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    Alessia Iotti: “I miei fumetti per denunciare la crisi climatica”

    “Meglio un passato di verdure che un futuro di merda”, si legge in una vignetta in cui una ragazza buffa e spettinata mangia con gusto un piatto tutto vegetale. Alessia Iotti (@alterales), classe 1994, è una fumettista ironica che, attraverso i suoi disegni, denuncia con coraggio la crisi ecologica in atto e le sue conseguenze. Attiva sui social, soprattutto su Instagram, dove conta circa 15mila follower, ha così espresso la propria dichiarazione d’intenti: “Disegno per chi è curioso, per chi sceglie il proprio futuro, per chi non riesce a stare fermo, ma agisce”.

    Non a caso lei lotta per l’ambiente tenendo la matita in mano.
    “Sì, spesso si parla di cambiamenti climatici in modo tecnico, attraverso statistiche, numeri, grafici. Io cerco, invece, di tradurre la scienza in immagini, con l’obiettivo di rendere accessibili a tutti concetti complessi e di coinvolgere più persone possibili. Le trasformazioni del clima sono democratiche e così deve essere anche la loro conoscenza. Inoltre, i disegni riescono a suscitare emozioni. E questo è un bene, perché le emozioni incoraggiano l’azione”.

    Due i libri che lei ha realizzato. Il primo, edito da Mondadori nel 2023, si intitola La crisi climatica esiste, non è un unicorno. Il secondo, dato alle stampe nel 2024, è Al lago! Al lago!. Cosa li caratterizza e quale messaggio voleva inviare?
    “Il primo è un progetto globale, che tratta vari temi: dall’effetto serra alla decarbonizzazione, fino alla qualità dell’aria. Il secondo racconta, invece, la storia di un lago a Roma, un luogo ricco di biodiversità. Le zone umide come questa sono importanti perché, nonostante occupino solo una piccola parte del territorio, sono in grado di immagazzinare grandi quantità di carbonio nel suolo e nella vegetazione, limitando così la concentrazione nell’atmosfera e contribuendo a rallentare il riscaldamento globale”.

    Come ha raccontato in più occasioni, la sua passione per il disegno è cominciata fin da bambina, tra pennarelli colorati e fogli di carta. Quando è nato, invece, il suo interesse per i temi ambientali?
    “Ho trascorso la mia infanzia a Gualtieri, un piccolo paese di campagna nei pressi di Reggio Emilia. Nel tempo, ho iniziato a notare che orti e cortili stavano lasciando progressivamente il posto a palazzi cementificati e a rifiuti di plastica abbandonati lungo le strade. Cercavo di raccogliere questi scarti, ma purtroppo senza grandi risultati. La svolta è avvenuta quando mi sono trasferita a Brescia per frequentare l’Accademia di Belle Arti Santa Giulia. Proprio in questa città sono venuta in contatto con Fridays for Future, il movimento internazionale fondato da Greta Thunberg nel 2018”.

    Quali sono stati i suoi primi passi nell’organizzazione?
    “All’inizio mi limitavo a seguire i dibattiti online, poi Giovanni Mori, che guidava il gruppo bresciano, mi ha coinvolta. Così ho scoperto chi sono gli attivisti: persone competenti, amiche tra loro, che condividono gli stessi ideali. Ciascuno di noi aveva il desiderio di migliorare le sorti del Pianeta, partendo dalle proprie competenze. Durante uno dei primi incontri ho chiesto a cosa servisse fare le manifestazioni di piazza. E mi hanno risposto, senza mezzi termini: ‘Sicuramente non farle non serve a niente’. Ho, quindi, iniziato a partecipare agli scioperi per il clima, durante i quali ho percepito il potere della collettività. Il sostegno degli altri regala forza e determinazione nella lotta: migliaia di persone unite dallo stesso obiettivo”.

    Quali sono i suoi compiti all’interno del gruppo?
    “Io sono esperta di arte e comunicazione e perciò mi occupo di questo. Ma chiunque può essere utile: da chi ha conoscenze tecniche a chi vanta abilità organizzative, fino a chi sa cucinare per gruppi numerosi”.

