1 Luglio 2024

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    Europarlamentari green / 1. Matteo Ricci, il sindaco a pedali: “Più piste ciclabili e una transizione energetica equa per tutti”

    Cosa ne sarà, alla luce dei risultati delle elezioni europee del 9 giugno, di quel pacchetto di leggi che vanno sotto il grande capitolo del Green Deal? È quello che si stanno chiedendo analisti politici, attivisti e soprattutto i cittadini. Perché se da una parte la transizione ecologica sembra difficile da fermare (anche da parte dell’industria europea), non c’è dubbio però che il rafforzamento dei conservatori potrebbe alleggerire lo slancio dell’agenda politica sulle politiche climatiche: dai trasporti alle energie alternative, dalla finanza green alla giustizia climatica, dall’agricoltura sostenibile alla sicurezza alimentare. Tutti settori con un impatto diretto sulla vita di milioni di cittadini europei con l’obiettivo di contrastare il cambiamento climatico. Per quanto le elezioni 2024 abbiano sostanzialmente confermato i rapporti di forza degli ultimi 5 anni (una maggioranza composta tra Partito Popolare Europeo, Partito socialista europeo e i liberali della Renew Europe), non c’è dubbio che in Europa ci sia stata l’avanzata dei partiti di destra che non hanno al centro della propria agenda politica le questioni ambientali e i diritti umani. 

    Green Deal, cosa succederà al Parlamento europeo?  

    Il fatto che la cosiddetta “ondata nera” non si sia tradotta in una maggioranza, visto che l’estrema destra non ha i numeri per governare da sola, non significa che il vento non sia cambiato e che l’Unione Europea potrebbe invertire la rotta della transizione ecologica. Ma cosa accadrà a Bruxelles adesso? Secondo gli analisti si confronteranno le due spinte che già abbiamo già visto in campagna elettorale. Entrambe chiederanno di modificare i contenuti del Green Deal, ma una spingerà per andare avanti, l’altra farà pressione perché si torni indietro oppure si blocchi. Il rischio, spiegano, è che per preservare la stabilità, si faccia poco o addirittura si lasci tutto così com’è. Ma per la sfida che abbiamo davanti, contro il cambiamento climatico, una situazione di stallo avrebbe effetti solo negativi. Non solo si fermerebbe la transizione verde, ma verrebbe meno quel rilancio, quella capacità di crescita sostenibile dell’economia più avanzata. L’equilibrio tra queste due spinte dipenderà dunque dalle alleanze e dalla rete che gli eurodeputati dei 27 Paesi sapranno creare perché non cali il buio sull’Agenda 2030.

    Di fronte a tutto questo, abbiamo guardato tra i neoeletti e le neoelette nei vari schieramenti chi, in base alle loro esperienze politiche e professionali, si troveranno a portare in Europa le istanze del settore ambientale, dell’energia e della transizione verde. Per conto dell’Italia.

    Matteo Ricci  LEGGI TUTTO

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    A Palermo una settimana internazionale per formare i futuri professionisti delle cause climatiche

    Formarsi per difendersi. Per una settimana, dal 1 al 6 luglio, Palermo sarà “capitale europea della giustizia climatica”, così la definiscono gli attivisti della associazione A Sud lanciando all’Università di Palermo la prima Summer School “Democracy and Human Rights”, un momento di alta formazione internazionale sui cambiamenti climatici e il diritto, a cui parteciperanno avvocati e docenti di atenei italiani ed esteri. Lo scopo è prepararsi. Nel mondo, e lo vediamo con le attuali ondate di calore a livello globale così come con le alluvioni che hanno colpito di recente il Nord Italia, la crisi del clima sta portando a una sempre maggiore intensità i fenomeni meteo estremi che sconvolgono le nostre vite. La stessa crisi del clima, ci ricordano gli scienziati dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici) è alimentata da quelle emissioni dell’uomo che continuiamo ad avallare: ecco perché, in sempre più paesi, dalla Svizzera sino alle Hawaii, si moltiplicano le azioni legali climatiche, le “climate litigation” nate nel tentativo di chiamare in causa i veri responsabili delle emissioni, oppure di denunciare l”inazione da parte dei governi.

