Giugno 2024

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    Con il cambio climatico pulci e zecche proliferano tutto l’anno

    Estati più lunghe ed inverni sempre più miti possono favorire l’espansione di pulci, zecche ed altri parassiti amanti del caldo, che infestano anche i nostri animali domestici. A suggerirlo sono diverse indagini, che forniscono delle prime prove di questo fenomeno, ancora da approfondire. Un recente studio statunitense e un lavoro australiano, ad esempio, indicano che la crescita della temperatura ed un alto grado di umidità possono favorire una maggiore proliferazione e una più ampia distribuzione geografica delle pulci – allo stesso tempo, però, alcune specie potrebbero beneficiare di una riduzione delle precipitazioni in inverno.

    Una ricerca condotta nel 2024 dall’Università della California a Davis pone l’attenzione sull’aumento del rischio di malattie infettive trasmesse da vettori, fra cui zecche, zanzare e pulci. Gli autori, che hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista Jama, segnalano casi di malattie trasmesse dalle zecche agli animali o all’essere umano anche nei mesi di gennaio e febbraio – evenienza in passato molto più rara – dato che la ‘stagione’ di questi parassiti inizia sempre prima. A supporto di questi dati c’è anche uno studio dell’Università pedagogica di Cracovia in Polonia, che sottolinea che i cambiamenti climatici stanno già giocando un ruolo significativo nella crescita delle popolazioni di questi parassiti e nella trasmissione di agenti patogeni. Questi primi dati sarebbero confermati anche al di fuori della ricerca, nella pratica veterinaria.

    Una questione di numeri

    “L’aumento di oltre 1 °C delle temperature medie può certamente consentire alle pulci di poter sopravvivere in inverno anche all’esterno”, sottolinea Marco Melosi, Presidente dell’Associazione nazionale medici veterinari italiani (Anmvi). “Negli ultimi anni, nelle stagioni ‘fredde’ episodi di questo genere sono risultati più frequenti, mentre in passato, negli anni e nei decenni scorsi, solitamente questo fenomeno non si verificava, oppure si registrava qualche caso limitato all’interno delle nostre abitazioni, che rimangono comunque riscaldate tutto l’anno”. I numeri non mentono. Pulci e zecche amano il caldo e l’umido e non resistono a lungo a temperature rigide – al di sotto di circa 7 gradi °C per le pulci e di 4 °C per varie specie di zecche, stando ai numeri medi riportati in alcune ricerche. In Italia, nella stagione invernale appena trascorsa 2023-2024, le temperature sono risultate più alte di 2,19 °C rispetto alle medie stagionali registrate nel periodo 1991-2020, secondo i dati del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che parla dell’inverno più caldo dal 1961. In media, raggiungevano pertanto circa 6,7 °C, un valore piuttosto alto se pensiamo che rappresenta la media invernale su tutto il territorio.

    Attenzione tutto l’anno

    A fronte di questi numeri, la prevenzione rimane l’arma più efficace che abbiamo. “La raccomandazione – sottolinea Melosi – è quella di utilizzare gli antiparassitari tutto l’anno e non più soltanto all’inizio e durante la bella stagione, come si consigliava in passato”. Non solo il cane ma anche il gatto, soprattutto se trascorre del tempo all’aperto, in giardino o nel terrazzo, dovrebbe essere adeguatamente protetto. Inoltre, anche per il micio che vive esclusivamente nell’appartamento qualche rischio c’è. “In qualche caso potrebbe capitare di portare le pulci in casa da fuori, attraverso le scarpe”, aggiunge l’esperto. “Consideriamo anche in questa situazione l’utilizzo regolare di antiparassitari, sempre chiedendo prima consiglio al veterinario”. 

