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    Marzo il mese più caldo d’Europa e ghiaccio marino artico più basso d’inverno

    Quello di quest’anno è stato il secondo marzo più caldo mai registrato a livello globale, con una temperatura media dell’aria in superficie ERA5 di 14,06 °C, ovvero 0,65 °C in più rispetto alla media del periodo 1991-2020 e 1,60 °C in più rispetto al livello preindustriale di marzo. Sono i dati del servizio Copernicus sui cambiamenti climatici (C3S), implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine per conto della Commissione europea con finanziamenti dell’Ue, pubblica regolarmente bollettini climatici mensili.

    Marzo 2025 è stato di 0,08 °C più fresco rispetto al marzo record del 2024 e solo marginalmente più caldo (di 0,02 °C) rispetto al terzo marzo più caldo, quello del 2016. Marzo 2025 è stato il 20esimo mese degli ultimi 21 mesi in cui la temperatura media globale dell’aria in superficie è stata superiore di oltre 1,5 °C rispetto al livello preindustriale. Il periodo di 12 mesi da aprile 2024 a marzo 2025 è stato di 0,71 °C superiore alla media 1991-2020 e di 1,59 °C superiore al livello preindustriale.

    Secondo Samantha Burgess, Strategic Lead for Climate presso ECMWF, “Marzo 2025 è stato il marzo più caldo per l’Europa, evidenziando ancora una volta come le temperature continuino a battere i record. È stato anche un mese con estremi di precipitazioni contrastanti in tutta Europa, con molte aree che hanno vissuto il loro marzo più secco mai registrato e altre il loro marzo più umido mai registrato negli ultimi 47 anni”. LEGGI TUTTO

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    Karla, l’architetta che si è data alla moda sostenibile

    Nei fine settimana Avenida Italia si riempie di gente. Karla è a suo agio sotto il baldacchino blu che ricopre il suo stand nella fiera. Si rivolge con gentilezza ai clienti, prende appunti sulla sua agenda, mette in ordine i capi di abbigliamento sugli appendiabiti. In mezzo al trambusto della Avenida, nel pieno centro dell’Avana, punta tutto sul buon gusto e l’inclusione vendendo, a prezzi accessibili, vestiti bellissimi per tutte le taglie. Molti si avvicinano, curiosano, comprano e vanno via con un sorriso. Karla Maria Lemus Mesa, giovane donna cubana, è architetta e imprenditrice. Ha 28 anni. Spinta dalla curiosità e dalla voglia di crescere nel campo della moda, partecipa al Laboratorio di moda circolare – organizzato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS – Progetto Avenida Italia) – che ha l’obiettivo di creare sinergie tra le donne e incentivare reti di supporto e contatto affinché le partecipanti possano sostenersi e ispirarsi a vicenda. Prima di frequentare il corso, Karla aveva avviato, con alcune amiche, un’attività di vendita informale a Fontanar, il quartiere periferico dell’Avana dove vive. A poco a poco è riuscita a espandersi e si è avvicinata al centro della città e, grazie al progetto italiano di cooperazione, oggi ha uno spazio permanente nella fiera di Avenida Italia durante i fine settimana, vetrina che le permette di aumentare la visibilità e attrarre nuovi clienti nella sua bottega, Ákares Shoppitrapo.

    La sua è un’impresa ispirata ai principi della sostenibilità, che coniuga moda e architettura. Il negozio si trova al piano terra di un edificio che conserva le caratteristiche tradizionali delle costruzioni cubane degli anni Quaranta. Sugli scaffali, accanto ai vestiti, Karla dà spazio all’artigianato di altre donne imprenditrici. Propone soprattutto abiti che la gente non indossa più o vestiti di collezioni passate provenienti dai Paesi occidentali. Lei li ricicla, evita che diventino rifiuti: “Il modello è sostenibile perché si tratta di allungare la vita di indumenti che già esistono e stanno circolando – afferma – diminuendo l’acquisto compulsivo che inquina il Pianeta e allo stesso tempo aiutando varie famiglie cubane a ricevere piccoli introiti da questo sistema”. Infatti, a chi lascia in consegna i propri abiti in negozio, Karla riconosce una percentuale in base al prezzo di vendita. Non si tratta di una semplice bottega di abbigliamento usato: Karla interviene, insieme alla sua squadra di designer, stiliste e sarte, per ridare vita ai vestiti destinati alla vendita, rendendo più attrattivo il design di vecchi modelli, ricucendo parti deteriorate e a volte riesce anche a creare abiti unici a partire da più stoffe riciclate, come un mosaico fatto di tessuti. LEGGI TUTTO

