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    Bonus caldaia 2025, possibile anche senza sostituire l’impianto

    Ripensare ad una casa più calda riducendo il gas e scaldandosi con la legna. Una prospettiva non impossibile e che non comporta una riduzione, ma anzi un aumento del confort. E per chi decide di fare questa scelta c’è la possibilità di utilizzare il bonus del 50% per risparmio energetico, senza dover sostituire la caldaia, a patto che l’impianto scelto, stufa termo camino o caminetto che sia, abbia un alto rendimento e a basse emissioni di fumi. Lo stesso per chi sceglie una caldaia a pellet. Dal prossimo anno, però, l’agevolazione con l’aliquota più elevata spetterà solo per la prima casa.

    Fisco Verde

    Risparmio energetico e smart home: ancora pochi giorni per l’ecobonus al 65%

    di  Antonella Donati

    03 Dicembre 2024

    Legna e pellet tra le fonti di energia rinnovabile
    Le biomasse, comprese quelle di origine vegetale, rientrano a tutti gli effetti tra le fonti di energia rinnovabile in quanto consentono di riutilizzare prodotti organici di scarto. Per questo motivo anche lega e pellet godono degli incentivi per risparmio energetico, un’agevolazione che spetta non solo se si sostituisce una caldaia a gas con una a pellett, ma anche se si intende acquistare una stufa a legna o un caminetto per migliorare il confort domestico. Si tratta infatti, anche in questo caso, di un tipo di impianto che consente di limitare l’uso del gas ritardando l’accensione della caldaia o limitando le ore di utilizzo, e per questo gode della detrazione del 50%. Dal prossimo anno, però, questa percentuale sarà riservata solo all’abitazione principale, mentre per le seconde case, se non saranno novità nella manovra, la percentuale scenderà al 36%.

    Fisco Verde

    Bonus verde 2024 per terrazze e giardini: i tempi stringono

    di  Antonella Donati

    06 Novembre 2024

    Pagamenti tracciabili e asseverazione
    La detrazione spetta non solo per l’acquisto di stufa, ma anche per la realizzazione di un caminetto e per tutte le opere correlate, a partire dall’installazione della canna fumaria. L’installazione della stufa, della caldaia o del caminetto deve essere effettuata da un tecnico qualificato, tenuto per legge a emettere regolare certificato di conformità (Dm 37/2008). È inoltre necessario farsi rilasciare la certificazione tecnica del produttore della stufa che ne indichi le capacità termiche, in quanto è richiesto un rendimento del bruciatore di almeno l’85% e la limitazione dei fumi di emissione. Il pagamento deve essere effettuato con il bonifico dedicato ai bonus casa.

    Fisco verde

    Ecobonus, dalla riqualificazione alla caldaia nuova: come cambiano le detrazioni fiscali

    di  Antonella Donati

    30 Ottobre 2024

    Rimborso sprint con il Conto termico
    Per chi invece deve sostituire un vecchio impianto a biomasse più inquinante, quindi con meno di quattro stelle, oppure uno olio combustibile o a gasolio c’è invece la possibilità di usufruire del Conto termico del Gse, che consente di ottenere un rimborso fino al 65% della spesa. Per il Conto termico al momento non è prevista una scadenza per la presentazione delle domande per cui sarà possibile ottenere l’incentivo con l’aliquota del 65% anche nel 2025, ma sempre, come detto, esclusivamente per la sostituzione di vecchi impianti esclusi quelli a gas. La richiesta di incentivo va presentata direttamente sul sito del Gse una volta installata la stufa o la caldaia. Prevista una procedura semplificata per chi sceglie uno dei generatori a biomassa inclusi nel Catalogo degli apparecchi domestici presente sulle stesse pagine del Gse.er poter ottenere l’incentivo occorre la fattura e il pagamento deve avvenire in modo tracciabile. Il contributo è erogato entro due mesi in un’unica soluzione quando l’importo è inferiore ai 5.000 euro. Per chi usufruisce del Conto termico c’è anche la possibilità di ottenere, in aggiunta a questo, il contributo regionale o comunale per la rottamazione dei vecchi impianti nell’ottica della riduzione dei fumi. Con le somme erogate a livello locale è possibile ottenere il rimborso del 100% della spesa sostenuta. LEGGI TUTTO

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    Migliora la “salute” del buco nell’ozono

