Aprile 2025

Monthly Archives

consigliato per te

  • in

    Plastica, mozziconi e cotton fioc: sulle spiagge 892 rifiuti ogni 100 metri

    Nel 2025, su un’area complessiva di 196.890 mq, sono stati 56.168 i rifiuti raccolti e catalogati. Una media di 892 rifiuti ogni 100 metri lineari. Non è per niente rassicurante il bilancio del marine litter registrato da Legambiente in base al Clean Coast Index (CCI), un indicatore utilizzato a livello internazionale che stabilisce il livello di pulizia di una spiaggia sulla base della densità dei rifiuti presenti nelle aree campione monitorate. LEGGI TUTTO

  • in

    Se non si ferma la crisi del clima saremo più poveri del 40%

    In un futuro non tanto lontano, di questo passo, un qualunque cittadino medio del mondo sarà più povero del 40% rispetto ad oggi. La colpa? Gli effetti del riscaldamento globale. Uno scenario, questo, che potrebbe tranquillamente valere per un bambino nato in questi anni ma che nel 2100 si ritroverà – a differenza dell’attuale popolazione […] LEGGI TUTTO

  • in

    Lavori green, l’investimento verde che fa bene alle imprese

    La prima regola della finanza sostenibile è che non è un fight club. O meglio, come spiega Francesco Bicciato, direttore generale del Forum per la Finanza Sostenibile: “È un nuovo modo di fare finanza. Dispiega i suoi effetti a medio-lungo termine, quindi non è finanza speculativa, e mantiene il legame con l’economia reale“. Fin qui sembrerebbe una mano di vernice sul già detto o già fatto, ma in realtà la finanza sostenibile “integra gli elementi sociali e ambientali di buona governance, quelli che comunemente vengono definiti Esg, environmental, social and governance“. Ed è questo l’elemento dirompente, soprattutto se si considera che la specialista Morningstar ha stimato a livello globale un valore patrimoniale per i fondi sostenibili superiore ai 3mila miliardi di dollari.

    “Quando sottolineo il fatto che vengono integrati elementi Esg intendo che non sono complementari rispetto ai fattori economico-finanziari, ma ne sono parte integrante“, puntualizza Bicciato. In pratica entrano in gioco impegni sul fronte ambientale e sociale, oltre alle scelte di gestione. Si pensi ad esempio all’agricoltura biologica, la mobilità sostenibile, le politiche sui rifiuti, le condizioni dei lavoratori, il rispetto delle regole fiscali, il sostegno alle categorie vulnerabili; tutto deve essere oggetto di attenzione. “Si chiama sostenibilità tripartita e si basa sui principi germogliati con il rapporto Brundtland del 1987. Un po’ come la metafora dello sgabello a tre gambe: se ne tagli una, cade. Se l’impresa è virtuosa dal punto di vista sociale e ambientale, ma i fondamentali economici sono insufficienti, non c’è sostenibilità“.

    La finanza sostenibile è esplosa – in senso buono – grazie all’Accordo di Parigi sul clima del 2015 (COP21). “Dove sostanzialmente per la prima volta si è definito bene il tema dell’emergenza legata al cambiamento climatico. C’è stata una presa di coscienza da parte degli investitori, ovvero che è molto più importante investire in progetti green che continuare a pagare per l’effetto delle catastrofi naturali“, sottolinea Bicciato. Ecco, forse quella è la chiave di volta per comprendere che il tema è pre-politico: si tratta di convenienza economica.

    La finanza sostenibile, che si parli di bond, equity o altri strumenti, non è quindi filantropia ma analisi accurata di criteri che vanno incontro a un piano più grande. Il problema, secondo l’esperto, è che quando il settore è aumentato nelle dimensioni ha iniziato ad attirare critiche più o meno giustificate, che peraltro, dati alla mano, “vengono affrontate e smontate, utilizzando un criterio science-based, nel nostro ultimo paper consultabile sul sito ufficiale del Forum“.

