17 Febbraio 2025

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    Coltivazione della barbabietola: quando e come piantare, cura e consigli

    Appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae, la barbabietola è originaria dell’Europa meridionale e dell’Asia occidentale. Apprezzata per la sua enorme versatilità, questa pianta erbacea è coltivata principalmente per le sue radici commestibili, ma anche le foglie possono essere consumate come verdura a foglia. Gode di numerosissime varietà, tra cui la barbabietola rossa (la più gettonata), quella d’oro e quella da zucchero. Coltivarla è semplice, specialmente perché riesce ad adattarsi a diverse condizioni climatiche.

    Quando e come seminare la barbabietola
    La barbabietola è una pianta rustica che cresce bene sia in primavera, sia in autunno, a seconda del clima. In generale, in primavera la semina può iniziare quando il terreno raggiunge una temperatura di almeno 10 gradi, generalmente tra marzo e aprile nelle regioni temperate. Viene da sé che piantare in primavera garantisce un raccolto estivo. Si può coltivare anche in autunno, nelle aree dove gli inverni sono più miti.

    Il periodo migliore dipenderà sempre dalla zona climatica: verificare le condizioni locali servirà a evitare danni causati da gelate o da temperature troppo elevate.

    Sul “come” coltivare la barbabietola, invece, ci sono alcuni piccoli passaggi da seguire per ottenere un ottimo risultato e per favorire una crescita ottimale. Prima di questi, però, è bene distinguere le destinazioni della pianta: in vaso o in terra?

    Coltivazione della barbabietola in vaso
    Per coltivare la barbabietola in vaso, il primo passo da compiere è scegliere il vaso. In questo caso si dovrà optare per un vaso profondo, largo almeno 30 cm e con fori di drenaggio, fondamentali per la salute della pianta. Il terreno dovrà essere fertile e ben drenante, diversamente si dovrà preparare un mix di terra e compost. Fatto questo, si dovrà passare alla semina: i semi di barbabietola possono essere posizionati direttamente in vaso o, eventualmente, iniziare la semina in semenzaio e poi trapiantarli quando hanno raggiunto una certa dimensione. Per seminare si dovranno scavare dei buchi di circa 2-3 cm e piantare i semi a una distanza di circa 10-15 cm l’uno dall’altro. Eseguito anche questo step, occorrerà coprire i semi con il terreno restante e compattare leggermente il tutto.

    Coltivazione della barbabietola in terra
    Coltivare la barbabietola in terra non è poi così diverso dalla coltivazione in vaso. Anche in questo caso, infatti, il terreno dovrà essere fertile e ben drenante, mentre se troppo argilloso, avrà bisogno dell’aggiunta di sabbia per migliorare il drenaggio, essenziale per la buona crescita della pianta. La semina sarà semplicissima: vi basterà seminare i semi di barbabietola direttamente in terra a partire dalla stagione primaverile, e coprirli con il terreno restante, compattando il tutto in modo uniforme.

    L’esposizione della barbabietola: la soluzione migliore
    La barbabietola ama la luce e da amante di quest’ultima ha bisogno di almeno 6 ore di esposizione solare al giorno. Per questo motivo, infatti, l’ideale sarebbe esporla (sia che si tratti di coltivazione in vaso, sia che si tratti di coltivazione in terra) in un luogo soleggiato e riparato dal vento.

    Barbabietola: irrigazione e concimazione
    Anche l’irrigazione non richiede troppe attenzioni. La barbabietola ha bisogno di un terreno umido e ben drenato; quindi, è bene annaffiare il terreno in modo profondo, ricordandosi di non bagnare le foglie. Per quanto riguarda la concimazione, invece, sarebbe utile concimare le piante ogni 2 o 3 settimane nella fase di crescita, ricordandosi di utilizzare un prodotto completo e ricco di sostanze nutrienti. Per

    Cura della barbabietola
    Prendersi cura della barbabietola non richiede eccessivi sforzi, ma un’attenta osservazione della pianta e della sua salute. Ad esempio, appurato che per stare bene e crescere altrettanto bene debba essere costantemente umida (ciò eviterà che le radici diventino dure e fibrose), bisognerebbe:

    mantenere il terreno umido, ma non eccessivamente bagnato;
    aumentare la frequenza di irrigazione durante i periodi di siccità;
    procedere con l’uso della pacciamatura per aiutare a conservare l’umidità e a ridurre la crescita delle erbacce.

