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    Il biologo ucraino che vuole proteggere i mari arrestato. “Primo prigioniero politico in Antartide”

    Lo hanno definito il “primo prigioniero politico della storia dell’Antartide”. Eppure, Leonid Pshenichnov, biologo ucraino di 70 anni, con la politica ha ben poco a che fare: la sua storia è quella di un conservazionista, uno scienziato che da anni si batte per proteggere e conservare le specie e le popolazioni ittiche nelle terre dei ghiacci.

    A settembre Pshenichnov era in procinto di partecipare a una conferenza sulla protezione della fauna marina antartica in Australia ma non è mai riuscito a lasciare la Crimea dove viveva. Lì, in quella zona occupata dai russi, è stato arrestato e imprigionato dai militari russi con l’accusa di alto tradimento. Il motivo? Secondo il Cremlino, per i suoi studi e le sue posizioni, starebbe tentando di danneggiare l’economia di Mosca, in sostanza di “ostacolare la pesca industriale russa di krill in Antartide”.L’arresto di Pshenichnov ha fatto insorgere la comunità scientifica che chiede il suo immediato rilascio e definisce la sua detenzione come “illegale”. Il biologo, da decenni, con diversi studi e pubblicazioni su riviste internazionali, lavora fornendo informazioni e sostegno all’importanza delle aree marine protette della regione antartica. I suoi studi hanno contribuito anche a rimarcare l’importanza di non abusare, in quelle aree remote, della pesca del krill, crostacei che sono alla base dell’alimentazione di molti cetacei e pesci e fondamentali nella catena alimentare.

    Lo scienziato, che vive a Kerch in Crimea, ora conquistata dalle truppe russe, viene descritto dal Cremlino come un “cittadino della Federazione russa che è passato dalla parte del nemico” e che “dalla parte della delegazione ucraina” era appunto in procinto di partecipare al CCAMLR, la conferenza sulla conservazione delle risorse marine in Antartide a Hobart in Tasmania. Per i russi Pshenichnov con i suoi studi e le sue ricerche avrebbe indebolito la pesca russa di krill in Antartide perché intenzionato a sostenere una proposta ucraina di limitazione della pesca. Con questa posizione il biologo avrebbe dunque danneggiato “gli interessi economici russi”. Il ricercatore rischia ora tra i 12 e i 20 anni di carcere e la situazione è stata definita da alcuni suoi colleghi, che chiedono il rilascio immediato, come “estremamente critica” dato che Pshenichnov soffre di alcuni problemi di salute poco compatibili con la detenzione.

    Sempre secondo i colleghi scienziati, a Pshenichnov “primo prigioniero politico della storia dell’Antartide” sarebbe stato volutamente impedito di partire perché alla conferenza CCAMLR avrebbe potuto appunto sostenere la tesi ucraina per la protezione delle acque antartiche. Va ricordato inoltre che Mosca ha definito lo scienziato come “russo” e dunque lo ha potuto accusare di alto tradimento, solo perché trovandosi in un territorio occupato dai militari di Putin è stato di fatto costretto ad assumere la cittadinanza russa anche se è ucraino. Pshenichnov, che vanta un lungo curriculum di ricerca all’Istituto di Ricerca Meridionale per la Pesca Marina e l’Oceanografia di Kerch, a quello per la Pesca e l’Ecologia Marina di Berdiansk e poi all’Istituto di Oceanografia di Kiev, era rimasto in Crimea solo per stare vicino alla sua famiglia. I suoi ultimi sforzi erano proprio concentrati sull’idea di istituire aree marine protette nell’Oceano antartico per limitare lo sfruttamento eccessivo delle risorse.

