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    Le foreste sono in crescita ma non abbassiamo la guardia

    Vietato fare gli “addormentati” nel bosco. O meglio, vietato abbassare la guardia su tutto ciò che riguarda le nostre aree forestali perché la buona notizia, ricorda il ricercatore Giorgio Vacchiano che sarà sul palco del Festival di Green&Blue la mattina del 5 giugno, è che in Italia sono più del previsto e stanno “offrendo un importante contributo nell’assorbimento di CO?, anche se non sufficiente rispetto alle emissioni dell’uomo”, ma la cattiva notizia è che se non ce ne occupiamo possono facilmente tornare a rischio nel volgere di pochi anni.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    31 Maggio 2025

    Si stima infatti che ogni 10 anni il 3% della biomassa europea sia a rischio di essere distrutta da tempeste di vento, incendi e attacchi di insetti, e la vulnerabilità a questi disturbi è in aumento. Per fortuna però attualmente, in un generale contesto negativo di crisi climatica, incendi e perdita di habitat e biodiversità, le foreste italiane stanno dando segnali incoraggianti. Lo stato delle nostre foreste è infatti in costante crescita, “abbiamo ormai raggiunto 11 milioni di ettari tra foreste e altre terre boscate” spiega Vacchiano, ricercatore e docente in Gestione e pianificazione forestale all’Università Statale di Milano, ricordando l’importanza di implementare “una gestione attiva di questi ettari”.“Inoltre – continua il professore – gli ultimi inventari nazionali delle emissioni ci mostrano, al 2023, come le foreste italiane assorbono 53 milioni di tonnellate di anidride carbonica, in pratica il 14% delle emissioni. Un dato quasi raddoppiato rispetto alle ultime rilevazioni, anche se in realtà va considerato il fatto che sono cambiate modalità di conteggio e sono stati aggiornati i dati di base. Però sappiamo comunque che l’espansione forestale è superiore rispetto a quella simulata finora dai modelli e che anche il servizio di assorbimento di CO? è di conseguenza cresciuto. Un dato più confortevole di quanto pensavamo”. Questo prezioso eco-servizio offerto dai boschi, fondamentale per le vite di tutti noi, va però preservato con molta attenzione.

    Giorgio Vacchiano, Ricercatore dell’Università Statale di Milano ed esperto di gestione forestale  LEGGI TUTTO

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    Valeria Barbi: “Un milione di specie a rischio estinzione e ci stiamo abituando”

    “Oggi 1 milione di specie sono a rischio estinzione: di queste, il 50% potrebbe scomparire entro la fine del secolo. Rischiamo di veder sparire specie che non abbiamo ancora scoperto. E i fattori alla base di questa debacle sono connessi tra loro e dipendono tutti dalle attività umane: perdita di habitat, crisi climatica, sovrasfruttamento, inquinamento e diffusione di specie aliene”. Valeria Barbi è una naturalista e giornalista ambientale: autrice di Che cos’è la biodiversità oggi (Edizioni Ambiente) e di WANE – We Are Nature Expedition, un reportage con cui ha documentato il rapporto uomo-natura lungo la Panamericana. “Mi inquieta – dice – che ci si abitui alla perdita di biodiversità quasi sia nel naturale stato delle cose assistere all’estinzione di una specie per colpa nostra. Non sappiamo, ad oggi, il numero di specie animali che popolano la Terra: circa 2,2 milioni sono quelle catalogate, ma potrebbero essercene miliardi, nelle profondità oceaniche o negli angoli remoti delle foreste pluviali. Dall’inizio di questa intervista, è possibile che una specie si sia estinta ancor prima di essere stata scoperta”.

    Partiamo dalla crisi climatica.
    “Gli effetti sulla biodiversità sono diffusi in ogni angolo del Pianeta: si traducono nella fisiologia di diverse specie – alcuni uccelli migratori diventano più piccoli e con ali più grandi – e nella rottura di connessioni spaziali e temporali tra specie diverse, per esempio tra insetti impollinatori e fioriture o fra predatori e prede . Ma si registrano anche variazioni negative sul successo riproduttivo”.

    I temi

    Festival di Green&Blue, sul palco la ricchezza della biodiversità

    di Sandro Iannaccone

    22 Maggio 2025

    Quali sono le specie più a rischio?
    “Un numero importante riguarda gli endemismi terrestri: l’84% potrebbe scomparire entro il 2100. A rischio soprattutto specie d’alta quota come lo stambecco: ha sviluppato caratteristiche evolutive che gli consentono di resistere a temperature rigide, controproducenti nell’era del global warming. Tra le conseguenze, una maggiore attività di notte che lo rende più vulnerabile alla predazione del lupo, e la riduzione dell’habitat – che potrebbe dimezzarsi entro il 2100 – con la necessità di spostarsi a quote sempre più alte, dove il foraggio ha minore qualità, il che influenza negativamente le cucciolate”.

