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    Maggiociondolo, come coltivare “l’albero d’oro”

    Conosciuto anche come albero d’oro, falso ebano e avorniello, il maggiociondolo è un albero caducifoglio che si distingue per la sua eleganza e la sua fioritura primaverile profumata. Di medie dimensioni, raggiunge fino ai 7 metri di altezza e presenta grappoli di fiori giallo oro, che ricordano quelli del glicine, abbellendo boschi e giardini, dove viene largamente impiegato a scopo decorativo. Elegante e dalla notevole resistenza, coltivare il maggiociondolo è semplice con le giuste azioni e accortezze, tenendo conto che non necessita di cure complesse.

    Il maggiociondolo e l’esposizione
    Appartenente alla famiglia delle Fabaceae ha origine in Europa meridionale e centrale, Asia e nord Africa. Sboccia nel periodo tra aprile e maggio con una fioritura abbondante e profumata. Pianta velenosa in tutte le sue parti, il suo nome scientifico è laburnum anagyroides e presenta fiori giallo oro a grappolo pendulo, una chioma abbastanza ampia che tende a essere arrotondata e un tronco dalla corteccia marrone scuro. Albero caducifoglio, ovvero che perde le foglie durante l’inverno, si distingue per il suo aspetto scenografico e la sua forma slanciata, essendo diffuso in giardini, boschetti, parchi e siepi. Per quanto riguarda la coltivazione del maggiociondolo è importante tenere conto che predilige un’esposizione soleggiata. Malgrado la sua fioritura dia il suo massimo quando riceve i raggi solari diretti, l’albero si adatta anche all’ombra parziale. Il maggiociondolo è resistente, sopporta temperature sotto zero, ma non apprezza molto il caldo e la salsedine e va protetto dalle correnti d’aria fredda: il suo clima ideale è temperato, fresco e moderatamente umido. L’albero si adatta a ogni tipo di terreno, preferendo però quelli ben drenati, leggermente acidi, leggeri, sabbiosi e calcarei e tollerando meno quelli pesanti e umidi.

    Come coltivare il maggiociondolo
    Il laburnum anagyroides può essere piantato in primavera oppure in autunno. Se si coltiva in giardino è necessario individuare un punto dove riceva luce solare diretta, considerando anche come l’albero crescendo possa raggiungere i 7 metri di altezza. Si procede posizionando i semi a una profondità di 2-3 centimetri, lasciando tra ciascuno una distanza di circa 30 centimetri e, fintantoché non germogliano, è necessario mantenere il substrato umido. Il maggiociondolo può essere coltivato anche in vaso. In questa operazione è fondamentale scegliere un recipiente che sia abbastanza capiente, per consentire lo sviluppo ottimale delle radici, e dotato di fori di drenaggio, con cui scongiurare eventuali ristagni di acqua. Per aumentare il drenaggio si può mescolare il terriccio con della sabbia, per poi interrare i semi a una profondità di 2-3 centimetri e posizionare il vaso in un luogo soleggiato. Qualora si debba trapiantare in giardino la pianta già radicata in vaso bisogna creare una buca che sia il doppio del contenitore, aggiungendo nel terreno del compost per arricchirlo e migliorare il drenaggio. È importante verificare che il buco realizzato sia abbastanza profondo da accogliere le sue radici senza schiacciarle troppo, facendo sì che si possano espandere.

    Maggiociondolo e la sua cura: gli interventi cruciali
    Estremamente resistente, il maggiociondolo richiede cure semplici per crescere in modo rigoglioso. Nel momento in cui viene messo a dimora è fondamentale annaffiarlo costantemente (evitando però i ristagni idrici), fintanto che non si radica, per poi ridurre le irrigazioni. Se coltivato in giardino, si accontenta dell’acqua delle precipitazioni quando il clima è temperato, dovendo invece aumentare le annaffiature durante i mesi estivi, bagnandolo ogni 10 giorni. Dopo i primi anni di vita, una volta radicato l’albero resiste alla siccità ma nonostante questo, in caso di climi torridi, le irrigazioni vanno potenziate. Qualora sia coltivato in vaso è importante avere maggiori accortezze, tenendo conto di come il substrato tenda a seccarsi prima rispetto che in piena terra, irrigando il maggiociondolo in modo regolare, facendo sì che il terreno non sia mai asciutto, ma allo stesso tempo non risulti zuppo. La pianta viene minata dai ristagni di acqua, che portano al marciume radicale. Nella cura dell’albero, per assicurarsi una sua fioritura ottimale, è possibile ricorrere a del concime organico durante la primavera. Per quanto riguarda la potatura, non sono necessari grandi interventi, visto che sviluppa di suo una chioma densa e, inoltre, non tollera molto i tagli dei rami: infatti, la cicatrizzazione del punto di taglio è faticosa e rende il legno più incline al marciume. Le operazioni di potatura devono quindi essere eseguite in modo moderato, in seguito alla fioritura, eliminando i rami danneggiati e secchi oppure intervenendo su quelli troppo lunghi accorciandoli.

