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    Greenpeace Usa dovrà pagare 667 milioni di dollari a Energy Transfer. Ora rischia la chiusura

    C’è chi lo interpreta come una dichiarazione di guerra a chi per mezzo secolo ha inseguito il sogno di una “pace verde”: Greenpeace. L’associazione ambientalista, fondata a Vancouver nel 1971, è stata condannata da un giuria del Dakota del Nord a pagare 667 milioni di dollari al gestore del Dakota Access Pipeline, il colosso Usa degli oleodotti Energy Transfer. Il reato? Diffamazione.

    La condanna pecuniaria è ben più alta della richiesta iniziale della compagnia: 300 milioni di dollari. E già quella cifra avrebbe messo in pericolo l’esistenza stessa della branca statunitense di Greenpeace. “Hanno lottato per salvare le balene. Riusciranno a salvare se stessi?”. Se lo era chiesto qualche giorno fa il New York Times, alla vigilia di una udienza decisiva del processo. La causa riguardava appunto il ruolo dell’associazione ambientalista nelle manifestazioni organizzate ormai un decennio fa contro un oleodotto vicino alla riserva Sioux di Standing Rock, nel Dakota del Nord.

    La Energy Transfer, proprietaria dell’infrastuttura, accusava Greenpeace di aver appoggiato attacchi illegali al progetto e aver condotto una “vasta e maligna campagna pubblicitaria” che sarebbe costata denaro all’azienda. La compagnia voleva quindi 300 milioni di dollari di danni. “Una tale perdita in tribunale ci potrebbe costringerla a chiudere i nostri uffici americani”, avevano ammesso gli attivisti.

    Il caso

    Una causa da 300 milioni di dollari mette a rischio Greenpeace Usa: “Siamo sotto attacco”

    di Luca Fraioli

    18 Marzo 2025

    L’associazione si è mobilitata in tutto il mondo, a difesa di Greenpeace Usa: qualche giorno fa sul sito della sezione italiana è stata aperta una petizione che partendo dal processo in corso, allarga la lotta al revisionismo climatico di questi ultimi mesi: “Greenpeace è sotto attacco. “Abbiamo bisogno del tuo aiuto!”, si legge nella pagina web dedicata a alla raccolta delle firme.

    “La gigantesca compagnia petrolifera Energy Transfer ha intentato una causa contro Greenpeace negli Stati Uniti e contro Greenpeace International per 300 milioni di dollari. In un contesto in cui politici negazionisti della crisi climatica, come Trump o Milei, governano interi Paesi, la battaglia per il futuro del pianeta e dei suoi abitanti è in serio pericolo”.

    Eppure Greenpeace non è nuova a battaglie durissime, sul campo, nei mari, sui ghiacci… ma anche nelle aule di tribunale. Perché il processo intentato dall’Energy Transfer rischia di fare la differenza? L’entità dell’indennizzo richiesto, e ora a maggior ragione il raddoppio voluto dal tribunale: 667 milioni di dollari sono quasi quindici volte il budget di Greenpeace Usa (nel 2020 era di 40 milioni). Anche una condanna in primo grado, comporterebbe comunque un anticipo tale da far saltare il banco dell’associazione statunitense.

    Ma il pericolo è più ampio. E non riguarda solo Greenpeace. Il processo dell’oleodotto contrastato dai Sioux è solo la punta dell’iceberg di una generale tendenza a “punire un ambientalista per zittirne 100”. Lo nota l’altro giorno anche la voce della City londinese, il Financial Times: “Greenpeace contro Big Oil: il caso che mette alla prova la libertà di parola nell’era Trump”. Per restare negli Stati Uniti, pochi giorni fa un’altra notizia dello stesso tenore: il climatologo Michael Mann, che nei mesi scorsi aveva vinto una causa per diffamazione da un milione di dollari, contro chi lo aveva accusato di truccare i dati sul riscaldamento globale, ora dovrà restituire oltre la metà: 530 mila dollari, perché secondo un giudice i suoi avvocati avrebbero utilizzato prove false nel corso del procedimento.

    In base a una recente legge anti-proteste, in Australia decine di attivisti sono stati arrestati al porto del carbone di Newcastle alla fine del 2024 dopo aver utilizzato kayak e gommoni per protestare contro la struttura: è iniziato il processo e loro si dichiareranno in massa “non colpevoli”, come raccontava ieri il Guardian.

    © 2024 SOPA Images  LEGGI TUTTO

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    Caffè in capsule o cialde: quali sono più sostenibili?

