimento per la tutela dell’ambiente e della salute

    di Luca Fraioli

    14 Agosto 2025

    Di fatto i filtri delle sigarette non sono ancora stati vietati, anche se ci si avvicina lentamente. La Convenzione quadro dell’Organizzaizone Mondiale della Sanità sul controllo del tabacco consiglia di evitare misure che mantengano la percezione di un danno ridotto. Il riferimento è ai filtri delle sigarette che rientrano pienamente in questa categoria. Vietarli rimuoverebbe sia l’illusione di sicurezza nei fumatori, ed eliminerebbe una delle fonti di inquinamento di plastica più diffuse, prevenendo centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti plastici ogni anno.

    Invece nelle scorse settimane di agosto a Ginevra, i leader mondiali hanno preso parte al Comitato Intergovernativo di Negoziazione per un trattato globale sull’inquinamento da plastica; è stato il primo trattato ONU legalmente vincolante per affrontare la questione. Le negoziazioni, però, si sono concluse senza un accordo di fatto. I principali ostacoli all’accordo hanno riguardato la necessità di introdurre un tetto alla produzione di plastica, con alcuni Paesi – tra cui gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita – che preferiscono un approccio volontario incentrato solo sulla gestione dei rifiuti, e altri tra cui l’Unione Europea che spingono per misure vincolanti lungo l’intero ciclo di vita della plastica.

    Startup

    I mozziconi di sigaretta diventano imbottiture per piumini e cuscini

    di Paolo Travisi

    05 Aprile 2025

    La bozza del trattato include nel divieto, anche i filtri delle sigarette, ma solo parzialmente. Il trattato, infatti, include due Allegati: X e Y. Nel primo, i filtri di plastica delle sigarette sono soggetti a restrizioni volontarie o obbligatorie, ma possono essere commercializzati purché contengano meno plastica, quindi riducano il danno ambientale, senza risolvere il problema dell’inquinamento. Invece nell’Allegato Y s’impone un divieto completo per i prodotti elencati. Se i filtri delle sigarette fossero inseriti in questo secondo allegato, il loro uso e la loro produzione a livello globale sarebbero totalmente vietati. Ma le negoziazioni di agosto sono proseguite senza un accordo finale, ma con una bozza. Le trattative riprenderanno in futuro, senza una data, nella speranza di una direzione comune. LEGGI TUTTO

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    La crisi climatica rende i raccolti imprevedibili

    Il riscaldamento globale che porta il clima ad essere più caldo e secco sta rendendo i raccolti più imprevedibili e la produzione alimentare più altalenante, provocando gravi danni economici ma anche vere e proprie carestie. È quanto emerge da un nuovo studio guidato dall’Università della British Columbia (UBC) e pubblicato su Science Advances.

    Le idee

    La nuova Pac e i dazi Usa: così l’Europa rischia di restare indietro

    di Francesco Sottile

    27 Agosto 2025

    La ricerca è la prima a mostrare su scala globale come il cambiamento climatico stia influenzando le oscillazioni delle rese di tre delle colture alimentari più importanti al mondo: mais, soia e sorgo. Per ogni grado di riscaldamento, la variabilità annuale delle rese aumenta del 7 per cento per il mais, del 19 per cento per la soia e del 10 per cento per il sorgo. Mentre le ricerche precedenti si sono concentrate sui cali dei rendimenti medi causati dal clima, questo studio evidenzia un ulteriore pericolo: l’instabilità.

    Consumo sostenibile

    Spreco alimentare: le strategie di 21 scienziati per salvare un’area più grande dell’Africa

    di Pasquale Raicaldo

    20 Agosto 2025

    Per molti agricoltori, queste oscillazioni non sono astratte. Sono la differenza tra sopravvivere e fallire. “Gli agricoltori e le società che li pagano non vivono di medie, ma di ciò che raccolgono ogni anno”, ha affermato Jonathan Proctor, professore presso la facoltà di sistemi territoriali e alimentari dell’UBC e autore principale dello studio. “Un forte shock in un anno negativo può comportare reali difficoltà, soprattutto in luoghi senza un accesso adeguato alle assicurazioni sui raccolti o alle scorte alimentari”. Sebbene le rese medie potrebbero non crollare da un giorno all’altro, con l’aumentare delle oscillazioni annuali aumenta anche la possibilità di raccolti fallimentari.

