25 Marzo 2025

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    Venezia a rischio inondazioni estreme entro il 2150

    Uno studio ipotizza scenari critici per l’intera laguna di Venezia e il Mose, attualmente progettato per proteggere la città dalle acque alte. Secondo i ricercatori dell’Istituto nazionale di Geofica e Vulcanologia (Ingv) le dighe mobili poste alle bocche di porto potrebbero non essere più in grado di difendere la laguna dall’Adriatico. Quando? Verso la fine di questo secolo.
    È quando emerso dai dati raccolti durante uno studio multidisciplinare dal titolo “Multi-Temporal Relative Sea Level Rise Scenarios up to 2150 for the Venice Lagoon” condotto da Ingv in collaborazione con Enti italiani e stranieri, pubblicato sulla rivista scientifica Remote Sensing.

    Uno studio basato sulle ultime proiezioni climatiche dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) e i dati geodetici disponibili per stimare l’estensione delle superfici esposte all’allagamento nei prossimi decenni, a causa dell’aumento del livello marino. “Scopo dell’indagine è proprio di fornire informazioni sulla prossima evoluzione dell’innalzamento del livello del mare nella laguna di Venezia per comprendere come possa influenzare una delle città più iconiche al mondo”, spiega Marco Anzidei, primo autore della ricerca condotta con Cristiano Tolomei, entrambi ricercatori Ingv. E i risultati sono stati scioccanti.

    Acqua alta in piazza San Marco  LEGGI TUTTO

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    Il cestino intelligente che differenzia i rifiuti automaticamente

    “Noi siamo una startup atipica: siamo partiti semplicemente da un bisogno. Avevo notato quanto si lamentassero tutti della raccolta differenziata e quanto quest’ultima sia diventata importante per le aziende che redigono il bilancio di sostenibilità. E così abbiamo messo insieme robotica, intelligenza artificiale e un approccio polivalente”, spiega Nicolas Lorenzo Zeoli, fondatore di Ganiga. La soluzione del primo team – appunto Gabriel, Nicola e Gabriele – puntava a rivoluzionare la gestione dei rifiuti creando un nuovo ecosistema tecnologico. Qualcosa che poi ha iniziato a prendere la forma di un cestino intelligente, con supporto alla localizzazione e capace di accogliere ogni tipo di rifiuto, nonché differenziare automaticamente. Insomma, una risposta al problema del conferimento corretto: ad esempio il Tetra Pak va nella carta, nella plastica o nell’indifferenziato? “Sembra banale ma i comuni hanno regole diverse perché tutto dipende dai singoli gestori ambientali. E anche questo è un tema chiave”, aggiunge Zeoli.

    Ufficiosamente la startup è nata a Bientina nel 2021. Una terra tra Lucchesia e Valdarno, dove convivono imprese di ogni settore: dall’alimentare, al pellame e all’energetico. In questi quattro anni c’è stata una rivoluzione nel team e una evoluzione nei progetti. “Ma non ho mai tradito la mia passione per l’invenzione e la robotica. E a metà 2022 ho lasciato il posto fisso in un’azienda che fa robot per il packaging per compiere il salto. Il primo vero prodotto è stato acquistato già da più di cento aziende, fra cui Google, Autogrill e Aeroporto di Bologna. Si chiama Hoooly! Indoor”. LEGGI TUTTO

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    Lavori green, la stilista: “Progettare abiti sostenibili richiede nuove competenze”

    Stilista, imprenditrice, attivista, ma soprattutto ambasciatrice della moda sostenibile nel mondo. Difficile definire con una sola parola Marina Spadafora, che oltre ad essere una designer è la coordinatrice nazionale di Fashion Revolution, il movimento globale che ha come obiettivo quello di rendere l’industria della moda “trasparente e che metta al centro la persona”. Nata a Bolzano, 66 anni, la sua è una vita “mai ferma”. Studi tra Italia e Stati Uniti, carriera nei brand del lusso da Ferragamo a Prada, l’inaugurazione di una propria collezione, l’apertura di boutique monomarca con il suo nome a Milano e Firenze. Viaggi, incontri, progetti, sfilate.