    Pare che il filosofo russo Michail Bakunin abbia scritto: “Il caffè, per esser buono, deve essere nero come la notte, dolce come l’amore, caldo come l’inferno”. E, aggiungiamo noi, sostenibile per l’ambiente.

    “Questo prodotto ha molte criticità”, rende noto Livia Biardi, senior expert in chemicals and sustainability di Altroconsumo. “Presenta, infatti, una filiera complessa in cui si innescano meccanismi iniqui che sfruttano la manodopera dei lavoratori. Tanti di loro (l’80%) sono piccoli agricoltori che operano in condizioni difficili, su terre impoverite, e che hanno scarso potere contrattuale in un mercato instabile.

    C’è poi il problema del cambiamento climatico. Il report Coffee Barometer ha messo in luce che spesso, dietro gli impegni di sostenibilità assunti dai produttori, si nasconde solo l’attenzione alla riduzione dei costi e alla massimizzazione del profitto”. Il caffè, insomma, costa caro, ai braccianti e al Pianeta.

    Tutorial

    Caffè, come prepararlo senza sprechi: i consigli

    di Paola Arosio

    25 Febbraio 2025

    Considerando ciò, sarebbe importante limitare il più possibile almeno l’impatto degli imballaggi. E dato che, stando a recenti analisi, per preparare la bevanda la maggior parte degli italiani preferisce la macchina automatica alla “vecchia” moka, è importante chiarire se siano preferibili le cialde oppure le capsule.

    Le cialde amiche dell’ambiente
    Fu Ernesto Illy a inventare, nel 1974, la prima cialda, ovvero una dose singola di caffè contenuta in un involucro di carta. Negli anni Novanta questo sistema, che assicurava la giusta quantità di materia prima per la preparazione della tazzina, divenne uno standard industriale internazionale noto come Easy serving espresso (Ese), al quale aderirono numerosi torrefattori e produttori di macchine automatiche.

    Oggi la maggior parte delle cialde, il cui diametro varia dai 38 ai 44 millimetri, consiste in monoporzioni preconfezionate di circa 7 grammi di caffè torrefatto, macinato, pressato e chiuso ermeticamente tra due strati di carta filtrante termosaldata. Una scelta ottima, questa, dal punto di vista ambientale: le cialde esauste vanno gettate nell’umido, come i fondi di caffè e le bustine di tè, e non contribuiscono, quindi, alla produzione di rifiuti.

    Tutorial

    Raccolta differenziata: gli errori che (quasi) tutti facciamo

    di Paola Arosio

    08 Marzo 2025

    Capsule di plastica e alluminio
    Solo un paio di anni dopo la creazione delle cialde, nel 1976 Éric Favre, ingegnere della Nestlé, brevettò le capsule di caffè, piccoli contenitori rigidi di forma cilindrica composti da un involucro in plastica (polipropilene, un polimero che resiste al calore) e da una linguetta in alluminio.

    Essendo costituite da un assemblaggio di più materiali, le capsule usate vanno di norma buttate nell’indifferenziato, finendo nelle discariche e negli inceneritori. Si calcola che ogni anno i rifiuti derivanti da questa pratica ammontino a 576 milioni di chili, pari al peso di 60mila camion.

    In realtà, con un impegno maggiore da parte del consumatore, sarebbe possibile riciclare le capsule dopo l’uso, separando manualmente i componenti del packaging, cioè plastica e alluminio, e gettandoli nei contenitori dedicati. Un’altra possibilità, che richiede, però, sempre un onere per l’utente, è portarle nei punti di raccolta presenti nella propria città, a partire dai quali verranno avviate al riciclaggio.

    Molto più sostenibili le capsule compostabili, introdotte di recente sul mercato, riconoscibili dall’acquirente per la presenza, sulla confezione, del marchio Ok Compost, il quale certifica che possono essere conferite nell’umido e trasformate appunto in compost, una miscela ricca di sostanze nutritive utili come fertizzante per i terreni agricoli.

