5 Gennaio 2025

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    Le ondate di calore (e il meteo estremo) fanno crescere il food delivery

    Che tempo fa? Ci poniamo, chi più chi meno, questa domanda di continuo per pianificare i nostri weekend, le passeggiate al mare, la corsa al parco o semplicemente l’uscita a pranzo o a cena. Perché il bello e il cattivo tempo influenzano anche la nostra propensione a uscire, è fuor di dubbio. C’è chi ha analizzato le nostre scelte in materia, osservando come, in particolare, quando fa tanto caldo aumenta la richiesta di cibo da asporto. Al punto che questo trend nel food delivery dovrebbe essere annoverato tra i fattori influenzati da ondate di calore e cambiamenti climatici.

    A renderlo noto è un lavoro scientifico pubblicato sulle pagine di Nature cities che ha messo in correlazione le richieste di food delivery con le temperature di un centinaio di città cinesi tra il 2017 e il 2023. I risultati, come anticipato, mostrano che più fa caldo, più aumentano le richieste di cibo d’asporto, con crescite di oltre il 20% quando ci si avvicina ai 40°C, soprattutto a pranzo. Dietro questa impennata, spiegano gli autori sparsi tra Regno Unito e Cina, ci sono alcune categorie di persone soprattutto: donne, anziani e benestanti.

    Clima

    Ondate di calore, siccità, incendi e alluvioni: perché è colpa del cambiamento climatico

    di  Pasquale Raicaldo

    15 Novembre 2024

    Quanto osservato è un dato che ha implicazioni sotto diversi punti di vista. Oltre a ricordarci che gli effetti dei cambiamenti climatici possono modificare anche diversi aspetti della nostra vita, mette in luce ancora una volta le contraddizioni e le criticità che circondano i lavoratori del settore. Le immagini dei rider sotto l’alluvione di ottobre sono storia recente. Le uscite con le temperature sotto zero o, di contro, schizzate intorno ai 40°C, sono l’altra faccia del problema. Se infatti, grazie al food delivery, c’è chi può permettersi di non uscire, e quindi di evitare di esporsi al disagio e ai rischi del caldo, spiega Pan He dalla Cardiff University, tra gli autori del paper, c’è chi non ha molta scelta. “Una parte considerevole del rischio di esposizione al calore viene trasferita ai corrieri, evidenziando una notevole disuguaglianza sociale in queste pratiche”.

    Lo studio su Nature Cities diventa così un nuovo appello a considerare le condizioni in cui operano i rider, con un chiaro invito da parte degli autori ai decisori politici affinché prendano misure a sostegno di questa classe dei lavoratori, anche per proteggerli dagli effetti delle ondate di calore. Le soluzioni proposte dai ricercatori sono diverse: indennità, assicurazioni sanitarie ad hoc, formazione mirata per identificare e mitigare i rischi, ma anche aree di sosta refrigerata, o ancora droni e veicoli a guida autonoma.

    Il report

    Cambiamenti climatici: mai così forte l’impatto sulla salute globale

    di  Simone Valesini

    30 Ottobre 2024

    D’aiuto sarebbe di certo anche una maggiore consapevolezza e comprensione da parte degli utenti stessi, come auspicato dai lavoratori stessi. E non solo per risparmiare loro condizioni meteo estreme e pericolose. Affidarsi sempre di più al food delivery rischia di essere un boomerang per l’ambiente anche per i rischi legati all’inquinamento degli imballaggi dei cibi, concludono gli autori. LEGGI TUTTO

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    La mappa dei cetacei nel Mediterraneo la disegnano i ricercatori in “crociera”