    Il tema del sovrasfruttamento è sempre attuale, in particolare con la pesca.
    “Un terzo delle specie conosciute di squali e razze sono sull’orlo dell’estinzione: di alcune ci nutriamo, spesso inconsapevolmente. Oggi la criticità non è nella pesca artigianale delle piccole comunità ma nella pesca commerciale. La prima è anzi, se ben gestita, funzionale alla conservazione e alla definizione di aree marine protette: in Messico ho incontrato comunità di pescatori di squali che si sono trasformate in guide turistiche”.

    Altro tema: come conciliare la tutela della biodiversità con l’overtourism?
    “Alle Galapagos ho trovato un paradiso preso d’assalto dai turisti. Oggi, complici i social, anche aree remote come l’arcipelago caro a Darwin rischiano l’assedio dei turisti. Il problema è ancor più sentito nei Paesi dove la popolazione vive in condizioni di fragilità sociale: per mantenere la famiglia si è disposti a dare in pasto il proprio patrimonio naturale al turismo di massa. La parola chiave, ovunque, è educazione: va cambiato il paradigma secondo cui sia un diritto vedere il giaguaro o l’orso, nei loro habitat. Il turismo va regolamentato, soprattutto nelle aree protette, e alcune zone devono restargli precluse. Un caso virtuoso? Nel parco nazionale Madidi, in Bolivia, le comunità native hanno dato vita a un’offerta di turismo sostenibile che sta aiutando a frenare deforestazione e bracconaggio”.

    Si parla molto di convivenza con le specie selvatiche.
    “Ci troveremo sempre più a condividere gli spazi con le specie selvatiche: ne abbiamo eroso i confini, abbiamo cementificato i loro habitat. Dobbiamo educarci alla presenza della fauna selvatica. Senza pregiudizi. E questo vale anche per i grandi carnivori, da sempre stigmatizzati, come il lupo. A proposito: in Europa il lupo preda 65 mila capi di bestiame l’anno su circa 279 milioni di animali allevati per il consumo umano. L’errore è che sia la politica ad occuparsi di scienza, strumentalizzando le questioni, incapace di visioni a lungo termine. Come nel caso del declassamento del lupo: un contentino per pochi, non la soluzione ideale. L’abbattimento selettivo delle specie è selettivo quasi sempre solo sulla carta”. LEGGI TUTTO

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    Dalla transizione non si torna indietro

    Nei dieci anni dall’adozione dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile possiamo distinguere due fasi: la prima, nella quale hanno dominato le spinte economiche, politiche e culturali dirette a metterla in pratica per raggiungere gli obiettivi da essa indicati. La seconda, nella quale si sono affermati orientamenti politici e culturali opposti, con il rafforzamento delle spinte nazionalistiche e degli oligopoli economici, l’indebolimento dei sistemi di dialogo multilaterale, l’uso generalizzato della disinformazione, le guerre e la violenza come strumenti per la risoluzione delle controversie. Se a dividere in modo netto le due fasi è stata la pandemia da Covid-19, negli ultimi sei mesi chi spera che quei valori guidino le scelte dei leader politici ed economici ha subito una “doccia fredda”.

    L’avvio dell’Amministrazione Trump ha determinato cambiamenti profondi nelle relazioni internazionali e nel funzionamento del sistema economico e politico statunitense, con evidenti ricadute sulle priorità dell’Unione europea, e quindi del nostro Paese. Tra l’altro, la parola “sostenibilità” non può essere usata dalle agenzie federali e il rappresentante degli Stati Uniti all’ONU ha detto che “gli sforzi globalisti come l’Agenda 2030 e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile […] sono contrari ai diritti e agli interessi del popolo americano [e che] pertanto, gli Stati Uniti respingono e denunciano l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile”.A livello europeo la situazione appare contraddittoria: con il “Patto per l’industria pulita” proposto dalla Commissione è stato confermato l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e il taglio del 55% delle emissioni al 2030 e del 90% al 2040. D’altra parte, in nome delle “semplificazioni” la Commissione ha proposto (pacchetto Omnibus) modifiche significative delle Direttive sulla rendicontazione di sostenibilità e sul dovere di diligenza delle imprese, nonché del Regolamento sulla tassa sul carbonio alle frontiere e della Tassonomia degli investimenti ecosostenibili.

    A fronte dell’accoglienza positiva espressa da diverse associazioni imprenditoriali, molte grandi imprese, organizzazioni della società civile e perfino la Banca Centrale Europea hanno espresso dubbi e critiche sul pacchetto Omnibus, la cui adozione determinerebbe un forte indebolimento dei quadri normativi finalizzati a promuovere comportamenti responsabili sul piano sociale e sostenibili su quello ambientale da parte delle imprese. Peraltro, visto che le banche continueranno a domandare dati relativi ai fattori Environment, Social and Governance (ESG) al fine di valutare i rischi finanziari ad essi connessi, la messa in pratica delle proposte della Commissione minerebbe comparabilità, qualità e trasparenza dei dati, senza parlare del fatto che molte imprese hanno già attivato investimenti rilevanti in questo campo, anche per ottenere vantaggi reputazionali sia nei mercati dei loro prodotti che nelle relazioni con la filiera e con il sistema finanziario.