    Il test di Altroconsumo
    In generale, le capsule sono progettate per essere compatibili con specifici sistemi di macchine, tra cui i due più diffusi sono Dolce Gusto e Nespresso. Proprio su queste nel 2024 Altroconsumo ha effettuato un test. “Abbiamo analizzato 20 capsule compatibili con il sistema Dolce Gusto”, spiega Biardi. “Sono di plastica robusta, ciascuna contiene 5-8 grammi di caffè (la media è 7,3 grammi) e produce 4 grammi di imballaggi che, nei casi peggiori, arriva fino a 8 grammi, cioè più del prodotto stesso. Abbiamo poi testato 18 capsule compatibili con Nespresso: contengono in media 5,5 grammi di caffè e sono soprattutto di plastica e alluminio, ma esistono anche varie opzioni compostabili”.
    In sintesi, che fare dunque? “Utilizzando le macchine automatiche, l’opzione migliore sono le cialde, seguite dalle capsule compostabili. Da evitare, invece, le capsule di plastica e alluminio, non riciclabili”, conclude l’esperta. LEGGI TUTTO

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    Le emissioni delle fabbriche possono diventare shampoo, bagnoschiuma e detergenti

    Oggi le emissioni di gas serra prodotte dall’industria sono uno dei principali motori dei cambiamenti climatici. Ma in futuro potrebbero diventare una preziosa materia prima, con cui produrre shampoo, detergenti e altri prodotti di uso comune, fornendo così una spinta decisiva verso un’economia circolare della CO2 e la decarbonizzazione del comparto industriale. È la conclusione a cui è giunto un team di ricercatori dell’Università del Surrey, in uno studio pubblicato sulla rivista Journal of CO2 Utilization.

    L’analisi è stata svolta nell’ambito della Flue2Chem initiative, un programma di ricerca che punta a identificare e valutare nuove strategie per la cattura e la riconversione delle emissioni industriali di CO2, come strategia per raggiungere gli obbiettivi climatici fissati per i prossimi decenni dal governo del Regno Unito.

    Lo studio si è concentrato sulla produzione di tensioattivi, sostanze che riducono la tensione superficiale dell’acqua e che trovano utilizzo in moltissimi prodotti per la pulizia e l’igiene, come appunto shampoo, bagnischiuma e detergenti di vario tipo. I tensioattivi sono prodotti indispensabili per l’industria chimica moderna, con un mercato destinato a superare i 59milioni di dollari entro il 2032. E oggi vengono principalmente a partire da materie prime fossili, in un processo che quindi contribuisce direttamente all’aumento delle emissioni climalteranti.

    La CO2 può essere utilizzata come materiale di partenza per la produzione di tensioattivi, e con le più recenti tecnologie di carbon capture, è possibile ottenerla direttamente alla fonte: nelle ciminiere degli impianti industriali, che oggi rappresentano la terza fonte di emissioni dirette nei paesi industriali. Ovviamente si tratta di un processo che ha i suoi costi, e la cui applicazione alla produzione di tensioattivi fino ad oggi non era mai stata studiata approfonditamente.

    Tecnologia

    Più detriti spaziali, più collisioni con l’aumento delle emissioni

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    11 Marzo 2025

    È quello che hanno deciso di fare gli autori del nuovo studio, progettando l’intero ciclo vitale di una futura industria dei tensioattivi prodotti a partire da CO2 ottenuta con tecnologie di carbon capture. Il sistema da loro immaginato è stato quindi valutato simulandone l’utilizzo in una fabbrica di carta e in una di acciaio. I risultati dimostrano che il processo può essere economicamente sostenibile, e che nelle giuste condizioni potrebbe arrivare a tagliare dell’82% l’impatto ambientale di una fabbrica di carta, e di circa il 50% quello della produzione dell’acciaio.

    Tra le criticità da superare, la ricerca indica come principale la disponibilità di idrogeno, necessario in elevate quantità per via della natura energivora del processo di riconversione della CO2 in tensioattivi. Un problema che – scrivono gli autori della ricerca – può essere superato solamente con investimenti sempre più massicci in infrastrutture per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

    Biodiversità

    Le siepi aumentano del 40% lo stoccaggio di anidride carbonica dal suolo

    Sandro Iannaccone

    21 Febbraio 2025

    “Per decenni, i combustibili fossili sono stati la spina dorsale dell’industria manifatturiera, non solo come fonti di energia, ma anche come ingredienti chiave nella produzione di articoli di uso quotidiano”, spiega Jin Xuan, ricercatore dell’Università del Surrey che ha collaborato allo studio. “Questa dipendenza ha un elevato costo in termini ambientali. I nostri risultati mostrano che la CO2 di scarto può essere parte della soluzione, invece che del problema: non si tratta solamente di tagliare le emissioni, ma di creare un’economia circolare del carbonio in cui i rifiuti diventano materie prime per produrre beni essenziali e combustibili”. LEGGI TUTTO

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    Equinozio di primavera: cos’è, date e curiosità

    Ogni anno, tra il 19 e il 21 marzo, la Terra si trova in una posizione speciale rispetto al Sole. È il momento dell’equinozio di primavera, l’istante esatto in cui il giorno e la notte si equivalgono, segnando il passaggio dall’inverno alla stagione della rinascita. Un fenomeno astronomico che da millenni affascina l’umanità e che ancora oggi è carico di significati simbolici e culturali.

