17 Luglio 2024

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    Sam Altman scommette sulla cattura del carbonio

    Mineralizzare la CO2, è questo il principale obiettivo di 44.01, la startup supportata da Sam Altman il papà di ChatGPT, che impiega una tecnologia innovativa in grado di utilizzare i pozzi naturali di carbonio in tutto l’Oman e negli Emirati Arabi Uniti per trasformare le emissioni di anidride carbonica in pietra, tenendole fuori dall’atmosfera (per sempre) con un processo interamente naturale. Si tratta di una soluzione altamente innovativa per la cattura del carbonio, che potrebbe giocare un ruolo cruciale nella lotta contro il riscaldamento globale.

    La tecnologia sviluppata dall’azienda con sede in Oman inietta CO2 a un chilometro di profondità nel sottosuolo, dove reazioni chimiche con il peridotite, una roccia naturalmente fratturata, trasformano il gas in pietra attraverso un processo noto come “mineralizzazione del carbonio”. Questa tecnologia pionieristica cattura la CO2 in modo permanente, in meno di 12 mesi. Il processo è sicuro, scalabile e dura per sempre. I progetti di mineralizzazione possono essere realizzati rapidamente e in modo modulare, offrendo un’alternativa conveniente allo stoccaggio geologico convenzionale del carbonio.

    La startup, oltre ad essere supportata dal gruppo di Altman, ha appena raccolto 37 milioni di dollari in un round di finanziamento guidato da Equinor Ventures e Shorooq Partners, con la partecipazione del Climate Pledge Fund di Amazon e di Breakthrough Energy Ventures per lo sviluppo della sua tecnologia, l’internazionalizzazione e la commercializzazione del prodotto su larga scala.

    Trasformare la minaccia della CO2 in un’opportunità
    Ridurre i livelli di anidride carbonica e di altre sostanze presenti nell’atmosfera attraverso il processo interamente naturale della mineralizzazione. E’ questo l’obiettivo della startup 44.01, fondata a Muscat (in Oman) a luglio 2020 da un gruppo di ambientalisti esperti, appassionati, motivati, e determinati a fare la differenza nella lotta contro il cambiamento climatico. Non solo, l’impresa innovativa è fortemente supportata da Sam Altman attraverso il suo fondo Apollo Projects.

    L’Oman ospita la più grande formazione di peridotite al mondo e le rocce reattive come le peridotiti mineralizzano naturalmente la CO2, bloccandola per sempre e trasformandola in roccia. “Il team di 44.01 si è prefissato di rendere possibile il processo di mineralizzazione su larga scala e di proteggere il nostro Pianeta nel porre rimedio ai cambiamenti climatici”, ha dichiarato Talal Hasan, fondatore e CEO di 44.01. Questo metodo accelera un processo naturale che normalmente richiederebbe decenni, consentendo di immobilizzare la CO2 in pochi mesi. 44.01 punta a commercializzare la sua tecnologia climatica in Oman e negli Emirati Arabi Uniti, dove ha già condotto progetti pilota. Attualmente, la startup può immagazzinare circa 50-60 tonnellate di CO2 al giorno, con l’obiettivo di raggiungere le 100 tonnellate al giorno per ogni pozzo di trivellazione su scala commerciale.

    44.01, inoltre, ha stretto una partnership con Climeworks e altre aziende specializzate nella cattura del carbonio. La startup sta realizzando dei pozzi di C02 da utilizzare in loco con un modello “plug and play”. Ciò significa che le aziende possono recarsi sul posto, collegarsi, utilizzare l’energia presente e usufruirne.