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    La lotta alla crisi climatica ha bisogno dell’Unione europea

    Sono Jacopo, ho 35 anni, sono un ricercatore e ho l’onore di essere presidente di una rete di esperti e giovani esperti italiani sul clima, Italian Climate Network, attiva dal 2011. “Abbiamo a cuore il nostro Pianeta e vogliamo agire per il clima!”, è la frase che troverete sul nostro sito. Lavoriamo, disseminati tra l’Italia e l’Europa, affinché il tema dei cambiamenti climatici diventi prioritario nel dibattito pubblico e occupi un ruolo centrale nell’agenda politica nazionale. Lo facciamo lavorando nelle scuole, formando insegnanti e giornalisti, producendo reportistica dai negoziati ONU. Ci siamo chiesti, e ci hanno chiesto, “ma noi e il clima, con la Piazza per l’Europa, che c’entriamo?”. C’entriamo eccome, c’entra il clima, e c’entrano i valori alla base di questa nostra Unione Europea. Presente e prospettiva, due letture. Secondo Copernicus, cioè secondo i nostri satelliti europei sul clima, il 2024 è stato non solo l’anno più caldo di sempre nel mondo, ma anche il primo in cui abbiamo superato la soglia critica di 1,5 gradi di riscaldamento medio globale, avvicinandoci pericolosamente ai limiti entro i quali possiamo ancora stare negli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015 (sono già passati dieci anni, incredibile vero?).

    Poi, cito. “L’essere umano è un animale abitudinario e intellettualmente assai resiliente, e soprattutto restio ai cambiamenti di paradigma [..] è questa la ragione che spesso fa apparire l’ecologia come una posizione estrema e radicale e il percorso che ne sta alla base come utopico. [..] (Ma) non c’è niente di radicale nell’ecologia e niente di utopico nel difficile percorso [della transizione ecologica]”. Siamo un’associazione che basa il proprio lavoro su evidenze e dati scientifici come quelli di Copernicus, ma siamo anche consapevoli che per portare quei dati al pubblico serva qualcosa di più, serva una costruzione sociale e politica, serva una desiderabilità, diceva Alexander Langer. Le parole che ho citato poco fa sono invece di un filosofo, Andrea Porciello. Le cito spesso quando vado nelle scuole a incontrare gli studenti. Rispetto al disastro climatico dobbiamo portare qui una riflessione su cosa sia estremo, su cosa sia radicale, su cosa sia necessario, su cosa sia – pragmaticamente parlando – difficile. Non siamo ingenui. Né sul clima né sull’Europa. Torno sulla parola difficile. La decarbonizzazione su larga scala che ci chiede la scienza da almeno 40 anni è infatti difficile, sappiamo che significa cambiare il modo in cui viviamo, produciamo, commerciamo, servono impegno e risorse, tante. Ma sarebbe ancora più terribile non farlo e per fortuna i modi per agire e programmare ci sono.

    Difficile non equivale a impossibile, soprattutto quando quel difficile è necessario. Senza un’idea pratica e realizzata di Europa unita, pur con tutti i limiti del presente, forse non avremmo mai avuto a disposizione, come società, tutti gli strumenti tecnici, scientifici, culturali, politici per vedere quel lavoro difficile come necessario. Li abbiamo avuti grazie alla possibilità per milioni di noi di studiare e lavorare in altri Paesi. Li abbiamo avuti grazie alla libertà di movimento interna di idee, persone, emozioni e visioni di mondo tra popoli fino a pochi decenni fa divisi da odii, muri, visti, file ai consolati, filo spinato alle frontiere. Penso poi all’Europa dell’originaria ambizione del Green Deal, oggi sotto attacco, dei progetti LIFE e Horizon, della diplomazia del clima, delle borse di studio Marie Sklodowska-Curie per le materie scientifiche, penso all’Europa di Copernicus, appunto, che permette a ognuno e ognuna di noi oggi in piazza di accedere gratuitamente ai dati satellitari sul nostro clima. Proprio in queste settimane, dall’altra parte dell’oceano, strumenti simili vengono indeboliti o cancellati nel nome del risparmio di spesa, che non è altro che negazionismo fossile. Siamo consapevoli che dei nostri compagni di viaggio guardano questa piazza con diffidenza, viste le contingenze politiche. Noi siamo qui per un’idea di unione lunga e proiettata nella storia, basata su valori forti, che va oltre i singoli fatti dell’oggi e le attuali contraddizioni. Quella stessa idea lunga che muoveva chi, in un contesto storico terribilmente meno “comodo” del nostro, sognava e scriveva di un continente che rinunciava alle armi ed alla violenza per dedicarsi alla pace e all’unione dei popoli.