    Quanto brevemente ricordato ha fatto dire ad alcuni che “la sostenibilità è passata di moda”, ennesima fake news messa in giro da chi si batte contro la trasformazione del sistema economico promossa dall’Agenda 2030. Ovviamente, le difficoltà nella sua attuazione sono cresciute enormemente e la scelta europea di aumentare le spese per la difesa drenerà risorse destinabili a migliorare la competitività e la giustizia sociale, fronteggiare la crisi climatica e favorire il ripristino degli ambienti degradati. Ma la sostenibilità è sempre più al centro delle scelte delle imprese e della società civile non solo perché è l’unica strada per un futuro di benessere, ma anche perché conviene sul piano economico.Il successo del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2025, con gli oltre 1.300 eventi (+45% rispetto al 2024) organizzati in tutta Italia, testimonia che la società civile crede nei valori dell’Agenda 2030 e si impegna per realizzarli. D’altra parte, i dati citati nel Rapporto indicano chiaramente che le imprese italiane che hanno scelto la sostenibilità aumentano produttività e competitività. In particolare, tra le imprese che hanno investito sulla sostenibilità ambientale (il 34,5% delle unità con 3-9 addetti e il 73,8% di quelle con 250 e più addetti) quelle manifatturiere con un profilo di sostenibilità «alto» (7,1% del totale) hanno una crescita addizionale del valore aggiunto pari al 16,7% rispetto a quelle non sostenibili. Inoltre, per il 92% delle imprese familiari e per l’89% delle non familiari integrare la sostenibilità comporta benefici: per questo, la sostenibilità è uno degli obiettivi prioritari delle imprese nel prossimo futuro. Infine, solo il 21% delle imprese indica il rafforzamento delle normative climatiche come un rischio, mentre più del 50% di quelle manifatturiere ha già investito nell’efficientamento energetico.Insomma, la sostenibilità conviene già ora e può accelerare la futura crescita economica del Paese. Dunque, essa deve restare la stella polare dei comportamenti individuali e collettivi, concetto che la politica italiana stenta ancora ad abbracciare. E i risultati di questo scetticismo si vedono.

    *Enrico Giovannini, co-fondatore e direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS), parteciperà al G&B Festival 2025.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno)
    La partecipazione al G&B Festival è gratuita previa registrazione. LEGGI TUTTO

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    Green City Network, la sindaca Bugetti: “Così Prato è cambiata tra nuove idee e ricerca”

    Il museo del Tessuto, i tesori di Lippi, Metastasio e Botticelli, ma anche un polo manifatturiero di 30 mila addetti, impianti ottocenteschi da tutelare e perfino un centro di ricerca per studiare e analizzare materiale proveniente da Marte, campioni che arriveranno dall’Agenzia spaziale italiana. Siamo a Prato, punto di riferimento per stilisti di tutta Europa che qui vengono a cercare nuove idee, una città dalle tante anime. “Più o meno conosciute” la descrive la sindaca Ilaria Bugetti, la prima donna a ricoprire questa carica a Prato. “Sono duecento anni che qui ci occupiamo di sostenibilità. Basta pensare alla lana rigenerata che ha fatto la fortuna del territorio riutilizzando scarti e avanzi. Fino ad arrivare alla collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna, con cui abbiamo creato il marchio Cardato recycled”.

    Davvero tante anime racchiuse in una sola città, come si protegge e si valorizza un patrimonio ambientale come questo?
    “Lavorando tutti insieme, il ché significa trovare soluzioni che vadano bene sia al distretto economico, che ai cittadini. Qui siamo abituati a pensare ai progetti collaborando tra pubblico e privato. Come è accaduto quando abbiamo costituito una società per azioni tra Comune, Confindustria Toscana Nord e il Gruppo Consiag. Grazie a GIDA, un distretto industriale energivoro come quello tessile riesce a non impattare sulle risorse idriche, perché separa le acque reflue civili da quelle industriali e le ricicla rimettendole in produzione”.

    L’impatto delle emissioni di CO2 è notevole a causa del distretto del tessile. Come state gestendo la transizione visto che dovete raggiungere la neutralità climatica entro il 2030?
    “Abbattere l’inquinamento in un distretto vivace come il nostro non è semplice. Ci lavoriamo ogni giorno. Continuamente monitoriamo la nostra capacità di stoccaggio e assorbimento di CO2. Tutta la città è coinvolta su questo impegno, non soltanto le aziende, perché se si vogliono raggiungere gli obiettivi bisogna intervenire anche sulla mobilità e edilizia. Ci siamo presi l’impegno e lo rispetteremo. Abbiamo approvato il “Contratto di Città sul Clima” firmato da 51 partner che provengono dai più diversi settori economici, sociali, ambientali e culturali. Dobbiamo ridurre dell’83% le emissioni entro il 2030, ma si potrebbe arrivare anche al 96,4%. Stiamo lavorando per decarbonizzare i consumi termici ed elettrici. Prato entro quest’anno avrà una sua Comunità energetica promossa direttamente dal Comune, ma ce ne saranno altre in zona industriale. Eravamo pronti, ma aspettavamo i decreti attuativi. Siamo anche rimasti delusi per non essere stati inseriti ad aprile scorso nel Decreto bollette”.