    La mineralizzazione del carbonio
    l processo di mineralizzazione della CO2 è ben noto tra i geologi e gli scienziati del clima. Una pietra naturale chiamata peridotite reagisce con il gas e l’acqua per produrre calcite, un altro minerale comune e innocuo. Nella pratica, questo si è verificato su scale enormi nel corso della storia, come testimoniato da grandi strisce di calcite che perforano i depositi di peridotite. La peridotite si trova normalmente a molte miglia sotto il livello del mare. Tuttavia c’è un’eccezione, sulla punta più orientale della penisola araba, in particolare sulla costa settentrionale dell’Oman, l’azione tettonica ha sollevato centinaia di miglia quadrate di materiale in superficie. Il processo di mineralizzazione del carbonio offre un vantaggio significativo rispetto ad altri metodi di cattura della CO2, come lo stoccaggio supercritico in rocce porose, eliminando praticamente tutti i rischi di fuoriuscita di CO2. Questo approccio innovativo potrebbe essere vitale per raggiungere l’obiettivo di emissioni “Net Zero”, che richiederà la rimozione e l’immagazzinamento di miliardi di tonnellate di CO2 entro la metà del secolo.

    “La soluzione per salvare il Pianeta Terra non può arrivare solo dalle rinnovabili, ma anche da invenzioni tecnologiche e pionieristiche di questo tipo. Riteniamo che la mineralizzazione possa svolgere un ruolo significativo nella protezione e nella riparazione del nostro clima. Il nostro processo è come l’esplorazione del petrolio e del gas, ma al contrario. Invece di estrarre idrocarburi, li rimettiamo nel sottosuolo. Il che ci avvantaggia, perché possiamo utilizzare l’esperienza, le attrezzature e le infrastrutture già esistenti, offrendo nuove opportunità alle comunità di tutto il mondo che affrontano la transizione energetica”, ha precisato Talal Hasan, fondatore e CEO di 44.01.

    Candidata al Premio XPRIZE Carbon Removal (di Elon Musk)
    Dopo aver vinto nel 2022 l’Earthshot Prize per la categoria ” Fix our Climate “, la startup 44.01 a maggio di quest’anno è stata inserita tra le finaliste dei primi 20 progetti candidati al Premio XPRIZE Carbon Removal, un concorso finanziato da Elon Musk e dalla Musk Foundation con un premio di 100 milioni di dollari. Obiettivo? Affrontare la minaccia dei cambiamenti climatici e riequilibrare il ciclo del carbonio della Terra. Il concorso invita innovatori e team da qualsiasi parte del pianeta a creare soluzioni in grado di estrarre l’anidride carbonica direttamente dall’atmosfera o dagli oceani. E sequestrarla in modo duraturo e sostenibile.

    Secondo il cronoprogramma, il progetto Hajar inizierà nel quarto trimestre del 2024 e sarà il più grande progetto realizzato fino ad oggi su larga scala. Il traguardo che si è prefissato il team di 44.01 è davvero ambizioso: mineralizzare un miliardo di tonnellate di C02 entro il 2030, che è l’equivalente della rimozione di tutte le rimozioni di CO2 prodotte da viaggi aerei passeggeri e merci a livello globale, facendo un passo cruciale verso la ricostruzione di un Pianeta più sano. LEGGI TUTTO

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    Crescono le alghe tossiche nelle acque polari a causa del riscaldamento globale

    Pericolose alghe tossiche stanno fiorendo sempre più a Nord nelle regioni polari a causa del riscaldamento globale. È quanto emerge da uno studio guidato dalla Woods Hole Oceanographic Institution (Whoi) e pubblicato su Limnology and Oceanography Letters. Nel luglio 2022 una degli autori era a bordo della nave da ricerca Norseman II. Mentre la nave […] LEGGI TUTTO

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    In Canada monitorano i movimenti degli orsi, si può fare anche in Trentino?

    Proprio mentre in Trentino, dopo l’ultima aggressione dell’altro giorno, ci si interroga su come far proseguire la convivenza “pacifica” tra orsi e esseri umani, nelle regioni artiche del Canada si punta sulla tecnologia per affrontare un problema analogo: alla fine dell’estate artica, infatti, gli orsi polari si dirigono verso l’interno del Paese in attesa che […] LEGGI TUTTO

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    Nuova Zelanda, balena dai denti a spatola trovata spiaggiata: è la più rara del mondo

    Il dipartimento della conservazione neozelandese l’ha definita “una specie di balena tanto rara che quasi non se ne sa nulla” e per la prima volta la sua carcassa si è spiaggiata su un arenile, dando così modo agli scienziati di fare studi più approfonditi sul mesoplodonte di Travers (in inglese “balena dai denti a vanga”, o “a spatola”).