    Cambiano anche i comportamenti

    Non cambia solo il clima, ma anche le nostre abitudini, dove gli spostamenti e i viaggi, che spesso coinvolgono anche i nostri animali, sono sempre più rapidi e frequenti. “Questi mutati comportamenti”, sottolinea Maria Chiara Catalani, medico veterinario, esperta di comportamento animale e membro dell’Anmvi, “combinati con gli effetti dovuti all’aumento delle temperature, possono senz’altro far sì che i nostri animali siano più esposti a questi e altri parassiti”. Non c’è alcuna controindicazione nel far stare all’aperto i nostri animali o nel portare i cani al parco o nella natura, come spiega l’esperta, se sono correttamente trattati. “Per cani e gatti può essere importante poter uscire in giardino e per il cane poter giocare o correre liberamente in questi spazi, come parte del loro benessere”, rimarca Catalani, “per cui la soluzione non è quella di evitare questi momenti e queste attività, soprattutto in vista dell’arrivo della stagione calda, ma di proteggere adeguatamente gli animali”.

    Pulci e zecche, breve panoramica

    Esistono oltre 2mila specie di pulci. Sono piccoli parassiti, di dimensioni da 1 a circa 3,3 millimetri, che colpiscono animali a sangue caldo nutrendosi del loro sangue. Le pulci amano il caldo e l’umido e difficilmente sopravvivono sopra ai 1500 metri o in ambienti a bassa umidità. Come le zecche, sono parassiti esterni che vivono sulle superfici esterne degli animali oppure nelle cavità facilmente accessibili, come naso, bocca e orecchie. Le pulci non hanno ali, ma zampe posteriori adattate per saltare con grande facilità: possono coprire una distanza pari a 100 volte le loro dimensioni. In questo modo viaggiano e attaccano rapidamente nuove “prede”. Fra le specie più rilevanti, dal punto di vista veterinario, c’è la pulce del gatto, Ctenocephalides felis, che è anche fra i principali parassiti del cane. Predilige gli animali, e solo più raramente, quando c’è un’infestazione ampia o fuori controllo, può arrivare ad attaccare le persone. Le pulci sono principalmente causa di fastidio per i loro ospiti, a causa del prurito e bruciore, e in casi meno frequenti possono essere causa di zoonosi, con un contagio che può avvenire in maniera diretta o indiretta – in quest’ultimo caso attraverso vettori, come appunto le pulci, o dal contatto con oggetti contaminati.

    Passando alle zecche, ne esistono oltre 900 specie, di cui 36 rilevate in Italia. Anche queste sono piccoli parassiti di dimensioni variabili tra 1 millimetro e 1 centimetro circa. Succhiano sangue dall’ospite per vivere e riprodursi e, dopo il pasto, la loro dimensione aumenta. A differenza delle pulci, le zecche non saltano, ma generalmente si portano sull’estremità delle piante erbacee o dei cespugli aspettando il passaggio di un animale al quale aggrapparsi, incluso l’essere umano. Ricordiamo la specie Rhipicephalus sanguineus, o zecca del cane, che può infestare anche altri mammiferi e l’essere umano. Possono trasmettere malattie infettive anche rilevanti, fra cui la malattia di Lyme, che può avere conseguenze molto gravi. Per questo è importante prevenire l’attacco di questi parassiti oppure agire tempestivamente per eliminarli. LEGGI TUTTO

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    Plastisfera, la nuova minaccia per fiumi e laghi provocata dall’inquinamento delle plastiche