    Ossia?
    “Il distretto pratese aveva chiesto in vista della conversione in legge di poter essere inserito nella misura decisa dal governo per contrastare il caro energia. Ma le nostre imprese industriali, allacciate solitamente alla media tensione (c’era un emendamento che lo prevedeva), sono state ritenute di non avere i requisiti. Peccato, sarebbe stata una boccata d’ossigeno per gli imprenditori di questo settore che sta comunque soffrendo un momento di crisi”.

    Parliamo di mobilità: la vicinanza a Firenze con il pendolarismo che ne deriva è sempre stato un problema per Prato. Ci sono progetti per alleggerire il peso del traffico?
    “Abbiamo completamente rivisto il Piano urbano della mobilità sostenibile ripensando ad una nuova viabilità tra la stazione ferroviaria e altre zone della città. Non solo. Con i fondi del Pnrr, circa 8 milioni stiamo acquistando autobus urbani elettrici. Piano piano rinnoveremo tutta la flotta del trasporto pubblico locale. Ci sono i progetti delle piste ciclabili che riguardano soprattutto l’area della stazione e la connessione con il polo industriale e con la Ciclovia del Sole. Tutto questo senza toccare la splendida area del Parco agricolo, che ci divide proprio dal centro urbano di Firenze”.

    Con Firenze avete in corso una polemica in Regione per l’allungamento della pista dell’aeroporto. Perché siete contrari?
    “Perché impatta proprio su questa zona verde che non vogliano sia toccata. Consideriamo sia anche un progetto inutile. Firenze non ha uno scalo di dimensioni come Bologna o Pisa, noi invece perderemo una zona ambientale ricca. La mia è una posizione politica che arriva da lontano, ma anche i cittadini di Prato non vogliono che quel luogo si trasformi in aeroporto”.

    Cosa sogna per la sua città?
    “Il suo riscatto. Siamo una grande realtà non sono nel tessile, qui si fa ricerca avanzata scopriamo nuovi materiali. Nascono startup. Ora studieremo perfino Marte”.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno) LEGGI TUTTO

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    Green City Network – Viterbo, la sindaca Frontini: “Ora troppe auto per una mobilità sostenibile”

    l 25 aprile l’ha detto chiaramente nella piazza principale di Viterbo mentre si svolgevano i festeggiamenti: “I partigiani di oggi sono i ragazzi che si battono per il clima”. Chiara Frontini, classe 1989 è la prima sindaca donna del capoluogo della Tuscia. Eletta nel 2022 con una lista civica, ha messo in cima al suo programma elettorale la riqualificazione urbana della città. “Intesa soprattutto come percorso verso una sostenibilità sociale e ambientale”, spiega. Frontini amministra una città di 70 mila persone residenti in un polo agricolo e turistico importante alle porte di Roma. Molte le questioni aperte che sta affrontando la prima cittadina sul fronte della tutela del territorio e per migliorare la qualità di vita dei concittadini. Tra le priorità, la mobilità, la riconversione energetica degli edifici pubblici, l’uso del suolo agricolo.

    Partiamo dalla mobilità e dai collegamenti con Roma, snodo cruciale per i viterbesi e per la salvaguardia ambientale: un’ora e mezza di treno significa che tanti pendolari sono costretti a prendere l’auto?
    “È così, perché non esistono collegamenti diretti. Infatti ci sono 78 auto ogni 100 abitanti. Troppe. Per questo abbiamo messo subito mano al Piano sulla mobilità sostenibile. Non potendo incidere sulla rete extraurbana di competenza della Regione abbiamo incentivato la rete dei bus locali che collegano le stazioni alle frazioni, in modo da agevolare il passaggio treno-bus. Fondamentali i 30 chilometri di ciclabili stazione-centro storico-università”.

    Bisogna convincere dunque gli abitanti di Viterbo a lasciare a casa l’auto. Ci riuscirà?
    “Ci sono stati incontri pubblici per spiegare sia il percorso delle piste ciclabili sia l’uso del bike sharing. Ma i cittadini stanno anche assistendo alla sostituzione dei mezzi pubblici, su cui abbiamo fatto un grosso investimento utilizzando i fondi del Comune per acquistare mezzi elettrici e ibridi. Sono convinta che tutto questo creerà una mentalità nuova. Certo, come amministrazione dobbiamo collaborare con la Regione per avere finalmente i collegamenti ferroviari diretti con la capitale. Ci sono molti pendolari che vanno a Roma per studiare o lavorare. Per noi è un tema cruciale”.