    Manutenzione del maggiociondolo: le problematiche più diffuse
    Nonostante il maggiociondolo sia molto resistente, è comunque soggetto a diverse problematiche. Tra le più comuni rientrano gli attacchi di afidi e piccoli insetti, che si nutrono della sua linfa, dovendo intervenire tempestivamente con rimedi naturali o con pesticidi specifici per contrastare le infestazioni. Altra criticità diffusa è la clorosi, malattia che porta le sue foglie a ingiallirsi, causata da una carenza di ferro nel terreno: per risolvere questo problema è necessario ricorrere ai chelati di ferro. L’albero può essere colpito anche dal virus del mosaico, responsabile di macchie clorotiche sulle foglie e bande giallastre sulle venature, e da malattie fungine, come il marciume radicale e l’oidio, che comporta una patina bianca sulle sue foglie. LEGGI TUTTO

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    Specie aliene, per frenare la diffusione del pesce scorpione inizieremo a mangiarlo

    Era quasi certo di trovarlo, immergendosi nel mar Ionio, in Calabria. E lui non si è fatto aspettare. “L’ho visto a venti metri di profondità, vicino al relitto di un peschereccio abbandonato, atteggiamento confidente proprio come nei mari tropicali, pronto a esibire la sua voracità nei confronti dei pesci che lo circondavano. Venti giorni dopo, era ancora lì: una specie stanziale, che ha pochissimi predatori potenziali”. Il fotografo subacqueo Pasquale Vassallo ha cercato e trovato il pesce scorpione partendo dal Ficarella Diving Club di Saline Joniche, in provincia di Reggio Calabria.
    Basta un’immersione, qui, per imbattersi nella specie aliena per eccellenza, che è (ormai) diventata inquilina fissa dei nostri ecosistemi. Così, nei giorni in cui anche il Washington Post lancia un allarme globale sui pesci velenosi che invadono il Mediterraneo, ricercatori, scienziati e appassionati si interrogano sulla diffusione (incontrastata) del “lionfish”, specie originaria del Sud-est asiatico, che avanza imperterrito lungo le coste italiane, dalla Sicilia (dove in media si registra addirittura una segnalazione al giorno) alla Calabria, favorito dal riscaldamento del Mare Nostrum, la cui temperatura è aumentata, negli ultimi quattro decenni, il di 1,5 gradi Celsius.

    Cosa succede al pianeta

    Stiamo cambiando gli equilibri della natura

    di Elena Dusi

    11 Agosto 2025

    Come contrastarlo? “Un’ipotesi è mangiarlo”
    Sottolinea al Washington Post Paraskevi Karachle, che studia questa ed altre specie come ittiologa per l’Hellenic Center for Marine Research. E sulla piccola isola di Cervi (Elafonisos in greco), ad appena 570 metri dalla costa del Peloponneso, alcuni ristoranti già lo propongono nel menu. “Per ora i clienti girano alla larga, preferendo piatti più tradizionali”, fa spallucce Chris Berdoussis, chef e ristoratore. “Ci vuole ancora tempo”, aggiunge. Ma la strada potrebbe essere segnata, anche perché la popolazione di polpi è in netto declino e i visitatori, viceversa, in aumento esponenziale. E allora il Wwf ha avviato una serie di dimostrazioni guidate con chef riconoscibili che mostrano la preparazione del pesce scorpione. Il risultato? A Rodi e Creta nei mercati si inizia a trovare, ad Atene ancora no. Questione di tempo, forse.

    L’allarme

    Attenzione all’alga tossica nell’Adriatico, un software per monitorarla

    di Giacomo Talignani

    23 Luglio 2025

    Il progetto AlienFish

    Di specie aliene si occupa Francesco Tiralongo, ittiologo dell’università degli studi di Catania. Con il progetto AlienFish monitora, con l’aiuto della cosiddetta citizen science, la diffusione del pesce scorpione, ma anche dei pesci coniglio e dell’ormai famigerato granchio blu, assieme a tante altre specie aliene invasive. “La risposta all’invasione – dice – non può essere una sola: bisogna contenere, conoscere e, dove sicuro, valorizzare a tavola, trasformando parte dell’emergenza in opportunità per pescatori e filiere locali”. Il caso studio è proprio quello del granchio blu, voracissimo: in Alto Adriatico la sua proliferazione ha messo in ginocchio la venericoltura, causando danni enormi. “In risposta, nel 2025 è stato varato un Piano nazionale di contenimento con risorse dedicate e obiettivi espliciti di rimozione massiva, protezione degli allevamenti e tracciamento dei flussi, anche con misure regionali attuative. – spiega Tiralongo – Il piano dialoga con iniziative locali: in Veneto, ad esempio, centinaia di tonnellate di granchio blu sono state commercializzate nel 2024, mentre altre non commerciabili (in particolare le femmine e gli esemplari sottotaglia, ndr) sono state rimosse e destinate a mangimistica e farine proteiche, oppure allo smaltimento. Dove c’è mercato, si crea un incentivo economico alla rimozione, fondamentale per alleviare la pressione sugli ecosistemi e sostenere le imprese”.