    E’ una delle ultime conseguenze dell’inquinamento da microplastiche, che colpisce fiumi e laghi. Gli scienziati chiamano questo nuovo fenomeno, plastisfera, che si verifica quando microrganismi e batteri si insediano sulla superficie delle plastiche. E’ come se fosse una nuova popolazione di batteri che si sviluppa laddove l’inquinamento è più spinto, con effetti collaterali potenzialmente nocivi per l’ecosistema: dall’esaurimento dell’ossigeno nell’acqua alla potenziale introduzione di patologie, inclusa l’alterazione della salute complessiva dei grandi sistemi fluviali. Lo studio, il primo nel suo genere, condotto da un consorzio internazionale di ricercatori, di cui fa parte anche l’Università Bicocca di Milano, ha preso in esame uno dei fiumi più inquinati del mondo il Mekong ed i suoi affluenti, che supportano una ricca biodiversità e rappresentano una fonte importante di sussistenza per circa 65 milioni di persone – sia perché utilizzato per l’irrigazione di colture, che come fonte di nutrimento attraverso la pesca – ma ora l’evidenza di questi microrganismi “nati” sulle plastiche degradate potrebbe diventare un problema, se non una nuova urgenza. Tra l’altro il Mekong, nei decenni è stato oggetto di ripetute azioni dell’uomo che hanno fortemente stressato il suo habitat, come la costruzione di dighe, la deforestazione, la pesca eccessiva e il commercio illegale di pesci giganti. In particolare, nelle sue acque vive la pastinaca gigante, il più grande pesce d’acqua dolce al mondo oltre ad altre specie minacciate dall’estinzione.

    Inquinamento

    Microplastiche e polistirolo, cibo per pesci e molluschi alla foce del Tevere

    di Paolo Travisi

    11 Marzo 2024

    Secondo, Veronica Nava, ricercatrice dell’Università di Milano-Bicocca e autrice  principale della ricerca, “il nostro studio è uno dei primi ad andare oltre la descrizione dei microrganismi che crescono sui diversi materiali plastici che inquinano i corsi d’acqua sul nostro pianeta, e giunge a dimostrare che essi stanno cambiando il ciclo dei nutrienti e la qualità delle acque nel fiume, causando una drammatica riduzione dell’ossigeno nel sistema fluviale. Questi cambiamenti hanno un impatto sulla salute di un fiume e sulla sua capacità di sostenere la biodiversità all’interno dei suoi ecosistemi”. Il messaggio è chiaro, ancora una volta è l’azione antropica incontrollata a provocare cambiamenti a livello ecosistemico, con conseguenze ancora non del tutto note, visto che  è uno dei primissimi studi di questo livello.

    C’è di più. I ricercatori nel corso del monitoraggio del Mekong hanno scoperto che i microrganismi che vivono sulla superficie dei residui di ben quattro diversi tipi di plastica hanno alterato la qualità complessiva dell’acqua, incidendo sul complesso ecosistema fluviale, in maggioranza nelle aree lungo il Mekong dove la gestione dei rifiuti era peggiore che altrove. Prelevando dei campioni, il gruppo di ricerca ha scoperto che questi organismi della plastisfera, potrebbero avere anche implicazioni negative per la salute umana, sebbene siano necessarie ulteriori analisi di approfondimento in laboratorio; per esempio si ipotizza che la riduzione dell’ossigeno  provocata dalla plastisfera, contribuisca alla produzione di gas serra come l’anidride carbonica e il metano. “Elevati livelli di inquinamento da plastica potrebbero creare punti caldi biogeochimici che produrrebbero gas serra all’interno dei fiumi e se si amplia questo lavoro, è possibile che, a causa dei microrganismi che popolano le isole di plastica galleggianti che stanno riducendo l’ossigeno nel fiume, inizieremo a trovare zone morte dove i pesci e altri animali non possono sopravvivere, specialmente durante la stagione secca”, ha evidenziato il professor Sudeep Chandra, uno degli autori dello studio dell’Università del Nevada, convinto che l’esito dello studio debba essere preso molto seriamente.

    La storia

    Enzo Suma: “Così è nato il museo della plastica ripescata in mare”

    di Agostina Delli Compagni

    15 Maggio 2024

    Secondo i ricercatori, dunque, la plastisfera che si sviluppa in acqua dolce, oltre a compromettere la qualità dell’acqua, con un impatto importante sulla salute dei pesci e sulla disponibilità di acqua per gli esseri umani, proprio a causa della colonizzazione di batteri e minuscole alghe che formano una sorta di pellicola sulla plastica, il biofilm, può spingere organismi più grandi a ingerire i rifiuti di plastica. Infine proprio i frammenti di plastica rivestiti con biofilm potrebbero percorrere anche lunghe distanze e raggiungere altre aree geografiche, estendendo il loro raggio d’azione negativo su altri habitat. LEGGI TUTTO

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    Boom di fast deco, l’arredamento che sfrutta materie prime e lavoratori

    In analogia con il settore della moda, lo hanno battezzato fast deco. E altro non è che arredamento a basso costo, acquistato rapidamente e altrettanto velocemente gettato via. Ad accendere i riflettori sul fenomeno è il report “Tendances maison: l’envers du décor”, di recente pubblicato dalle associazioni francesi Zero waste, Les amis de la Terre, Réseau national des ressourceries et recycleries. 