    Ambiente

    Nel mondo crescono le cause per il clima: 200 solo nel 2023

    di redazione Green&Blue

    27 Giugno 2024

    Il recente rapporto “Global Trends in Climate Litigation: 2024 Snapshot” del Grantham Research Institute della London School of Economics ci dice che solo nel 2023 sono state intentate oltre 200 nuove cause climatiche contro governi e aziende. In totale sono oggi oltre 2600 le cause sul clima intentate in più di 50 Paesi ( il 70% delle quali dopo l’Accordo di Parigi del 2015). Anche in Italia, da Greenpeace e Recommon contro Eni, alla causa “Giudizio Universale” promossa da A Sud che chiama in causa lo Stato, sono diversi i tentativi di ottenere giustizia climatica tramite climate litigation.

    Per ottenere giustizia bisogna però prepararsi, avere le giuste conoscenze e competenze: per questo motivo A Sud ha deciso di promuovere una iniziativa, di una settimana, dove in Sicilia saranno formati coloro che lavorano “non solo nelle aule universitarie ma anche in quelle giudiziarie sui temi, attualissimi, del diritto climatico”. La sei giorni di “scuola sulle cause climatiche” prevede una formazione intensiva con la partecipazione di 30 relatori da tutta europa e circa 100 studenti di dottorato, avvocati e professionisti e l’iniziativa è accreditata anche dall’Ordine degli avvocati di Palermo (la frequenza ai corsi è valida per la formazione professionale degli avvocati iscritti all’albo). I partecipanti potranno confrontarsi per esempio con  Valentina Abalmasova dell’Università di Mariupol in Ucraina che parlerà degli impatti ambientali e climatici dei conflitti, oppure con Norma Bargetzi di KlimaSeniorinnen, una delle “anziane signore per il clima” svizzere che hanno ottenuto una storica vittoria davanti alla Corte europea per i diritti dell’Uomo. E ancora l’avvocato  Luca Saltalamacchia, capo del team legale della causa climatica contro lo Stato italiano Giudizio Universale, oppure Joseph Udell del Climate Litigation Network e molti altri.

    Unione europea

    Il Parlamento svizzero respinge la sentenza della Corte europea, le ‘signore del clima’: “Ci sentiamo scioccate e tradite”

    di Fiammetta Cupellaro

    13 Giugno 2024

    Nicola Gullo del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, a cui è affidata la direzione scientifica della Summer School, e che è coordinatore scientifico del progetto CJLL (Climate Justice Living Lab)  finanziato dalla Commissione UE, spiega come questa iniziativa “si propone di esaminare, con il contributo di esperti, studiosi e attivisti ambientali di tutto il mondo, la nuova frontiera del diritto pubblico che è rappresentata dal contenzioso climatico, per valutare in quale misura le esigenze della giustizia climatica possano condizionare e influenzare l’esercizio dei diritti umani ed incidere sul funzionamento e le dinamiche partecipative delle democrazie contemporanee”. 

    Anche per il rettore dell’Università di Palermo Massimo Midiri la settimana palermitana “costituisce una straordinaria occasione per un confronto di carattere internazionale e interdisciplinare sul ruolo che può assumere il diritto nella gestione della crisi climatica”.Infine, da sottolineare anche l’importante scelta simbolica di tenere gli ultimi due giorni del corso a Petralia Sottana, centro delle Madonie, proprio lì dove “è nata la prima Comunità energetica solidale con forma cooperativa, un’associazione fondiaria che intende recuperare e rigenerare terreni incolti, oltre a una miriade di progetti piccoli e grandi che coniugano giustizia ambientale e sociale con la tutela del territorio e delle risorse ecosistemiche”. 

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    Le specie aliene si diffondono fino a mille volte più in fretta di quelle autoctone

    Il clima cambia e le specie sia vegetali che animali sono costrette a fare spesso le valigie in cerca di condizioni ambientali adatte alla loro sopravvivenza. Secondo i risultati di un articolo di revisione pubblicato su Annual Reviews of Ecology, Evolution and Systematics, per sopravvivere all’aumento delle temperature globali piante e animali terrestri devono spostare in media i loro areali di almeno 3,25 chilometri all’anno. Le specie marine, invece, di almeno 2,75 chilometri ogni anno. E dai risultati dello stesso lavoro di revisione e meta-analisi è emerso anche che le specie native, da sole, non riescono a raggiungere questo tasso di spostamento. Ma l’osservazione particolarmente scioccante è che quelle invasive, anche senza l’intervento umano, riescono invece a spostarsi circa 20 volte più velocemente di quelle autoctone.