    Sulle rotte dei cetacei. Osservati da un team di ricercatori a bordo dei traghetti delle grandi compagnie di linea nelle aree off-shore del Mediterraneo. Per una mappa della biodiversità che promette di restituire risposte alle domande più attuali: il delfino comune è ancora a rischio? E dove si spostano grampi, zifi e globicefali? Alla fine del terzo anno del progetto europeo Life Conceptu Maris, dedicato alla conservazione di cetacei e tartarughe nel Mar Mediterraneo, c’è una mole di dati – seimila osservazioni totali – che attende di essere interpretata. “Ma abbiamo già dei primi, significativi riscontri”, spiega a Green&Blue Antonella Arcangeli, coordinatrice del progetto, ricercatrice di Ispra, capofila della ricerca che coinvolge una serie di enti e istituti di ricerca di Italia, Francia e Spagna. Si è delineata, per esempio, l’importanza di alcune aree chiave per i cetacei, osservati con maggiore frequenza e intensità: sono il Santuario Pelagos, tra Corsica e Liguria, il Tirreno centrale, il Mediterraneo del Nord Ovest, di fronte alla costa francese, il Corridoio Spagnolo di Migrazione dei Cetacei, stretto tra le Isole Baleari e la costa spagnola, e il Mare di Alboran con lo Stretto di Gibilterra, compreso tra la Spagna e il Marocco.

    Tursiopi e stenelle, che boom
    Tursiope e stenella striata sono le specie più diffuse e osservate, nel Mediterraneo occidentale – lungo la costa spagnola – c’è la roccaforte del delfino comune; nel Santuario Pelagos concentrazioni significative di balenottera comune, osservata in 1100 occasioni (su un totale di 4000 osservazioni di cetacei). Meno frequente l’altro gigante del Mediterraneo, il capodoglio (95 osservazioni): numeri che tuttavia trovano risposta nell’etologia del cetaceo, meno “avvistabile” in superficie a causa della lunga durata delle sue immersioni, anche più di un’ora. “Abbiamo un numero di dati rilevante, e per la prima volta in modo così sistematico si inizia a colmare il gap di conoscenza sui cetacei in ambiente pelagico. – annota Arcangeli – E la conoscenza è un tassello fondamentale per promuoverne la conservazione”. Molti, ancora, gli enigmi da chiarire. “Perché molte specie compiono migrazioni non prevedibili, interrogarsi sui motivi della loro dispersione e concentrazione è utile a comprendere se alla base di alcune rarefazioni c’è l’uomo”, aggiunge la ricercatrice.

    Biodiversità

    Mappato il rischio di collisione tra balene e navi negli oceani

    di redazione Green&Blue

    22 Novembre 2024

    Se il globicefalo prende il largo
    C’è ad esempio il caso di grampi, zifi e globicefali, questi ultimi osservati in buon numero nel Santuario Pelagos e, in parte, lungo le coste francesi e spagnole: “Secondo la letteratura scientifica, tutte e tre le specie in questione prediligono i canyon sottomarini o le cosiddette scarpate, mentre invece stiamo registrando uno spostamento verso aree più pelagiche, più a largo”. Si allontanano dalle coste, insomma. Già, ma perché? “Abbiamo diverse ipotesi. – spiega la cetologa – Potrebbe essere una risposta al disturbo antropico (il diportismo in crescita, per esempio, ndr), ma anche l’evidenza di cambiamenti negli ecosistemi, legati per esempio al cambiamento climatico”. Per diradare i dubbi potrebbe essere così decisiva l’attività prevista nell’ultimo anno del progetto, il 2025, quando arriveranno i riscontri del Dna ambientale: “Già, per la prima volta le osservazioni visive saranno integrate con i dati che otterremo grazie alle nuove tecniche genomiche, il Next Generation Sequencing, che ci consentono di rilevare contemporaneamente la presenza di più specie di vertebrati che abitano gli ecosistemi, a partire dalle sole matrici ambientali. – spiega la coordinatrice del progetto – Avremo un quadro complessivo, che ci aiuterà a leggere anche ciò che accade di notte, quando non possiamo osservare cetacei”.