    Che cos’è l’equinozio di primavera
    L’equinozio di primavera è il momento dell’anno in cui il Sole attraversa l’equatore celeste, rendendo la durata del giorno e della notte pressoché uguale in tutto il mondo. Il termine “equinozio” deriva dal latino aequinoctium, che significa “notte uguale”. Tale evento segna il passaggio dall’inverno alla primavera nell’emisfero settentrionale, mentre nell’emisfero australe segna l’inizio dell’autunno. Dal punto di vista astronomico, questo evento stagionale è uno dei due momenti dell’anno (insieme all’equinozio d’autunno) in cui l’asse terrestre non è inclinato rispetto al Sole. Questo comporta una distribuzione equilibrata della luce solare su tutto il pianeta.

    Date dell’equinozio di primavera nel 2025
    Il passaggio dalla stagione invernale a quella primaverile non cade sempre nello stesso giorno, ma tende a oscillare tra il 19 e il 21 marzo. Questo avviene a causa delle variazioni nel calendario gregoriano e del modo in cui la Terra orbita attorno al Sole. Negli ultimi anni, la data più comune per l’equinozio di primavera è il 20 marzo, la stessa da segnare in calendario anche per il 2025 (sarà un giovedì). Tuttavia, l’equinozio non è da intendersi per tutta la giornata, bensì un unico istante, che quest’anno sarà alle 10:01: un attimo soltanto durante il quale salutare per sempre il freddo e dare, finalmente, il benvenuto alla stagione della fioritura.

    In linea di massima, la data dell’equinozio di primavera si calcola in base al movimento apparente del Sole e alla posizione della Terra rispetto alla sua orbita ellittica.

    Curiosità sull’equinozio di primavera
    Sebbene si tratti solo di una data segnata sul calendario, in realtà l’equinozio di primavera è da sempre un evento carico di simbolismo e tradizioni in molte culture del mondo. Tra credenze popolari e significati spirituali, il passaggio dall’inverno alla primavera nasconde storie e tradizioni piuttosto curiose.

    Le uova che stanno in equilibrio
    Una delle credenze popolari più diffuse riguarda l’equilibrio; non un equilibrio qualsiasi, ma l’equilibrio di un uovo. Sì, perché pare che durante l’equinozio di primavera sia possibile fare stare un uovo in equilibrio perfetto sulla sua base. Questo mito nasce dal fatto che, in teoria, durante questa data la forza gravitazionale dovrebbe essere “speciale”. In realtà, questa impresa è possibile in qualsiasi giorno dell’anno, con un po’ di pazienza e di precisione, ma il racconto della tradizione lascia nell’aria un po’ di magia di primavera.

    Il Capodanno persiano
    In Iran e in altri Paesi dell’Asia centrale, l’equinozio di primavera coincide con il Nowruz, il Capodanno persiano. Questa festività, che ha origini antichissime, segna l’inizio di un nuovo anno ed è celebrata con riti tradizionali, pasti speciali e momenti di condivisione familiare.

    Il significato spirituale
    Per molte culture e religioni, l’equinozio di primavera è un momento di rinnovamento e di rinascita. Anticamente, veniva associato alle divinità della fertilità e della crescita, come Ostara nella mitologia germanica o Persefone nella mitologia greca.

    L’allineamento con siti archeologici
    Alcuni siti archeologici nel mondo sono allineati con il sorgere del Sole durante l’equinozio di primavera. Uno degli esempi più noti è Chichén Itzá, in Messico, dove la piramide di Kukulkán proietta un’ombra che assomiglia a un serpente che scende lungo la scalinata. Un altro esempio è Stonehenge, nel Regno Unito, dove il Sole sorge in una posizione perfettamente allineata con i megaliti.

    L’influenza sulla Pasqua
    L’equinozio di primavera è un punto di riferimento fondamentale per il calcolo della data della Pasqua cristiana. Secondo la tradizione, la Pasqua cade la domenica successiva alla prima luna piena dopo l’equinozio di primavera, motivo per cui la sua data cambia ogni anno.