    Poi improvvisamente, all’inizio degli anni Duemila, la svolta. Ha mollato tutto, per dedicarsi completamente alla moda eticamente sostenibile sia dal punto di vista ambientale che sociale. Così oggi racconta la sua scelta: “Cercavo la mia strada, volevo trovare qualcosa che mi aiutasse a stare meglio, che abbracciasse la mia passione per la natura, la giustizia, i diritti dell’uomo. Che combaciasse con i miei interessi e i miei valori: la moda sostenibile lo è assolutamente. Volevo fare qualcosa che mi assomigliasse di più e che fosse al servizio di principi più alti che non quelli del mercato del fashion. Per rendere il mondo un posto migliore”. Essersi lasciata alle spalle una carriera consolidata nel mondo del fashion, sentendola parlare sembra sia stata per lei la cosa più semplice del mondo. “Solo quando ho deciso di disegnare abiti rispettando l’ambiente, solo in quel momento lavoro e passione si sono unite veramente”. Così ha lasciato i brand di lusso e ha messo la sua esperienza a disposizone di Altro Mercato, l’organizzazione del commercio equosolidale. Non solo, oggi è anche la direttrice creativa di una ong calabrese attiva contro la ‘ndrangheta per la quale ha realizzato “Cangiari”, il primo marchio di moda etica di fascia alta in Italia.Non è un caso dunque che il titolo scelto per il suo libro sia “La rivoluzione comincia dal tuo armadio” (edizioni Solferino), che poi, spiega, è anche la sua filosofia di vita. “Sì, perché è come decidiamo di investire i nostri soldi a finanziare chi inquina e chi no. Comprare un abito non è mai un gesto neutrale, ma è un atto poliico – spiega Spadafora – perché il tessile è tra i settori più responsabili dell’impatto ambientale. L’arrivo del fenomeno del fast-fashion, insostenibile per definizione, e tutte le sue conseguenze su vaste aree del pianeta, la bulimia dei consumi, i marchi low cost. Quando scegliamo un capo di abbigliamento bisognerebbe chiedersi sempre: ‘di cosa è fatta questa maglietta?’, ‘chi ha cucito i vestiti che sto per indossare?’”. Non si può non essere d’accordo quando diciamo che il futuro della moda può essere solo la sostenibilità”. Secondo la stilista e attivista lo hanno capito bene i giovani designer che vogliono intraprendere la carriera nel mondo del fashion oltre ai consumatori più consapevoli della crisi climatica che preferiscono brand green. “C’è una vasta gamma di opportunità di lavoro nel settore della moda sostenibile”, spiega Spadafora che al Naba insegna come diventare un sustainable fashion designer.

    Ed è così che di fronte alla crisi ambientale e al fatto che l’industria della moda è una delle più inquinanti, diverse aziende hanno preso coscienza orientando le loro pratiche verso la sostenibilità, dando vita a nuove opportunità di lavoro e carriera. “Grazie alle nuove tendenze che riguardano la riparabilità, durabilità, second life, il passaporto digitale di un capo di abbigliamento, la sostenibilità è entrata nel mondo della moda dalla porta principale. Non solo. I brand, tutti, sono stati costretti grazie alla normativa europea che impatta anche sull’aspetto finanziario delle aziende, a ripettare i principi dell’economia circolare. Che in questo settore si traducono essenzialmente in due fattori: puntare su prodotti che durino più a lungo o utilizzare materiale riciclato. Oltre a sviluppare l’uso di tecnologie che facilitino processi produttivi sostenibili”. Ecco così che le aziende sono alla ricerca non solo di creativi, ma anche di tecnici specializzati in sostenbilità come ingegneri, chimici o bioingegneri per la progettazione di nuovi tessuti e materiali; ricercatori ambientale; responsabili di risorse umane, ruolo che incorpora pratiche di diversità e inclusione e sicurezza dei lavoratori; esperti di marketing per lo sviluppo di progetti etici; consulenti in materia di sostenibilità. Ma sono solo alcune. Le scuole? Tutti gli istituti pubblici e privati prevedono corsi sulla sostenibilità, così lo IED di Milano, lo IAAD di Torino, lo IUAv di Venezia, l’Accademia a Firenze, la Sapienza di Roma, lo IUAD a Napoli. LEGGI TUTTO