    Spesso si dimentica che l’84% della raccolta globale dei prodotti finanziari Esg è in Europa, contro l’11% degli Stati Uniti. Il direttore del Forum ricorda che questa leadership ha connotato l’identità della finanza sostenibile e anche se emergono criticità e correzioni di rotta da compiere ciò non vuol dire sia tutto da riscrivere. “Il rapporto Draghi domanda una semplificazione della normativa poiché troppo corposa. Concordo, ma l’importante è non derogare ai principi fondanti dello sviluppo sostenibile. La tassonomia è in divenire, perché alcuni elementi cambiano nel tempo“ ma il destino di alcuni settori appare segnato. “Il carbone scomparirà con il compimento della transizione energetica, così come il lavoro correlato, ma ci sono già studi, come ad esempio quello dell’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili, che prevede sempre più green jobs, destinati a superare i posti di lavoro persi nelle fossili“.

    Nello specifico l’agenzia ha previsto 139 milioni di posti di lavoro nel settore energetico entro il 2030, di cui oltre 74 milioni nei settori dell’efficienza energetica, dei veicoli elettrici, sistemi di alimentazione e idrogeno. “E l’Italia potrebbe sfruttare questo treno giocando la carta della formazione e riqualificazione perché abbiamo un potenziale incredibile ancora da sviluppare nelle rinnovabili. Scommetto anche su un’Intelligenza artificiale etica e democratica, con un sostanziale impegno europeo. E infine per il grande tema delle terre rare la soluzione a mio parere è nella cooperazione internazionale“, conclude Bicciato. LEGGI TUTTO

  • in

    Wish-cycling: cos’è e perché è dannoso

    Chiamatelo, se volete, il riciclo dei desideri. È il cosiddetto wish-cycling, espressione inglese che identifica l’atto di buttare in uno dei bidoni per la raccolta differenziata (plastica, vetro, alluminio, carta, umido, ma anche abbigliamento, batterie esauste, medicinali) oggetti senza avere la certezza che il conferimento sia corretto e che, quindi, tali materiali possano essere destinati al circuito del recupero. Un termine che pare essere stato inventato nel 2015 da Bill Keegan, presidente di Dem-Con Companies, un’azienda di riciclaggio e smaltimento dei rifiuti con sede negli Stati Uniti.
    Sebbene animato da nobili intenti, questo gesto potrebbe mettere a rischio il riciclo stesso o comunque accrescerne i costi e diminuirne l’efficienza, come sottolinea anche il World Economic Forum. Insomma, se il desiderio di ridurre l’impatto ambientale è senz’altro positivo, la buona volontà potrebbe non bastare.
    Un problema diffuso
    Pare che il problema del wish-cycling coinvolga, in differenti misure, tutti i Paesi, anche se al momento non sono rintracciabili dati riguardanti l’Italia. Per esempio, in Gran Bretagna il Dipartimento dell’ambiente, dell’alimentazione e degli affari rurali (Department for Environment, Food and Rural Affairs, Defra) ha registrato che, nel 2018, la contaminazione si è tradotta in 500mila tonnellate di materiale riciclato finito in discarica. Inoltre, una ricerca condotta da Waste and Resources Action Programme (Wrap) nel medesimo Paese ha rivelato che ben l’82% delle famiglie inserisce almeno un articolo difforme all’interno dei propri bidoni domestici.

    Tutorial

    Raccolta differenziata: gli errori che (quasi) tutti facciamo

    di Paola Arosio

    08 Marzo 2025

    In Australia, dove oltre il 60% degli abitanti fa la raccolta differenziata, è stato registrato che il 58% degli imballaggi in plastica e il 23% di quelli in vetro sono stati gettati nel cestino sbagliato.
    Le difficoltà per i cittadini
    Per dare una mano ai consumatori a individuare la destinazione corretta della spazzatura, nel nostro Paese, al pari di quanto è avvenuto in altre nazioni di tutto il mondo, è stato approvato il decreto legislativo numero 116 del 3 settembre 2020, più volte prorogato ed entrato in vigore il 1° gennaio 2023. Secondo la normativa, i produttori hanno l’obbligo di apporre sugli imballaggi l’etichettatura ambientale, con informazioni minime che riguardano: la codifica del materiale di imballaggio di ciascun componente separabile; la famiglia di materiale di riferimento; l’indicazione sul tipo di raccolta.