    Evento astronomico, l’equinozio di primavera continua a essere momento di grande significato culturale e simbolico. Con l’arrivo della bella stagione le giornate iniziano ad allungarsi, la natura si risveglia, gli animali escono dal lungo letargo invernale, si accendono i colori e molte tradizioni vengono celebrate in tutto il mondo. Questo evento, a prescindere da come lo si viva, continua a suscitare curiosità e fascino in chiunque lo osservi. Il buonumore, a primavera, è assicurato. LEGGI TUTTO

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    “Il mio bisnonno produceva sapone, oggi sviluppiamo materiali naturali dal sughero per case green”

    Sughero. Innovazione. Sostenibilità. Questi tre ingredienti hanno consentito alla marchigiana Diasen di sviluppare biomalte e biopitture a base naturale (e sostenibili) capaci di assicurare efficienza energetica, nonché comfort acustico e termoigrometrico. “Siamo partiti dalle radici mediterranee. Noi siamo a Sassoferrato che duemila anni fa si chiamava Sentinum. E poi abbiamo fatto una crasi con Diathonite, la nostra biomalta a base di sughero, argilla, polveri diatomeiche e calce idraulica naturale. Diasen”, racconta Diego Mingarelli, ceo dell’azienda.

    Economia Circolare

    Lavori green, Realacci: “Le professioni si devono ripensare in modo sostenibile”

    di Luca Fraioli

    05 Marzo 2025

    Negli anni ’20 il bisnonno produceva saponi; cinquant’anni anni dopo il papà rilanciava con i solventi; nel 2000 avviene la riconversione ecologica a favore dell’architettura e l’edilizia. “Siamo partiti con l’intonaco termico e siamo stati pionieri grazie all’impiego di materiali naturali. Non solo. Siamo riusciti a migliorare una formula che consente anche di risanare l’umidità. Ecco perché parliamo di una connessione tra materiali naturali, tecnologie architettoniche mediterranee e il benessere e la salute degli edifici”, sottolinea l’imprenditore.

    (foto: Diasen)  LEGGI TUTTO

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    Lupi, in Europa aumentati del 60% in un decennio: sono 21.500

    Lo studio di un’università svedese conferma il successo dei programmi europei di protezione e conservazione dei lupi, aumentati di quasi il 60 per cento in un decennio. Lo studio è stato coordinato dai ricercatori Cecilia Di Bernardi e Guillaume Chapron dell’Università svedese di scienze agrarie ed è stato pubblicato sulla rivista Plos Sustainability and Trasformation. Secondo la ricerca, nonostante le popolazioni dei grandi carnivori, come la biodiversità in generale, siano in declino in tutto il mondo, le politiche di conservazione che in Europa hanno sostenuto il recupero dei lupi negli ultimi decenni, hanno invece tutelato questa specie.

    Aumentati del 58%
    Per comprendere le tendenze attuali nelle loro popolazioni, i ricercatori hanno raccolto dati sul numero di lupi in 34 paesi in tutta Europa. Hanno così scoperto che nel 2022 i lupi che abitavano in Europa erano almeno 21.500. Secondo l’analisi nel decennio precedente la popolazione stimata era di 12 mila quindi l’aumento è stato del 58 per cento. Le popolazioni di lupi hanno registrato un aumento nella maggior parte dei Paesi presi in esame, tra cui l’Italia, Austria, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Slovacca, Slovenia, Svezia, Svizzera e la parte europea della Turchia. Il numero di esemplari è invece rimasto sostanzialmente stabile in 8 Paesi (Albania, Croazia, Lussemburgo, Norvegia, Portogallo, Romania, Spagna, Ucraina), ed è diminuito, infine, in Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Macedonia del Nord.

    Biodiversità

    Giornata mondiale della fauna selvatica, Boitani: “Convivere con orsi e lupi si può”

    di Pasquale Raicaldo

    03 Marzo 2025

    Il problema del bestiame
    I ricercatori hanno anche indagato le fonti di conflitto tra esseri umani e lupi, come la morte del bestiame (soprattutto capre e pecore, ma anche cani). Secondo la ricerca dell’università svedese nell’Unione Europea, i lupi uccidono 56 mila animali all’anno, su una popolazione totale di 279 milioni di capi di bestiame. “Sebbene il rischio sia diverso tra i paesi, in media, il bestiame ha una probabilità dello 0,02 per cento di essere ucciso dai lupi. Risarcire gli agricoltori per queste perdite costa ai paesi europei 17 milioni di euro all’anno” hanno spiegato i ricercatori.