    Negli ultimi quattro anni, il buco annuale dell’ozono antartico si è protratto più a lungo del solito, chiudendosi nella seconda metà di dicembre, quest’anno, invece, come mostra il monitoraggio in tempo quasi reale del Servizio di monitoraggio dell’Atmosfera di Copernicus (Copernicus Atmosphere Monitoring Service – Cams) il buco dell’ozono antartico ha interrotto la striscia seguendo […] LEGGI TUTTO

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    Destinazione Sardegna, per una vacanza outdoor 12 mesi all’anno

    Posata la bicicletta, tolte le scarpe da trekking o l’imbragatura da arrampicata inizia la seconda parte della vacanza in Sardegna, quella dedicata al relax, alle visite culturali e, ovviamente, alla scoperta delle prelibatezze della cucina. Caratterizzata da sapori decisi e genuini, la gastronomia sarda oscilla tra terra e mare, abbracciando sia la ricchezza della sua tradizione pastorale che l’abbondanza delle coste. Nell’entroterra dominano i piatti a base di carne, simbolo di una cultura fondata sull’allevamento, come dimostra l’attenzione nella lavorazione del maialino da latte e dell’agnello. Lungo le coste, invece, il mare diventa protagonista, regalando una straordinaria varietà di pesci, crostacei e molluschi. Le ricette che ne derivano sono spesso semplici, concepite per esaltare la freschezza del prodotto. Prima di sedersi a tavola è però d’obbligo una visita ai siti culturali – la Sardegna è stata nei millenni uno dei più importanti crocevia del Mediterraneo – e ai vivaci centri cittadini, dove negozi “alla moda” convivono vicino a botteghe tradizionali, che mantengono viva la ricca tradizione artigianale dell’isola. LEGGI TUTTO

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    Crisi climatica, perché abbiamo bisogno di azioni urgenti per la montagna

    In montagna il cambiamento climatico produce effetti sempre più gravi. Lo scioglimento dei ghiacciai, alterando la disponibilità idrica e intensificando fenomeni estremi quali alluvioni e frane, ha effetti devastanti non solo sulle comunità che abitano le terre alte ma anche su quelle che vivono a valle. Proteggere le montagne non è quindi solo una questione ambientale, ma una questione di sopravvivenza per miliardi di persone.

    Le montagne infatti forniscono acqua ed energia, proteggono la biodiversità che ci nutre, e assorbono anidride carbonica dall’atmosfera a beneficio di miliardi di persone. È scientificamente accertato che l’aumento delle temperature globali di 1,5 °C al di sopra dei livelli preindustriali sarà comunque troppo elevato per gli ecosistemi montani, che subiranno cambiamenti profondi.

    Se da un lato i governi devono impegnarsi a ridurre le emissioni – unica misura efficace per limitare le alterazioni negli ecosistemi montani – dall’altro è urgente che le comunità montane possano beneficiare di politiche e investimenti che favoriscano l’adattamento ai cambiamenti in corso e futuri, nell’ottica di raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile come l’SDG 1 (No alla Povertà), l’SDG 2 (Fame Zero), e l’SDG 15 (Vita sulla Terra).

    Oggi celebriamo Giornata Internazionale della Montagna, dedicata quest’anno al tema “Soluzioni per un futuro sostenibile della montagna – innovazione, adattamento e giovani”. In questa occasione, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e la Mountain Partnership hanno pubblicato un importante documento {link https://doi.org/10.4060/cd3668en publicato mercoledì 11 Dicembre] che sottolinea la necessità di coniugare innovazione e tradizione nelle strategie di adattamento per le regioni montane, riconoscendo anche il ruolo chiave delle comunità montane nell’affrontare la crisi climatica.

    Come punto di partenza, spiega il rapporto FAO, dobbiamo assicurarci di sapere cosa sta accadendo nelle nostre montagne, il che include l’adozione di metodi innovativi per monitorare lo scioglimento dei ghiacciai.

    Nelle Ande, ad esempio, un recente progetto ha riunito dieci istituti di ricerca al fine di armonizzare i dati sull’equilibrio della massa glaciale di dieci ghiacciai andini. Questi dati forniranno informazioni cruciali per una gestione più sostenibile delle risorse idriche e per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Allo stesso tempo, anche le conoscenze tradizionali delle comunità locali possono fornire importanti spunti per identificare soluzioni efficaci.