    Scendendo più nel dettaglio, il lavoro condotto dal gruppo di ricercatori della University of Massachusetts Amherst e di altre università e istituti di ricerca mostra che le specie native riescono a spostarsi in media di soli 1,74 chilometri all’anno. Lo stesso non è vero per le specie invasive, che da sole riescono a raggiungere i 35 chilometri l’anno. Con l’aiuto umano, poi, questo valore può salire vertiginosamente fino a superare i 1,800 chilometri l’anno. Ciò significa che, tenendo conto per esempio del trasporto involontario di semi, larve o uova, oppure dell’acquisto intenzionale di specie invasive originarie di altri paesi o addirittura di altri continenti, le specie alloctone possono arrivare a spostarsi circa mille volte più velocemente rispetto a quelle autoctone.

    Longform

    L’invasione della formica di fuoco, e l’Italia che fa?

    di Natalie Sauer, coordinamento multimediale: Cristina Nadotti Gaia Scorza Barcellona

    22 Gennaio 2024

    Gli autori hanno preso in considerazione molti ecosistemi e svariati taxa, dalle piante (sia mono- che dicotiledoni), ai mammiferi, agli uccelli, agli insetti, ai crostacei, ai pesci. Mammiferi, uccelli e gasteropodi (come lumache, chiocciole e altri molluschi) sono i gruppi il cui tasso di spostamento si avvicina di più al valore desiderato di 3,25 chilometri per anno. La situazione è decisamente più drammatica per le piante, ma anche gli insetti e alcuni tipi di pesci sono ben lungi dal tasso necessario per la sopravvivenza. Inoltre, la sproporzionata competizione da parte delle specie invasive rimane valida per tutti i gruppi analizzati.

    Biodiversità

    Caccia ai parrocchetti monaco? La Puglia chiede aiuti contro la specie invasiva

    di Giacomo Talignani

    07 Maggio 2024

    “Essenzialmente non c’è speranza che le specie native possano stare al passo con il cambiamento climatico senza l’aiuto umano”, commenta Bethany Bradley, docente di conservazione ambientale presso la University of Massachusetts Amherst e prima firma della pubblicazione. “È molto chiaro – prosegue la ricercatrice – che gli esseri umani sono bravissimi a spostare le specie, e questo è uno dei maggiori vantaggi delle specie non autoctone”. Secondo Bradley, è il momento di iniziare a considerare seriamente e a implementare quella che viene definita “migrazione assistita”, ossia la pratica di aiutare deliberatamente le specie autoctone a spostarsi in luoghi più adatti. Si tratta di una pratica necessaria, conclude la docente, “se vogliamo che le nostre piante e i nostri animali autoctoni abbiano una possibilità”. LEGGI TUTTO

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    Dal minuscolo elefante del Borneo alle lucertole di Ibiza: ecco i nuovi animali a rischio estinzione

    Una grande minaccia per l’elefante più piccolo al mondo. L’elefante del Borneo, sottospecie dei pachidermi asiatici, è appena stato classificato come “in pericolo di estinzione” nella famosa Lista Rossa IUCN, l’Unione per la conservazione della Natura. Una decisione che da una parte certifica tutte le fragilità e le insicurezze per il futuro di questo animale, di cui restano si stima appena mille esemplari, ma dall’altra puntando i riflettori sulle attuali minacce potrebbe aprire a ulteriori sforzi, e dunque speranze, per la sua conservazione. L’elefante del Borneo vive nelle aree di Sabah e nel nord del Kalimantan e per dimensioni è considerato, con le sue zanne poco curve e un corpo ridotto, fra i più piccoli pachidermi sul Pianeta.Dalla Svizzera, dove ha sede la IUCN, è arrivata la notizia dell’inserimento fra le specie a rischio estinzione (oltre 45mila quelle totali): la causa principale della diminuzione della popolazione di elefanti è dovuta soprattutto alla perdita di habitat.

    Animali

    La difficile tutela degli elefanti africani: troppi in Zimbabwe e in estinzione altrove

    di Cristina Nadotti

    15 Giugno 2024

    I mille esemplari rimasti in natura faticano infatti a sopravvivere in un Borneo le cui foreste hanno subito processi intensi di disboscamento, dovuti per esempio nel Sabah all’ampliamento delle attività umane. Fatto che ha portato anche ad un aumento dei conflitti fra uomini e animali. Inoltre, sottolineano dall’IUCN, “ulteriori perdite di habitat sono dovute all’agricoltura (in particolare all’olio di palma), al commercio di legname, all’estrazione mineraria e ai grandi progetti infrastrutturali come la Pan Borneo Highway che minacciano il futuro degli elefanti del Borneo. Preoccupano anche il bracconaggio per l’avorio, l’ingestione accidentale di prodotti chimici per l’agricoltura e gli incidenti stradali”. Allo stesso tempo però gli sforzi degli ultimi due decenni per conservare gli elefanti dimostrano che è possibile salvare la specie. “Il messaggio di speranza è che ci sono molte organizzazioni in Sabah, compreso il governo, che stanno lavorando molto duramente per preservare l’elefante” ha detto Benoit Goossens, biologo della fauna selvatica dell’Università di Cardiff e direttore del Danau Girang Field Centre nel Sabah.