    La situazione in Italia
    “Alcuni Paesi, tra cui l’Italia, hanno avuto perdite assolute significativamente maggiori rispetto ad altri, probabilmente legate a diverse pratiche di allevamento e diversi sistemi di compensazione”, si legge nel report. Per quanto riguarda il timore di attacchi alle persone, gli autori sottolineano che quelli segnalati in Italia e Grecia sono stati molto probabilmente da parte di cani, non di lupi. “In alcune popolazioni – si legge nello studio – l’ibridazione con i cani sta diventando una minaccia per la conservazione del lupo con stime segnalate che potrebbero persino includere alcuni ibridi”.
    “Tuttavia, i lupi possono anche avere impatti economici positivi, come la riduzione degli incidenti stradali e dei danni alle piantagioni forestali tramite il controllo delle popolazioni di cervi selvatici”. Anche se non sono disponibili dati sufficienti per quantificare questi benefici.

    Biodiversità

    Più alberi, meno cervi rossi: i benefici del ritorno dei lupi in Scozia

    di redazione Green&Blue

    17 Febbraio 2025

    Una convivenza complessa
    Considerando la popolazione europea e la diffusa alterazione dei paesaggi per l’agricoltura, l’industria e l’urbanizzazione, il rapido recupero dei lupi nell’ultimo decennio “evidenzia la loro straordinaria adattabilità”, spiegano gli autori dello studio che aggiungono “Il recupero dei lupi nei paesaggi dominati dall’uomo in Europa è continuato negli ultimi dieci anni, con la loro popolazione in crescita. Le sfide future includono il problema dei danni causati direttamente dai lupi e le questioni socio-politiche più ampie relative alla conservazione”. Il problema resta aperto: come adattare le politiche nazionali e internazionali per garantire come i lupi e le persone possano coesistere in modo sostenibile? LEGGI TUTTO

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    Eventi estremi e bolle di calore, così la crisi del clima sconvolge la vita di milioni di persone

    Tendiamo a dimenticarcelo, ma i dati ci riportano alla dura realtà. In un contesto geopolitico dove l’attenzione è tutta concentrata sulle guerre e sull’approvvigionamento energetico e dei minerali, mentre il neo presidente Usa Donald Trump sta smantellando ogni politica climatica, le analisi dei dati sugli impatti del surriscaldamento globale ci restituiscono una fotografia durissima di quanto accaduto negli ultimi mesi: solo da dicembre 2024 a febbraio 2025 si stima che 394 milioni di persone al mondo siano state esposte a un livello di calore pericoloso per la salute.

    Anche se si affronta meno il tema, se si parla meno degli eventi meteo estremi che all’improvviso stravolgono vite e beni – come avvenuto di recente anche in Toscana ed Emilia Romagna con le alluvioni – la crisi climatica infatti continua a correre velocissima. Due nuovi rapporti ci restituiscono nel dettaglio quanto. Una nuova analisi di Climate Central spiega per esempio come in soli 3 mesi “almeno una persona su cinque nel mondo ha avvertito un’influenza significativa del cambiamento climatico ogni giorno da dicembre 2024 a febbraio 2025”. Significa che centinaia di milioni di cittadini hanno sperimentato i rischi sanitari legati per esempio alle ondate di calore o al cambiamento delle temperature, che avviene ovunque. In Italia per esempio negli ultimi tre mesi invernali i giorni con temperature anomale sono stati addirittura 24. Nel mondo 394milioni di persone sono state esposte invece ad almeno 30 giorni di caldo pericoloso: il 74% di queste vive in Africa, in assoluto fra le aree più impattate dal nuovo clima. Se si usa la lente di ingrandimento osservando dove la crisi climatica colpisce più duro si scopre che spesso è nelle città: in 287 centri urbani del mondo i residenti hanno “avvertito l’influenza del cambiamento climatico sulle temperature per almeno un mese” spiega il report. Questo ci ricorda che “il cambiamento climatico non è una minaccia lontana, ma una realtà presente per milioni di persone” spiega Kristina Dahl, vicepresidente Science at Climate Central, ricordando come questi impatti aumenteranno se continuiamo a bruciare combustibili fossili.