    Giovedì 4 luglio, il personale del Dipartimento della Conservazione (DOC) della Nuova Zelanda è stato allertato perché uno strano cetaceo di circa 5 metri di lunghezza si era spiaggiato vicino a Taiari Mouth, un piccolo villaggio di pescatori alla foce del fiume Taieri, nel sud dell’isola meridionale del Paese.

    Gli esperti del Doc hanno accertato che si tratta appunto di un maschio di Mesoplodon traversii e hanno subito affermato che “se confermata, ci troviamo di fronte a una scoperta scientifica molto significativa”. “Questo tipo di cetaceo – dichiara sul sito del DOC Gabe Davies, responsabile operativo del dipartimento per l’area costiera di Otago – è una delle specie di grandi mammiferi meno conosciute. Dal 1800, solo 6 esemplari sono stati documentati in tutto il mondo e tutti, tranne uno, provenivano dalla Nuova Zelanda. Da un punto di vista scientifico e di conservazione, è un ritrovamento straordinario”.

    Le autorità scientifiche della zona stanno ora definendo come procedere a conservare la carcassa della balena, che si presenta ancora in ottimo stato e rappresenta quindi un’occasione straordinaria per avviare una dissezione, utile a conoscere meglio la morfologia di questo rarissimo cetaceo. Secondo Davies, i dati e le informazioni che potranno essere ricavati saranno “di enorme importanza per la comunità internazionale”. La balena è stata rimossa con cura dalla spiaggia ed è attualmente conservata in una cella frigorifera per preservarne i resti, fino a quando non saranno decise le fasi successive.

    Nelle decisioni su come conservare e studiare la carcassa ha voce anche la comunità Maori, per la quale le balene in generale hanno un importante significato culturale. La presidente della rappresentanza maori, Nadia Wesley-Smith, ha infatti sottolineato che “è fondamentale garantire un adeguato rispetto per questo animale e avviare un processo condiviso di apprendimento, che tenga conto delle nostre tradizioni culturali mentre scopriamo di più su questa specie rara”. Le conoscenze tradizionali dei Maori sono inoltre utili a fornire dati su eventuali avvistamenti e conoscenze tramandate di generazione in generazione. Sono infatti le comunità indigene ad avere spesso le informazioni maggiori sulla fauna dei loro territori.

    I campioni genetici della balena sono stati inviati all’Università di Auckland per elaborare il DNA e confermare l’identificazione definitiva della specie, che è stata descritta per la prima volta nel 1874 con il ritrovamento di una mascella inferiore e due denti a Pitt Island, nelle Isole Chatham. Quel campione, insieme ai resti scheletrici di altri due esemplari trovati a Whak?ri e all’Isola Robinson Crusoe, in Cile, avevano permesso agli scienziati di confermare che si trattava di una specie di cetaceo mai classificato prima. Altri due recenti ritrovamenti, nella Bay of Plenty e a nord di Gisborne, hanno contribuito a descrivere per la prima volta la specie. Infatti, nella Bay of Plenty nel 2010 si spiaggiarono i primi esemplari intatti, una femmina e il suo cucciolo, mentre nel 2017 a Gisborne fu ritrovato un altro esemplare. Proprio perché di questa balena non si sa quasi nulla, nell’elenco delle specie a rischio di estinzione è classificata come carente di dati. LEGGI TUTTO

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    Con Trump (e Vance il negazionista) a rischio le politiche ambientali degli Usa

    “Sono scettico sull’idea che il cambiamento climatico sia causato esclusivamente dall’uomo”. Parola di J.D. Vance, l’uomo che sarà vicepresidente qualora Donald Trump dovesse tornare alla Casa Bianca dopo le Presidenziali Usa del prossimo 5 novembre. Durante il suo primo mandato Trump condusse gli Stati Uniti fuori dall’Accordo di Parigi. Ora sceglie come suo braccio destro un politico decisamente schierato con la lobby americana dei combustibili fossili. E non sarà un caso se l’industria del petrolio e del gas ha speso più di 283.000 dollari nella campagna elettorale di Vance del 2022 per l’elezione al Senato. D’altra parte l’Ohio è il sesto stato dell’unione per produzione di gas naturale.