    Cosa succede al pianeta

    Stiamo cambiando gli equilibri della natura

    di Elena Dusi

    11 Agosto 2025

    L’arresto del biologo ha ovviamente alzato ulteriormente le tensioni diplomatiche. L’Ucraina sta facendo pressione su altri Paesi e sulla commissione CCAMLR affinché a livello internazionale spingano per il rilascio dello scienziato vittima di “un palese abuso dei diritti umani”. Il National Antarctic Research Centre sostiene che l’Ue, Norvegia, Regno Unito, Nuova Zelanda e Corea, siano uniti nel condannare l’incarcerazione da parte della Russia. Anche in apertura lavori della commissione CCAMLR, iniziata una settimana fa, c’è stato un accorato appello da parte dei ricercatori per il rilascio di Pshenichnov, “biologo e non politico” da sempre impegnato nella protezione della natura, soprattutto di quei mari dove quest’anno – per la prima volta – la quantità dei piccoli crostacei pescati nelle acque antartiche ha raggiunto un livello “insostenibile” secondo gli stessi scienziati. In questa situazione di “profondo shock”, i colleghi – che descrivono il biologo ucraino come un ricercatore “eccezionale” – fanno un appello anche alla società civile: “Facciamo tutti pressione, aiutateci a liberarlo da questa incarcerazione illegale”. LEGGI TUTTO

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    Dalla grafite riciclata al suono, arriva il diffusore acustico per smartphone

    Possono la purezza assoluta e la bellezza delle forme derivare dallo scarto? Si può realizzare un oggetto altamente funzionale plasmandolo di sola materia riciclata? “Perché no?“, risponde Susanna Martucci, vulcanica imprenditrice fondatrice di Alisea. Lei ha già fatto parlare il mondo di sé con Perpetua, la matita diventata oggetto di culto e presente persino nello store del MoMa di New York. L’idea di Perpetua (che ha venduto 3 milioni di pezzi) stava tutta in un’applicazione innovativa di pratiche sostenibili: recuperare tonnellate e tonnellate di grafite di scarto di processi produttivi industriali dei settori aerospaziale, aeronautico, ferroviario e automotive.

    Dalla rivoluzione di Perpetua nasce “dionisio”. Si tratta di un diffusore acustico per smartphone, che è insieme un oggetto di design (nato dalla creatività della designer Marta Giardini), un esempio di economia circolare (come Perpetua, anche dionisio è composto all’80% di grafite riciclata, a cui viene aggiunto un eccipiente minerale) e un modello di alta tecnologia.

    Dionisio è realizzato con una “grafite che è meglio della grafite”, la “g upgraded recycled graphite”: è un brevetto del mondo Perpetua. “Abbiamo studiato un eccipiente minerale che aumenta alcune delle caratteristiche proprie della grafite vergine – spiega Susanna Martucci – seguendo il nostro pensiero di sempre: un oggetto riciclato non deve essere meno bello e performante di quello d’origine; e non deve essere nemmeno allo stesso livello. Il nostro scopo è di migliorarne le caratteristiche per creare un reale valore aggiunto”.
    Unire estetica, performance e sostenibilità
    dionisio è l’esito di un profondo processo valoriale. È figlio del viaggio del suono nella grafite, modellato a partire dal compound zantech (è composto tecnico a base di grafite riciclata legata con polimeri, fornito in granuli iniettabili e declinabili), con stampaggio a iniezione. L’esclusivo percorso interno, ispirato a un sistema misto tra tromba retroattiva e bass reflex, e l’impiego della grafite stessa, smorzano le vibrazioni indesiderate amplificando le basse frequenze e donando un suono uniforme, fedele e avvolgente.

    Come nasce dionisio? “Era il 2013. Vittorio Ferrero, un esperto che lavora con la grafite industriale da oltre 40 anni, ci raccontò di come, dieci anni prima, avesse conosciuto Claudio Consigli. Lui, collezionista e audiofilo, aveva progettato un giradischi proprio in grafite, che è tra i migliori materiali al mondo per esaltare la qualità dei suoni. Era nato uno dei più stupefacenti (e invidiati) strumenti, sul quale appassionati di tutto il mondo hanno potuto discutere e confrontarsi. Ci siamo chiesti: perché non provare a usare il nostro zantech per metterlo a servizio della qualità del suono? Dodici anni dopo quella conversazione, ecco la nascita di dionisio” – racconta Martucci.