    Nell’Himalaya, ad esempio, le comunità del freddo deserto del Ladakh tramandano da generazioni la pratica di scavare dei piccoli stagni, chiamati “zing”, in prossimità dei villaggi per raccogliere l’acqua proveniente dalla neve sciolta e dai torrenti glaciali, essenziale per l’irrigazione delle coltivazioni durante la breve stagione agricola.
    L’adozione di questo metodo, semplice ma efficace, ha contribuito ad incrementare i raccolti del 30-40% e a ridurre la vulnerabilità degli agricoltori del Ladakh di fronte alla scarsità d’acqua causata dai cambiamenti climatici.

    Le comunità montane hanno anche un’altra risorsa di grande valore: l’energia, la passione e la creatività dei loro giovani. Con 1,8 miliardi di giovani nel mondo che rappresentano la forza trainante dell’azione climatica, anche le montagne possono beneficiare di questo potenziale.

    In Kenya, giovani studenti e studentesse hanno dato vita a un progetto di gestione del territorio che li ha visti costruire gabbioni e solide barriere di reti metalliche riempite di rocce per proteggere le loro terre dall’erosione. In Perù, attraverso workshop incentrati sulla preservazione, i giovani stanno imparando a proteggere una specie locale di api senza pungiglione, impollinatori essenziali per l’agricoltura nella loro regione.

    A livello globale, la Mountain Partnership, alleanza delle Nazioni Unite che lavora per preservare le montagne e sostenere le comunità montane, sta attivamente sostenendo il Mountain Youth Hub. Questo collettivo di giovani professionisti, profondamente radicati nelle realtà montane di tutto il mondo, è impegnato in prima linea nel promuovere iniziative innovative che favoriscano l’adattamento ai cambiamenti climatici. La Mountain Partnership sostiene anche le comunità montane nello sviluppo di imprenditorialità sociale, grazie al suo programma di incubazione e accelerazione per le imprese.

    In Mongolia lavora con la Mongolian Wool and Cashmere Association per promuovere la produzione ecologica di cashmere, garantendo prezzi equi per i pastori attraverso pratiche di produzione e lavorazione sostenibili.
    Questi esempi dimostrano che con adeguati investimenti, assistenza tecnica e politiche mirate al sostegno dei più vulnerabili, le comunità montane siano in grado di attuare le trasformazioni necessarie per affrontare le sfide ambientali, migliorando al contempo le condizioni economiche di queste aree.
    Zhimin Wu, Direttore della Divisione delle Foreste, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, FAO LEGGI TUTTO

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    Camelia sasanqua, fiori d’inverno: la guida

    La camelia sasanqua è una specie appartenente al genere camellia, facente parte a sua volta della famiglia delle teacee. Si tratta di una pianta acidofila che è originaria dell’Asia e, in particolare, di alcune aree meridionali del Giappone e della Cina. La camelia sasanqua è caratterizzata dalle foglie ellittiche sempreverdi di una bella tonalità verde scura, sul lato superiore, e un po’ più chiara su quello inferiore. La pianta può raggiungere circa 5 metri di altezza, con un ritmo di crescita che non è molto veloce.

    L’esposizione ideale per questa pianta
    La camelia sasanqua è una pianta rustica, che può essere messa a dimora in penombra o, addirittura, in zone in piena ombra. Ricordiamoci però di mantenerla al riparo dalle correnti d’aria. La pianta non ama in particolare i luoghi caratterizzati da un clima eccessivamente caldo e secco, oppure, dove la siccità è accompagnata da frequenti venti caldi. Nelle aree più miti del nostro paese, può accadere che anche una ridotta esposizione ai raggi solari causi delle bruciature alle foglie. Ricordiamoci infine che la camelia sasanqua può sopportare temperature minime che oscillano attorno ai -10 gradi.

    Il terreno consigliato per la sua coltivazione
    La camelia sasanqua è una pianta acidofila: per la sua coltivazione dobbiamo preferire quindi una miscela di terriccio acido o subacido, che dobbiamo però rendere più drenante grazie all’aggiunta, in parti uguali, di torba e sabbia grossolana. Se decidiamo di tenere la camelia sasanqua in vaso, ricordiamoci che il rinvaso va effettuato appena conclusa la fioritura, cioè in piena primavera. Scegliamo sempre un contenitore che abbia un diametro poco più grande, circa un paio di centimetri, di quello che andiamo a sostituire. In questo modo, creeremo un compromesso ideale per favorire lo sviluppo delle radici e, allo stesso tempo, per evitare che si creino le condizioni ideali per il ristagno idrico a causa dell’eccessiva quantità di nuova terra. Per una coltivazione ideale, il vaso dovrebbe essere tra i 40-50 centimetri di altezza e larghezza.