    Un granchio blu preda uno scorfano nel Golfo di Napoli (foto Mimmo Roscigno)  LEGGI TUTTO

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    Cycas, come coltivare la pianta che viene dalla preistoria

    La cycas abbellisce giardini, terrazzi e interni con le sue splendide foglie verde brillante. Questa pianta è considerata un fossile vivente: la sua comparsa sulla Terra risale a circa 280 milioni di anni fa, ben prima dell’arrivo dei dinosauri. Chiamata anche cycas revoluta, palma sago e palma nana, ricorda una palma, pur non essendolo visto che presenta foglie arcuate e rigide ed è più imparentata con le conifere. Oltre al suo aspetto decorativo, la cycas è molto apprezzata per la sua notevole resistenza e la coltivazione semplice, tanto da essere ideale anche per chi si avvicina al giardinaggio.

    L’esposizione della Cycas
    Parte della famiglia delle Cycadaceae e originaria del Giappone, la cycas unisce robustezza, longevità, eleganza e fascino ed è molto diffusa per abbellire case e giardini. Questa pianta ornamentale presenta grandi foglie dalla forma pennata e un tronco corto, robusto e legnoso, cresce lentamente, fiorisce ogni 15 anni ed è tra le più resistenti, richiedendo una bassa manutenzione. Adatta sia per gli interni, che per gli esterni, predilige luoghi luminosi, dovendo però evitare i raggi solari diretti, che potrebbero bruciarne le foglie. Qualora si coltivi all’aperto l’ideale è sistemarla in una posizione dove non batta il sole nelle ore centrali della giornata oppure in un’ombra parziale, mentre se la si tiene all’interno, è necessario collocarla nei pressi di una finestra luminosa, facendo in modo però che la luce sia filtrata. Una luce troppo esigua potrebbe rendere il suo aspetto poco sano e le foglie rade. L’habitat perfetto per la cycas vede le temperature tra i 20 e i 25 gradi e il terreno leggermente acido, arricchito con torba e sabbia e ben drenato, evitando tassativamente i ristagni d’acqua, causa del marciume dell’apparato radicale.

    Coltivazione in vaso e giardino della cycas
    La cycas è facile da coltivare, cosa che la rende particolarmente apprezzata e popolare. Con semplici accorgimenti cresce in modo rigoglioso, dando molte soddisfazioni: questa pianta antichissima può essere seminata in vaso o in piena terra. Il periodo migliore per interrarla è la primavera, in particolare tra marzo e maggio, momento dell’anno in cui il clima mite stimola i germogli e le giornate si allungano progressivamente, ma la luce solare non è ancora troppo forte. Per quanto riguarda la coltivazione in vaso, per permettere il corretto sviluppo delle radici, il recipiente scelto deve essere profondo, aggiungendo sul fondo uno strato di argilla espansa per migliorare il drenaggio. È necessario ricorrere a del terriccio universale, aggiungendo torba, sabbia o perlite e porre i semi a una profondità di 2-3 centimetri, dovendo lasciare, in caso di semina multipla, tra ogni seme 3-5 centimetri. Una volta effettuata questa operazione bisogna portare pazienza, tenendo conto che la cycas ha una crescita lenta, mediamente 3 centimetri all’anno. Il rinvaso va eseguito ogni 3-4 anni, spostando la pianta in un vaso poco più grande.

    La cycas può essere coltivata in giardino, prediligendo un terreno ben drenato, aggiungendo sabbia e torba per tenere alla larga i ristagni d’acqua: durante il periodo di germinazione il substrato va mantenuto sempre leggermente umido, evitando però che sia zuppo. I semi vanno interrati a una profondità di 2-4 centimetri, che può variare a seconda della dimensione del seme: quelli più piccoli possono essere interrati a 0,5 centimetri. Tra ciascun seme bisogna lasciare circa 3-5 centimetri, in modo tale che le piante sviluppino al meglio le radici. Il trapianto di una cycas in vaso va effettuato tra la primavera e l’autunno: per eseguirlo è necessario scavare una buca larga il doppio del paniere radicale e profonda quanto questo. La pianta deve essere posizionata alla stessa profondità del vaso in modo da non comportarle troppo stress e prevenire il marciume radicale. Il terreno in cui si trapianta deve essere arricchito di materiale drenante e compost per poi irrigarlo in modo consistente dopo l’intervento.