    Con un riscaldamento di soli due gradi superiore al clima attuale, i disastri agricoli potrebbero diventare più frequenti. I fallimenti dei raccolti di soia, che un tempo si verificavano una volta ogni 100 anni, si verificherebbero ogni 25 anni. I fallimenti del mais passerebbero da una volta ogni secolo a ogni 49 anni, e quelli del sorgo a ogni 54 anni. Se le emissioni continueranno ad aumentare, entro il 2100 i problemi della soia potrebbero verificarsi anche ogni otto anni.

    Startup

    Caffè e cacao si coltiveranno in laboratorio

    di Gabriella Rocco

    01 Settembre 2025

    Alcune delle regioni più a rischio sono anche quelle meno attrezzate per far fronte alla situazione, tra cui parti dell’Africa subsahariana, dell’America centrale e dell’Asia meridionale, dove molte aziende agricole dipendono fortemente dalle precipitazioni e dispongono di reti di sicurezza finanziaria limitate. Le conseguenze non si limiteranno alle regioni a basso reddito. Nel 2012, ad esempio, una siccità e un’ondata di caldo nel Midwest degli Stati Uniti hanno causato un calo di un quinto delle rese di mais e soia, costando miliardi agli Stati Uniti e suscitando preoccupazione nei mercati di tutto il mondo. Nel giro di pochi mesi, i prezzi globali dei prodotti alimentari sono aumentati di quasi il 10%.

    Lo studio dimostra che l’irrigazione può ridurre efficacemente l’instabilità delle rese laddove l’acqua per l’irrigazione è disponibile. Molte delle regioni più a rischio, tuttavia, devono già far fronte a carenze idriche o mancano di infrastrutture per l’irrigazione. Per rafforzare la resilienza, gli autori chiedono investimenti urgenti in varietà di colture resistenti al caldo e alla siccità, migliori previsioni meteorologiche, una migliore gestione del suolo e reti di sicurezza più solide, tra cui l’assicurazione sui raccolti. Ma la soluzione più affidabile è ridurre le emissioni che causano il riscaldamento globale. LEGGI TUTTO

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    I Paesi insulari senza territorio saranno ancora considerati Stati?

    Tra le tante questioni che pone la crisi climatica, ce n’è anche una che riguarda il diritto internazionale: se una nazione vedesse sparire il suo territorio, magari perché sommerso dall’innalzamento dei mari, potrebbe anche essere considerata uno Stato? “E’ fondamentale che gli Stati riconoscano che la sovranità e i diritti sulle zone marittime devono essere preservati anche in caso di perdita di territorio causata dal cambiamento climatico”, risponde Francesca Mingrone, esperta di diritto climatico a Ginevra presso il Center for International Environmental Law (Ciel). Il quesito, sollevato da due giuristi della University of East Anglia in un articolo pubblicato su The Conversation, è tutt’altro che accademico. Alcune nazioni insulari, come Tuvalu, Kiribati, le Maldive o le Isole Marshall, rischiano effettivamente di finire sott’acqua a causa del riscaldamento globale. Sarebbe un disastro per gli abitanti, che perderebbero la casa, il lavoro, ma anche il loro patrimonio culturale e di tradizioni. Ma se a tutto questo si aggiungesse anche la perdita del riconoscimento di Stato, “queste nazioni potrebbe essere private del controllo sulle loro preziose risorse naturali e persino perdere il loro posto in organizzazioni internazionali come l’Onu”, scrivono gli studiosi Zana Syla e Avidan Kent.

    L’intervista

    “Le nostre isole rischiano di scomparire, i Paesi ricchi devono intervenire”