    Noi oggi siamo qui anche sulla base di un’evidenza semplice: dove c’è un conflitto armato non può esserci azione per il clima. Punto. Deve essere chiaro che ogni pezzo del nostro Pianeta dove si bombarda, si uccide, si distrugge, quelli sono ettari di terra sottratti al futuro del clima, oltre che dell’umanità. Ma torniamo al senso di questa piazza, oggi. Ho provato a immaginare il nostro lavoro, i nostri sogni (noi ma soprattutto i più giovani, ci riusciamo ancora?) le nostre prospettive, ecco, in un futuro in cui l’Europa non c’è. In cui smettiamo di collaborare, di parlarci, di lavorare assieme, in cui i programmi di ricerca non vengono finanziati, l’azione per il clima non viene sostenuta dalle istituzioni, la società civile non viene protetta, in cui un attivista può sentirsi sotto attacco molto più di un’azienda che ancora vende gas o petrolio. Purtroppo, stiamo già vivendo un po’ di questo non-futuro anche nel nostro continente, ma se siamo bravi dovremmo riconoscerlo e costruire una cosa diversa, no? Mi impegno a evitare espressioni che guardano al passato. Avanti. Ognuno di noi è chiamato a costruire. Per quel percorso lungo e difficile che porta all’uscita dalle fonti fossili, alla fine dei sussidi ambientalmente dannosi, a paesaggi di rinnovabili in un ambiente salubre e pulito, ecco per quel percorso noi crediamo che serva come cornice un’idea grande da inseguire e costruire senza dare niente per scontato, senza nuovi fili spinati e con le parole come strumento di dialogo, non le armi, le rinnovabili e non il gas e il petrolio, una visione che unisca tutti da Belfast a Belgrado – e cito volutamente ferite ancora aperte nella nostra storia. E allora l’Europa che vogliamo, verde, accogliente e pacifica passa anche da un impegno appunto estremo, radicale, in ultima analisi utopico, come altri descrivono la nostra lotta per il clima. 60 anni fa l’Europa unita, l’Erasmus e Copernicus non c’erano. Pensarci era abbastanza estremo se non ridicolo, era sicuramente radicale, era decisamente utopico. Eppure. Non guardiamo solo a cosa siamo oggi, in questo scuotersi del mondo. Per costruire serve coraggio e crediamo ci siano tutte le condizioni per farlo. E credo che queste lotte stiano, in ultima analisi, in una stessa unica prospettiva, contraria ad ogni negazionismo antistorico ed antiscientifico. Come dicevo in apertura, siamo qui perché abbiamo risposto a una chiamata su questa idea grande, su quei valori fondativi e.. rinnovabili, oggi sotto attacco anche dall’interno, e questo ci impone come società civile di rimanere vigili; abbiamo risposto a una chiamata dicevo, e non potevamo che rispondere affermativamente. Grazie.
    *(L’autore è presidente di Italian Climate Network) LEGGI TUTTO

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    Iperconnessi e sostenibili: giovani e baby boomers a confronto

    Iperconnessi e sostenibili. Quanto conta per gli italiani la tecnologia quando si tratta di dare alla propria vita una svolta sostenibile? Poco. Un italiano su 4 ritiene infatti che gli strumenti digitali non siano utili per diventare sostenibili, affrontare i cambiamenti climatici, tagliare gli sprechi. Addirittura, in alcuni casi gli appaiono uno l’opposto dell’altro. “In realtà le differenze ci sono e riguardano l’età. Perché quando si tratta di affrontare il tema della familiarità con la tecnologia, le competenze digitali non sono uguali tra generazioni. E questo vale anche quando si affrontano temi ambientali: la paura allontana le persone dalla tecnologia anche quando fa bene”, precisa subito Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale autore di una ricerca non a caso intitolata “Generazioni”. Condotta dall’Osservatorio per la Sostenibilità digitale e presentata alla Sapienza Università di Roma, punta proprio a capire la percezione di questi temi in base all’età. Per questo, i ricercatori hanno diviso il campione di cui si dovevano analizzare i comportamenti in Generazione Z (1997-2012); Millennials (1981-1996), Generazione X (1965-1980) e Baby boomers (1946-1964). Esistono perfino gli “insostenibili analogici”.