    Ispirato al celebre “Orecchio di Dionisio”
    Il prodotto richiama nel nome il celebre Orecchio di Dionisio, grotta calcarea artificiale nella latomia del Paradiso, nel Parco Archeologico della Neapolis di Siracusa, il grande quartiere monumentale dell’antica città. È famosa per la straordinaria acustica e, secondo la leggenda, il tiranno Dionisio vi origliava le lamentele dei prigionieri che vi aveva rinchiuso. Il nome sarebbe stato coniato dal Caravaggio nel Seicento, per la forma che ricorda un orecchio. Susanna Martucci conosce bene l’Orecchio di Dionisio: quando era giovane trascorreva molte estati in Sicilia, proprio a Siracusa. L’evocazione di quel lontano ricordo, di quel luogo dall’acustica leggendaria, le ha ispirato il richiamo alla purezza dei suoni del suo amplificatore.

    Dionisio non vuole dire solo responsabilità ambientale, ma anche nei confronti delle persone. È ideato e prodotto esclusivamente in Italia attraverso una filiera controllata; inoltre il suo confezionamento e la logistica coinvolgono la cooperativa Job Mosaico, che mira a favorire l’approccio al mondo del lavoro per promuovere autonomie e competenze di persone fragili, con disagio psicologico, sociale e economico.

    Il diffusore acustico pesa 625 grammi, 425 grammi dei quali sono di grafite altrimenti destinati allo smaltimento – con un costo non solo economico ma anche sociale e ambientale per la collettività che è tenuta, direttamente o indirettamente, a farsene carico. dionisio è made in Italy ed è progettato per alloggiare smartphone fino a 13 mm di spessore e 84 mm di larghezza.

    Il prodotto è già in vendita sullo store ufficiale di Perpetua a 75 euro; da novembre, sarà disponibile anche sul sito e presso i principali punti vendita italiani di Città del Sole. LEGGI TUTTO

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    Negli Stati Uniti il consumo di carne inquina quanto l’energia elettrica per le case

    Il consumo di carne e l’energia per alimentare le case producono livelli di emissioni di gas serra simili. Questo succede nelle città degli Stati Uniti, dove un team di ricerca dell’Università del Michigan e dell’Università del Minnesota ha scoperto che le emissioni di gas serra prodotte ogni anno da coloro che mangiano carne di manzo, pollo e maiale sono superiori a quelle totali annue dell’Italia e, come anticipato, simili alle emissioni derivanti dall’energia che serve ad alimentare le loro case. Il loro studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Climate Change.

    L’analisi

    Le emissioni di gas serra legate agli stili di vita sono 7 volte superiori gli obiettivi climatici

    di Luca Fraioli

    07 Ottobre 2025

    Lo studio
    Per capirlo, gli autori hanno calcolato e mappato l’impatto ambientale, definito come “impronta di carbonio”, della carne per ogni città degli Stati Uniti. In particolare, hanno misurato le emissioni di gas serra associate alla consumo di carne per le città statunitensi servendosi della piattaforma Food System Supply-Chain Sustainability, o FoodS 3, inizialmente sviluppata per studiare la filiera del mais del Paese e modificata dagli autori del nuovo studio per applicarla alla carne. Dalle analisi è emerso che l’impatto climatico totale per le oltre 3500 città statunitensi prese in esame è di 329 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, mentre le emissioni totali derivanti dall’utilizzo di combustibili fossili per illuminare, riscaldare, raffreddare e alimentare gli elettrodomestici nelle case sono di 334 milioni di tonnellate (in Italia sono pari a 313 Mt).

    Il consumo di carne
    I ricercatori hanno inoltre proposto alcuni modelli per poter ridurre le emissioni legate all’alimentazione, tra cui la riduzione degli sprechi alimentari, la sostituzione della carne bovina con carni a basse emissioni o l’eliminazione della carne una volta alla settimana. Dai risultati è emerso che il modello più efficace sarebbe quello di sostituire metà della carne bovina con il pollo, riducendo così le emissioni del 33%. Sostituire metà del consumo di carne bovina con una combinazione di maiale e pollo, invece, porterebbe a una riduzione delle emissioni pari al 29%, mentre lo spreco alimentare a una diminuzione del 16% e non mangiare carne un giorno alla settimana al 14%.