    di Giorgio Brizio

    12 Dicembre 2024

    Alcuni governi stanno correndo ai ripari. Quello di Tuvalu, per esempio, ha firmato un trattato con l’Australia perché sia garantito il riconoscimento come Stato, indipendentemente dall’impatto del cambiamento climatico sulle isole: “la sovranità e la statualità di Tuvalu continueranno… nonostante l’impatto dell’innalzamento del livello del mare dovuto al cambiamento climatico”. Ma l’Australia si è anche impegnata ad accogliere i cittadini tuvaluani che desiderano emigrare e ricominciare una nuova vita su un terreno più sicuro. Al netto però degli accordi bilaterali tra vicini, c’è il diritto internazionale che lega il riconoscimento dello Stato a quattro requisiti fondamentali: l’esistenza di una popolazione, di un territorio, di un governo indipendente e della capacità di gestire relazioni internazionali. Nel caso una nazione insulare venisse sommersa per l’innalzamento dei mari, non sarebbe solo il territorio a venir meno, ma, evidentemente, anche gli altri tre requisiti. “Tuttavia”, fanno notare Syla e Kent, “il diritto internazionale riconosce che uno Stato, una volta istituito, continua a esistere anche se alcuni degli elementi che lo caratterizzano sono compromessi. Ad esempio, i cosiddetti ‘Stati falliti’ come la Somalia o lo Yemen sono ancora considerati Stati nonostante la mancanza di un governo efficace – uno degli elementi fondamentali richiesti”.

    L’appello

    “L’oceano straripa e non abbiamo scialuppe”, l’Sos globale sull’innalzamento delle acque nel Pacifico

    redazione Green&Blue

    27 Agosto 2024

    Si potrebbe obiettare che la mancanza di un governo può essere transitoria, mentre la perdita di territorio per innalzamento dei mari rischia di essere definitiva. In questo dibattito già acceso da tempo, si è inserita il recente parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia (Cig). “La Corte ha confermato che le delimitazioni marittime concordate non devono essere modificate a seguito della perdita fisica di terre emerse”, sostiene Mingrone. “Ha inoltre affermato che la completa scomparsa del territorio di uno Stato non comporta necessariamente l’estinzione di quello Stato. La perdita territoriale non deve essere considerata una condanna a morte per le piccole nazioni insulari”. Non tutti però concordano su questa interpretazione secondo Zana Syla e Avidan Kent, il passaggio in questione nel testo della Corte internazionale di giustizia è “piuttosto criptico”: “una volta che uno Stato è stato istituito, la scomparsa di uno dei suoi elementi costitutivi non comporterebbe necessariamente la perdita della sua statualità”. Ma, come detto, la perdita del territorio quasi sempre porta via con sé anche popolazione, governo e relazioni internazionali. “Il pronunciamento della Corte ha evitato la dichiarazione definitiva in cui molte nazioni vulnerabili avevano sperato”, concludono Zana Syla e Avidan Kent. “Il futuro legale delle isole che affondano rimane incerto”. Una alternativa c’è, per Francesca Mingrone: “Soluzioni scientifiche per contrastare la crisi climatica — a partire dall’eliminazione dei combustibili fossili — esistono già e rimangono il mezzo più efficace per prevenire danni irreversibili. Questi sforzi devono essere accompagnati dalla volontà politica e da un forte impegno a tutelare i diritti umani delle popolazioni colpite. Solo così potremo preservare la sovranità e la dignità delle nazioni più a rischio”. LEGGI TUTTO

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    In Finlandia la batteria di sabbia più grande al mondo

    A Pornainen, cittadina di appena cinquemila abitanti nel sud della Finlandia, è stata appena inaugurata la più grande batteria di sabbia al mondo. Si tratta di una batteria realizzata su scala industriale per servire la rete di teleriscaldamento dell’intero municipio: edifici, uffici, scuole, aziende e complessi residenziali. Il nuovo impianto consentirà alla città di tagliare del 70% le emissioni annuali di CO? legate al riscaldamento: circa 160 tonnellate in meno. L’amministrazione comunale ha voluto introdurre un importante cambiamento che punta ad un sistema di accumulo a lungo termine, immagazzinando elettricità pulita sotto forma di calore, e rilasciandola durante i periodi di gelo e assenza di vento. E garantendo una maggiore sicurezza di approvvigionamento.

    La tecnologia è stata sviluppata dalla startup finlandese Polar Night Energy, nota per essere stata pioniera nella costruzione della prima batteria di sabbia commerciale al mondo, grazie all’ingegno dei suoi fondatori Markku Ylönen e Tommi Eronen.