    Biodiversità

    Le balene scambiano i rifiuti di plastica per calamari. Una drammatica somiglianza

    di  Paolo Travisi

    29 Ottobre 2024

    Le tartarughe marine vanno verso Nord
    Bisognerà dunque attendere per avere nuove risposte. Ma non mancano alcune evidenze. La più nitida riguarda le tartarughe marine, Caretta caretta in primis: com’è noto, negli ultimi anni hanno conosciuto un incremento costante delle nidificazioni lungo le coste sabbiose italiane. E gli ultimi dati raccolti dal progetto Life Conceptu Maris, con più di 2000 segnalazioni in tre anni, aiutano a comprendere meglio distribuzione e spostamenti, tendenzialmente verso nord a causa del riscaldamento delle acque superficiali. Con un hostpot di riferimento individuato in mare aperto nel Tirreno Meridionale, attorno al vulcano sottomarino Marsili, 450 metri sotto il livello del mare. Qui, a quanto pare, le correnti circolari creano zone di convergenza, favorendo la concentrazione dei nutrienti. “Ecco perché – spiega Arcangeli – il numero di individui adulti in queste aree è sorprendentemente alto ed i monitoraggi, condotti nel corso di tutte le stagioni, hanno consentito di acquisire le prime informazioni sulla localizzazione delle aree di accoppiamento della Caretta caretta in mare aperto”.

    Un decalogo per gli ufficiali di comando: così si salvano i cetacei
    L’idea di sfruttare i traghetti commerciali come vere e proprie navi da ricerca è stata determinante. Il team sale a bordo delle compagnie Grimaldi Lines, Minoan Lines, Corsica&Sardinia Ferries, Tirrenia, Balearia, Grandi Navi Veloci. Ogni osservazione amplia il database e approfondisce la conoscenza della specie. E la ricerca conferma che cetacei e tartarughe marine affrontano una serie di minacce, nel Mar Mediterraneo: dalle catture accidentali della pesca industriale o artigianale, all’inquinamento marino causato dai rifiuti plastici (la cosiddetta marine litter) fino al rischio, concreto, di collisioni con le navi, particolarmente consistente lungo rotte marittime trafficate come quelle del Santuario Pelagos. Per questo, il progetto si è tradotto anche in un corso di formazione rivolto a cento ufficiali dei ponti di comando delle compagnie di navigazione coinvolte: “Abbiamo spiegato loro come una navigazione più attenta e consapevole da parte degli equipaggi aiuti a proteggere cetacei e tartarughe marine”, spiega la ricercatrice. LEGGI TUTTO

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    Pfas nei cinturini degli smartwatch in fluoroelastomero: meglio sceglierli in silicone

    A seconda delle società di analisi e indagini di mercato, di smartwatch se ne vendono circa 180 milioni di pezzi all’anno. Nei tanti fattori di forma, con funzionalità anche molto lontane fra i diversi modelli e con pretese, per così dire, molto varie, questi dispositivi indossabili sono diventati onnipresenti e per molti essenziali nell’accompagnamento delle proprie giornate – e anche delle notti, considerando la possibilità di monitorare tempo e qualità del riposo. Tuttavia, secondo uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology Letters, potrebbero esporci in alcuni casi ai cosiddetti “forever chemicals”, gli PFAS – cioè i circa 9mila composti chimici adoperati per realizzare prodotti resistenti all’acqua e ai grassi definiti “inquinanti eterni” – diffusi e presenti d’altronde in decine di categorie merceologiche. Non è certo, insomma, un discorso che riguardi la nicchia degli smartwatch.

    Parliamo soprattutto dei cinturini. Secondo l’indagine, i braccialetti più costosi realizzati in gomma sintetica fluorurata conterrebbero quantità particolarmente elevate di una sostanza chimica eterna, l’acido perfluoroesanoico (PFHxA) che è stato poi il principale indagato del lavoro firmato da Alyssa Wicks, Heather D. Whitehead e Graham F. Peaslee dell’università di Notre Dame, in Indiana. “Questa scoperta si distingue per le concentrazioni molto elevate di un tipo di sostanza chimica che rimane inalterata negli oggetti che restano a contatto prolungato con la nostra pelle” ha spiegato Peaslee, autore corrispondente dello studio. I PFAS sono stati collegati da numerose indagini al cancro e all’infertilità, oltre che a diverse altre patologie, da quelle del fegato a quelle renali passando per lo sviluppo dei feti: già dai primi stadi dello sviluppo fetale l’esposizione a queste sostanze chimiche sarebbe infatti in grado di alterare il metabolismo e di accumularsi nel fegato.