    Alimentazione

    Dopo la carne, sulle nostre tavole anche il pesce coltivato in laboratorio

    di Giacomo Talignani

    17 Ottobre 2025

    Pannelli solari, ma non solo
    Sebbene lo studio sottolinei le enormi dimensioni dell’impronta di carbonio urbana americana, il nuovo studio fornisce anche informazioni che cittadini e governi possono utilizzare per ridurre l’impatto ambientale. La ricerca ha infatti, “enormi implicazioni sul modo in cui valutiamo l’impatto ambientale delle città, misuriamo tali impatti e, in ultima analisi, sviluppiamo politiche per ridurli”, ha commentato Benjamin Goldstein, tra gli autori dello studio, ricordando che i decisori politici hanno lanciato campagne e iniziative che aiutano i proprietari di case a ridurre la propria impronta di carbonio, incentivando e sovvenzionando interventi come l’installazione di pannelli solari e l’isolamento termico, che tuttavia possono costare migliaia, se non decine di migliaia, di euro.

    L’analisi

    Le emissioni di gas serra legate agli stili di vita sono 7 volte superiori gli obiettivi climatici

    di Luca Fraioli

    07 Ottobre 2025

    “Ma se si riducesse semplicemente la metà del consumo di carne bovina e magari si passasse al pollo, si potrebbero ottenere riduzioni di gas serra simili, a seconda di dove si vive”, ha concluso Goldstein. “Se riuscissimo a convincere le persone a utilizzare questo tipo di studio per riflettere su come le diete nelle città influenzino il loro impatto ambientale, ciò potrebbe avere effetti enormi in tutti gli Stati Uniti”. LEGGI TUTTO

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    Stramonio, come coltivare l’”erba del diavolo”

    Il mondo vegetale racchiude piante dal fascino misterioso, capaci di conquistare con la loro bellezza intrigante. Tra queste rientra sicuramente lo stramonio, noto anche come erba del diavolo o delle streghe, apprezzato per i fiori a forma di tromba e le foglie decorative. Chiamata a livello scientifico datura stramonium, questa pianta erbacea annuale è tanto affascinante quanto insidiosa, tenendo conto che tutte le sue parti sono altamente tossiche. Coltivata a scopo ornamentale, è semplice da curare e richiede una bassa manutenzione, dovendo però maneggiarla con cautela.

    Dove collocare lo stramonio
    Appartenente alla famiglia delle Solanaceae, lo stramonio ha origini centro-nordamericane ed è diffuso in zone dal clima caldo e temperato, compresa l’Italia dove cresce spontaneamente tra campi, terreni incolti e ruderi. Questa pianta erbacea contiene in tutte le sue parti sostanze pericolose che se ingerite possono causare intossicazioni gravi.

    La datura si distingue per i suoi fiori particolarissimi, dalla forma a imbuto e spesso tinti di bianco, ma anche da sfumature violacee, che emanano un profumo intenso e si aprono di notte o nel tardo pomeriggio. La fioritura dello stramonio avviene tra luglio e ottobre: questa è molto scenografica e vede ogni fiore durare pochi giorni, ma la pianta continua a produrne per settimane. La datura stramonium presenta un fusto eretto e ramificato, foglie ovate e grandi e dai margini dentati. I suoi frutti sono capsule ovate spinose, al cui interno si trovano semi dagli effetti allucinogeni e narcotici.

    Lo stramonio può essere coltivato in giardino o vaso, ma deve essere maneggiato con cura, visto che è altamente tossico, ponendolo in luoghi inaccessibili a bambini e animali.

    Resistente e versatile, la datura si adatta a molteplici ambienti. Per quanto riguarda la sua esposizione, ama il sole, prediligendo un’esposizione soleggiata e un clima caldo, anche se durante le giornate più calde beneficia di un po’ di ombra. Essendo sensibile al gelo, in inverno deve essere protetta dalle gelate. Quanto al terreno, ne richiede uno fertile, ben drenato, leggero e sabbioso.