    “Le due parole chiave devono essere alleate”

    Su una cosa comunque non ci sono dubbi: sostenibilità e digitale per tutte le generazioni sono le parole chiave per affrontare le sfide sia del presente che del futuro. “Ma poi, basta parlare di quanto la tecnologia impatta sul pianeta e le cose cambiano: guardiamo solo ai dati che ci dicono che il 1,5% delle emissioni di anidride carbonica sono causate dal digitale – spiega Epifani, che invoca un cambio culturale – Invece, è proprio la tecnologia l’alleato essenziale per lo sviluppo sostenibile. Che non è solo una questione ambientale, ma anche sociale e economica. Non ha più senso domandarsi o raccontare quanto una tecnologia consuma o quanto sia l’impatto di una mail sul pianeta, ma chiedersi quanto quella stessa tecnologia, se ben utilizzata, ci consente di risparmiare sulle emissioni. Un altro esempio, il car- sharing, tutti concordi nel ritenere che sia fondamentale per la mobilità sostenibile, ma devo saper usare anche l’app, così per razionalizzare i consumi del riscaldamento a casa dal cellulare. Bisogna far capire che il digitale è un acceleratore di sostenibilità, non concorrenti. Prendiamo la salute e le sconfinate possibilità che arrivano dalla digitalizzazione: poter incontrare il proprio medico da remoto, la telediagnostica. I progressi tecnologici sono tanti, eppure le stesse persone che magari giù usano questi strumenti, su altri fronti si mostrano scettici”.

    Il premio

    GrapheneBreathe, la startup che cattura le emissioni degli allevamenti

    di Gabriella Rocco

    07 Dicembre 2024

    La ricerca
    Ma andiamo con ordine e vediamo i dati della ricerca. Innanzitutto, c’è una netta differenza tra le generazioni. I giovani, ovvero il 48% della Generazione Z e il 33% dei Millennials, usano molto il digitale e si impegnano attivamente per la sostenibilità. Al contrario, le generazioni più mature: il 32% della Generazione X e il 52% dei Baby Boomer, sono per lo più persone che usano poco le tecnologie digitali e non danno molta importanza alla sostenibilità.

    Le differenze si accentuano quando viene chiesto agli italiani di esprimersi non solo sull’ambiente in generale, ma sul tema del cambiamento climatico. Circa il 27% pensa che, pur essendo un problema serio, la crisi climatica non richieda un intervento immediato. Nonostante ci si aspetti una maggiore consapevolezza tra i giovani, il 31% dei Millennials e il 27% della Generazione Z credono che ci sia ancora tempo per agire, mentre tra gli over 60 la situazione è diversa: il 67% di questi ritiene infatti il cambiamento climatico una priorità assoluta, mentre il 66% dei Baby Boomer considera urgente non solo il clima, ma, ad esempio, anche il problema dell’inquinamento. Dato questo, che rompe il luogo comune che ad essere più sensibili al tema dell’ambiente siano i giovani e non le generazioni più “anziane”.

    Smart South: modelli di innovazione urbana per cambiare il Mezzogiorno

    30 Marzo 2025

    Più in generale, indagando il livello di conoscenza dei temi della sostenibilità nei suoi tre aspetti (ambientale, economico e sociale) e messa questa in relazione con la capacità di tradurre questa consapevolezza in azioni concrete, la ricerca mette in evidenza un importante divario tra giovani e persone più “mature”. Il 22% dei più giovani (1 su 5), afferma di conoscere molto bene il concetto di sostenibilità, contro solo l’8% dei più “maturi”.

    Inoltre, il 34%, solo 1 su 3 degli appartenenti alla Generazione Z dichiara di non conoscere affatto questo tema, rispetto al 54% dei Baby Boomers. Tuttavia, indipendentemente dall’età, meno di un italiano su tre è in grado di correlare le proprie convinzioni alle conseguenze che da essa derivano.