    Dagli anni Duemila noti marchi di abbigliamento low cost, come H&M e Zara, si sono lanciati nel comparto della casa, dando vita rispettivamente a H&M Home e a Zara Home. Più di recente, a fare la parte del leone sono i siti di vendita online Shein e Temu, che riservano apposite sezioni ad arredi e oggettistica.

    Collezioni sempre nuove

    La fast deco si basa sullo stesso modello di business della fast fashion. Non a caso, anche nel settore dell’arredamento sta prendendo piede il concetto di collezioni, che propongono nuovi colori, nuovi oggetti e nuovi stili ogni anno. Ikea, per esempio, pur mantenendo i mobili iconici del marchio, aggiunge 2mila articoli all’anno al proprio catalogo, mentre Maisons du Monde propone annualmente 3mila nuovi articoli (sui 15mila già a catalogo). Ogni settimana Shein mette in vendita un centinaio di nuovi oggetti nelle categorie ‘decorazione’ e ‘tessile casa’, approfittando di ricorrenze come Natale, Pasqua, San Valentino per incentivare gli acquisti.

    La storia

    Elisa Nicoli, la green creator che sceglie l’ecominimalismo

    di Agostina Delli Compagni

    17 Febbraio 2024

    “Questo rapido rinnovamento dell’assortimento è una novità nell’ambito dell’arredamento, visto che fino a poco tempo fa i mobili erano fabbricati per durare il più a lungo possibile e per essere tramandati di generazione in generazione”, commenta Cécilia Soler, docente di marketing all’Università di Göteborg, in Svezia. 

    Un oggetto tira l’altro

    A rendere desiderabili oggetti e mobili per la casa sempre nuovi ci pensa una buona dose di marketing. Secondo Johan Stenebo, ex manager ed ex assistente di Ingvar Kamprad, fondatore di Ikea, “l’azienda ha introdotto pratiche di neuromarketing già molti anni fa. Si tratta, in pratica, di manipolare il cliente. Una volta che prendi una borsa col logo aziendale e ci metti dentro un articolo, inizi un percorso che ti porterà a uscire dal negozio con molti più oggetti del previsto”.

    L’indagine

    “I vestiti di Zara e H&M fatti con cotone che aumenta la deforestazione”, la denuncia di una ong contro il fast fashion

    di Giacomo Talignani

    11 Aprile 2024

    Gli e-commerce, come Shein e Temu, sfruttano le strategie di marketing emozionale, basate su promozioni flash permanenti e sulla scarsità di un prodotto (disponibile, per esempio, solo per un limitato periodo di tempo), creando nell’utente l’urgenza di passare all’acquisto. 

    “Ciò che fast fashion, fast food, fast furniture e ora anche fast deco hanno in comune sono i prezzi bassi”, sostiene Soler. “Ma quando il prezzo è molto esiguo, si può essere sicuri che qualcuno o qualcosa sta pagando un prezzo”. 

    La razzia del legno

    Di fatto, cuscini, tende, cassettiere, comodini incrementano i danni fatti dagli abiti low cost. A detta dell’Agenzia della transizione ecologica francese (Agence de la transition écologique, Ademe), la produzione dei mobili (estrazione e lavorazione delle materie prime, loro fornitura e assemblaggio) rappresenta la fase a maggiore impatto ambientale (50-80%). Tra i materiali, il legno è ancora oggi il più utilizzato. Come denunciato nel documentario del 2023 intitolato Ikea, le seigneur des forêts (Ikea, il signore delle foreste), ogni anno vengono utilizzati 20 milioni di metri cubi di legno per realizzare gli arredi proposti dalla multinazionale svedese. In pratica, ciò significa abbattere un albero ogni due secondi. Del resto, già dagli anni Novanta, il colosso è stato accusato di avere spazzato via illegalmente foreste in Russia, Ucraina, Polonia.