    Stramonio e la coltivazione
    Grazie ai fiori vistosi e al fogliame ampio, lo stramonio abbellisce giardini e balconi. La sua coltivazione è semplice e può avvenire sia in piena terra, che in vaso, indossando sempre guanti protettivi quando lo si maneggia. Se coltivato all’aperto può diventare invasivo, visto che tende a riseminarsi. Il periodo migliore per interrarlo è la primavera o l’autunno.

    Per la coltivazione in piena terra, si procede eliminando dal terreno erbacce e sassi grandi, per poi aggiungere del compost per migliorare la composizione del substrato. I semi dello stramonio vanno posti a 0,5-1 centimetro di profondità, lasciando tra ciascuno 40-50 centimetri, tenendo conto che la pianta cresce in modo rapido e ampio. Se le piantine crescono troppo ravvicinate, bisogna eliminare quelle più deboli. I semi germinano in 1-3 settimane.

    Quanto alla coltivazione in vaso, è necessario scegliere un recipiente che sia abbastanza ampio, minimo 30-40 centimetri di diametro, e dotato di fori di drenaggio sul fondo. Anche in questo caso i semi vanno posti a 0,5-1 centimetri di profondità in un terreno drenante, fertile e arricchito con del concime organico. Il substrato deve essere mantenuto umido, ma non zuppo, verificando che le piante abbiano abbastanza spazio per svilupparsi, tenendo conto che crescono velocemente.

    Cura dello stramonio: irrigazione, concimazione e potatura
    Lo stramonio non richiede cure complesse nella sua manutenzione. La pianta predilige un terreno sempre leggermente umido, evitando però i ristagni idrici, suoi nemici e causa del marciume radicale. In primavera ed estate bisogna darle da bere 1-2 volte a settimana, da aumentare in caso di siccità. In autunno le irrigazioni vanno ridotte gradualmente, mentre in inverno si deve annaffiare solo quando il substrato è totalmente asciutto, mediamente ogni 3 settimane. Per quanto riguarda la concimazione, la pianta non richiede frequenti interventi, ricorrendo in primavera a del fertilizzante organico con cui stimolare la sua crescita.

    La potatura è un intervento molto importante nella cura dello stramonio. È necessario intervenire in primavera per stimolare una sua crescita compatta. Se la pianta tende a svilupparsi in modo eccessivamente invasivo è opportuno rimuovere i rami troppo lunghi, evitando di danneggiare la sua struttura principale. Inoltre, bisogna eliminare fiori appassiti e rami secchi per favorire le nuove fioriture e mantenere la pianta sana.

    Malattie e parassiti
    Nella cura dello stramonio bisogna tenere conto di alcune criticità che possono colpirlo. Pur essendo resistente, è soggetto a diversi problemi, tra cui l’attacco di parassiti come afidi, che succhiano la sua linfa e provocano ingiallimento e foglie deformate, richiedendo un intervento tempestivo con un insetticida biologico oppure soluzioni specifiche.

    Un altro problema è il ragnetto rosso, che si insidia nella parte inferiore delle foglie, facendole ingiallire: in caso di un’infezione importante è necessario ricorrere a un acaricida specifico.

    Lo stramonio può essere anche colpito da cocciniglie, da rimuovere manualmente o trattare con prodotti ad hoc. La pianta è soggetta inoltre al marciume radicale, causato da ristagni idrici o un substrato troppo compatto, che porta al deterioramento delle radici. L’oidio può insediarsi sulla pianta, ricoprendo le sue foglie con una patina biancastra: in questo caso bisogna eliminare le foglie infette o, se la situazione è grave, impiegare un fungicida specifico. LEGGI TUTTO

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    Quali sono i materiali più ecologici per costruire una casa?

    È possibile costruire una casa utilizzando materiali ecologici? Assolutamente sì. La bioedilizia o bioarchitettura, infatti, sta diventando sempre più importante in ambito edile, perché basa i suoi principi su valori oggi considerati essenziali, come la sostenibilità. Abitare dentro una casa ecologica non è fantascienza, è la realtà contemporanea ed è possibile farlo non solo grazie all’uso di fonti di energia rinnovabile, ma proprio grazie alla selezione di materiali ecologici ad hoc. Ma quali sono?