    Economia circolare

    Ancora troppi rifiuti elettronici finiscono nella raccolta indifferenziata

    di Sara Carmignani

    15 Ottobre 2024

    Un provvedimento che potrebbe anche risultare utile, ma che di fatto attribuisce all’utente l’onere di interpretare simboli non sempre facili da decifrare e di districarsi tra modalità di raccolta diverse da Comune a Comune e, talvolta, perfino da municipio a municipio.
    Una critica al sistema
    In proposito, in un articolo del 2021, Rebecca Altman, sociologa e autrice di vari saggi sul tema, richiama la responsabilità delle imprese. “L’industria dei rifiuti ha spostato l’attenzione sugli individui, concentrandosi sulle loro conoscenze, sulle loro competenze, sulle loro abitudini”, sostiene. “Così facendo, ha attribuito i fallimenti del riciclaggio all’utente disinformato o idealista e non alle istituzioni, alle infrastrutture o alle industrie che producono in eccesso beni usa e getta, soprattutto di plastica. In quest’ottica, il significato del termine wish-cycling andrebbe ampliato, in modo da indicare non solo una critica al comportamento del singolo, ma anche una critica al sistema”.

    Tutorial

    Caffè in capsule o cialde: quali sono più sostenibili?

    di Paola Arosio

    20 Marzo 2025 LEGGI TUTTO

  • in

    Vegan-washing: cos’è e come non cadere nella trappola

    In principio era il greenwashing, un fenomeno che nel tempo è stato declinato in varie categorie. Una delle principali è il vegan washing, strategia aziendale mirata a mostrare, attraverso prodotti e processi, il rispetto del veganismo, continuando in realtà a far prevalere le consuete pratiche di sfruttamento animale. Insomma, la strumentalizzazione di importanti principi etici, l’artificiosa dissonanza tra ciò che si dice e ciò che si fa.

    Gli obiettivi di business
    Attuare un piano che vada incontro, almeno all’apparenza, alle esigenze di vegetariani e vegani consente alle imprese di raggiungere vari obiettivi. Anzitutto migliorare la propria immagine tra i consumatori più attenti ai diritti degli animali e alla sostenibilità ambientale.
    Poi divulgare le proprie pratiche attraverso i report sulla responsabilità sociale di impresa, come fossero una sorta di autoregolamentazione mirata a evitare l’approvazione di norme più severe.

    Infine, appropriarsi di una nuova quota di mercato per ricavarne profitti. Tanto più che tale segmento ha registrato una crescita significativa negli ultimi anni: in Italia, per esempio, le vendite di alimenti vegetali nei supermercati e discount hanno raggiunto i 641 milioni di euro nel 2023, con un incremento del 16% rispetto al 2021.

    Dal Philadelphia alla Nutella
    Numerose le aziende che hanno abbracciato il veganismo. Le grandi catene di fast food hanno ampliato i loro menù introducendo alternative vegane ai loro panini più popolari. Burger King ha, per esempio, lanciato il Whopper plant-based, anche se non sono mancate le polemiche visto che questi burger risultano cotti sulla stessa griglia di quelli di carne e conditi con maionese tradizionale, a base di uova.

    Nel comparto dei dolci e dei gelati, nel 2024 Ferrero ha lanciato la Nutella plant-based con il caratteristico coperchio verde, nella quale il latte è stato sostituito con ceci e sciroppo di riso. In precedenza Unilever aveva proposto il Magnum vegan in due varianti, classico e mandorle, mentre Nestlé aveva introdotto il KitKat V, versione vegana del famoso snack al cioccolato, ritirata dal mercato nel febbraio 2025. E, ancora, nel 2023 è approdato sugli scaffali Philadelphia vegan, a base di mandorle e avena. Nello stesso anno è stato lanciato il ragù Mutti 100% vegetale, con piselli gialli.