    Il report

    Biodiversità, dal fratino alla salamandra: le specie italiane sempre più minacciate dalle azioni dell’uomo

    di Giacomo Talignani

    22 Maggio 2024

    I piccoli pachidermi del Borneo non sono i soli a rientrare nell’ultimo aggiornamento sulle specie a rischio stilato dallo IUCN dopo la valutazione di oltre 160mila specie: a preoccupare biologi e conservazionisti c’è per esempio anche l’importante perdita di rettili che si sta verificando sia alle Canarie che in isole come Ibiza. In particolare le specie di rettili a Gran Canaria stanno diminuendo a causa di serpenti invasivi introdotti a fine anni Novanta. “La lucertola gigante di Gran Canaria (Gallotia stehlini) è passata dalla categoria a rischio critico a quella in pericolo critico, mentre lo scinco di Gran Canaria (Chalcides sexlineatus) è passata dalla categoria a pericolo minimo a quella in pericolo di estinzione. Questi animali endemici sono preda dell’invasivo serpente reale della California ( Lampropeltis californiae ), introdotto sull’isola nel 1998” fanno sapere gli autori della Lista Rossa.

     Ci sono però anche buone notizie: sempre alle Canarie l’azione di protezione e conservazione ha portato a un incremento delle popolazioni di lucertola gigante de La Gomera che è uscita dalla classificazione “pericolo critico”. La specie è ancora minacciata da gatti selvatici e da impatti della crisi del clima, ma per ora grazie a sistemi di reintroduzione e programmi di riproduzione si stanno ottenendo segnali incoraggianti. Se la passa meno bene la lucertola muraiola di Ibiza (Podarcis pityusensis), che è anche un simbolo dell’isola ed è raffigurata in più occasioni: questo animale è stato classificato come “in via di estinzione”  dato che la sua popolazione è diminuita del 50% dal 2010 a causa della predazione di serpenti come il biacco.

     Infine sotto la lente di ingrandimento dei conservazionisti, impegnati a salvare le specie, sono finite anche diverse piante. Un caso emblematico è quello di alcuni cactus ornamentali, diventati sempre più popolari sia per le mode del momento sia per le raffigurazioni sui social network, talmente tanto da diventare in poco tempo  protagonisti di un commercio illegale,  pagando un prezzo altissimo in termini di conservazione. Per esempio l’82% delle specie di cactus copiapoa sono appena state classificate come a rischio di estinzione: endemiche del deserto di Atacama in Cile, queste piante vengono sempre più trafficate, in commerci illegali, per essere poi spedite in Europa e Asia. Inoltre “lo sviluppo di strade e abitazioni ha portato più persone nella zona, rendendo le piante più accessibili ai bracconieri e distruggendo il loro habitat desertico. Il cambiamento climatico minaccia ulteriormente questi cactus” precisano dalla Svizzera. LEGGI TUTTO

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    Al Gore incontra il Papa e loda le posizioni di Francesco sull’ambiente

    Papa Francesco ha ricevuto Al Gore. L’ex vice presidente degli Stati Uniti è a Roma per la tre giorni del summit della sua associazione Climate Reality Project dove ha parlato scagliandosi contro l’industria del petrolio e le politiche del governo italiano in tema di gas. L’incontro si è svolto in forma strettamente privata nella residenza […] LEGGI TUTTO

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    Amaryllis: coltivazione, cura, fioritura e colori

    L’amaryllis è una pianta bulbosa originaria del Sudafrica, caratterizzata da foglie che raggiungono i 70 centimetri di lunghezza e fiori a forma di tromba, con colorazione tra il rosa, oppure, il rosso e il bianco. La pianta è mediamente rustica, giacché può sopportare le temperature attorno agli 0 gradi. A circa -5 gradi, però, le foglie manifestano dei segni di deterioramento. L’amaryllis deve il suo nome ad Amarillide, pastorella narrata nelle Bucoliche di Virgilio. Come suggerisce l’etimologia del suo nome – dal verbo greco, “amarysso”, risplendere – il significato del messaggio trasmesso con questa pianta dovrebbe essere un omaggio a bellezza, splendore e timidezza. Ricordiamoci infine che l’amaryllis è particolarmente velenoso, a causa della presenza degli alcaloidi.