    Bioedilizia: in cosa consiste l’architettura sostenibile
    L’edilizia sta, giorno dopo giorno, cambiano le carte in tavola del modo di vivere dentro casa. La spinta arriva dalla necessità di rispettare l’ambiente e tutto ciò che lo riguarda, motivo per il quale molti cantieri oggi puntano su materiali ecosostenibili, riciclabili e a basso consumo energetico. L’obiettivo qual è? Ridurre gli sprechi e l’impatto ambientale. È in questo senso che l’architettura si trasforma, diventando non solo più responsabile, ma anche capace di valorizzare l’ambiente circostante.

    I principi della bioedilizia per una casa ecologica
    Che cosa rende una casa davvero ecosostenibile? Secondo i principi della bioedilizia, occorre progettare, costruire e gestire l’abitazione seguendo alcune regole precise. Serve un approccio integrato, con materiali di qualità e team competenti che puntino a soluzioni sostenibili. Intanto, va assolutamente considerato il territorio: clima, vegetazione, luce naturale, umidità e temperature influenzano ogni scelta. Inoltre, è fondamentale anche ridurre il consumo energetico, puntando all’autonomia e al risparmio, senza dimenticare comfort e benessere degli abitanti. Infine, ma certamente non per importanza dato il focus di questa guida, i materiali scelti devono rispettare l’ambiente, influenzando isolamento, acustica e qualità dell’aria senza creare impatti negativi.

    I materiali ecologici da usare quando si costruisce una casa
    Di materiali ecologici esistenti per costruire una casa ce ne sono diversi, anche se moltissime persone pensano che sia il legno il solo e unico da utilizzare per raggiungere l’obiettivo. Tra quelli più gettonati (e più efficaci) da usare se si vuole dare vita a un’abitazione di stampo ecologico ce ne sono alcuni ottimi, molto spesso persino “impensabili”, data la loro natura. Ma quali sono e per che cosa si usano nello specifico?
    Lana di pecora
    Sempre più usata per l’isolamento, la lana di pecora protegge dal freddo e dal caldo grazie alla sua traspirabilità e capacità igroscopica. Oltre a migliorare l’isolamento termico e acustico, può contribuire a purificare l’aria assorbendo sostanze inquinanti. Biodegradabile e a basso impatto, è un classico dell’edilizia ecosostenibile.
    Micelio dei funghi
    Coltivato su substrati organici, il micelio si trasforma in pannelli isolanti leggeri e robusti. Efficace dal punto di vista termico e acustico, si adatta facilmente a varie forme e riduce significativamente l’impatto ambientale.
    Biomattoni
    Realizzati con canapa e calce, i biomattoni catturano CO2 durante la crescita della canapa e offrono isolamento termico, acustico e controllo dell’umidità. Duraturi e riciclabili, rappresentano un’alternativa ecologica ai mattoni tradizionali.
    Pietra riciclata
    Composta da scarti di pietra e rifiuti plastici, la pietra riciclata è ideale per coperture, rivestimenti e pavimentazioni. Unisce estetica e sostenibilità, con lunga durata e basso impatto ambientale.
    Pannelli in paglia
    Naturali e riciclabili, garantiscono ottimo isolamento termico e acustico. La paglia riduce le emissioni di CO2 e contribuisce a creare ambienti interni salubri.
    Pannelli in fibra di cellulosa
    Realizzati con carta riciclata e trattati con sali di boro, offrono buone prestazioni termiche e acustiche. Economici, semplici da posare e privi di sostanze nocive, sono perfetti per pareti, soffitti e coperture.
    Pittura ecologica
    Prodotta con materiali naturali, senza sostanze chimiche tossiche, favorisce la traspirazione delle superfici, ha azione antimuffa ed è inodore. Rispetto alle pitture tradizionali, riduce l’inquinamento e le scorie.
    Materiali innovativi in fibra di vetro riciclato
    Ci sono prodotti in vetro riciclato in grande di sostituire l’acciaio nelle armature, offrendo maggiore resistenza, riduzione della corrosione e un bilancio ecologico migliore, con minore produzione di CO2.
    Componenti modulari ecosostenibili
    Prefabbricati e realizzati con materiali riciclati come legno, acciaio e bambù, facilitano l’assemblaggio e riducono gli sprechi, adattandosi a costruzioni moderne e sostenibili.
    Calcestruzzo sostenibile
    Con aggregati riciclati, cementi a basso clinker e additivi speciali, il calcestruzzo sostenibile riduce le emissioni di CO2 e l’estrazione di nuove risorse, mantenendo robustezza e durabilità.