    Come prendersi cura della cycas: irrigazione, potatura e concimazione
    Molto resistente e facile da curare, la cycas richiede una bassa manutenzione. Per un suo sviluppo rigoglioso è necessario irrigarla in modo regolare, prestando però attenzione ai ristagni d’acqua, responsabili del marciume radicale. Prima di procedere con l’innaffiatura è sempre bene verificare con un dito che il substrato sia asciutto. Durante il periodo di crescita bisogna darle da bere ogni 1-2 settimane: le irrigazioni devono essere abbondanti soprattutto in caso di caldo e clima secco. La frequenza delle annaffiature è influenzata dalla stagione, tenendo conto che in inverno e autunno le irrigazioni devono essere ridotte, visto che in questo periodo dell’anno la pianta è in riposo vegetativo, effettuandole ogni 3-4 settimane. Per prevenire il marciume dell’apparato radicale, il terreno deve essere drenato, leggermente umido, ma mai zuppo ed è necessario non dare da bere alla corona, la parte centrale della pianta.

    In merito alla potatura, questa non è richiesta in modo regolare e occorre limitarsi a rimuovere le foglie rovinate oppure secche, di solito concentrate nella parte inferiore della pianta, ricorrendo a forbici sterilizzate e facendo dei tagli precisi, per prevenire il marciume radicale ed eventuali attacchi da parte dei parassiti. Questo intervento può essere eseguito annualmente oppure al bisogno, preferibilmente alla fine dell’estate o durante la primavera avanzata. La concimazione deve essere svolta durante la primavera e l’estate e la frequenza è determinata dal tipo di fertilizzante impiegato. Se si ricorre a un concime liquido specifico per la cycas l’operazione va effettuata ogni 2 settimane, mentre ogni 3 mesi se si utilizza un fertilizzante granulare a lenta cessione.

    Manutenzione della cycas: malattie e parassiti
    Nella cura della cycas possono insorgere alcune problematiche. Per esempio le sue foglie possono ingiallire, cosa che viene causata da irrigazioni eccessive, fertilizzante troppo abbondante, carenza di ferro o magnesio e attacco da parte di parassiti, in particolare della cocciniglia. Questo parassita può essere rimosso ricorrendo a un batuffolo di cotone imbevuto di alcool oppure utilizzando del sapone neutro o ancora un antiparassitario ad hoc. La pianta è soggetta anche ad attacchi di afidi, ragnetto rosso, thrips e punteruolo e all’insorgere di malattie fungine, come ad esempio oidio, marciume radicale e macchie fogliari, dovendo intervenire prontamente con trattamenti specifici se insorgono queste problematiche. LEGGI TUTTO

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    Alaska, cede un lago ghiacciato. La causa è l’aumento della temperatura

    L’allarme è rientrato da poche ore: è cessata la minaccia di un’inondazione nel Suicide Basin, in Alaska, e le acque si sono ritirate. Nella città di Juneau, attraversata dal fiume Mendenhall, le aree evacuate sono ora aperte, anche se accessibili solo ai residenti.
    A generare l’allarme nei giorni scorsi il repentino rilascio di acqua di fusione da parte del ghiacciaio Mendenhall. Mercoledì scorso i corsi d’acqua alimentati dal ghiacciaio si sono gonfiati a livelli da record (più di 2 metri in 24 ore), preoccupando le autorità della capitale che conta poco più di 30mila abitanti.

    Il fenomeno è ormai diventato periodico, ennesimo sintomo del riscaldamento globale. E il pericolo non è rappresentato solo dall’acqua prodotta dalla fusione del ghiaccio. Più acqua scorre sulla superficie, più l’erosione aumenta e ci vuole meno pioggia per innescare un’alluvione: in queste condizioni, una tempesta prevista una volta ogni dieci anni può causare il tipo di alluvione catastrofica che si prevede solo ogni 100-200 anni.

    Lo studio

    Isole Svalbard, l’allarme dei ricercatori: inverni con più pioggia e meno neve

    di Pasquale Raicaldo

    21 Luglio 2025

    Le contromisure
    Le prime inondazioni di questo tipo si sono verificate a Juneau a partire dal 2011, ma con il passare del tempo sono diventate sempre più distruttive e ormai rappresentano una minaccia “estiva” costante.
    Tanto che la città ha imparato a prendere le contromisure: quest’anno, con l’aiuto del genio dell’esercito Usa, sono state costruite barriere fatte di sacchi piene di detriti o sabbia e rinforzato con strutture metalliche per arginare l’acqua e mettere al riparo soprattutto le zone abitate lungo il fiume. L’operazione ha avuto successo, perché ha evitato le distruzioni provocate dalle alluvioni verificatesi ad agosto sia nel 2024 che nel 2023. L’anno scorso l’acqua travolse un centinaio un centinaio di abitazioni, nonostante fosse stata installata una barriera anti-inondazione nelle aree a rischio, dove risiedono circa mille tra residenti e aziende.