    Quanto basta per giustificare i timori della comunità scientifica e più in generale di quanti ritengono che sia urgente prendere misure drastiche per fermare la crisi climatica in atto. L’eventuale vittoria del ticket Trump-Vance comporterebbe una nuova inversione a U nelle politiche ambientali di Washington, con conseguenze ben oltre i confini degli Stati Uniti. Nella convention Repubblicana in corso a Milwaukee l’ex presidente Trump e altri leader hanno affrontato i temi energetici, ma solo per chiedere un maggiore sviluppo di petrolio, gas e carbone, come riporta il New York Times. La scelta di un negazionista climatico come possibile vicepreside è la ciliegina sulla torta.

    In realtà J.D. Vance sembra essere un personaggio dalle passioni e dalle convinzioni incostanti. Definì Trump un pericolo per l’America ed ora è uno dei suoi più fieri sostenitori. Così come, prima di scendere in politica si diceva preoccupato per la crisi climatica, salvo poi, una volta approdato a Capitol Hill, votare per ridurre le protezioni ambientali e per abrogare la storica legislazione sul clima voluta dall’Amministrazione Biden che promuove le energie rinnovabili e i veicoli elettrici. In un editoriale ha scritto: “Biden sta facendo tutto il possibile per sovvenzionare fonti energetiche alternative e demonizzare le fonti di energia più affidabili della nostra nazione”. E questo nonostante lo scorso anno gli Stati Uniti abbiano prodotto più petrolio greggio di qualsiasi altro Paese nella storia ed esportato volumi record di gas naturale. Qualche settimana dopo in un intervento pubblico Vance ha rincarato la dose: “Mentre la maggior parte degli americani desidera guidare un’auto a benzina, l’amministrazione Biden persegue una politica esplicitamente progettata per aumentare il costo della benzina. Lo fanno in nome dell’ambiente, ma tutto ciò che fanno è arricchire l’economia più sporca del mondo (chiaro riferimento alla Cina, ndr) a spese dei lavoratori automobilistici in Ohio, Pennsylvania e Michigan”.

    Parallelamente, nel suo Stato d’origine, l’Ohio, Vance è diventato un convinto sostenitore del fracking, il processo altamente inquinante che prevede l’iniezione di acqua, sabbia e sostanze chimiche per estrarre petrolio e gas difficili da raggiungere. Come riferisce il sito Politico, Mike Chadsey, portavoce della Ohio Oil and Gas Association, ha affermato che Vance è “qualcuno che capisce cosa facciamo e come lo facciamo”. Nelle ore immediatamente successive alla sua nomination, c’è chi è andato a spulciare tra gli investimenti di Vance (che in una delle sue vite precedenti è stato anche un venture capitalist). Ebbene, sono emersi diverse quote che potrebbero inserirsi perfettamente in un portafoglio “sostenibile”. Le sue partecipazioni includono infatti una società che fornisce servizi di ricarica mobile di veicoli elettrici, un’altra che sviluppa lo stoccaggio di energia per le microreti e una terza che vende kit per il giardinaggio biologico. Sono informazioni che risalgono al 2022, mentre quelle relativi al 2023 non sono ancora disponibili.

    Ora cosa c’è da aspettarsi? La campagna di Trump si impegna a tagliare le tasse per i produttori di combustibili fossili. L’ex presidente promette inoltre di abbandonare l’accordo sul clima di Parigi e di tagliare i sussidi federali per le tecnologie energetiche pulite. E nella Piattaforma del Comitato Nazionale Repubblicano si legge: “Rendere l’America di gran lunga il primo produttore di energia al mondo!”. Se Trump sarà il mandante, Vance potrebbe essere l’esecutore. La vede così Lori Lodes, direttore esecutivo del gruppo Climate Power: “J.D. Vance è il sogno di Donald Trump che diventa realtà: un negazionista del clima che è fin troppo felice di eseguire gli ordini delle grandi compagnie petrolifere e di aumentare i loro profitti a scapito dei lavoratori”.