    Benefici nell’utilizzare materiali ecologici per costruire case
    Andando a utilizzare un qualsiasi dei materiali sopra elencati, i benefici che se ne trarranno saranno sempre e comunque tanti. Intanto, bisogna considerare la riduzione delle emissioni di CO2, aspetto non da poco se si vuole provare a combattere il cambiamento climatico. Poi c’è anche il risparmio energetico, che si traduce in costi operativi minori e in un impatto ambientale inferiore. Da considerare anche sia la minimizzazione dello spreco di risorse, sia il miglioramento della qualità dell’aria dentro casa. Dulcis in fundo, la creazione di ambienti salubri: gran parte di questi materiali ecologici assorbono tutte le sostanze tossiche presenti all’interno degli spazi, regolano l’umidità e migliorano la salute dei luoghi, dell’ambiente e delle persone che lo abitano. LEGGI TUTTO

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    Da eolico e solare offshore quasi un terzo del fabbisogno elettrico mondiale entro il 2050

    E se la nuova frontiera dell’energia pulita fosse il mare? L’idea non è nuova e il rapido sviluppo delle tecnologie la rende sempre più attuabile. Secondo uno studio globale pubblicato sulla rivista Science Advances l’energia prodotta in mare aperto da impianti eolici e fotovoltaici potrebbe coprire quasi un terzo del fabbisogno elettrico mondiale entro il 2050. Ciò ridurrebbe drasticamente le emissioni di anidride carbonica e anche l’inquinamento atmosferico, un problema sempre più grave a livello mondiale. Il lavoro, condotto da un team internazionale guidato dalla National University of Singapore e dalla Sichuan University, ha mappato le aree marine più promettenti per lo sviluppo di parchi eolici e solari galleggianti, valutandone il potenziale tecnico, economico e ambientale.

    Trovare però il luogo giusto dove costruire gli impianti è difficile. Per poter essere considerate idonee all’installazione di impianti energetici offshore, le aree dovevano avere una profondità inferiore a 300 metri, trovarsi entro 200 chilometri da un centro abitato, non includere aree protette, non essere coperte dal ghiaccio per più del 50% dell’anno e non avere una velocità media del vento inferiore a 5 metri al secondo né una radiazione solare annuale inferiore a 1.000 kilowattora per metro quadrato.

    Secondo lo studio solo il 3% circa della superficie marina globale è realmente adatto a ospitare impianti di questo tipo. Ciononostante, sfruttarne anche solo l’1% basterebbe a generare oltre 20.000 terawattora di elettricità l’anno — pari a quasi il 30% della domanda globale prevista per metà secolo. Le conseguenti riduzioni di CO? supererebbero i 9 miliardi di tonnellate l’anno, una cifra paragonabile alle attuali emissioni complessive di Stati Uniti e India.

    Le turbine eoliche e gli impianti fotovoltaici esistono sia onshore che offshore. Questi ultimi però presentano un vantaggio per entrambe le tecnologie. Il vento è più forte sull’oceano, fornendo più energia alle turbine. L’acqua raffredda i pannelli fotovoltaici, aumentandone l’efficienza. Senza contare che sarebbe possibile spostare pannelli e pale eoliche dai nostri campi, dalle creste delle nostre montagne, in mare aperto.

    Le potenzialità maggiori emergono in paesi costieri con ampie zone economiche marine: Stati Uniti, Canada, Australia e Cina per l’eolico offshore; Indonesia e Australia per il fotovoltaico galleggiante, grazie alla forte insolazione tropicale. In molti casi, l’energia ottenuta dal mare potrebbe superare la domanda interna di elettricità, come accade per la Danimarca e la Malesia.