    Lo studio

    Dove c’era il ghiacciaio ora crescono più fiori: il fenomeno del greening in alta quota

    di Fabio Marzano

    15 Luglio 2025

    Allerta caldo e inondazioni
    Misure di adattamento ai cambiamenti climatici, che cercano di porre rimedio agli effetti della crisi climatica dovuta all’uso di combustibili fossili. L’Artico, compresa l’Alaska, si sta riscaldando a una velocità doppia rispetto al resto del Pianeta, a causa dell’aumento delle temperature globali. In questa parte del Profondo Nord, l’aumento delle temperature ha ridotto drasticamente l’estensione del ghiacciaio Mendenhall e del suo bacino, creando il rischio annuale di inondazioni dei laghi glaciali, poiché il ghiaccio viene sostituito da acqua liquida e si avvicina sempre di più al bordo del bacino durante l’estate.

    L’iniziativa

    Reinhold Messner: “Ecco il mio museo dedicato ai ghiacciai”

    di Paola Arosio

    05 Luglio 2025

    Tra i 10 e i 15 milioni le persone esposte alle alluvioni glaciali
    A livello globale, sono tra i 10 e i 15 milioni le persone esposte agli effetti delle inondazioni dei laghi glaciali. E si prevede che l’aumento del numero e delle dimensioni dei laghi glaciali farà crescere la frequenza delle inondazioni in futuro. Ma non si vedono all’orizzonte politiche serie di mitigazione (taglio delle emissioni di gas climalteranti, nonostante il 2025 sia stato proclamato dall’Unesco Anno internazionale della Conservazione dei Ghiacciai. LEGGI TUTTO

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    Come riciclare l’acqua del condizionatore

    L’estate sta entrando nel suo pieno e per sopravvivere alle temperature in rialzo accendere il condizionatore sembra essere l’unica via di scampo. Risorsa preziosa per regolare la temperatura domestica, il condizionatore quando è in funzione produce acqua di condensa, che non è altro che acqua di scarico risultato dell’umidità condensata. Invece che buttarla, ci sono diversi modi per utilizzarla, riducendo così gli sprechi domestici.

    Come sfruttare l’acqua del condizionatore
    L’acqua del condizionatore è un tipo di acqua demineralizzata con elementi in comune con l’acqua distillata, pur non avendo i medesimi livelli di purezza. Risultato dell’umidità di condensa, quest’acqua non è tossica ed è priva di calcare, sali minerali e altre componenti che sono racchiuse invece nell’acqua del rubinetto. Tuttavia, non è potabile, visto che può contenere metalli pesanti oppure materiali plastici accumulati durante il passaggio nei tubi del dispositivo. L’acqua del condizionatore viene a crearsi nel corso del processo di deumidificazione dell’aria e piuttosto che buttarla è invece molto utile riciclarla, visto che si presta a essere utilizzata in diverse attività domestiche. Riciclare l’acqua del condizionatore significa evitare sprechi, ottimizzare le risorse che abbiamo in casa e contare su un’acqua sfruttabile per usi alternativi.

    Per il ferro da stiro
    L’acqua del condizionatore è una preziosa risorsa da impiegare in molteplici attività domestiche, tra cui stirare. Essendo priva di minerali, è ideale per essere usata nel ferro da stiro, rappresentando un’alternativa all’acqua distillata, grazie alla quale prolungare la durata del dispositivo e mantenere la sua efficacia. Per preservare il ferro da stiro è quindi più indicata l’acqua del condizionatore piuttosto che quella del rubinetto, che contiene minerali responsabili della formazione del calcare.

    Lavaggio del bucato
    Altro impiego utile per riciclare l’acqua del condizionatore è il lavaggio a mano del bucato. Ecologica e delicata, quest’acqua non contiene minerali aggressivi, consentendo di trattare anche i capi più delicati, senza rovinarli. Con quest’acqua è possibile creare un sapone liquido per il bucato fai da te con cui trattare gli indumenti in modo non invasivo. Per realizzare il detergente basta mescolare il sapone di Marsiglia con l’acqua del condizionatore ed ecco che otterremo questa miscela efficace e anche ecologica.

    Irrigare le piante
    L’acqua del condizionatore è priva di minerali e, proprio per questo, può essere usata per annaffiare le piante. Bisogna tenere tuttavia conto di come potrebbe racchiudere sostanze chimiche provenienti dal condizionatore o dall’ambiente esterno e, pertanto, non usarla per irrigare piante delicate o commestibili. Invece, si presta per annaffiare piante grasse oppure acidofile, tra cui per esempio ortensie, camelia e azalea, dovendo monitorare però i livelli di sali minerali del terreno e ricorrere in modo occasionale a del concime visto che si tratta di un’acqua quasi demineralizzata. L’acqua del condizionatore può essere usata per mantenere il compost umido, stimolando la sua decomposizione.