    Barbabietola: protezione dai parassiti e malattie
    Tra i problemi più comuni che possono colpire la barbabietola ci sono gli afidi, il marciume radicale, l’altica e lo oidio. Gli afidi si nutrono della linfa delle foglie e per trattarli si deve utilizzarle o un sapone insetticida o l’olio di neem, mentre l’altica, piccolo insetto causa di fori nelle foglie, per essere “sconfitto” ha bisogno di trappole adesive o coperture protettive. Infine, per sconfiggere l’oidio, malattia fungina che provoca una patina bianca sulle foglie, è necessario rimuovere quelle infette e usare fungicidi specifici.

    Consigli su come coltivare la barbabietola
    La barbabietola si raccoglie generalmente dopo un paio di mesi dalla semina, quando le radici raggiungono un diametro di circa 5-10 cm. Se lasciate troppo a lungo nel terreno, questa pianta erbacea rischia di diventare legnosa. Per raccoglierla vi basterà allentare il terreno intorno alla radice con una forca ed estrarre la pianta tirandola in modo delicato. Per conservarla, invece, si dovranno tagliare le foglie a circa 2 cm dalla radice e conservare le radici in un luogo fresco e asciutto, come una cantina o un frigorifero, per diverse settimane.

    Rotazione delle colture e utilizzo delle foglie
    Non piantare la barbabietola nello stesso punto per due anni consecutivi per prevenire l’accumulo di malattie e parassiti specifici del terreno. Sarebbe meglio alternarla con colture di legumi o altre piante a radice non commestibile. Anche le foglie di barbabietola sono commestibili: ricche di vitamine e sostanze nutrienti, possono essere utilizzate in insalate o saltate in padella! LEGGI TUTTO

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    Le siepi aumentano del 40% lo stoccaggio di anidride carbonica dal suolo

    Sempre cara ci fu questa siepe. A Leopardi risponde un gruppo di ricercatori della University of Leeds, che in uno studio appena pubblicato sulla rivista Agriculture, Ecosystems & Environment ha analizzato le dinamiche della cattura e dell’immagazzinamento della CO2 da parte di siepi e prati in diverse località inglesi – Yorkshire, Cumbria e West Sussex – scoprendo che le prime sono molto più efficaci dei secondi in termine di stoccaggio di gas climalteranti. Per la precisione, gli scienziati hanno mostrato che il suolo sotto le siepi cattura, in media, 40 tonnellate di anidride carbonica in più per ettaro rispetto ai prati, indipendentemente dalla composizione del suolo e dal clima.

    Viva le siepi
    Le siepi sono un elemento fondamentale per il benessere degli ecosistemi. Oltre a fungere da “ponte” tra diversi habitat vitali nei terreni agricoli, forniscono rifugio e cibo a piante, animali selvatici e bestiame. E, come se non bastasse, sequestrano anidride carbonica dall’atmosfera, riducendo quindi il peso netto delle emissioni sui cambiamenti climatici. “Negli ultimi anni”, ha spiegato Sofia Biffi, ricercatrice in ecosistemi agricoli e prima autrice del lavoro, “abbiamo assistito a un impegno degli agricoltori nella piantagione di nuove siepi. Evidentemente si rendono conto della differenza che possono fare in termini di biodiversità nelle loro fattorie: vedono più uccelli, pipistrelli e impollinatori. Ora sanno anche che stanno facendo la loro parte nell’immagazzinare più carbonio nel terreno”.

    Tutorial

    Piante da siepi, le migliori sempreverdi

    21 Ottobre 2024

    Difatti, il governo inglese ha incoraggiato da tempo la piantagione di nuove siepi, annunciando l’obiettivo di arrivare a quasi 73mila chilometri di siepi entro il 2050 come strumento di mitigazione dei cambiamenti climatici.