    “Molti dei nuovi prodotti, per conquistare il maggior numero di consumatori, fanno appello anche alla sostenibilità, vantando imballaggi riciclati, riutilizzazione di materiali, ingredienti naturali, e alla salute, dichiarando di essere privi di glutine, lattosio, colesterolo, grassi saturi”, commenta Tiago Sigahi, professore all’Università di San Paolo, in Brasile.

    Benessere degli animali
    Nel 2020 lui e i suoi colleghi hanno pubblicato uno studio significativo su questi temi, nel quale sottolineano l’incoerenza di alcune aziende internazionali, che formalmente si dichiarano attente al benessere degli animali. Tra queste Coca-Cola, che ha sponsorizzato il rodeo in Nord America e la gara di cani in Alaska. Ma anche Kellogg’s e Kraft Heinz che esternalizzano i test sugli animali quando la pratica è richiesta da organismi governativi. E ancora Starbucks, il cui titolare a Hong Kong è stato accusato di vendere piatti con pinne di squalo, anche se nel mondo un quarto di questi predatori è a rischio di estinzione. Stando a ciò che dimostra il docente, irregolarità sono state commesse anche da Nestlè, McDonald’s, Unilever.

    Un dibattito tra vegani
    La questione del vegan-washing sta generando un ampio dibattito sia tra i ricercatori sia all’interno della comunità vegana, che vede contrapporsi due fazioni: i radicali e i moderati. I primi sostengono la totale liberazione degli animali e ritengono che il boicottaggio delle aziende sia un’arma importante per segnalare che non saranno disposti a tollerare tentativi di manipolazione e manifestazioni di ipocrisia. I secondi sono, invece, più disponibili ad accogliere alcuni compromessi.

    Per esempio, secondo Jérémy Dubois, co-fondatore dell’associazione Mission Sentience, ogni offerta vegana è da accettare, dato che il consumo di cibo è limitato dalla sazietà. “Ogni bistecca vegetale acquistata è una bistecca animale in meno, perché le persone non ne mangiano due contemporaneamente”, sottolinea.

    Laurent, attivista alsaziano impegnato in azioni sul campo, punta sul pragmatismo e osserva: “Naturalmente dietro a questi prodotti c’è il capitalismo, ma penso che dobbiamo usare il sistema così com’è, a nostro vantaggio. Tutto ciò che i grandi gruppi vogliono è realizzare profitti e gli impianti per la produzione vegana occuperanno quote di mercato. Di conseguenza, la quota di prodotti di origine animale sarà ridotta e moriranno meno animali”. LEGGI TUTTO

  • in

    Allarme degli scienziati Usa: i combustibili fossili ci stanno uccidendo

    Due lunghe liste: da un parte quella dei danni causati dai combustibili fossili, dall’altra quella dei benefici che potremmo trarre abbandonandoli definitivamente. Per un bilancio decisamente a favore dei secondi. A compilare queste liste, sulla base dell’enorme mole di evidenze scientifiche ormai accumulata nel campo, è un gruppo di scienziati, esperti a vario titolo di ambiente e giustizia ambientale, autori di un appello per la definitiva messa al bando dei combustibili, ospitato sulle pagine di Oxford Open Climate Change.

    Il documento infatti non presenta “novità” in termini scientifici. Non ce n’è ormai più bisogno, ammettono gli scienziati: la crisi climatica è sotto gli occhi di tutti e non è opinabile attribuirne gran parte delle cause all’uso dei combustibili fossili. Lo stesso dicasi per gli impatti sulla salute degli stravolgimenti ambientali correlati alle emissioni e dell’inquinamento generati dai combustibili: malattie respiratorie, tumori, nascite premature e morti da disastri ambientali sono solo la punta dell’iceberg. Tutto questo, scrivono Shaye Wolf del Center for Biological Diversity di Oakland e colleghi, è ben documentato e i danni quantificati. Quello cui indirizzano lo sguardo gli esperti stavolta, prendendo spunto proprio da questi dati, ormai impossibili da ignorare, è piuttosto la possibilità di andare oltre.