    Usi per l’auto
    L’acqua di condensazione trova diversi usi per la manutenzione dell’auto. E’ perfetta per riempire il radiatore, preservandolo da eventuali danni e mantenendo il sistema di raffreddamento. Altra possibilità è impiegarla per la vaschetta dei tergicristalli. visto che per le sue caratteristiche non ottura beccucci e pompette della vaschetta dei tergicristalli. Non da ultimo, può essere usata per lavare la macchina.

    Pulizie domestiche
    Le faccende domestiche ci portano via tempo ed energie e pertanto si è sempre alla ricerca di escamotage per renderle più efficaci. Una soluzione performante, a basso costo ed ecologica è usare l’acqua di condensa del condizionatore per le pulizie: per esempio, questa ci consente di lavare i vetri delle finestre alla perfezione non lasciando alcun alone. Inoltre, si presta per lavare i pavimenti, evitando residui di calcare, cosa che accade invece se si ricorre all’acqua del rubinetto, e negli esterni per pulire balconi, vialetti e mobili. Nell’ambito delle pulizie del bagno, può essere utilizzata per lo scarico del water.

    Quando non impiegare l’acqua del condizionatore
    Se impiegare l’acqua del condizionatore è una scelta ecologica che ci permette di ridurre gli sprechi di acqua, ci sono casi in cui non va utilizzata. In particolare, non è adatta per essere bevuta o per cucinare visto che, pur essendo priva di minerali, non è trattata e testata, potendo racchiudere sostanze chimiche derivanti dall’esterno o dal condizionatore. Le eventuali impurità di quest’acqua la rendono sconsigliata per trattare apparecchi elettronici, medicali oppure delicati, per irrigare piante sensibili o commestibili, dare da bere agli animali e negli acquari. LEGGI TUTTO

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    Clima, le statue Rapa Nui nell’isola di Pasqua rischiano di essere sommerse

    Un gigante, l’oceano, contro i giganti, i moai. La sfida è già in atto e in poco più di cinquant’anni potrebbe arrivare il verdetto: secondo nuovi studi e modelli di previsione sarà il mare a vincere, compromettendo l’esistenza delle tradizioni, della cultura e del turismo di una intera popolazione. I giganti di Rapa Nui sono Patrimonio mondiale dell’Unesco e ora sono minacciati dall’innalzamento del mare. I moai, le grandi statue alte fino a 10 metri presenti nell’Isola di Pasqua, a 3600 chilometri a ovest dalle coste del Cile, in futuro potrebbero essere costantemente minacciate dalle onde dell’oceano. Statue che sono molto di più di un’attrazione turistica perchè incarnano l’identità della comunità locale.
    Entro il 2080
    Queste iconiche statue, si stimano oltre 800 quelle ritrovate sull’Isola di Pasqua, nascondo ancora tantissimi misteri. Ci si interroga sul perché fossero rivolte verso l’interno, forse per omaggiare i capi tribù indigeni morti, oppure come furono esattamente trasportate e issate all’interno dell’isola. Tra tante incertezze sta però emergendo una certezza: quella che entro il 2080 – racconta un nuovo studio – alcune delle più importanti statue di Rapa Nui saranno impattate dall’innalzamento del livello del mare che, come sappiamo, è legato all’aumento delle temperature dovute dalle emissioni antropiche, in sostanza dalla crisi del clima.

    Cosa succede al pianeta

    Stiamo cambiando gli equilibri della natura

    di Elena Dusi

    11 Agosto 2025

    Modelli digitali sull’innalzamento dell’oceano
    Una ricerca da poco pubblicata su Journal of Cultural Heritage e curata dagli esperti dell’Università delle Hawaii a Manoa stima infatti che entro il 2080 l’innalzamento del livello del mare potrebbe causare onde stagionali che raggiungeranno Ahu Tongariki.
    Quest’ultima è l’iconica piattaforma cerimoniale che fa parte del Parco Nazionale di Rapa Nui ed è patrimonio mondiale dell’UNESCO: qui si trovano i 15 moai più simbolici dell’isola e, l’intero sito, è considerato per cultura e tradizione uno dei più importanti, se non il principale, dell’Isola di Pasqua.
    Le inondazioni costiere, aggiungono i ricercatori, minacciano in totale 51 beni culturali della zona. “Questa ricerca rivela una minaccia critica alla cultura vivente e ai mezzi di sussistenza di Rapa Nui” ha spiegato Noah Paoa, autore principale dello studio e ricercatore del Dipartimento di Scienze della Terra presso la UH M?noa School of Ocean and Earth Science and Technology (SOEST).