    Appena eletta è riuscita a finanziare impianti fotovoltaici sulle scuole. È stato complicato?
    “C’erano fondi che potevamo utilizzare. Oltre ai pannelli solari nelle due scuole abbiamo realizzato altri interventi sempre per ridurre il consumo di energia. Ci sono pannelli anche sugli impianti sportivi comunali e la piscina. Ma quello che davvero inciderà sulla transizione energetica a Viterbo è il Centro di ricerca dedicato a Piero Angela”.

    Di che si tratta?
    “La nostra idea è che dovrà diventare il punto di riferimento per tutte le aziende della Tuscia. Obiettivo: supportare gli imprenditori che devono affrontare le fasi della transizione energetica. Siamo riusciti a finanziare il progetto utilizzando alcuni investimenti stanziati addirittura dal Governo Gentiloni per le periferie, ma mai spesi. Di tutto quel pacchetto di progetti era rimasto ben poco, anche perché nel frattempo i prezzi sono lievitati. Così abbiamo deciso di convogliare 13 milioni sulla sostenibilità”.

    Sul fronte della gestione dei rifiuti, Viterbo ha sofferto, anche su questo punto, la vicinanza con Roma. Ora come stanno le cose?
    “Voglio subito dire che la nostra è una provincia virtuosa: noi chiudiamo l’intero ciclo dei rifiuti rimanendo nel nostro territorio. Abbiamo ancora problemi sulla raccolta differenziata, ma ci stiamo impegnando per rispettare quel 65% chiesto dall’Unione europea. Purtroppo, abbiamo dovuto spesso supportare altre province come Rieti e soprattutto Roma. Dopo la chiusra della discarica a Malagrotta, molti rifiuti dalla capitale sono arrivati a Viterbo”.

    E poi c’è l’agricoltura, altro settore importante di questo territorio. In che modo gli imprenditori agricoli stanno affrontando un percorso di sostenibilità?
    “Una leva fondamentale è quello della riduzione dei consumi energetici, su cui hanno tutto il nostro appoggio. Ma sia ben chiaro la nostra posizione è quella di evitare di installare pannelli solari direttamente sui campi. Gli impianti fotovoltaici devono stare sui tetti delle stalle, dei capannoni agricoli e delle cantine, ma non sui terreni che devono essere lasciati all’agricoltura. Per la tutela del suolo e del paesaggio. Ce ne sono già troppi di impianti a terra e pale eoliche. Ci siamo consultati anche con i colleghi dell’Anci e con la Regione. E poi stiamo cercando di fare il possibile per sensibilizzare i viterbesi a consumare i prodotti del territorio. La filiera alimentare può essere corta e i pannelli per terra rubano la terra. Meglio in alto”.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green&Blue (Milano, 5-7 giugno) LEGGI TUTTO

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    Quali sono le erbe aromatiche migliori da avere in giardino

    Scegliere le giuste erbe aromatiche per il proprio giardino è importante se si vuole ottenere un risultato estetico, pratico e benefico dal punto di vista sensoriale. Queste erbe, infatti, oltre ad arricchire le zone verdi attorno alla propria abitazione, sprigionano profumi avvolgenti in grado di trasformare un semplice giardino in un piccolo paradiso terrestre degno di questo nome. Non solo, perché molte di queste erbe aromatiche possono essere utilizzate anche in cucina, offrendo quel pizzico di originalità alle ricette. Quali sono, a questo punto, le piante aromatiche da potere piantare in giardino? Vediamo le più gettonate e le più facili da coltivare.

    Quali sono le principali tipologie di piante aromatiche?
    Esistono tantissime varietà di piante aromatiche, ma ognuna di esse ha caratteristiche differenti l’una dall’altra. Sceglierle può richiedere tempo, ma prima di tutto richiede informazione. Se dovessimo fare una classificazione per “categorie”, potremmo dire che le erbe aromatiche da giardino possono dividersi in: piante aromatiche perenni e piante aromatiche ornamentali, anche se nel mezzo possono incastrarsi molte variabili.

    Le migliori erbe aromatiche da coltivare in giardino
    Non si può non iniziare la lista delle erbe aromatiche da giardino senza citare il trittico per eccellenza: basilico, rosmarino e salvia. Queste sono tra le piante aromatiche più apprezzate e soprattutto più semplici da coltivare.

    Rosmarino
    Pianta perenne sempreverde, è simbolo della macchia mediterranea. Le sue foglie aghiformi emanano un aroma intenso, ideale per insaporire carni, patate e focacce. Quest’erba aromatica, evergreen da avere in giardino, predilige posizioni soleggiate e terreni ben drenati. Resiste bene alla siccità e al freddo, richiedendo poche cure una volta stabilizzata.