    La mappa

    Vinted oppure Temu? Che cos’è l’eco-divide, che spacca in due il mondo dell’ecommerce

    di Emanuele Capone

    15 Novembre 2023

    Lavoratori sfruttati e privi di diritti

    Gli autori del report francese sottolineano poi che le condizioni di lavoro nelle industrie fast deco sono caratterizzate da numerose violazioni dei diritti umani. La produzione di cotone, utilizzato anche per realizzare tessuti decorativi, è stata oggetto di numerose denunce da parte di organizzazioni internazionali. Nel 2021, per esempio, l’associazione Antislavery ha scritto una lettera aperta per condannare lo sfruttamento degli uiguri, un’etnia che popola il nord-ovest della Cina. 

    E ancora, l’associazione Earthsight ha denunciato l’uso del lavoro forzato di circa 8mila prigionieri politici in Bielorussia, impiegati per raccogliere alberi e trasformarli in un’ampia gamma di prodotti in legno, tra cui mobili, destinati all’esportazione nei Paesi occidentali. 

    Anche la nostra salute è a rischio

    Come evidenzia il documento, la frequente sostituzione di arredi e oggetti decorativi tra le mura domestiche può avere un impatto negativo sulla nostra salute, visto che questi ultimi possono emettere composti organici volatili, alcuni dei quali, come la formaldeide, risultano irritanti, tossici, cancerogeni. A rilasciare tali composti, specialmente nei primi anni di vita dei mobili, subito dopo la loro immissione sul mercato, sono soprattutto i prodotti ignifughi utilizzati per il trattamento delle superfici, oltre a vernici e colle impiegate nelle realizzazioni in truciolato. Attenzione anche alle candele profumate, tra gli oggetti decorativi più venduti online: spesso emettono formaldeide e ftalati, sostanze nemiche del nostro benessere. 

    Emblematico ciò che è avvenuto nel 2020, quando Ikea ha lanciato sul mercato le tende a marchio Gunrid, che avrebbero dovuto purificare l’aria se esposte alla luce del sole. Ebbene, l’associazione Avicenn ha dimostrato che il processo si basava sulla presenza di nanoparticelle di biossido di titanio, un additivo già allora non più autorizzato per l’uso alimentare e nei cosmetici. In seguito a queste analisi, l’azienda ha interrotto la vendita del prodotto. 

    Che fine fanno mobili e arredi

    Pure sul fronte del riuso i dati non lasciano ben sperare. Mobili e arredi vengono, infatti, riutilizzati con difficoltà, a causa della mancanza di spazio per gestire oggetti ingombranti, del rischio di deterioramento durante la raccolta, della mancanza di finanziamenti per la riparazione. Così il più delle volte finiscono bruciati negli inceneritori oppure sepolti nelle discariche. 

    “Purtroppo riciclaggio e riutilizzazione rimangono pratiche non adeguatamente supportate”, stigmatizza Pierre Condamine, membro di Les amis de la Terre. “è, inoltre, urgente regolamentare il settore per limitare il consumo eccessivo di risorse. E promuovere una maggiore attenzione e azioni concrete per affrontare il problema”. LEGGI TUTTO

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    Alchechengi: coltivazione, cura e consigli

    L’alchechengi è una pianta originaria dell’Asia che oramai viene comunemente coltivata anche nel nostro paese, nonostante la sua origine esotica. La pianta si presenta con dimensioni abbastanza ridotte e può essere utilizzata per aiuole e bordure, a seconda del suo portamento eretto o strisciante, a ciclo autunnale o poliennale. È una pianta che si adatta anche ad essere coltivata in vaso ed è decisamente molto decorativa in appartamento. Il frutto che se ne ricava è utilizzato in Italia nella variante caramellata oppure immerso nel cioccolato fondente per decorare torte e dessert. È necessario porre molta attenzione quando si desidera coltivare un alchechengi, poiché esistono diverse varietà: 