    Non solo un’attrazione turistica
    “Per la comunità, questi siti sono un elemento essenziale per riaffermare l’identità e sostenere la rivitalizzazione delle tradizioni. Dal punto di vista economico, rappresentano la spina dorsale dell’industria turistica dell’isola. Non affrontare questa minaccia potrebbe in ultima analisi mettere a repentaglio lo status di patrimonio mondiale dell’UNESCO dell’isola” ha voluto ricordare Paoa, spiegando come le nuove informazioni potrebbero essere vitali nel tentativo di adattarsi e proteggere i beni culturali dell’Isola di Pasqua.

    Biodiversità

    Sbiancare le nuvole per salvare i coralli: l’esperimento di “cloud brightening”

    di Giacomo Talignani

    28 Luglio 2025

    Sfide ambientali più ampie
    Per stimare l’impatto dell’innalzamento del mare, la stessa emergenza che oggi sta minacciando tantissime isole del Pacifico, i ricercatori hanno realizzato un gemello digitale del sito di Ahu Tongariki e, attraverso modelli computerizzati e scenari internazionali come quelli tracciati dall’IPCC (Gruppo intergovernativo cambiamenti climatici) sull’innalzamento del mare, hanno simulato come il moto ondoso avrebbe impattato la costa.
    “Purtroppo da un punto di vista scientifico i risultati non sono sorprendenti. Sappiamo che l’innalzamento del livello del mare rappresenta una minaccia diretta per le coste a livello globale. La domanda cruciale non era se il sito sarebbe stato colpito, ma quanto presto e con quale gravità. Il nostro lavoro mirava a stabilire possibili tempistiche entro cui aspettarci che gli impatti si verificassero. Scoprire che le onde potrebbero raggiungere Ahu Tongariki entro il 2080 fornisce i dati specifici e urgenti necessari per incentivare il dibattito e la pianificazione comunitaria per il futuro” chiosa Paoa.

    Cosa succede al pianeta

    L’esodo silenzioso dei migranti climatici

    di Fiammetta Cupellaro –

    25 Agosto 2025

    I migranti climatici delle isole Tuvalu
    Le sfide che Rapa Nui deve affrontare sono del tutto simili a quelle di diverse altre zone costiere del mondo, tra cui per esempio le isole Tuvalu, dove oggi grazie a una sorta di passaporto climatico molti abitanti stanno migrando in Australia, ma anche delle Maldive, le Isole Marshall, le Fiji, le Hawaii.
    Nel Pacifico in particolare oltre metà della popolazione vive entro 500 metri dalla costa: per molte persone il futuro si sta trasformando in una scelta, rimanere nelle aree ad alto rischio o trasferirsi per garantire la propria esistenza. I grandi giganti di Rapa Nui, ovviamente, resteranno lì dove sono: il rischio però è che le onde stravolgono indirettamente, impattando le statue, la vita di migliaia di famiglie.
    “Per tutta la comunità – chiosano i ricercatori – questi siti sono fondamentali per le tradizioni e dal punto di vista economico sono centrali per l’industria turistica dell’isola”. LEGGI TUTTO

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    Accordo globale sulla plastica: i colloqui si bloccano a poche ore dalla fine dei negoziati

    Oggi sapremo che ne sarà della plastica. Ma anche dei suoli e dei mari che ne risultano contaminati. Terminano infatti formalmente a Ginevra i negoziati iniziati il 5 agosto scorso e che avrebbero dovuto portare al primo trattato mondiale contro l’inquinamento da plastica, ma i colloqui si sono bloccati a poche dalla scadenza. Obiettivo dell’appuntamento voluto dall’Onu, redigere un trattato che disciplini alcuni punti fondamentali: la riduzione dei livelli di produzione di plastica monouso, il divieto di alcune delle sostanze chimiche più nocive presenti nella plastica, la definizione di linee guida universali per la progettazione di prodotti in plastica e la garanzia di finanziamenti per queste iniziative.

    Divisioni e veti
    Ma dopo nove giorni di trattative, le distanze tra i due principali schieramenti (nella città svizzera si confrontano i rappresentanti di 180 nazioni) sembrano ancora incolmabili. Quasi 100 paesi respingono la bozza di trattato definendola “poco ambiziosa” oppure “inadeguata”. A frenare è soprattutto il blocco dei Paesi produttori di petrolio, guidati da Arabia Saudita, Russia e Iran, e di cui fanno parte anche Kuwait, Egitto, Kazakistan e Azerbaigian. I loro delegati si oppongono a qualsiasi misura di tagli alla produzione della plastica, proponendo che invece, per ridurre l’inquinamento, si potenzi il riciclo dei rifiuti. Sulla stessa posizione si collocano anche gli Stati Uniti.