    L’accelerazione della crisi climatica è poi ben analizzata soprattutto da un report appena pubblicato dalla World Metereological Organisation (WMO), lo “State of Climate 2024”. Per prima cosa ci dice che ormai le concentrazioni di CO2 sono ai livelli più alti degli ultimi 800mila anni: qualcosa di estremamente preoccupante per le dinamiche climatiche nonostante ci sia chi, come Donald Trump e il Doge (Dipartimento per l’efficienza governativa) guidato da Elon Musk, punti a smantellare gli uffici che monitorano la CO2 come quello di Mauna Loa alle Hawaii, nel tentativo di oscurare il problema.

    Usa e l’ambiente

    Clima, Trump vuole spegnere il monitoraggio sulle emissioni di gas serra

    di Giacomo Talignani

    17 Marzo 2025

    A livello mondiale, per via delle concentrazioni di gas serra, ognuno degli ultimi dieci anni è stato singolarmente il più caldo mai registrato e ognuno degli ultimi otto ha stabilito nuovi record per il livello di calore degli oceani. A questi dati, sempre per restituirci una fotografia completa di ciò che sta accadendo, andrebbero aggiunti quelli sulla perdita di ghiaccio marino artico: i livelli più bassi si sono tutti verificati dal 2006 ad oggi. Altre cifre, testimoniano poi in maniera puntuale cosa è accaduto nel 2024, il più caldo di sempre. Ci sono stati almeno 151 eventi meteo estremi definibili come “senza precedenti”. E mentre nel mondo è ormai comprovato il fatto che il tasso di innalzamento del livello del mare è raddoppiato dall’inizio delle misurazioni satellitari, gli eventi estremi si sono susseguiti praticamente senza sosta. Questo ha portato lo scorso anno al più alto numero di nuovi sfollati dal 2008, si parla di 820mila persone allontanate da casa per questioni di sicurezza davanti al nuovo clima. Tutti questi, scrivono dal World Metereological Organisation, sono “chiari segnali del cambiamento climatico indotto dall’uomo”, con conseguenze irreversibili per centinaia se non migliaia di anni, sia in termini di vite che di economie. “Stiamo aumentando aumentando i rischi per le nostre vite, le nostre economie e per il Pianeta”, ha detto senza mezzi termini il segretario generale del WMO, Celeste Saulo. Nel ribadire come siamo ancora in tempo, con politiche mirate, a centrare gli obiettivi degli Accordi di Parigi – ovvero restare nei decenni sotto i +1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali – gli esperti annotano poi come negli ultimi anni oltre alla principale causa del riscaldamento, le emissioni antropiche, ci siano stati altri fattori determinanti che hanno portato a un 2024 da record.

    Per esempio gli effetti del fenomeno naturale di El Niño, ma anche “cambiamenti nel ciclo solare”, oppure gli effetti di massicce eruzioni vulcaniche. Tra tutti i dati “forti” e talvolta insoliti per proporzione, i più spaventosi per i ricercatori restano quelli degli oceani. “I dati del 2024 mostrano che i nostri oceani hanno continuato a riscaldarsi e i livelli del mare hanno continuato a innalzarsi. Le parti ghiacciate della superficie terrestre, note come criosfera, si stanno sciogliendo a un ritmo allarmante: i ghiacciai continuano a ritirarsi e il ghiaccio marino antartico ha raggiunto la sua seconda estensione più bassa mai registrata. Nel frattempo, il meteo estremo continua ad avere conseguenze devastanti in tutto il mondo” ripete Saulo. Devastante, dice, perché cicloni tropicali, alluvioni, inondazioni e siccità sono sempre più potenti e al contempo impattanti per le persone, costrette a fuggire, così come tendono a “peggiorare le crisi alimentari e hanno causato ingenti perdite economiche”.

    Anche per questo, esortando i leader mondiali a un cambio di rotta nelle politiche di decarbonizzazione, il WMO spiega che insieme alla comunità scientifica globale sta “intensificando gli sforzi per rafforzare i sistemi di allerta precoce e i servizi climatici per aiutare i decisori e la società in generale a essere più resilienti al meteo e al clima estremi. Stiamo facendo progressi, ma dobbiamo andare oltre e più velocemente. Solo la metà di tutti i Paesi del mondo ha sistemi di allerta precoce adeguati. Questo deve cambiare” dice Saulo. Infine, un dato che su tutti ci restituisce l’idea di come la crisi climatica amplifichi il divario sociale. Se pensiamo agli eventi climatici più drammatici dello scorso anno forse la mente tornerà alle alluvioni nel nostro Paese, oppure all’impatto molto raccontato dai media degli uragani Helene e Milton negli Stati Uniti. Eppure, uno degli eventi meteo più devastanti – quasi dimenticato – è stato il passaggio del ciclone tropicale Chido intensificato per potenza dal nuovo clima: solo in Mozambico, oltre a morte e distruzione, ha costretto oltre 100mila persone ad abbandonare la propria casa e le proprie certezze. LEGGI TUTTO