    Physalis alkekengi (cresce spontanea in alcune zone e raggiunge i 10 cm di diametro)
    Physalis franchetii (cresce di più, fino a 90 cm ed ha lampioncini più appuntiti)
    Physalis gigantea (con lanterne più grandi)
    Physalis pubescens (varietà annuale di 20 centimetri con portamento prostrato. Ha frutti edibili)
    Physalis peruviana o edulis (è una varietà eretta con frutti edibili, ma meno dolci rispetto la precedente)

    Spesso sul cartellino della pianta in commercio è indicato il tipo di frutti, se edibili o meno. 

    La semina a partire dai semi

    In semenzaio vanno messi i semi di alchechengi a fine inverno ovvero ad inizio marzo. Successivamente, quando la piantina raggiunge i 10 centimetri di altezza è possibile passare al trapianto. In questo caso, se si hanno a disposizione più piantine è fondamentale sistemarle ad una distanza di circa 50 centimetri (sia tra file che tra le piante). Il terreno ideale per questa pianta è di tipo calcare, ma soprattutto deve essere ben drenante per evitare i ristagni idrici. L’alchechengi cresce in maniera ottimale anche in vaso: basta selezionare un contenitore abbastanza profondo, così da poter garantire il giusto spazio allo sviluppo dell’apparato radicale. È importante ricordare che in inverno il vaso deve essere protetto, giacché le radici sono più esposte alle gelate. In tal caso, è possibile sistemare il vaso in un’area protetta del balcone, sollevandolo da terra e avvolgendo il vaso con qualcosa che possa mantenere stabile la temperatura.

    La coltivazione dell’alchechengi

    Per un’ottima coltivazione dell’alchechengi è necessario selezionare una zona del giardino a mezz’ombra, ma attenzione a scegliere un’area ben esposta per garantire il giusto caldo.  Durante la stagione invernale è necessario fare molta attenzione, poiché l’alchechengi è una specie che teme il freddo e le gelate. In alternativa, è possibile preservare la pianta con serrette o tunnel.

    L’innaffiatura dell’alchechengi

    Per quanto riguarda l’innaffiatura dell’alchechengi è importante farlo con regolarità, specie nei mesi a seguire la semina e quando vi è più caldo. Innaffiare 2-3 volte a settimana garantisce una cura ottimale e una buona crescita della pianta. Il terreno non dovrà mai essere completamente secco, ma neppure troppo umido.

    La potatura dell’alchechengi

    È molto importante attendere la primavera per occuparsi della potatura dei rami secchi. Solo in questo momento dell’anno si ha la certezza di avere condizioni climatiche favorevoli per la pianta. I fusti secchi devono essere tagliati a livello terreno, così da ripulire la pianta e dargli nuovamente forza per far crescere nuovi rami e frutti.

    Le malattie e i parassiti che mettono in pericolo la pianta

    L’alchechengi è in grado di resistere alla maggior parte dei parassiti e l’unica cosa che può mettere in difficoltà la pianta è proprio il marciume delle radici. A tal proposito è necessario evitare annaffiature eccessive poiché questi possono creare dei ristagni idrici in prossimità dei rizomi e far morire la pianta. LEGGI TUTTO

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    Nel mondo crescono le cause per il clima: 200 solo nel 2023

    Nel 2023 nel mondo sono state intentate oltre 200 nuove cause climatiche contro governi e aziende, in aumento rispetto agli anni precedenti. Lo rivela il nuovo rapporto “Global Trends in Climate Litigation: 2024 Snapshot” del Grantham Research Institute della London School of Economics. Sono in aumento le cause climatiche contro le aziende e sono di […] LEGGI TUTTO