    L’iniziativa

    Clima, voce alle nuove generazioni: un progetto per costruire il futuro insieme

    03 Aprile 2025

    Gli irriducibili
    C’è poi un dato interessante. Chi ha le visioni ambientaliste più radicate tende ad essere più diffidente e spaventato nei confronti della tecnologia e questo, anche quando si considerano i temi specifici come il cambiamento climatico e l’inquinamento. Nelle Generazione X e Baby Boomer l’ambientalismo si accompagna spesso ad un atteggiamento di forte diffidenza verso il mondo digitale. Il 94% dei cittadini tra i 18 e i 60 anni e l’87% degli over 60, sono abbastanza convinti che dal digitale derivino perdite di posti di lavoro, ingiustizia sociale, diseguaglianze sociali, con un italiano su 8 che ne è molto convinto. “Così i sostenitori del biologico in agricoltura, sono i più acerrimi avversari della tecnologia, senza capire che più ricerca e innovazioni utilizzi, più chimica puoi togliere. Se io controllo il consumo digitale dell’acqua, monitoro le perdite”.

    Tecnologia

    Lavori green, a caccia delle tecnologie per controllare alberi e piante

    di Luca Fraioli

    12 Marzo 2025

    Allora cosa dovremmo fare?
    “La vera rivoluzione è coniugare il digitale con la sostenibilità economica e sociale – dice ancora Epifani – creare green job, formazione, sviluppare l’economia circolare e l’energia rinnovabile. Se dovessimo agire solo nella base della dimensione ambientale forse si parlerebbe solo di decrescita felice, invece bisogna spiegare con tutti i mezzi possibili quanto sia vantaggioso da ogni punto di vista essere sostenibili. Garantire lo sviluppo economico rispettando l’ambiente, le condizioni di vita delle persone”.

    Secondo il presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale: “Bisogna ripensare l’Agenda 2030 con un programma nuovo, ma gli obiettivi devono restare. Ne va della nostra sopravvivenza. Diciassette obiettivi da raggiungere, il cui ordine non è casuale: il primo è propedeutico al secondo, il secondo al terzo e così via. Se non si vince la povertà, non si può combattere la fame; se non si supera la fame, non si riescono a migliorare le condizioni di salute; se non si lavora sulle condizioni di salute, non si passa all’istruzione; se non si raggiunge un certo grado d’istruzione, la parità di genere resta una chimera”.

    Tecnologia

    Lavori green, l’energy manager fa risparmiare le aziende sulla bolletta

    di Dario D’Elia

    01 Aprile 2025

    “Lasciarsi alle spalle i comportamenti conservativi”
    “Da quando è nata la Fondazione cerchiamo di leggere i comportamenti e la consapevolezza delle persone. Perché, se non capisco come percepiscono la tecnologia, come facciamo a comunicare quanto sia importante per la sostenibilità?- sottolinea ancora Stefano Epifani – La mia opinione è che dobbiamo tutti lasciarci alle spalle i comportamenti conservativi e incidere sulle professioni che coniugano digitale con la sostenibilità ambientale. Una fetta importante di quei green jobs nell’agricoltura, nell’industria manifatturiera, i sustainability manager, gli esperti che trovano punti di contatto tra modelli di business e la sostenibilità, i circular designer, ruolo chiave per il riuso dei materiali, la ricerca e sviluppo nei servizi per tutelare la qualità dell’ambiente. Altrimenti tra qualche anno saremo ancora ad arrovellarci su quanto impattano le mail che mandiamo in ufficio, senza chiederci quanto quella mail fa risparmiare. Oppure possiamo stamparla, prendere lo scooter e consegnarla a tutti in ufficio”. LEGGI TUTTO

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    I Fridays for Future tornano in piazza l’11 aprile: lo sciopero globale per il clima

    Fridays for Future torna in piazza in tutta Italia l’11 aprile per la Giornata mondiale di sciopero per il clima. “La cornice generale presente è l’instaurazione di una economia di guerra nella quale parte delle industrie dannose si convertono in industria bellica, spostando le risorse economiche dalla riconversione ecologica e aumentando non solo gli impatti […] LEGGI TUTTO

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    Come costruire un orto verticale in casa

    L’orto verticale è una soluzione innovativa grazie alla quale dare via libera al nostro pollice verde anche in assenza di grandi spazi in casa. Realizzare un’oasi di natura nella propria abitazione significa non solo avere sempre a portata di mano ortaggi freschi, ma anche arricchire gli spazi con un elemento d’arredo speciale e ritagliarsi un luogo dove ritrovare il contatto con la natura. Con pochi passaggi e semplici accorgimenti è possibile creare un orto verticale, avvolgendo così la propria casa nel verde.
    Orto verticale: che cos’è e i suoi vantaggi
    Se si è appassionati di giardinaggio, ma si vive in città e non si possiede un terreno, l’orto verticale rappresenta un’opzione perfetta, affermatasi tra le tendenze degli ultimi anni. Alternativa innovativa al tradizionale orto orizzontale, è sostenuta da strutture verticali che si sviluppano su diversi livelli, rimediando all’assenza di spazio, portando a risultati soddisfacenti.

