Cosa succede all’interno di un ecosistema quando all’improvviso scompare un grande predatore? Domanda che potremmo porci anche da noi in Europa dove cresce il dibattito sulla convivenza fra uomini, lupi e orsi, e che trova una preoccupante risposta dall’altra parte del mondo.
Fino a una decina di anni fa in Sudafrica zone come False Bay erano la patria dei grandi squali bianchi. Davanti a Gansbaai nel Capo occidentale si contavano anche oltre 1000 giganti bianchi. Lo sapevano bene in surfisti, i pescatori, i naturalisti e i fotografi pronti ad immortalare le loro evoluzioni e tutti coloro che lavoravano in un mondo, quello del turismo da squalo, che attirava nel sud del globo migliaia di persone per avvistare il grande bianco.
Poi all’improvviso, per un mix di condizioni, qualcosa è cambiato: la presenza di squali è iniziata a diminuire talmente tanto che oggi, persino nei paper scientifici, si parla apertamente di “scomparsa” dei grandi squali bianchi dalle coste del Sudafrica, con ripercussioni su economia e turismo ma soprattutto sulla salute degli ecosistemi.
Una ricerca recente pubblicata su Frontiers in Marine Science, in fase di peer-review e condotta dall’Università di Miami, racconta come questa scomparsa stia infatti avendo effetti a catena all’interno dell’ecosistema nella zona di False Bay.
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Calo graduale da due decenni
Per due decenni gli scienziati hanno monitorato il calo graduale degli avvistamenti di squali bianchi indicando come, alla base del declino, ci siano più fattori: prima si sono verificate una serie di catture non sostenibili e accidentali, soprattutto a causa dell’uso di reti, sia quelle dei pescatori sia quelle utilizzate per proteggere i bagnanti, poi sono arrivate le orche.
Intorno al 2017 sulle coste del Sudafrica sono comparse, sempre di più, carcasse di grandi squali bianchi che però a differenza di altri non presentavano segni di ami o reti: quasi tutti presentavano invece uno squarcio praticamente “chirurgico” poco dietro le branchie e, a molti, mancava il fegato.
Ben presto i biologi marini indagando hanno scoperto che queste morti erano collegate alla presenza di un pod (gruppo) di orche che cacciava gli squali bianchi. Poi sono arrivati i filmati e i primi avvistamenti dal vivo a comprovare i sistemi di caccia delle orche assassine e ogni volta che si verificava una predazione per i mesi successivi i pochi squali bianchi sopravvissuti, da False Bay a Mossel Bay, abbandonavano la zona. Da allora, in Sudafrica, questi grandi predatori sono praticamente scomparsi, tanto che nel 2024 ci sono state appena una decina di osservazioni confermate.
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Le conseguenze sull’ecosistema
Nei mesi, stimano gli esperti, in quell’angolo di mondo è iniziata così quella che viene chiamata cascata trofica, il cambiamento delle catene alimentari che si verifica a cascata quando all’interno di un ecosistema viene a mancare il principale predatore. Nel giro di pochi anni le popolazioni di otarie orsine del Capo, che venivano controllate per numero attraverso le predazioni degli squali, sono aumentate a dismisura. Senza più minacce, le otarie hanno iniziato a predare i pinguini africani, considerati in pericolo critico e potenzialmente soggetti all’estinzione. Non solo: senza più squali le otarie e le foche, cresciute per numero, hanno contribuito alla diffusione di diverse malattie tra cui una epidemia di rabbia nel 2024.
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Gli effetti sulla salute degli oceani
Un’altra conseguenza della scomparsa degli squali bianchi è stato il graduale calo dei pesci, predati sia dalle otarie sia da altri squali più piccoli (come il Sharpnose sevengill shark) la cui presenza è aumentata dopo l’addio del grande bianco: per comprovarlo, i ricercatori hanno condotto indagini subacquee sia attraverso telecamere sia con esche remote.
“La perdita di questo iconico predatore al vertice ha portato a un aumento degli avvistamenti di otarie orsine del Capo e squali sevengill che a loro volta hanno coinciso con un declino delle specie da cui dipendono per il cibo” spiega Neil Hammerschlag, autore principale dello studio. “Questi cambiamenti sono in linea con le consolidate teorie ecologiche che prevedono che la rimozione di un predatore al vertice porti a effetti a cascata sulla rete alimentare marina. Senza questi predatori al vertice che regolano le popolazioni, stiamo assistendo a cambiamenti misurabili che potrebbero avere effetti a lungo termine sulla salute degli oceani” chiosa l’esperto.
Il grande predatore ha bisogno di aiuto
I risultati rimarcano l’importanza di uno sforzo globale per la conservazione degli squali: questi animali simbolici, che un tempo nell’immaginario collettivo erano motivo di timore, ora hanno davvero bisogno di aiuto. Da loro dipendono anche le nostre economie: dalla pesca al turismo sino a ciò che mangiamo, perché sono “dottori degli oceani” in grado di curare ed equilibrare biodiversità ed ecosistemi.
Come noto però, anche a causa delle nostre azioni, li stiamo perdendo: abbiamo già detto addio al 70% delle popolazioni di squali e razze negli ultimi 50 anni e più di un terzo delle specie di squali è oggi considerato a rischio estinzione. Nel frattempo però, continuiamo comunque ad ucciderli: la sovrapesca, spesso per catture accidentali, è responsabile della morte di oltre 100 milioni di squali ogni anno. LEGGI TUTTO