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    Responsabilità, collaborazione, complessità: il “Manifesto per la comunicazione sostenibile”

    Un “Manifesto per la comunicazione sostenibile” è il documento venuto fuori da un think tank di due ore tenuto da Paolo Iabichino al Festival di Green&Blue. Hanno partecipato i responsabili della comunicazione di alcune delle aziende che hanno partecipato al Festival e ne sono venuti fuori dei pensieri “senza biglietti da visita né brand, per […] LEGGI TUTTO

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    Cento speaker per cambiare il volto alle città. Prosegue il viaggio di City Vision, destinazione Stati generali a Padova

    Cinque tavoli di lavoro, per ragionare sugli argomenti cardine delle città del futuro. Il primo semestre di City Vision, il progetto di Blum e Padova Hall per raccontare e favorire la trasformazione intelligente dei territori, ha riunito più di 100 fra rappresentanti della PA, delle aziende, della ricerca e del mondo delle associazioni per fare sintesi delle migliori politiche pubbliche lungo la Penisola.

    Il prossimo grande appuntamento è a Padova, con gli Stati generali delle città intelligenti, in calendario il 21 e 22 ottobre al Centro Culturale Altinate S. Gaetano. Giunti alla quinta edizione, rappresentano da sempre un hub per pensare e costruire gli spazi pubblici del futuro in un dialogo tra PA, imprese, mondo accademico e sistema della ricerca e dell’innovazione.

    Il programma è disponibile sul sito ufficiale. Nella due giorni ci sarà spazio per tavoli di lavoro, speech ispirazionali, momenti di networking, così come per spettacoli teatrali e la cerimonia della consegna dei premi. I comuni possono ancora candidarsi per i premi buone pratiche di City Vision, riconoscimento assegnato ogni anno ai migliori progetti innovativi italiani in ambito PA.

    Il bilancio del roadshow 2024

    Le tappe del roadshow 2024 di City Vision hanno toccato nel primo semestre le città di Napoli, Genova, Milano, Udine e Siracusa. In ogni appuntamento, un tavolo di lavoro, a porte chiuse: un format pensato proprio per alimentare il dibattito all’interno della community, dove lo scambio di idee e il networking valgono come elementi fondanti.

    “City Vision e la sua community stanno crescendo – ha dichiarato Domenico Lanzilotta, direttore di City Vision – Nelle cinque tappe organizzate finora abbiamo incontrato decine e decine di persone che amministrano con competenza e passione le città. Abbiamo parlato di mobilità, inclusione, sport, turismo, energia e tanti altri temi, apparentemente lontani l’uno dall’altro ma in realtà uniti da una visione nuova di che cosa una città, un borgo, un territorio possono offrire alle persone che li abitano. E tappa dopo tappa abbiamo sperimentato il potere trasformativo dell’innovazione quando ha la forma del progetto condiviso nel quale ciascuno e ciascuna, in qualsiasi mondo si trovi ad operare – pubblica amministrazione, impresa, ricerca, professioni, associazionismo -, è chiamato a portare il proprio contributo”.

    Napoli, comuni in movimento

    Il percorso è cominciato a Napoli (15 marzo), città dove il format dei tavoli di lavoro City Vision ha preso forma nel 2022. Nell’edizione di quest’anno il tema è stato quello della mobilità e delle sfide legate a infrastrutture, investimenti e transizione ecologica. Tra gli speaker presenti Edoardo Cosenza, assessore alle Infrastrutture, Mobilità e Protezione civile del Comune di Napoli ed Enrico Franza, sindaco di Ariano Irpino. “Con EAV portiamo avanti una grande sfida: quella di un’azienda con 130 anni di storia che torni a essere all’avanguardia mettendo in campo progetti innovativi – ha spiegato il presidente di EAV Umberto De Gregorio – Stiamo al momento lavorando a un impianto di produzione a idrogeno a Piedimonte Matese”.