    Salvia
    Anche la salvia è un’altra erba aromatica perenne sempreverde dalle foglie vellutate e aromatiche. Utilizzata in numerose ricette, dalla pasta ai piatti di carne, ha anche proprietà medicinali, tra cui importanti effetti antinfiammatori e digestivi. Ama il sole e i terreni ben drenati, tollerando bene sia la siccità, sia le basse temperature.

    Basilico, timo e menta: erbe aromatiche dal profumo intenso
    Con le sue foglie dal profumo inebriante e il suo gusto riconoscibile, il basilico è indispensabile in cucina, specie quella italiana. Questa pianta aromatica ama il sole e i terreni ricchi e ben drenati, richiede irrigazioni regolari e non ama particolarmente i ristagni d’acqua. Essendo sensibile al freddo, si consiglia sempre di seminarlo a primavera inoltrata.

    Oltre a quelle appena descritte, sono anche altre le erbe aromatiche pronte a rendere giustizia a ogni giardino. Per ottenere un tocco leggermente esotico e trasportarsi direttamente dentro il caldo dell’estate, la menta e il timo sono la soluzione perfetta.

    La menta, notoriamente vigorosa, è una pianta perenne dalle foglie profumate e riconoscibili, utilizzata in cucina per tè, dessert, piatti salati e naturalmente il mojito. Essa predilige terreni umidi e fertili, con esposizione a mezz’ombra e tende a espandersi in tempi molto rapidi, motivo per il quale si consiglia di coltivarla in vaso o delimitare bene l’area di crescita nel giardino.

    Il timo, invece, è un’erba aromatica perenne a crescita bassa, con piccole foglie e fiori delicati. Ideale per insaporire carni, zuppe e verdure, ha un profumo che ricorda l’estate e la freschezza dell’aria. Predilige posizioni soleggiate e terreni leggeri e ben drenati. Grande resistente alla siccità e al freddo, richiede poche attenzioni, quindi è perfetta anche per chi è alle prime armi.

    Le altre aromatiche da avere obbligatoriamente in giardino
    Il giardino non è mai stato così profumato: assieme alle erbe aromatiche descritte finora, non possono non essere incluse anche lavanda, coriandolo, origano e prezzemolo. Il cerchio si chiude con altrettanti profumi e altrettanti sapori pronti a impreziosire ricette e disperdere aromi in tutta la casa. La lavanda, la regina delle piante aromatiche, con il suo profumo calmante e i suoi colori è perfetta per decorare bordure e giardini solitari. Richiede un suolo ben drenato e abbondante luce del sole. Si può utilizzare in cucina, ma i suoi fiori possono anche essere raccolti per creare i simbolici sacchetti profumati o oli essenziali speciali.

    Il coriandolo, invece, è una pianta annuale che ama gli ambienti (e le temperature) freschi. Nonostante sia conosciuto principalmente per i suoi semi utilizzati in cucina, le foglie fresche del coriandolo sono selezionate per molti piatti della cucina asiatica e latino-americana. Anche questa pianta aromatica, come la maggior parte, ama i terreni ben drenati e può anche beneficiare di ombra parziale nelle ore più calde del giorno. In questo modo la sua crescita sarà prolungata nel tempo.

    Origano e prezzemolo viaggiano insieme. L’origano è una pianta perenne molto apprezzata nella cucina mediterranea, soprattutto per pizze e sughi. Le sue foglie ovali emanano un aroma intenso e caratteristico. Ama il sole pieno e i terreni ben drenati, richiedendo irrigazioni moderate. È resistente al freddo e alla siccità. Anche il prezzemolo è molto amato in cucina: si utilizza soprattutto per insaporire e dare quel “tocco in più” ai piatti, che subito acquistano unicità e magia. Preferisce terreni fertili e umidi, con esposizioni a mezz’ombra, richiede irrigazioni regolari per mantenere il terreno sempre leggermente umido. Coltivato soprattutto in giardino, può anche crescere tranquillamente in vaso e tenuto lì.

    Coltivazione e cura delle erbe aromatiche in giardino
    Come si scelgono le piante aromatiche per il proprio giardino? Per farlo al meglio, bisogna considerare vari fattori, tra cui:
    Clima: alcune piante preferiscono climi caldi e soleggiati, mentre altre tollerano meglio l’ombra e le temperature più fresche.
    Tipo di terreno: è fondamentale conoscere le esigenze specifiche di ogni pianta riguardo al drenaggio, alla fertilità e al pH del suolo.
    Spazio disponibile: alcune erbe crescono in modo compatto, mentre altre tendono ad espandersi; considerare lo spazio è essenziale per evitare sovraffollamenti. LEGGI TUTTO

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    G&B Festival, le nostre città soffocano di smog: è ora di cambiare aria