    La cura: innaffiatura, concimazione e potatura
    La camelia sasanqua necessita di un buon livello di umidità ambientale e di un terreno che non sia mai arido. Dobbiamo però evitare che a causa degli eccessi di irrigazione e della scarsa capacità di drenaggio si verifichino dei ristagni di acqua a livello radicale, perché la pianta va in sofferenza. Tra la primavera e l’estate, l’innaffiatura dev’essere abbondante. Nel corso dei mesi del periodo compreso tra l’autunno e l’inverno possiamo invece ridurre la quantità di acqua. In ogni caso, teniamo sempre conto della frequenza delle piogge per evitare di eccedere con l’acqua. Durante i periodi più asciutti e caldi, possiamo nebulizzare le foglie della pianta con dell’acqua. Per la concimazione della camelia sasanqua possiamo fare ricorso al concime granulare per piante acidofile a rilascio lento, ricordandoci di somministrarlo alla pianta solo tra l’inizio della primavera e la fine dell’estate. Anche a causa del suo ritmo di crescita, la camelia sasanqua non ha particolari esigenze di potatura. Preoccupiamoci però di eliminare le parti danneggiate della pianta per evitare che si trasformino in un veicolo di attacco parassitario. Anche al termine del periodo di fioritura, possiamo potare parzialmente la camelia sasanqua per ridarle una silhouette armoniosa.

    La camelia sasanqua e la particolarità della fioritura invernale
    Se tante altre specie del genere camellia sono solite preannunciare l’arrivo della primavera con i loro delicati fiori, nel caso della camelia sasanqua la fioritura è invernale. Per la precisione, la pianta comincia a fiorire durante l’autunno e la sua fioritura prosegue fino alla conclusione dell’inverno. La pianta si ricopre letteralmente di tanti piccoli fiori, che possono essere semplici o doppi, con colori che spaziano dal bianco al rosa, passando per il rosso e il fucsia della splendida camelia sasanqua kanjiro.

    I parassiti che minacciano comunemente la pianta
    La camelia sasanqua può essere attaccata in modo particolare dalla cocciniglia e dagli afidi. Nel primo caso, sulle foglie della pianta si manifestano delle macchie di colore marrone (cocciniglia bruna) o biancastro (cotonosa). Possiamo eliminare questa avversità utilizzando un batuffolo di ovatta con l’alcool. Nel caso degli afidi, invece, il rimedio più appropriato è l’uso di un prodotto specifico per questi insetti. LEGGI TUTTO

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    Michele Sasso e la montagna. “C’è chi la vorrebbe come un parco giochi senza regole”

    Michele Sasso, giornalista e scrittore, classe 1976, nel suo ultimo libro Montagne Immaginarie (Edizioni Ambiente, 2024) racconta le alture in tutte le sue sfaccettature, positive e negative: dalle Olimpiadi di Milano Cortina 2026 alla crisi della “snow economy” fino allo sfruttamento delle risorse, l’autore mostra le criticità e gli esempi virtuosi di sviluppo sostenibile.

    “In montagna – spiega Sasso – andavo con mio padre, dai miei quattro anni in poi. È stata la mia fortuna. Se vai in montagna da bambino, in genere, ci vai anche da adulto per cercare un respiro più grande. Sono cresciuto a Varese e vivo a Milano. In estate andavamo in vacanza tra gli appennini lucani. Erano gli anni Ottanta, un periodo in cui andare in montagna non era così di moda come oggi. Ho scelto di scrivere questo libro perché continuando a frequentarla non mi tornavano più tanti aspetti della montagna e il suo sfruttamento da parte di noi cittadini. Frequentandola mi sono accorto che c’erano delle storture. Purtroppo tanta tipicità è stata distrutta, posti bellissimi si alternano con costruzioni abbandonate e vallate tristi”.
    Michele Sasso insegna comunicazione giornalistica e storytelling alla scuola Mohole di Milano e attualmente lavora per La Stampa.

    La montagna è sospesa tra l’oggi e il domani, tra chi l’ha idealizzata e usata e chi invece crede nel suo sviluppo sostenibile e armonico di fronte, soprattutto, alle sfide ineluttabili dei cambiamenti climatici. La montagna è sospesa tra visioni distorte di un futuro che la vorrebbe come un parco giochi senza regole, da sfruttare per costruire comprensori e impianti sciistici fuori tempo massimo e il presente fatto di narrazioni e migrazioni per cercare nuove forme per riabitare questi luoghi.