    Questa nuova frontiera del green nelle aree urbane consente di ottimizzare gli spazi domestici, come balconi, terrazzi, tetti, cortili, cancelli e perfino ambienti interni, destinandoli alla coltivazione di piante e ortaggi, portando così in tavola frutta e verdura a km zero. Questo ci permette di attuare un approccio sostenibile, con cui contenere l’uso di terra e acqua e ridurre la filiera alimentare e le emissioni generate, autoproducendo il cibo localmente.

    Tra i vantaggi dell’orto verticale rientrano anche le sue capacità di garantire isolamento a livello acustico e termico all’abitazione, riducendo di conseguenza i consumi. Inoltre, questa soluzione funge da repellente contro gli insetti, purifica l’aria, contiene il tasso di umidità in casa e arreda gli ambienti, rappresentando un elemento d’impatto che può essere arricchito con fioriere, vasi, contenitori e composizioni decorative.

    Come realizzare un orto verticale
    Creare un eden domestico all’interno di spazi contenuti è semplice affidandosi all’orto verticale. Questa soluzione può essere ospitata anche in ambienti angusti, come un piccolo balcone oppure una parete ristretta: basta posizionare i vasi in verticale su diversi piani, potendo così racchiudere nel nostro orto diverse coltivazioni, più di quante ne potremmo collocare se fossero sistemate per terra.

    La realizzazione dell’orto verticale richiede una serie di step specifici: in primis è necessario stabilire dove ricavare questo angolo verde, optando per esempio per una parete del balcone o del terrazzo e perfino della cucina, assicurandosi che sia presente una buona illuminazione. Nel caso così non fosse, per far crescere le piante in modo ottimale, si può valutare di ricorrere a delle luci LED.

    Una volta individuato il luogo che ospiterà l’orto verticale è necessario prendere le misure dello spazio scelto e individuare la struttura più adatta per l’area, accertandosi che non sussistano rischi di caduta. Nel caso si collochi l’orto verticale sul balcone, questo deve essere fissato al muro per assicurare la sua massima stabilità.

    Guardando alle strutture da usare per creare l’orto verticale, tra la rosa delle possibilità rientrano per esempio i bancali, che possono fungere da vasi, collocando direttamente tra le loro incanalature la terra dove seminare le coltivazioni. Una valida alternativa sono le bottiglie di plastica usate da trasformare in vasi da appendere in file verticali alla parete scelta. Creando dei fori sulle bottiglie è possibile far scorrere nei livelli inferiori l’acqua che bagna le piante poste più in alto.

    Altre possibilità per creare l’orto verticale sono le mensole e gli scaffali in plastica, ferro o legno, potendo impiegarne di vecchi oppure di nuovi, prediligendo modelli con ripiani traforati, che permettano all’acqua di scorrere verso il basso. Al loro interno si collocano i vasi con gli ortaggi, sistemati in modo che abbiano una buona esposizione solare, munendosi di sottovasi e un telo di plastica trasparente per proteggere le coltivazioni da pioggia e vento.

    Per dare vita a un orto verticale si possono anche usare delle vecchie grondaie, da attaccare al muro, o dei tubi di plastica tagliati in cui inserire il terriccio e coltivare le piante. Anche materiali casalinghi, come barattoli, pentole, tazze e teiere, possono accogliere le colture, posizionadoli su ripiani oppure mensole poste in verticale, creando così il proprio angolo di natura. Inoltre, per realizzare l’orto verticale si può ricorrere a strutture ad hoc già predisposte acquistabili in negozi specializzati.