    Un quadro allarmante. Città italiane e inquinamento atmosferico: l’inversione del trend sembra lontana. Numeri impietosi “fotografano” le concentrazioni di polveri sottili e biossido di azoto: nessun Paese, in Europa, conta più decessi prematuri all’anno riconducibili all’inquinamento rispetto ai 50 mila dell’Italia. L’ultima denuncia arriva dall’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (Isde Italia), che ha ricavato e diffuso i dati dell’inquinamento in Italia dall’attività dell’Osservatorio sulla mobilità urbana sostenibile promosso da Clean Cities Campaign e Kyoto Club, che monitora la situazione della mobilità nei 14 comuni capoluogo di città metropolitana e nelle 9 città che partecipano alla “Missione: 100 città climaticamente neutre e intelligenti entro il 2030” della Commissione Europea. Pubblicando tutti i giorni notizie relative alla mobilità urbana nelle 18 città monitorate, ricavate dai media e dalle informazioni di amministrazioni locali, agenzie e aziende di mobilità: un “termometro” puntuale dell’inquinamento su e giù per Stivale.

    Unione Europea

    In Europa ridotto l’inquinamento atmosferico, ma i livelli restano alti

    di Fiammetta Cupellaro

    03 Marzo 2025

    L’impatto del traffico
    Il focus è sulle medie giornaliere relative alle polveri sottili ed al biossido di azoto, inquinanti per i quali le linee guida dell’Oms del 2021 e una nuova direttiva europea (la numero 2881 del 2024) individuano limiti più restrittivi da non superare. Dai dati del primo trimestre del 2025 emerge, in particolare, che per le polveri sottili le criticità sono sostanzialmente concentrate nella Pianura Padana ma che, per quanto riguarda il biossido di azoto, valori elevati sono stati rilevati, complici i problemi legati alla mobilità, anche in molte città del Sud. Nel dettaglio, a Padova, Brescia, Milano, Torino, Vicenza, Bergamo, Modena, Parma i livelli di polveri sottili (PM2.5) hanno già superato i limiti annuali previsti dalla nuova direttiva Ue, mentre il biossido di azoto – strettamente legato alle emissioni del trasporto stradale e di quello navale – si trova in una situazione analoga a Napoli, Palermo, Messina, Genova, Torino, Catania, Milano e Vicenza.

    Le città

    Green City Network, la sindaca di Cuneo Patrizia Manassero: “Rigenerando, regaliamo bellezza”

    di Fiammetta Cupellaro

    02 Giugno 2025

    Un rischio per la salute
    «Dati che confermano una realtà preoccupante, e cioè che in molte aree urbane italiane la qualità dell’aria resta lontana dagli standard raccomandati dall’Oms e dai nuovi limiti introdotti dalla direttiva europea. – sottolinea Roberto Romizi, presidente di Isde Italia – Limiti che entreranno in vigore a gennaio 2030, vero, ma i cittadini di oggi devono avere lo stesso diritto dei cittadini del 2030 a respirare un’aria che non li faccia ammalare». Già, perché le conseguenze dirette dell’inquinamento atmosferico, denuncia l’Isde – si traducono in un rischio diffuso per la salute di milioni di cittadini, in particolare quella di bambini, anziani e persone con patologie croniche. «Proprio così – annuisce Romizi – l’inquinamento atmosferico è un killer silenzioso. Per questo ribadiamo l’urgenza di un cambio di passo: occorre rafforzare le politiche di prevenzione primaria, ridurre il traffico veicolare nelle città, potenziare il trasporto pubblico elettrico, eliminare progressivamente i combustibili fossili, vietare la combustione domestica della legna nelle aree già critiche e promuovere città più verdi e più sane. Serve una risposta politica all’altezza della crisi ambientale in corso, con interventi strutturali, equi e tempestivi. La transizione ecologica deve partire dalla difesa della salute, a cominciare proprio dall’aria che respiriamo».

    Inquinamento

    “Mal’aria di città”: migliora, anche se di poco, l’inquinamento. Cosa fare entro il 2030

    di Giacomo Talignani

    04 Febbraio 2025

    Il report di Legambiente “Mal’Aria 2025”
    Non dissimili i risultati del report “Mal’Aria 2025” di Legambiente, che ha analizzato nei capoluoghi di provincia le concentrazioni di polveri sottili e biossido di azoto: 25 città, su 98 di cui si disponeva del dato, hanno superato i limiti di legge per il PM10 (35 giorni all’anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo). Rispetto ai nuovi target europei, sarebbe fuorilegge, oggi, il 71% delle città per il PM10 e il 45% per l’NO2. “Con soli 5 anni davanti a noi per adeguarci ai nuovi limiti europei al 2030, dobbiamo accelerare il passo. – dice Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – Servono azioni strutturali non più rimandabili: dalla mobilità, con un trasporto pubblico locale efficiente e che punti drasticamente sull’elettrico e più spazio per pedoni e ciclisti, alla riqualificazione energetica degli edifici, fino alla riduzione delle emissioni del settore agricolo e zootecnico, molto critico nel bacino padano. Le misure da adottare sono chiare e le tecnologie pronte: manca il coraggio di fare scelte incisive per la salute dei cittadini e la vivibilità delle nostre città”. LEGGI TUTTO