    “Montagne Immaginarie” mette in evidenza le contraddizioni di una snow economy insostenibile, alimentata da una visione che persiste nel rendere artificiali i comprensori sciistici a dispetto delle sfide ambientali. L’autore analizza infatti l’impatto dei grandi eventi, sottolineando i costi ambientali di infrastrutture massicce e superflue, come per esempio la controversa pista da bob di Cortina. “Sono stato di recente – racconta Sasso – a Cortina, località sciistica che nel 2026 ospiterà le Olimpiadi. È un posto bellissimo ma ha un tessuto fragile. Vi abitano 5500 persone e i prezzi delle case sono simili a quelli di Milano. La cementificazione sale anche verso l’alta quota. Sono le stesse dinamiche che vediamo nelle grandi città. Continuano a ballare sul ponte del Titanic: il 90% delle piste da sci sulle montagne italiane sono innevate artificialmente, con costi altissimi. Porteranno i turisti in elicottero e la strada che porta alla località sciistica è intasatissima. Centinaia di camion attraversano il territorio, la popolazione si lamenta, è altamente impattante dal punto di vista ambientale”.

    Michele Sasso  LEGGI TUTTO

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    Perché l’overtourism sta diventando un problema: crescono le emissioni globali

    Il turismo è il settore industriale in maggiore espansione e, leggendo i dati appena presentati in uno studio pubblicato su Nature si sarebbe tentati di chiudere ogni altro settore produttivo e puntare tutto su questo giro di affari. Nel 2023 ha prodotto un giro per 9.000 miliardi di dollari (quasi il 10% del GDP globale) ed è stato uno dei settori in più rapida crescita al mondo per dieci anni consecutivi. La sua crescita inarrestabile ha però un costo ambientale. Nel rapporto si legge che tra il 2009 e il 2019 le emissioni di gas serra per questo settore sono cresciute a un tasso annuo del 3,5%. E oggi al turismo si devono almeno l’8% delle emissioni globali.

    Spiega Ya-Yen Sun, della Università del Queensland (Australia), tra gli autori dello studio: “Dal 2009 al 2019 le emissioni globali sono cresciute ad un tasso dell’1,5% all’anno. Anche le emissioni dovute al turismo sono aumentate, ma il loro tasso di crescita è stato del 3,5% all’anno. In altre parole le emissioni di questa industria sono aumentate a un ritmo doppio rispetto al resto dell’economia mondiale”. LEGGI TUTTO

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    Nuovi scarichi nell’area protetta di Gaiola: la protesta contro l’inquinamento di Bagnoli

    Cronaca di un disastro annunciato per il mare di Napoli. Ogni volta che piove forte, quando arrivano grandi alluvioni che con la crisi del clima sono sempre più intense, a Napoli scatta il sistema del “troppo pieno”: le fogne napoletane non presentano divisione tra acque nere ed acque bianche e quando per la pioggia l’acqua nelle condotte va oltre un livello di guardia, per evitare che le strade si allaghino, gli scarichi del sistema fognario finiscono direttamente in mare senza passare dal depuratore di Cuma. Il risultato – e basta osservare le immagini diffuse in rete sia nel 2022 sia nel 2023 dai cittadini – è eloquente: oltre alle acque nere, rifiuti di ogni tipo galleggiano nel tratto di costa che è considerato il più prezioso dal punto di vista ambientale e storico, ovvero tra Nisida e l’Area marina protetta di Gaiola, quella che ospita uno dei parchi sommersi archeologici più importanti di Italia. Per questo, da anni, a Gaiola i responsabili della Amp e delle associazioni ambientaliste chiedono di porre fine allo scempio, di trovare un altro sistema per evitare quegli scarichi che fuoriescono dal collettore di Cala Badessa e, dalla spiaggia di Coroglio, arrivano poi grazie alle correnti fino a tutta l’Area marina protetta, ricca di posidonia e coralligeno, impattando sull’intera area della Zona speciale di conservazione (Zsc).

    Per tutta risposta, il governo e la Commissione Pniec del Ministero dell’Ambiente, anziché decidere di intervenire su questo tipo di situazione, hanno scelto di raddoppiare lo scarico fognario a mare per permettere la riqualificazione in programma dell’area di Bagnoli. Il piano è avallato sia dal Comune di Napoli che dal governo nazionale e, dovendo correre con i tempi per garantirsi i fondi Pnrr, il doppio scarico è stato ufficialmente approvato: i lavori potrebbero già iniziare nel 2025, come si legge nel Piano di risanazione di Bagnoli, il Praru. Un raddoppio di scarichi che, come sintetizza a Green&Blue il direttore dell’Area Marina Protetta di Gaiola, Maurizio Simeone, potrebbe significare la fine non solo per gli ecosistemi di Gaiola, ma anche per il turismo e per l’intero indotto economico dell’area.