    L’81% della produzione mondiale finisce in discarica
    Il problema è che, nonostante gli sforzi degli ultimi anni, a livello globale delle 460 milioni di tonnellate di plastica prodotta ogni anno, se ne riesce a riciclare appena il 9%, mentre l’81% diventa un rifiuto a un anno dalla produzione: quasi la metà finisce nelle discariche e più di un quinto viene disperso nell’ambiente.
    L’ostinazione dei petrostati (e dei loro sodali) viene spiegata dagli analisti con l’esigenza di conquistare nuovi mercati in previsione di un crollo delle vendite di greggio dovute alla crescente diffusione della mobilità elettrica. L’Arabia Saudita e molti altri Paesi produttori stanno scommettendo sulla plastica, e più in generale sull’industria petrolchimica, per compensare la futura minore richiesta di combustibili fossili.

    Inquinamento

    Plastica, mozziconi e cotton fioc: sulle spiagge 892 rifiuti ogni 100 metri

    a cura della redazione di Green&Blue

    02 Aprile 2025

    La posizione della Ue
    L’Unione europea fa parte del fronte che vorrebbe un drastico taglio della produzione. Ma rischia di predicare bene e razzolare male: nel Vecchio Continente il consumo medio annuo di plastica è di circa 150 kg a persona, più del doppio della media globale che è pari a 60 kg pro capite. E la domanda è destinata a crescere: se nel 2024 l’Europa ha usato 87 milioni di tonnellate di plastica, l’Ocse prevede che nel 2040 verrà sforato il tetto delle 101 milioni di tonnellate.

    Giornata Mondiale dell’Ambiente 2025: la plastica è ovunque, alleanza globale contro l’inquinamento

    di Loredana Diglio

    05 Giugno 2025

    Il pressing dei Paesi che subiscono la crisi climatica
    Più credibile il pressing per il taglio alla produzione esercitato da quelle nazioni che vedono i loro mari e i loro suoli sempre più inquinati dalla plastica: circa l’85% dei rifiuti marini provenienti da fonti terrestri è costituito da plastica, che rappresenta un rischio per la vita marina e la salute umana attraverso la catena alimentare. Ma c’è anche chi sta pagando, prima di altri, il costo dei cambiamenti climatici, per esempio gli Stati insulari del pacifico che rischiano di essere sommersi dall’innalzamento del mare: la produzione di plastica è responsabile di oltre il 5% delle emissioni di gas serra, stando a uno studio realizzato presso il Lawrence Berkeley National Laboratory.
    Lo stallo dura ormai dal 2022, quando l’Unep (l’agenzia Onu per la protezione dell’ambiente) propose la stipula di un trattato. L’ultimo smacco nel dicembre scorso in Corea del Sud, quando i negoziati si conclusero con un nulla di fatto. Ora nella città svizzera l’appuntamento decisivo, che ha richiamato ben 234 lobbisti dell’industria chimica e dei combustibili fossili: più delle delegazioni messe insieme di tutti i 27 Stati membri della Ue più la delegazione della stessa Unione europea. LEGGI TUTTO

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    Mulinelli al lago: come riconoscerli e cosa fare in caso di pericolo

    Fare il bagno nel lago è un’esperienza piacevole, che richiede però particolari accortezze, visto che ci si può imbattere in alcune insidie. Oltre ai fondali scivolosi e fangosi e ai cambi di profondità improvvisi, bisogna tenere gli occhi aperti anche alle eventuali correnti: se nelle acque marine è opportuno prestare attenzione alle correnti di risacca, le cosiddette rip currents, in quelle dei laghi ai mulinelli d’acqua, ovvero vortici che risucchiano tutto quello che si trova nei loro pressi. Vista la loro pericolosità, è molto importante saperli riconoscere ed essere consapevoli di cosa fare e non fare quando ci si trova davanti a questo fenomeno.

    Cosa sono i mulinelli e perché si formano nei laghi
    Il bagno nel lago è sempre un’attività rigenerante, anche se non è esente da pericoli: per non esporci a rischi è cruciale essere vigili e saper fronteggiare eventuali criticità, come le correnti e i fondali insidiosi. In particolare, i mulinelli, chiamati anche vortici o gorghi, rappresentano un problema minaccioso: questi si formano nelle acque di laghi e fiumi, sono il frutto di un fenomeno fisico legato all’acqua in rotazione e la loro pericolosità sta nel fatto che risucchiano ciò che si trova in loro prossimità. I mulinelli consistono in vortici d’acqua che creano una sorta di imbuto rotante e la loro causa è da ricondurre a un mix di fattori naturali e artificiali. Questi vortici si formano nel momento in cui due correnti d’acqua si incontrano e non trovando una via di deflusso, cominciano a girarsi intorno, dando vita a un movimento rotatorio che comporta il vortice. LEGGI TUTTO