    Gli americani voteranno il 5 novembre. Una settimana dopo inizierà a Baku, Azerbaigian, la 29esima Conferenza Onu sul clima: la delegazione Usa sarà ancora quella dell’Amministrazione Biden (visto che per l’insediamento del nuovo presidente si dovrà attendere gennaio) ma l’eventuale vittoria di Trump la renderebbe impotente e ininfluente. Anche l’Unione europea arriverà indebolita, per le probabili concessioni che Ursula von Der Leyen dovrà fare sul Green Deal per mantenere la poltrona di presidente della Commissione. E se a guidare la transizione fosse paradossalmente il “grande inquinatole” cinese? Come ha fatto notare qualche giorno fa Al Gore, in un anno Pechino ha installato più impianti fotovoltaici di quanto abbiano fatto gli Stati Uniti in tutta la loro storia. E proprio mentre a Milwaukee si sceglieva il negazionista climatico pro-combustibili fossili J.D. Vance per la corsa alla vicepresidenza, dalla Cina arrivava la notizia che le emissioni di gas serra del colosso asiatico inizieranno a diminuire già quest’anno, poiché l’uso del carbone per la produzione di energia è crollato nel secondo trimestre. LEGGI TUTTO

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    La bioingegneria per contrastare lo scioglimento dei ghiacciai? Fra gli esperti è polemica

    “Non possiamo fermare l’innalzamento del livello del mare, ma forse possiamo riuscire a rallentarlo mentre l’umanità compie i passi necessari per allontanarsi dal carbonio”. E’ con queste parole che un gruppo di esperti glaciologi avanza l’ipotesi di pensare anche alla geo-ingegneria per affrontare il problema dell’innalzamento dei mari. Come? Magari con la dislocazione di barriere […] LEGGI TUTTO

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    Ibisco: coltivazione, cura e come potare

    Col nome di ibisco ci si riferisce in realtà ad un genere che comprende non solo le tipiche piante erbacee e gli arbusti più noti, bensì anche alcuni alberi, per un totale di oltre 300 specie. Le origini dell’ibisco sono da ricercare nelle aree tropicali tra l’Asia e l’America, sebbene si possano trovare delle specie anche in aree dal clima temperato in Europa, Africa ed Oceania. L’ibisco è noto per le sue eleganti fioriture, che possono essere solitamente di colore rosso, bianco, giallo, rosso-arancio, giallo-arancio o rosa. Nella maggior parte dei casi, l’ibisco è una pianta dalla ridotta rusticità, sebbene la varietà syriacus – molto diffusa nel nostro paese – rappresenti un’eccezione. Quando cerchiamo un omaggio floreale che sottolinei l’eleganza, la bellezza o l’amore, possiamo scegliere questa pianta: il significato dell’ibisco è infatti una sintesi di ciò.

    Coltivazione in vaso

    L’ibisco può essere coltivato in vaso senza particolari problemi, ma dobbiamo ricordarci di adottare alcune particolari accortezze. Il terreno dev’essere leggermente acido, non compatto e soprattutto ben drenante: possiamo quindi unire della vermiculite e della corteccia al terriccio. Possiamo rinvasare l’ibisco ogni anno, scegliendo un contenitore che sia di un paio di dita più grande del precedente. La pianta richiede costantemente un buon livello di umidità, che dobbiamo garantire con l’innaffiatura regolare, nonché tramite la nebulizzazione di acqua sulla stessa. Possiamo aggiungere anche della ghiaia nel sottovaso e lasciare sempre circa un centimetro di acqua: in questo modo, ci sarà sempre una leggera risalita di umidità verso la pianta. Il fondo del vaso, però, non dovrà mai entrare a contatto con l’acqua. Per quanto riguarda la concimazione, ricordiamoci di aggiungere, due volte al mese, del fertilizzante liquido alla nostra annaffiatura. L’ibisco richiede la concimazione solo tra il periodo primaverile ed estivo, dopodiché va sospesa. La pianta non sopporta nemmeno gli eccessi di concimazione, giacché risponde riducendo (o addirittura sospendendo) la fioritura.