    In Italia una pubblicazione Ispra del 2010 sottolineava che “nelle aree agricole più o meno intensive, la conservazione, la gestione, il ripristino o l’impianto ex-novo di strutture arboreo-arbustive (cioè siepi, ndr) rappresenta uno degli interventi di maggior valenza ambientale e faunistica, in quanto consentono di diversificare nel modo più significativo l’ambiente agrario attraverso la stabile presenza di micro-habitat semi-naturali poco disturbati”. Lo studio appena pubblicato rinforza queste posizioni: “Siamo molto felici di condividere i risultati del nostro lavoro”, continua Biffi, “perché mostrano come piantare siepi può avere un impatto positivo sulla salute del suolo e sullo stoccaggio dell’anidride carbonica nel suolo in tutto il paese”.

    Vale dappertutto
    Uno degli aspetti più interessanti dei risultati dello studio appena pubblicato, spiegano ancora gli autori del lavoro, è che si applicano a tutti i tipi di suolo, indipendentemente dalla composizione e dal clima. Le località analizzate nello studio, infatti, sono state scelte proprio in modo da rappresentare un campione eterogeneo di condizioni climatiche, precipitazioni, temperature e tipo di terreno. In tutti i casi si tratta di pascoli per l’allevamento intensivo circondati da siepi: i ricercatori hanno carotato il suolo a intervalli di 10 centimetri, spingendosi fino a 50 centimetri sottoterra, e hanno poi confrontato i livelli di carbonio, azoto, pH e umidità.

    L’analisi ha mostrato, per l’appunto, che le siepi immagazzinano fino al 40% di carbonio in più grazie alle foglie cadute, alle radici e ad altre sostanze organiche incorporate nel terreno sottostante; nelle siepi più vecchie, inoltre, il fenomeno è più pronunciato che non nelle siepi più giovani. Esiste, inoltre, una “saturazione”, cioè un livello massimo di carbonio catturabile da ciascuna siepe: ed è per questo, concludono gli scienziati, che bisogna prendersi cura di quelle esistenti e piantarne di nuove. LEGGI TUTTO

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    I numeri ingannevoli dell’industria automotive

    Alla fine del 2024 i miliardi erano 15. Ora sono 16 (e per qualcuno nel governo italiano persino 17). Parliamo di euro, delle somme che le case automobilistiche paventano di dover pagare per le multe Ue, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi 2025 di riduzione delle emissioni di CO2.

    La breve storia della mobilità elettrica, in Europa, è complessivamente positiva e mostra trend di crescita, dal 2019 a oggi, semplicemente impressionanti. Eppure, uno dopo l’altro, i carmaker hanno rilasciato, in questi mesi, dichiarazioni esagerate sulla “crisi” e sulle potenziali multe, incolpando tutti di non fare abbastanza.

    Quanto avviene oggi è la ripetizione esatta di quanto già avvenuto nel 2019, alla vigilia del primo obiettivo Ue di riduzione delle emissioni per l’automotive. L’anno successivo, però, quell’obiettivo fu raggiunto da tutte le case auto. Più recentemente, nel 2024, nel Regno Unito, i carmaker hanno insistentemente protestato di non poter rispettare i target di decarbonizzazione; ma ce l’hanno fatta tutti, nessuno escluso. Lamentarsi salvo poi arrivare al traguardo sembra essere la strategia preferita dell’industria dell’auto. Cosa c’è di falso o fuorviante nei suoi allarmi?

    In primo luogo, fare previsioni sulla possibilità di rispettare gli imminenti target sulla base dei dati di mercato del 2024 – un anno in cui le case auto non hanno avuto alcun incentivo a massimizzare le loro vendite di zero emission – è almeno ingannevole. I carmaker hanno programmato la loro strategia commerciale puntando soprattutto alla conformità ai target del 2025: per questo una dozzina di modelli full electric con prezzi accessibili, prodotti in Europa, stanno arrivando nei concessionari solo ora. E già i dati di gennaio dicono che sia la produzione che le vendite di auto elettriche (BEV) sono in aumento nella maggior parte dei mercati. Questo porta alla seconda questione: la domanda.

    Per conquistare il mercato di massa occorrono modelli di massa, largamente accessibili in termini di costo. Che stanno appunto arrivando, e arriveranno sempre più. T&E prevede che nel 2025 il market share delle BEV, nell’UR, raggiungerà il 20-24%. Considerando le flessibilità garantite dal regolamento ai costruttori, T&E si aspetta che le case automobilistiche riescano a raggiungere gli obiettivi o che, nel peggiore dei casi, paghino multe minime.