    Predisporre un orto verticale: consigli utili
    A prescindere dalla soluzione scelta, è consigliato rivestirla sempre con dei teli di polietilene, allo scopo di proteggere i muri da acqua e umidità eccessive, scongiurando l’insorgere di eventuali danni. La realizzazione di un orto verticale richiede l’uso di una serie di attrezzi da giardinaggio come ad esempio annaffiatoio oppure irroratore manuale, rastrello e paletta in ferro, forbici ed estirpatore. Inoltre, sono necessari vasi di varie dimensioni, da scegliere in base al tipo di coltura che si seminerà al loro interno, tenendo conto di quanto spazio richiedono le radici per crescere in modo rigoglioso: i contenitori devono essere sempre forati per evitare i ristagni d’acqua.

    Una volta preparato l’orto si posizionano al suo interno le piante, sistemando le più grandi in basso e le più leggere in alto, per non sovraccaricare troppo la struttura e non renderla instabile.

    Cosa piantare nell’orto verticale
    Esempio virtuoso di agricoltura biologica domestica, l’orto verticale può ospitare innumerevoli colture, in particolare quelle rampicanti che per la loro natura si sviluppano facilmente in altezza. In generale, nelle parti più basse dell’orto andrebbero sistemati ortaggi che necessitano di più spazio, come ad esempio pomodori, zucche, zucchine, cetrioli, fagiolini e meloni. Nei moduli a metà altezza si possono posizionare quelle coltivazioni a cui basta la mezz’ombra, tra cui spinaci e bieta, mentre nei vasi in alto gli ortaggi a bulbo, che hanno bisogno di un maggior quantitativo di luce. Se nell’orto verticale si possono coltivare diverse varietà di insalate e piante aromatiche, si adattano invece meno gli ortaggi perenni, tenendo conto che richiedono una manutenzione maggiore. LEGGI TUTTO

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    L’assottigliamento della calotta artica mette a rischio il sistema climatico del Pianeta

    La possibilità che la Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC) subisca drastici cambiamenti nel prossimo futuro è un argomento caldo fra gli scienziati che si occupano di studiare il clima. La AMOC è il principale sistema di correnti dell’Oceano Atlantico ed è anche un importante componente del sistema climatico terrestre, dato che contribuisce a distribuire il […] LEGGI TUTTO

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    Cercasi eco-keeper, il mestiere che potrebbe davvero cambiare il mondo in meglio

    Immaginate una città dove ogni cittadino diventa consapevole del proprio impatto sull’ambiente e si impegna attivamente per il benessere collettivo: lo racconta Silvia Amadio, 64 anni, nel suo libro Eco-keeper. Una nuova figura professionale nell’ambito dell’etica ecologica” (Edizioni Efesto). Ma attenzione, perché – come spiega l’autrice – la “città ideale” non è un’utopia e la figura professionale dell’eco-keeper è importante per affrontare la crisi climatica e introdurre nelle nostre vite il paradigma dell’ecologia integrale.

    “Questo mio studio – spiega Amadio – è nato nel 2016, dopo l’uscita dell’Enciclica di Papa Francesco Laudato si’ che affronta il complesso prisma che è la nostra vita: ogni faccia ha la sua importanza, nessuna esclusa. L’integralità necessaria è quella che contempla, che rispetta, che considera e che valuta allo stesso modo ogni creatura del creato. Purtroppo, la classica visione dell’essere umano ‘dominatore della terra’ ha alterato la reale comprensione della realtà ma, ad oggi, abbiamo dimostrazione che molti paesi stanno attuando politiche urbane tese alla realizzazione di città ideali. Nel libro faccio, infatti, un piccolo elenco di città virtuose che stanno rispondendo alla sfida del Future Fit, chiaramente le iniziative sono molteplici ed ogni città tenta di mettere in pratica quei concetti una volta considerati utopie, ma che oggi fanno parte dei diversi programmi mondiali legati all’ecosostenibilità. Il dato sconfortante è che queste città sono ancora troppo poche rispetto all’urgenza di cambiamento e di transizione richiesta a livello globale. L’ecologia integrale è sinonimo di cooperazione, di coinvolgimento totale, di responsabilità diffusa. Chiaramente bisognerà riordinare l’importanza dei principi sociali, solo in ultimo penserei alla dimensione economica, mettendo invece al primo posto la dimensione dei valori della sostenibilità a tutto tondo, iniziando dal rispetto delle persone (fragili, anziani, relazioni interculturali, immigrazione, accoglienza), per passare al rispetto della natura in generale (inquinamento aria, mari, acqua, produzione dei rifiuti) arrivando al rispetto del territorio (la città in cui viviamo, rispetto dei luoghi pubblici, del verde, della gestione dei consumi, dei rifiuti)”. LEGGI TUTTO