    Lo studio evidenzia inoltre una complementarità stagionale e geografica tra vento e sole: alle alte latitudini prevale l’olico, mentre nelle regioni equatoriali domina il solare. D’estate il fotovoltaico compensa la minore intensità del vento, in inverno avviene il contrario. Combinare le due tecnologie in impianti ibridi consentirebbe una fornitura più stabile e prevedibile di energia.

    Lo studio pubblicato sulla nota rivista scientifica è stato fatto in uno scenario di zero emissioni nette di carbonio, concetto che nasce dall’evoluzione delle politiche climatiche e scientifiche sul riscaldamento globale secondo cui per stabilizzare il clima sarebbe necessario portare le emissioni nette di CO? a zero, cioè bilanciare le emissioni prodotte con quelle rimosse. Dall’Accordo di Parigi del 2015, l’obiettivo net-zero è diventato il punto di riferimento per governi, aziende e istituzioni che mirano alla neutralità climatica entro il 2050.

    Sebbene l’eolico marino abbia già raggiunto una certa maturità, con costi in forte calo, il fotovoltaico offshore è ancora agli inizi e affronta sfide ingegneristiche legate a onde, corrosione e costi elevati. Secondo gli autori, però, l’integrazione di sistemi eolici e solari condividendo infrastrutture e connessioni alla rete potrebbe rendere queste soluzioni sempre più competitive.

    Se poi si guarda il caso del Mare Mediterraneo, il futuro è probabilmente nell’eolico galleggiante, e non in quello ancorato al substrato marino, come è invece per i mari del Nord. “Questo a causa delle batimetrie del Mediterraneo, che sono molto profonde. E se l’eolico su pale è già abbastanza avanzato, quello galleggiante è una tecnologia ancora in divenire”, spiega Giuliana Mattiazzo, del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale (DIMEAS) del Politecnico di Torino. “Abbiamo visto che in teoria il Mediterraneo potrebbe fornire 210 gigawatt equivalenti a circa 540 teravattore anno, che sono due volte la domanda energetica nazionale. Tolti però i limiti dovuti alla batimetria e altri legati alla capacità infrastrutturale potremmo produrre intorno ai 70 gigawatt”.

    Secondo Mattiazzo, questo studio è più di un esercizio accademico: “È fattibile, ma di mezzo ci sono ci sono le politiche di regolamentazione, di incentivazione, quelle di zonizzazione e bisogna ancora costruire l’intera catena di approvvigionamento [l’insieme di processi, persone, tecnologie e organizzazioni coinvolte nel percorso che un prodotto o servizio compie dall’origine fino al consumatore finale, ndr]”, spiega l’esperta. “Le potenzialità ci sono e vediamo che è fattibile ma ha bisogno di un quadro regolatorio stabile”, dice ancora, sottilneando che le rinnovaibli ci servono anche per ridurre la nostra dipendenza energetica.

    Il mare si avvicina sempre di più a diventare un alleato nella corsa alla neutralità climatica, offrendo una via per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili senza intaccare risorse e territori terrestri. LEGGI TUTTO

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    Søren Jessen, la crisi climatica spiegata ai ragazzi: “Ma loro sanno già tutto”

    C’è una graphic novel che racconta ai ragazzi la crisi climatica e il rischio – crescente – dei fenomeni estremi, alluvioni in primis. Un libro straordinariamente attuale che indaga anche il peso delle responsabilità dell’antropocene, che a volte sommergono e travolgono anche i più piccoli. Si intitola La ragazza pesce, un libro edito da Camelozampa scritto e illustrato da Søren Jessen, con traduzione italiana di Eva Valvo. LEGGI TUTTO

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    No, il Green deal non è stato bocciato dal Consiglio europeo

    “Cosa è successo nel Consiglio europeo di ieri riguardo alla crisi climatica? Stando ai resoconti di molti media l’Unione europea avrebbe ridimensionato il Green deal. Ma c’è una versione secondo cui le cose sarebbero andate il modo molto diverso. “I colloqui sul clima, una delle questioni più spinose in vista del vertice, sono stati affrontati […] LEGGI TUTTO