    Su spinta di decine di associazioni guidate da Marevivo e riunite nel Coordinamento Tutela Mare “Chi Tene o’ Mare” è stata lanciata una petizione – sottoscritta da quasi 10mila persone – per chiedere lo stop al progetto. Appelli, per un ripensamento, sono stati promossi anche da attori di Gomorra e dal cantante Liberato sui social. “Allo stato attuale c’è già uno scarico di troppo pieno che serve una superficie della città grande quanto una cittadina media. Uno scarico che fu costruito nel 2001, prima dell’Area marina protetta o della Zsc. All’epoca si aveva meno conoscenza dei nostri ecosistemi e purtroppo si decise per uno scarico proprio in quel punto della costa. Negli anni successivi però, oltre alla Amp, l’area è stata inserita nella rete Natura2000 per i suoi habitat preziosissimi, dalle grotte sino ai coralli o la posidonia, ai quali va aggiunto il patrimonio culturale archeologico, i vincoli paesaggistici e tanto altro. Per cui noi mai ci saremmo aspettati che proprio lì si parlasse di raddoppio degli scarichi, anzi, al contrario speravamo in una modifica di quelli attuali. Siamo stati presi in totale contropiede”.

    Quando nel 2016 si fecero i primi passi per la riqualificazione di Bagnoli, le associazioni ambientaliste dissero che era l’occasione giusta per rivedere il sistema di scarichi, “qualcosa che oggi comporta 100 metri cubi al secondo di liquami che vanno a finire in acqua quando ci sono le piogge”. Invece con la decisione presa “ora si arriverà addirittura a 206 metri cubi. All’acqua di scarico delle fogne si mischiano altre acque urbane, spesso inquinate con idrocarburi o metalli pesanti. Si mischia tutto e va finire in mare. Quando arrivano le alluvioni e avvengono gli scarichi, si chiudono i lidi sino a Napoli. Ci immaginiamo cosa succederà con un raddoppio dello scarico nelle prossime estati?” sostiene Simeone. Un impatto su turismo, ecosistemi, ma “anche piccola pesca o allevamento di mitili”, spiega.

    Con il nuovo progetto le sole acque nere triplicheranno, passando da 215 litri al secondo a 728 litri al secondo.”Tutto ciò è davvero paradossale e fa rabbia che non siano state prese alternative per evitare un disastro ambientale. Abbiamo il depuratore di Cuma che fuziona, perché non migliorare le condotte e pensare di far passare le acque reflue da lì?”. Secondo il direttore tutte le singole comunità biologiche di Gaiola potrebbero avere un fortissimo impatto negativo se il doppio scarico entrerà in funzione. “Spero vivamente che si rendano conto che è stato un grande abbaglio, che il Ministero ritiri tutto, perché davvero qui non ci si rende conto del disastro che potrebbe essere”, aggiunge. Gli elementi per valutare e capire che si tratta di una scelta sbagliata, sostiene infine il direttore, ci sono tutti: dai report presentati dalla Amp ai documenti con oltre cento obiezioni al progetto avanzate da decine di ricercatori ed esperti della Federico II e dai biologi della Stazione Dohrn. Non solo: anche a livello economico ci sono stime sul possibile impatto della piccola pesca costiera, così come del turismo, che in quella zona cresce. “Se si farà il progetto si distruggerà tutto ciò che di buono è stato fatto negli ultimi 20 anni” conclude Simeone. Anche per Rosalba Giugni, presidente di Marevivo, associazione che si sta battendo per fermare il piano, è necessario fare di tutto per bloccare questo sfregio. “Marevivo ha impiegato oltre 10 anni per ottenere l’istituzione di Area marina protetta della Gaiola, un luogo straordinario, unico. Oggi ci troviamo nella condizione di dover tornare a lottare per salvare questo posto e il mare di Napoli: ciò che vogliono fare è anche uno sfregio alle nostre istituzioni, alla rete Natura2000, all’Europa e alle tante leggi a tutela di questi luoghi. Che altro dobbiamo fare per proteggerlo?”. LEGGI TUTTO