    Se sul versante della regolazione della domanda ci sono molte iniziative utili da prendere (una norma per accelerare la decarbonizzazione delle flotte aziendali; o l’utilizzo dei proventi dai dazi sul made in China e dei fondi post Covid non spesi per incentivi stabili), purtroppo la vera crisi si sta verificando sul versante della produzione di batterie. Molti progetti europei mostrano gravi difficoltà di crescita o stanno fallendo del tutto.

    Sia chiaro: non c’è un problema di disponibilità di sistemi di accumulo rispetto agli obiettivi climatici dell’UE. La sola Cina, già oggi, produce più celle per batterie di quante ne possa assorbire l’intera domanda globale. Ma le tensioni commerciali, geopolitiche e le preoccupazioni relative alla sicurezza devono spingerci a sviluppare un’industria del greentech autonoma, con competenze e capacità proprie.

    L’imminente Piano per l’industria automobilistica della Commissione dovrebbe concentrarsi su una strategia globale per le catene di fornitura delle batterie, prevedendo un’indagine sui sussidi potenzialmente iniqui alla produzione cinese, nonché criteri di resilienza per la concessione di aiuti di Stato e norme vincolanti sull’impronta di carbonio delle batterie. Sono anche necessarie regole chiare sugli investimenti diretti esteri nei nostri Paesi, per garantire che l’insediamento della produzione asiatica in Europa comporti un pieno trasferimento di tecnologia e competenze.

    Un piano dell’Ue che mantenga gli obiettivi di decarbonizzazione e che agisca per sostenere domanda e produzione domestiche può trasformare il 2025 in un anno storico per le nuove tecnologie, per l’industria, per i consumatori. A patto di non cedere a lamentazioni tanto veementi quanto ingannevoli.

    (Andrea Boraschi è Direttore di Transport & Environment – T&E) LEGGI TUTTO

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    Scuola, da rifare il concorso Pnrr per docenti di laboratorio in 5 regioni: “Violato l’anonimato”

    ROMA – Concorso annullato e prove da rifare per i docenti di laboratorio nelle scuole secondarie di Abruzzo, Emilia Romagna, Marche, Puglia e Umbria. Lo ha deciso il Tar di Ancona, accogliendo il ricorso di un gruppo di concorrenti. Secondo il tribunale è stato violato l’anonimato durante la prova pratica: ad alcune centinaia di candidati ammessi alla prova per la disciplina A022, materie tecnico-pratiche, era stato chiesto di apporre nome e cognome sui fogli usati per la soluzione dei quesiti.
    Il concorso ordinario Pnrr, bandito a livello nazionale per assumere 18.232 insegnanti, è stato strutturato a livello interregionale e le procedure per le cinque regioni succitate sono state gestite dall’Ufficio scolastico regionale delle Marche, che ha nominato la commissione d’esame. Le prove si sono svolte a maggio scorso a Porto Sant’Elpidio.

    Grembiule a scuola, docenti divisi: “E’ scomodo”, “No, aiuta a combattere le differenze sociali”

