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Attenti ai “vermi di fuoco”, in Texas l’allarme corre sul web

In Texas hanno lanciato l’allarme. Senza troppi giri di parole, come spesso accade in America. “Attenzione! I vostri peggiori incubi si stanno materializzando attraverso la forma di vermi di fuoco”, ha scritto sui social l’Harte Research Institute, un ente scientifico che, con un approccio interdisciplinare, si occupa di sostenibilità e conservazione della biodiversità nel golfo del Messico. Con potenziale effetto psicosi sui bagnanti.

Nelle foto, ecco comparire un vermocane, probabilmente una specie ‘sorella’ di quella che da qualche mese ha alimentato il dibattito anche nel Mar Mediterraneo, l’Hermodice carunculata, volgarmente – per l’appunto – verme di fuoco. L’allarme riguarda, ovviamente, la neurotossina che le sue minuscole setole bianche sono in grado di secernere, se toccate. “Negli ultimi giorni abbiamo trovato alcuni esemplari di questi policheti marini depositati su grandi tronchi trascinati a riva”, scrivono i ricercatori dell’Harte Research Institute. “I tronchi erano ricoperti di cirripedi a collo d’oca, i lepadi, probabilmente cibo potenziale per gli stessi vermi”. E del resto i vermocani – 28 specie differenti diffuse su scala globale – sono veri e propri spazzini del mare: amano nutrirsi di organismi morti, morenti o poco mobili. Sono, vale a dire, sapofaghi.

In America, Texas in primis, l’alert sembra essere diventato virale, complici i toni alti della comunicazione. “Per la verità molte cose nell’oceano sono in grado di pungerci”, prova a rassicurare Jace Tunnell, biologo marino che – presso l’Harte Research Institute – si occupa prevalentemente dei rapporti con le comunità locali: è stato lui a imbattersi accidentalmente nei vermocani. Intanto, il National Park Service ha diramato qualche istruzione a uso e consumo di bagnanti che dovessero essere punti dai vermocani: consigliato, per esempio, usare del nastro adesivo per rimuovere le setole e ammoniaca per aiutare ad alleviare il dolore.

E se i media americani sembrano aver optato per un tenore particolarmente sensazionalistico (“I bagnanti rimangano vigili di fronte alla crescente presenza di queste creature, probabilmente legata ai cambiamenti nelle correnti oceaniche, alle condizioni meteorologiche e ad altri fattori ambientali”, esorta lo “Statesman”), chi ha a quotidianamente a che fare con policheti marini, vermocani in primis, che abitano i fondali marini rocciosi dell’Atlantico, dall’Algeria alla Liberia, ma sono anche stabilmente presenti sul versante occidentale dalla costa sud-orientale degli Stati Uniti, è pronto a smorzare i toni. “Non è particolarmente sorprendente la notizia dello spiaggiamento di un tronco con crostacei sessili accompagnanti da vermocani, che amano nutristi di organismi morti o morenti, né giustifica alcun tipo di preoccupazioni nell’opinione pubblica, trattandosi di animali con i quali è difficile entrare a contatto, anche accidentalmente, e le cui punture causano al più alcune forme di eritema, certo fastidiose, ma che non creano danni permanenti”, spiega Luigi Musco, che insegna zoologia all’Università del Salento.

E gli avvistamenti di vermocani anche nei nostri mari hanno, nei mesi scorsi, riportato l’attenzione su una specie che non è considerata aliena (abita da sempre il Mar Mediterraneo) e che tuttavia, essendo termofila, sembra avvantaggiarsi del riscaldamento globale: opportunista e vorace, è uno dei vincitori (temporanei) della battaglia per la sopravvivenza del nuovo millennio. Della sua presunta esplosione demografica si lamentano così i pescatori (che lo trovano nelle nasse, pronto a cibarsi opportunisticamente del pescato) e ne sono fatalmente preoccupati i bagnanti, mentre i fotografi subacquei lo immortalano sempre di più. Alimentando l’attenzione. I ricercatori, invece, provano a quantificare gli eventuali squilibri negli ecosistemi marini (è per esempio partito il progetto “Worms Out”, ente capofila l’OGS, l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, che lavora in collaborazione con gli atenei di Catania, di Messina, di Modena e Reggio Emilia, l’Ispra e l’Area marina protetta Capo Milazzo.

“Ma nelle regioni meridionali, Sicilia, Calabria e Puglia in particolare – il vermocane c’è sempre stato – spiega ancora Musco – e bagnanti informati e pescatori ci convivono serenamente. Stiamo ora cercando di comprendere quanto consistente sia il suo spostamento verso nord, un fenomeno sul quale siamo ancora cauti. Del resto, per affermare che le sue popolazioni si stiano espandendo è necessario avere serie storiche di osservazioni che non abbiamo. Quanto alla sua pericolosità, ribadiamo che è molto relativa ed è legata a sistemi di difesa dell’organismo dalla predazione. Le sue setole, dette anche chete, iniettano una neurotossina che sarebbe termolabile: basta, qualora si entri accidentalmente a contatto con il vermocane, immergere la parte lesa nell’acqua calda per ottenere sollievo, e poi rimuovere le setole, che sembrano piccoli aghi, con delle pinzette, o del nastro adesivo”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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