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    Fotovoltaico a colori o trasparente: a Bolzano c’è il laboratorio dei pannelli “non convenzionali”

    I pannelli fotovoltaici non sono tutti uguali. Colori, forme e dimensioni: l’unico limite è quello della fantasia. Perché se l’Italia vuole aumentare la quantità di energia prodotta in modo rinnovabile, bisogna trovare anche il modo di installare impianti laddove, finora, sono sempre stati off-limits o, comunque, hanno sempre incontrato forti resistenze. Ad esempio i centri storici o i campi coltivati. Solo che questi pannelli alternativi hanno ancora bisogno di studi, ricerche e sperimentazioni per testarne l’efficacia nelle condizioni più disparate. Facile massimizzare la produzione di energia con normalissimi pannelli blu su un tetto non vincolato. Provate a farlo sulla facciata di un edificio storico in un borgo antico con tinteggiatura rigorosamente color ocra.Il laboratorio dei pannelli del futuro si trova a Bolzano ed è quello di Eurac Research. È stato realizzato con i fondi Pnrr di Nest, un partenariato pubblico-privato che si occupa di fare ricerca di base sulle energie verdi. Nelle stanze di Eurac è un via vai di scienziati, ricercatori universitari, ingegneri e responsabili di imprese private: un crocevia tra mondo accademico e produttivo. “Testiamo sia tecnologie nate dalla ricerca universitaria, sia prodotti sviluppati dalle aziende che, però, hanno bisogno di essere messi alla prova” spiega Gabriella Gonnella, ingegnere energetico e ricercatrice del centro.

    Fisco verde

    Reddito energetico, in arrivo l’aiuto per un impianto fotovoltaico gratis

    di Antonella Donati

    29 Maggio 2024

    Tra i pannelli più particolari ci sono quelli colorati. “L’obiettivo è quello di integrarli in contesti diversi dai tetti e i solai – continua Gonnella – ad esempio un pannello può essere realizzato con componenti e un colore tale da simulare delle tegole, così da limitare al massimo l’impatto”. In un Paese in cui i vincoli architettonici sono numerosi e diffusi, non è un vantaggio da poco. “Pensiamo a cosa significa sostituire degli elementi architettonici con dei pannelli che, oltre a svolgere la stessa funzione, producono anche energia elettrica” spiega Maurizio Cellura, professore ordinario di Ingegneria all’università di Palermo e uno dei referenti scientifici di fondazione Nest.Un’altra applicazione alla quale si sta lavorando all’Eurac research è quella “campestre”. Dove la sfida è produrre energia senza ostacolare l’attività agricola. “Stiamo studiando un prodotto che possa far passare abbastanza luce da far crescere le piante sottostanti, ma anche per proteggerle dall’eccessivo irraggiamento solare” spiega ancora Gonnella. La strada, quindi, sembra essere quella dei moduli trasparenti o semi-trasparenti. Soluzioni che potrebbero mettere fine a una disputa ormai lunga anni e che ha visto, negli ultimi mesi, il ministero dell’Agricoltura in testa alla battaglia per vietare l’agricoltaico a terra a parte alcune eccezioni.

    La normativa

    “Lo stop alle rinnovabili sulle aree agricole serve per le elezioni, non all’agricoltura”

    di Fiammetta Cupellaro

    08 Maggio 2024

    La ricerca che si fa a Bolzano va dall’alfa all’omega: si tagliano su misura sia il vetro che la plastica, si interconnettono le celle a mano, si assemblano tutte le parti e poi si inserisce il modulo nel laminatore, un forno che scalda alla temperatura voluta il prodotto. Una cucina di pannelli fotovoltaici “in cui, a seconda delle esigenze, si scelgono gli ingredienti così da ottenere la ricetta ad hoc” continua Cellura. Una volta creato il pannello, si passa alla fase dei test. Prima in laboratorio e poi in campo aperto, simulando sia le condizioni ideali – cioè il pieno sole – sia quelle più estreme come freddo intenso e forte umidità. Con l’ambizione di avvicinarsi il più possibile all’efficienza dei pannelli “tradizionali”. LEGGI TUTTO