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    Green City Network, la sindaca di Cuneo Patrizia Manassero: “Rigenerando, regaliamo bellezza”

    “La capitale verde del Piemonte” per i suoi parchi, le valli e il turismo naturalistico. Per Legambiente è la prima città della regione per sostenibilità ambientale e dodicesima per la qualità della vita. Un bel traguardo per Cuneo, che non c’è dubbio si distingue in fatto di tutela dell’ambiente e della biodiversità. La sindaca, Patrizia Manassero, un’esperienza da senatrice e dal 2022 a capo della giunta, è considerata dai concittadini un caposaldo di questo percorso. E forse non è un caso che l’intera provincia ha conquistato il primato nazionale per il numero dei Comuni virtuosi nel 2024. E ora si prepara a replicare il successo per il 2025. Un esempio di contagio delle buone pratiche.

    Sindaca, ma più di cosi cosa potete fare?
    “Il nostro programma green non si ferma. Ad esempio, abbiamo varato il “Piano strategico per lo sviluppo sostenibile 2030” dove prevediamo di realizzare nuove piste ciclabili, di allargare i marciapiedi soprattutto davanti alle scuole. L’obiettivo è dare priorità ai pedoni e incidere sulla mobilità, limitando il più possibile la circolazione delle auto private. Il Piano prevede anche un grande lavoro sui parchi e le aree verdi, mentre gli edifici pubblici saranno ristrutturati secondo i parametri ambientali”.
    È vero che avete perfino calcolato le emissioni risparmiate grazie ai cittadini che hanno lasciato l’auto a casa e preso la bici?
    ”Certo, grazie alle 900 persone che hanno aderito all’iniziativa con il loro un milione e 200 mila chilometri percorsi, hanno prodotto un risparmio di CO2 pari a 400 voli Roma-New York. Un esempio di cosa possono fare i gesti dei singoli accanto ai grandi interventi per migliorare la qualità della vita di tutti”.
    La vostra città ha dovuto affrontare il problema della riconversione delle tante caserme sparse sul territorio. Ci racconta come sta andando?
    ”Credo che riuscire a riqualificare un’area o un edificio per restituirli rinnovati ad un uso che favorisce più socialità, più bellezza, regala sicurezza ai cittadini, favorisce il commercio e le attività sociali. Cuneo è città di grandi caserme che stiamo via via rigenerando per aprire quegli spazi ad una nuova socialità. Come l’area Ex Foro Boario, un mercato bovino nel cuore storico che sorge accanto ad una grande caserma. Oggi è un luogo centrale per il tempo libero, giochi per bimbi, manifestazioni e tanto altro”.
    Lei sottolinea l’importanza della tecnologia per la rigenerazione urbana. Perché?
    ”Sono convinta che la tecnologia abbia davvero un ruolo strategico nell’accompagnare la rigenerazione urbana anche delle piccole città come Cuneo. Molto spesso pare nascosta, ma voglio richiamare come esempio l’installazione delle paline intelligenti, prevalentemente installate vicino a fermate dei bus, hanno una duplice funzione, la sicurezza, sono infatti dotate di telecamere e permettono la chiamata diretta alle forze dell’ordine e l’informazione, sia quella relativa sui passaggi degli autobus, sia quella delle iniziative in città o notizie ai cittadini”.

    Che cosa è il Bando periferie che avete promosso?
    “Uno strumento che abbiamo utilizzato quando hanno messo a disposizione dei capoluoghi risorse indirizzate alla rigenerazione urbana, intendendo come periferie tutte quelle aree anche urbane che soffrono desertificazione e marginalizzazione, le abbiamo ottenute anche noi. Con quelle risorse si è potuto così realizzare il grande parco Parri, un spazio verde cittadino realizzato in un’area conosciuta come una piazza, ma che in realtà era solo un “vuoto” urbano. Oggi il parco sta maturando e crescendo ed è molto vissuto da ragazzi e famiglie per il play ground e l’area gioco-bimbo nel verde”.
    Cosa altro può fare Cuneo per essere più sostenibile di così?
    ”Non dimentichiamo il ruolo del nostro Parco Fluviale dove da anni ci si occupa dei cambiamenti climatici. Capofila del progetto Alcotra nato per studiare e monitorare i cambiamenti climatici sulla città e sull’area fluviale che ci circonda, è utile per assumere, come amministrazione le migliori politiche. I principali risultati sono stati studi di approfondimento su specie animali e vegetali, materiale divulgativo, eventi e attività di comunicazione per i cittadini e di laboratorio per le scuole e i ragazzi. Inoltre sono stati eleborati due importanti documenti: l’Assessment climatico della Provincia di Cuneo e la redazione del Piano di Azione per l’energia sostenibile e il clima per il nostro comune. Vogliamo essere protagonisti della tutela del nostro Pianeta”.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green&Blue (Milano, 5-7 giugno) LEGGI TUTTO