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    Bonus mobili e risparmio energetico, lo sconto fiscale vale per l’acquisto di elettrodomestici

    Il Bonus elettrodomestici 2025 tarda, ma per chi ha fatto lavori in casa lo scorso anno o si appresta a farli adesso c’è sempre la possibilità di utilizzare per questi stessi acquisti il Bonus mobili. Si tratta della detrazione del 50% in dieci anni che ha un tetto massimo di spesa di 5.000 euro e consente non solo di rinnovare gli arredi ma anche di comprare elettrodomestici nuovi a risparmio energetico. Agevolati anche gli acquisti online. Il Bonus scade a fine anno e può averlo anche chi ha fatto acquisti nel 2024 a patto che abbia ancora la fattura, lo scontrino con i propri dati fiscali o la ricevuta della carta di credito.

    Come funziona l’agevolazione
    Tecnicamente il Bonus mobili è una detrazione Irpef del 50% per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici destinati ad arredare un immobile oggetto di interventi di tipo edilizio, per il quale si gode della relativa agevolazione. La detrazione spetta quando i beni acquistati sono destinati ad arredare un qualunque ambiente dello stesso immobile oggetto di intervento edilizio, anche se non è quello sul quale sono stati fatti i lavori. Così ad esempio se è stato ristrutturato il bagno ora si può anche rinnovare anche la cucina con lo sconto fiscale. L’unico vincolo è che mobili ed elettrodomestici siano acquistati dopo aver avviato i lavori. Non è invece rilevante la spesa sostenuta per l’intervento edilizio, che quindi può essere anche di minimo importo, senza che questo precluda la possibilità di usare tutto il plafond dei 5.000 euro di spesa per gli arredi.

    Quali elettrodomestici sono detraibili
    La detrazione è stata pensata per favorire il risparmio energetico, quindi sono agevolati esclusivamente gli acquisti di apparecchi domestici ad elettricità. Non si può invece usare il bonus, ad esempio, per passare da uno scaldabagno elettrico a uno a gas, né per comprare una cucina a gas. Il beneficio fiscale spetta per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla classe A per i forni, alla classe E per le lavatrici, le lavasciugatrici e le lavastoviglie, alla classe F per i frigoriferi e i congelatori. L’acquisto è comunque agevolato per gli elettrodomestici privi di etichetta, a condizione che per essi non ne sia stato ancora previsto l’obbligo, come nel caso dei fondi a microonde. Nella lista degli apparecchi per il quali si può avere il Bonus troviamo dunque: frigoriferi, congelatori, lavatrici, lavasciuga e asciugatrici, lavastoviglie, piani cottura a induzione, stufe elettriche, forni a microonde, piastre riscaldanti elettriche, apparecchi elettrici di riscaldamento, radiatori elettrici, ventilatori elettrici, climatizzatori.

    Detrazione anche per chi paga a rate
    Per avere la detrazione sugli acquisti occorre effettuare i pagamenti esclusivamente con bonifico, carta di credito o bancomat, mentre non sono ammessi gli assegni. L’agevolazione è riconosciuta anche a chi paga a rate con un finanziamento. Necessari poi la fattura o lo scontrino fiscale, ossia quello con indicato anche il codice fiscale di chi ha effettuato il pagamento.

    Come avere il bonus per le spese del 2024
    Chi ha effettuato interventi edilizi in casa lo scorso anno e sempre nel 2024 ha acquistato anche gli elettrodomestici può richiedere il bonus direttamente nel 730. È sufficiente indicare le spese sostenute nell’apposito riquadro. L’agevolazione è ammessa anche per eventuali spese di trasporto e montaggio, sempre ovviamente entro il tetto di spesa di 5.000 euro. Occorre poi conservare fattura e copia dei pagamenti. In caso di acquisti online o per chi non ha richiesto lo scontrino fiscale, per l’agevolazione è sufficiente la copia dell’estratto conto della carta di credito. LEGGI TUTTO