    Salute

    Pfas, dalla carta da forno all’acqua: indistruttibili e (quasi) inevitabili

    di  Pasquale Raicaldo

    07 Novembre 2024

    Il punto, insomma, sono i materiali impiegati per produrre i cinturini. Le fasce contengono fluoroelastomeri, gomme sintetiche ricavate da catene di PFAS, così da non scolorirsi e respingere al massimo la sporcizia. Sono prodotti ideali per gli allenamenti sportivi e per le attività outdoor ma – questa la tesi dell’indagine – potrebbero anche rappresentare una fonte di questi composti che finirebbero per penetrare sotto la pelle di chi le indossa.

    Le sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche sono d’altronde molto efficaci in due missioni: durare apparentemente per sempre e respingere acqua, sudore e grassi. Per questo sono sostanze che vengono sfruttate in modo trasversale in molti prodotti di consumo, dalla biancheria da letto antimacchia ai prodotti mestruali, dalle pentole fino all’abbigliamento per il fitness, tra cui smartwatch e braccialetti fitness tracker. Il problema con i PFAS non è solo nell’esposizione diretta: la loro degradazione può contaminare falde acquifere e terreni fino a entrare nella catena alimentare. L’inchiesta The Forever Pollution Project, condotta lo scorso anno da un consorzio di 18 redazioni europee, aveva non a caso individuato l’esistenza di più di 17mila siti contaminati da PFAS in tutta Europa.

    Peaslee, Wicks e Whitehead hanno esaminato diversi cinturini per orologi disponibili in commercio per la presenza di fluoro e di 20 PFAS specifici. Il team ha esaminato 22 cinturini da polso di una serie di marche e di diverse fasce di prezzo, la maggior parte dei quali appena acquistati ma alcuni indossati in precedenza. Tutti i 13 cinturini pubblicizzati come realizzati in fluoroelastomero contenevano l’elemento fluoro. Ma due dei nove cinturini che non pubblicizzavano come realizzati in fluoroelastomero contenevano in realtà anch’essi fluoro, il che indica la potenziale presenza di PFAS.

    Ambiente e salute

    Basta bottiglie di plastica, inquinano e contengono inquinanti

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    25 Settembre 2024

    “Tra quelli testati, i braccialetti che costavano più di 30 dollari contenevano più fluoro di quelli sotto i 15 – ha commentato Phys.com riportando l’indagine – successivamente, dopo un’estrazione chimica, tutti i braccialetti sono stati controllati per 20 diversi PFAS. PFHxA è risultato essere il più comune, presente in nove dei 22 braccialetti testati. La concentrazione mediana di PFHxA è risultata essere di quasi 800 parti per miliardo (ppb) e un campione ha superato i 16.000 ppb”. Giusto per farsi un’idea, una precedente ricerca del team nel 2023 sui cosmetici aveva rilevato una concentrazione media di circa 200 ppb di PFAS.

    I ricercatori, che sottolineano come concentrazioni di Pfas superiori alle 1.000 parti per miliardo non fossero mai state osservate prima in un bene di consumo, suggeriscono che le grandi quantità di PFHxA trovate nei braccialetti potrebbero essere il risultato dell’uso del composto come tensioattivo durante il processo di produzione del fluoroelastomero da cui verrà poi confezionato il cinturino. Al momento non si sa con precisione con quanta facilità il PFHxA si trasferisca alla pelle, né si conoscono i potenziali effetti sulla salute che comporti una volta che penetri nell’organismo, sebbene Peaslee affermi che studi recenti suggeriscono come una percentuale significativa potrebbe passare attraverso la pelle umana in condizioni normali.

    Unione Europea

    Pfas, le nuove regole Ue sulle sostanze pericolose per l’ambiente e la salute

    di  Cristina Bellon

    24 Settembre 2024

    Wicks, principale autrice dello studio, dà una prima soluzione: meglio acquistare braccialetti più economici – molti se non tutti gli smartwatch consentono di sostituirli a piacimento – realizzati in silicone. “Se il consumatore desidera acquistare un braccialetto più costoso, suggeriamo di leggere le descrizioni dei prodotti ed evitare quelli elencati come contenenti fluoroelastomeri” ha spiegato. LEGGI TUTTO

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