    Così, accanto a ogni aspetto problematico relativo alla crisi climatica in atto, i ricercatori propongono una serie di “soluzioni” per superarle e avvicinarsi il più rapidamente possibile al superamento di un’economia e di uno sviluppo basati sui combustibili fossili.

    Biodiversità

    Quali rischi dalle “miniere” nell’oceano profondo? Per la scienza “impatti anche dopo decadi”

    di Giacomo Talignani

    28 Marzo 2025

    Qualche esempio. Posto che la soluzione passepartout sarebbe, ovviamente, l’abbandono dei combustibili fossili, ne esistono altre specifiche e più alla portata per ognuna delle problematiche elencate dai ricercatori. Relativamente alle minacce per la salute presentate da impianti di estrazione di combustibili fossili, i ricercatori annoverano tra gli interventi più efficaci la creazione di zone cuscinetto a protezione di case, scuole o qualsiasi altro luogo assiduamente frequentato da persone. A questo, continuano, andrebbero abbinate intense attività di monitoraggio ambientale, anche per gli impianti ormai in disuso. Contro gli effetti della crisi climatica sulla perdita di habitat e specie, i ricercatori si appellano all’adozione di una serie di provvedimenti – il riferimento normativo è soprattutto agli Usa – per la conservazione e protezione di ambienti marini e terrestri.

    Contro l’inquinamento da plastica invece la soluzione più efficace, non c’è dubbio per gli esperti, è evitare di immetterne di nuova nel mercato, e quindi nell’ambiente. Evitare di produrla, investendo nello sviluppo e nell’adozione di alternative più sostenibili deve essere una priorità, auspicabilmente regolamentata da un trattato globale, libero da conflitti di interessi. La valutazione delle alternative alla plastica deve essere però scrupolosa: il riferimento è all’impiego della bioplastica, troppo spesso non così biodegradabile e non così pulita e sostenibile come creduto, se si analizzano a fondo gli impatti ambientali della sua produzione, ricordano gli autori.

    Riscaldamento globale

    Eventi estremi e bolle di calore, così la crisi del clima sconvolge la vita di milioni di persone

    di Giacomo Talignani

    19 Marzo 2025

    Infine, l’appello dei ricercatori è a un’informazione corretta e libera dalla disinformazione perpetrata dall’industria fossile. E ancora: la stessa industria, anche grazie alle evidenze che arrivano dalla ricerca scientifica, deve essere richiamata, sempre di più, a contribuire ai danni prodotti su ambiente e salute dal proprio mercato, scrivono gli esperti.

    “La scienza non potrebbe essere più chiara nel mostrare come i combustibili fossili ci stanno uccidendo – ha commentato Wolf – Petrolio, gas e carbone continueranno a condannarci a più morti, estinzioni di animali selvatici ed disastri meteorologici estremi, a meno che non rendiamo gli sporchi combustibili fossili un ricordo del passato”. LEGGI TUTTO

  • in

    Nasce allo stadio dell’Udinese la prima Comunità energetica rinnovabile nel calcio italiano

    La nascita di “Energia in Campo” rappresenta l’evoluzione naturale del progetto del parco solare installato sulla copertura del Bluenergy Stadium. L’impianto fotovoltaico, composto da 2.409 pannelli solari di ultima generazione, produce annualmente 1,1 MWh di energia pulita (ed evita l’emissione di 450 tonnellate di CO2 l’anno). Circa il 70% di questa energia viene utilizzata per soddisfare il fabbisogno energetico dello stadio, mentre il restante 30% viene messo a disposizione della comunità energetica.

    Alberta Gervasio, Amministratore Delegato di Bluenergy Group, ha sottolineato come questa iniziativa rappresenti “una naturale evoluzione del fotovoltaico, per usare l’energia che non sarebbe stata consumata dall’impianto”, evidenziando “l’attenzione al territorio e la responsabilità di restituire qualcosa”. LEGGI TUTTO