    Salvo Intravaia

    04 Febbraio 2025

    Il Tar: violato il principio di anonimato
    Nello scegliere il tipo di prove, la commissione ha deciso di far svolgere quella pratica ai candidati della classe A022 (“Laboratori di tecnologie e tecniche delle comunicazioni multimediali”) in forma scritta e in quel caso – ha rilevato il Tar – non c’era motivo per non osservare il principio di anonimato.
    “Quando una prova pratica viene strutturata in forma scritta – ha commentato l’avvocato dei ricorrenti – occorre rispettare la regola generale del suo svolgimento in forma anonima, non essendoci alcun valido motivo per cui chi corregge la prova debba conoscere il nome del suo autore, così da mettere a rischio la credibilità e la trasparenza del concorso”.
    Il Tar ha applicato questo principio giurisprudenziale, rilevando che si trattava di una prova pratica, da portare a termine in un tempo massimo di otto ore e consistente nella redazione di una dimostrazione tecnica per gli studenti di un istituto tecnico o professionale, quindi non era “ipotizzabile che l’espletamento della stessa nell’arco delle otto ore concesse potesse avvenire alla presenza della commissione”.
    Ora il ministero dell’Istruzione dovrà far ripetere la prova pratica ai 174 candidati che hanno superato la prova, poi, ripetere anche le prove orali e approvare una nuova graduatoria di vincitori, valida a partire dal prossimo anno scolastico.
    La nota del ministero: nessuna ripercussione sulle immissioni in ruolo già effettuate
    “Il concorso interessato dalla sentenza del Tar delle Marche si riferisce a una classe di concorso per insegnante tecnico pratico (A022) gestito dall’Ufficio scolastico regionale delle Marche per un totale di 60 posti”, si legge in un comunicato del ministero dell’Istruzione. “I candidati che hanno superato la prova scritta sono stati 174 e al 13/2 risultano a fascicolo 50 assunzioni in ruolo. Il Tar ha stabilito nella sentenza che dovrà essere ripetuta la prova pratica in quanto sarebbe stata violata la regola dell’anonimato. Pertanto, il rifacimento della prova pratica e dell’orale interesserà i 174 candidati che hanno superato la prova scritta, senza alcuna ripercussione sulle immissioni in ruolo già effettuate per l’anno scolastico 2024/2025 e sul complesso delle procedure Pnrr”.
    Gli esponenti del Movimento Cinque Stelle in Commissione Cultura scrivono: “La decisione del Tar, che ha annullato la selezione per i docenti di laboratorio nelle scuole secondarie in Abruzzo, Emilia Romagna, Marche, Puglia e Umbria getta nel caos centinaia di insegnanti, mettendo a rischio il regolare avvio del prossimo anno scolastico. Chi pagherà per questo disastro? Chiediamo a Giuseppe Valditara di venire in commissione e fare immediata chiarezza, individuando le responsabilità di questa situazione inaccettabile. Il ministero deve intervenire con soluzioni rapide ed efficaci per garantire che le scuole non restino senza docenti di laboratorio. Non possiamo permetterci ritardi. Nessuna scusa, nessun rinvio: il problema va risolto subito, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico”.
    Vito Carlo Castellana, segretario Gilda, conferma che la questione riguarderà un migliaio di docenti: “La verità è che non si riescono a fare questi concorsi”, dice, “ ci sono pochi commissari, poche risorse, non esistono più gli esoneri dall’insegnamento. Le commissioni a risparmio non funzionano”.
    Sui concorsi Pnrr della scuola, finanziati con i soldi europei, si era già alzata la polemica poiché i loro vincitori saranno assunti prima dei prescelti attraverso i bandi ordinari. LEGGI TUTTO

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    Londra-NY in meno di 3 ore, ma il jet supersonico consuma fino a 7 volte di più

    Mentre il mondo tenta di invertire la rotta, inseguendo obiettivi a ridotto impatto ambientale, per decarbonizzare il settore dei trasporti, (tra i più inquinanti), c’è invece chi insegue un’altra strada. Facendo un salto supersonico in avanti, ma di fatto tornando indietro nel tempo, soprattutto negli obiettivi collettivi. Parliamo di Boom Supersonic, l’azienda americana che ha costruito il velivolo XB-1, che ha superato per 3 volte consecutive la barriera del suono, nell’ultimo volo di 40 minuti sul deserto californiano, e che anticipa la prossima linea di aerei supersonici commerciali.

    Con una velocità di 1.18 Mach, l’aereo ha superato i 1.300 km/h, stabilendo un nuovo traguardo per un velivolo non militare, che sarà il modello prototipale di Overture, un jet in grado di trasportare tra i 65 e gli 80 passeggeri, che raccoglie la triste eredità del Concorde, l’aereo che dopo il devastante incidente del luglio del 2000, (113 le vittime) finì la sua era nel 2003. Troppo cari i biglietti, troppa la quantità di carburante necessaria per raggiungere quelle velocità, costi appannaggio solamente di clienti facoltosi, che volevano raggiungere le due sponde dell’Atlantico – Stati Uniti ed Europa – in meno di 3 ore di volo. LEGGI TUTTO