    La batteria di Pornainen è alta circa 13 metri e larga 15 metri. Funge da mezzo di accumulo fino a 100 MWh, con un’efficienza di andata e ritorno del 90%. Ciò la rende circa dieci volte più grande della prima batteria brevettata da Polar Night, e in grado di immagazzinare calore per l’intera città: per una settimana in pieno inverno o per un mese durante l’estate, quando la domanda è più bassa. “Le batterie di sabbia significano molto in questa fase storica di cambiamenti climatici. Ci consentono di ridurre drasticamente le nostre emissioni e migliorare l’affidabilità della produzione di calore. Il nostro obiettivo è raggiungere la neutralità climatica entro il 2035 e la sand battery rappresenta un passo importante in questa direzione”, ha precisato il fondatore Markku Ylönen della startup in occasione dell’inaugurazione dell’impianto.

    Energia

    Addio fossili, l’energia per le industrie si accumula con la sabbia

    di Gabriella Rocco

    31 Marzo 2025

    Ecco come funziona
    Sviluppato da Polar Night Energy, la sand battery è un sistema di accumulo di energia termica ad alta temperatura che immagazzina elettricità pulita sotto forma di calore nella sabbia o in materiali solidi simili. Può essere utilizzato per produrre calore sia per le reti di teleriscaldamento che per un’ampia gamma di processi industriali.

    L’impianto in funzione da giugno, misura 15 metri di diametro per 13 di altezza e contiene 2 mila tonnellate di stéatite frantumata, un sottoprodotto dell’industria edilizia. Il principio è semplice: l’energia elettrica da fonti rinnovabili riscalda la sabbia fino a 600 °C. La massa immagazzina calore e lo rilascia lentamente, alimentando la rete di riscaldamento urbano e fornendo energia termica a stabilimenti industriali locali. Un sistema che trasforma una materia prima facilmente reperibile in una riserva di calore affidabile. Non solo, il sistema non si basa su sostanze chimiche, non si degrada e non prende fuoco.

    Con una capacità di stoccaggio di 100 MWh e una potenza termica di 1 MW, questa batteria di sabbia può garantire il riscaldamento dell’intera città di Pornainen per una settimana. La ricarica completa richiede circa quattro giorni. È un’evoluzione notevole rispetto al prototipo da 8 MWh installato a Kankaanpää nel 2022, dalla stessa startup. Un salto di scala che segna il passaggio dalla sperimentazione all’applicazione concreta nell’industria.

    Transizione ecologica

    Tutto quello che c’è da sapere sulla geotermia, l’energia pulita di cui l’Italia è ricca

    Pietro Mecarozzi

    15 Gennaio 2022

    Sebbene la startup chiami la tecnologia “batteria a sabbia”, si possono utilizzare anche altri materiali. Per la nuova installazione a Pornainen, l’azienda si è infatti affidata agli scarti di pietra ollare di un produttore di caminetti della zona. I materiali granulari come la sabbia e la pietra ollare sono termicamente inerti e possono immagazzinare il calore per un tempo particolarmente lungo. Poiché non sono necessarie materie prime rare o sostanze chimiche complesse, il processo è considerato robusto, sostenibile e scalabile. Allo stesso tempo, l’utilizzo di sottoprodotti promuove l’economia circolare. La startup è ora in trattative con altre aziende di servizi pubblici locali per nuovi contratti di fornitura di rete.

    Le batterie di sabbia, riserva di calore affidabile
    Grazie ai continui progressi nella conversione del calore in energia, la batteria di sabbia è destinata a diventare una parte sempre più integrante del panorama energetico globale. Che si tratti di riscaldamento industriale, teleriscaldamento o potenziale produzione di elettricità, rappresenta un importante passo avanti nella ricerca di un sistema energetico più pulito e resiliente. La combustione non è più un’opzione sostenibile per il clima e l’ambiente.

    In Italia pioniera delle batterie di sabbia, è Magaldi Green Energy, startup del gruppo Magaldi (con 55 brevetti) nata nel 2021, le batterie innovative si basano sulla tecnologia del letto di sabbia fluidizzato che accumula e restituisce energia termica. L’azienda ha inaugurato il suo primo impianto di accumulo su scala industriale, in collaborazione con Enel X e cofinanziato dall’Unione Europea, per lo stabilimento IGI che produce grassi e oli alimentari per la Ferrero, a Buccino, in Campania. Oggi Magaldi è l’unica società che utilizza la sabbia silicea, uno dei materiali più comuni sulla terra. LEGGI TUTTO