    Coltivazione in vaso

    La coltivazione in vaso richiede la scelta di una fioriera o, comunque, di un contenitore di dimensioni piuttosto generose. Non dimentichiamoci che questa pianta bulbosa ama i terreni che assicurano un buon drenaggio dell’acqua: possiamo quindi usare cocci, ghiaia o vermiculite per evitare i ristagni idrici. Il terreno dev’essere particolarmente ricco, ma come detto, non deve essere troppo compatto: in questo caso, favorirebbe le condizioni ideali per l’insorgenza del marciume radicale. Per alleggerire il nostro terreno ed evitare potenziali problemi alle radici e al bulbo, possiamo aiutarci aggiungendo della sabbia. La coltivazione in vaso richiede un’innaffiatura costante, nel periodo compreso tra aprile e la conclusione della stagione vegetativa. Per favorire la crescita della pianta, possiamo aggiungere del fertilizzante all’acqua con una cadenza settimanale. Al termine del primo anno dalla messa a dimora, possiamo controllare il livello di sviluppo dei bulbi: qualora fossero cresciuti a sufficienza, potremmo spostarli in piena terra. In alternativa, dovremmo rigenerare il terreno per continuare a coltivarli in vaso. Data la limitata rusticità della pianta, al termine della stagione vegetativa possiamo prevedere di ricoverare il vaso in un ambiente fresco e luminoso.

    Come curare

    L’amaryllis predilige l’esposizione in ambienti con tanto sole e calore. Il soleggiamento diretto, in particolare nel cuore dell’estate, permette alla pianta bulbosa di regalare una fioritura eccezionale. Nelle aree più calde del nostro paese, l’amaryllis può essere coltivato anche in ambienti in mezz’ombra: si tratta però di una scelta non ideale nelle zone centro-settentrionali, dove è consigliata invece l’esposizione in pieno sole. Per aiutare la crescita della pianta, possiamo far ricorso ad un concime con una buona concentrazione di azoto e potassio, da non far mancare all’acqua di annaffiatura nel periodo estivo. Per favorire lo sviluppo del bulbo, invece, possiamo ricorrere all’uso di un fertilizzante ricco di fosforo. L’amaryllis richiede un’innaffiatura costante e relativamente abbondante, sia durante la crescita delle foglie sia nel periodo della fioritura: possiamo bagnare un paio di volte alla settimana. Durante il periodo di riposo vegetativo, tra l’inverno e la primavera, l’innaffiatura va sospesa: in questo modo, si permette il corretto disseccamento delle foglie. Teniamo inoltre presente che qualora mettessimo a dimora i bulbi in terreni compatti, dovremmo preoccuparci di vangare un po’ più in profondità e di sistemare del materiale per migliorare la capacità drenante. I bulbi possono essere piantati a circa 15-20 centimetri di profondità e tenendo una distanza di 20-30 centimetri gli uni dagli altri. Infine, l’amaryllis non richiede particolari potature: possiamo limitarci a tagliare le foglie secche nel corso del periodo primaverile.

    Malattie e insetti

    L’amaryllis è una pianta bulbosa che può soffrire a causa degli eccessi di irrigazione: se in seguito all’innaffiatura il terreno resta inzuppato, le radici e il bulbo possono essere soggetti a marciume. Oltre a questa avversità causata da un’annaffiatura eccessiva, l’amaryllis può essere attaccato dalla mosca del narciso. Quest’ultima si nutre del suo bulbo e causa una crescita poco rigogliosa delle foglie: per liberarsi dell’insetto, è necessario disinfestare i bulbi prima della successiva messa a dimora. Sempre a proposito di bulbi: l’eventuale ricovero prima della messa a dimora deve avvenire in un luogo fresco e ventilato, per non favorire lo sviluppo della muffa. In conclusione, le lumache e le limacce possono rappresentare un’avversità soprattutto durante il periodo primaverile: per contrastarle, è sufficiente rimuoverle manualmente o ricorrere all’uso di un’esca. LEGGI TUTTO