    Dove possiamo posizionare l’ibisco?

    Se lo coltiviamo in piena terra perché il clima lo consente, privilegiamo sempre un luogo molto luminoso e con un buon livello di soleggiamento. Gli esemplari coltivati in ambienti interni possono essere spostati all’esterno solo tra la primavera e l’estate, scegliendo per un paio di settimane un luogo in ombra dove posizionare l’ibisco. Solo in seguito, sarà possibile spostare la pianta in un’area più soleggiata: dovremo preferire però un luogo dove l’ibisco non sia esposto al sole diretto nelle ore centrali della giornata. Trascorso questo ulteriore periodo di adattamento all’ambiente esterno, l’ibisco può essere lasciato in pieno sole, sebbene in tanti casi la pianta possa manifestare alcuni segni di stress a causa di questa nuova collocazione.

    Come riparare la pianta in inverno

    Non essendo particolarmente rustica, come detto, questa pianta può essere coltivata in piena terra solo nelle aree più miti: in tutto il resto del paese, l’ibisco in inverno dev’essere ricoverato in un ambiente con una temperatura di almeno 13-15 gradi. Ricordiamoci però di scegliere un locale che sia particolarmente luminoso, giacché la pianta non ama gli ambienti con poca luce. Infine, non dobbiamo trascurare l’importanza dell’umidità nell’aria, giacché quando è troppo secca può provocare l’insorgenza del ragnetto rosso.

    Potatura: come e quando farla?

    La potatura dell’ibisco è utile soprattutto per dare una forma e, soprattutto negli esemplari che hanno oltre i quattro anni di età, per renderne più vigorosa la crescita. Nel caso di piante più giovani, l’intervento più comune è quello dell’eliminazione di rami rovinati o con segni di avversità, oltre al taglio delle cime per favorire lo sviluppo orizzontale e l’infoltimento. Per potare l’ibisco si attende solitamente il periodo che precede la stagione vegetativa, cioè l’ultima decade di marzo.

    Parassiti e malattie

    L’ibisco può manifestare alcuni sintomi di tipici errori nella coltivazione, come del resto, essere attaccato da alcuni insetti: vediamo nel dettaglio alcune situazioni comuni. Quando la pianta presenta una grande quantità di foglie a fronte di una fioritura assente, la causa è spesso da cercare in un eccesso di concimazione: in questo caso, basta ridurre o sospendere temporaneamente l’uso dei fertilizzanti. L’ibisco può manifestare un ingiallimento delle foglie piuttosto repentino a causa del freddo o delle correnti d’aria: in queste circostanze, è sufficiente cambiarne l’esposizione. Quando le foglie ingialliscono e tendono ad avere un aspetto patito, la ragione è spesso un ridotto apporto di azoto: scegliamo quindi un fertilizzante ad hoc.Se la pianta sembrasse crescere nel suo complesso a fatica, potrebbe essere giusto il momento di effettuare un rinvaso, poiché le radici hanno bisogno di un contenitore più grande per svilupparsi. Un’altra problematica tipica dell’esposizione in un ambiente con poca luce è il mancato sbocciamento dei fiori: in questo caso, troviamo un luogo più luminoso per la nostra pianta. Qualora l’ibisco avesse le foglie con macchie scure (o biancastre) sul lato inferiore, potremmo essere alle prese con la cocciniglia bruna o cotonosa: per rimuoverla, possiamo usare un batuffolo di ovatta con alcol. Nei casi più gravi, la soluzione è il ricorso ad un antiparassitario ad hoc. Se notassimo delle macchie gialle e brune, e un seguente accartocciamento e perdita delle foglie, potremmo avere la sgradita presenza del ragnetto rosso. In questo caso, possiamo nebulizzare dell’acqua sulla pianta, in modo tale da renderla meno ospitale per questo insetto. Infine, i pidocchi si manifestano con macchie della tonalità tra il bianco e il giallo: possiamo trattare questa avversità con un antiparassitario. LEGGI TUTTO