    Impegnarsi come attivista richiede molti sacrifici?
    “Non li definirei sacrifici, si tratta di un investimento per un futuro migliore. E ciascuno può dare una mano in base al tempo libero che ha a disposizione”.

    Se dovesse suggerire a chi non è un attivista piccole azioni da fare quotidianamente a favore dell’ambiente, cosa consiglierebbe?
    “Anzitutto sconsiglio di agire da soli, per non farsi sopraffare dalla fatica e dalla frustrazione. Meglio creare un piccolo collettivo, un gruppo di supporto formato da quattro-cinque amici, colleghi, vicini di casa, che si impegnano a comprare alimenti rispettosi dell’ambiente e degli animali, a scegliere una banca etica, a non acquistare fast fashion, a utilizzare i mezzi pubblici ogni volta che è possibile”.

    Cosa direbbe, invece, ai negazionisti?
    “Di guardare fuori dalla finestra, dato che il problema è ormai sotto gli occhi di tutti ed è innegabile”.

    E agli indifferenti?
    “Non li sopporto. Credo, però, che quando saremo in tanti ad attivarci per contrastare la crisi climatica, loro si adegueranno alla maggioranza e inizieranno a fare la loro parte”.

    I problemi ambientali sono numerosi. Quale ritiene sia il più urgente da affrontare?
    “Direi l’eliminazione dei combustibili fossili. Le soluzioni sono note e i governi dovrebbero impegnarsi a metterle in pratica”.

    Nel 2024 è stata testimonial della Carovana dei Ghiacciai, la campagna itinerante promossa ogni anno da Legambiente.
    “Amo le montagne e fare trekking in quota. Per questo, quando l’associazione mi ha proposto di diventare testimonial ho detto subito di sì, consapevole dello scioglimento delle distese ghiacciate. In effetti, anche questa sarebbe una questione da affrontare con urgenza”.

    Progetti per il futuro?
    “Attualmente sto continuando a partecipare a eventi e a organizzare laboratori aperti al pubblico. Sono in attesa del prossimo progetto: spero riguarderà le montagne”. LEGGI TUTTO

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    Cosa coltivare ad agosto

    In estate l’orto non va in vacanza e, anzi, con agosto il lavoro si intensifica, tra raccolta, semina e trapianto di molteplici colture. Nonostante le temperature estive, queste settimane sono cruciali per porre le basi di un raccolto di successo nei prossimi mesi. Le colture che trovano ampio spazio nell’orto di questo periodo sono innumerevoli, consentendo di raccogliere i loro frutti in autunno e inverno. Di seguito, approfondiamo cosa coltivare durante il mese di agosto.

    Cosa seminare ad agosto nell’orto
    Per quanto riguarda la semina diretta, tra le colture da interrare ad agosto spicca il cavolo, noto per le sue varietà ricche di sapore. Alcune di queste, come cavolo broccolo, cavolfiore, cavolo nero e cavolo verza, possono essere piantate in questo periodo dell’anno. Per una crescita rigogliosa, l’ortaggio richiede un terreno ben drenato e ricco di sostanza organica, dovendo sempre mantenerlo umido, evitando però i ristagni d’acqua. Per la maggior parte delle varietà, la profondità di semina si attesta intorno a un centimetro. I semi vanno piantati in gruppi di 2-3 per buca, lasciando tra di loro una distanza tra i 30 e i 45 centimetri. Subito dopo il trapianto le irrigazioni devono essere regolari. Ad agosto ci si può dedicare alla coltivazione del finocchio, optando per varietà a maturazione autunnale. L’ortaggio, ricco di proprietà benefiche e dal sapore inconfondibile, deve essere seminato in un terreno drenato e in un luogo soleggiato. I semi vanno posti a una profondità pari a un centimetro, lasciando tra di loro 30 centimetri. Per una crescita rigogliosa, l’irrigazione deve essere costante, ma non eccessiva in modo da evitare le malattie radicali.

    Nell’orto di agosto è protagonista anche la cima di rapa. Questo ortaggio necessita di luce solare diretta, pur crescendo anche in mezz’ombra, e un substrato drenato, leggero, dotato di sostanza organica e privo di ristagni idrici. La sua profondità di semina è pari a 1-2 centimetri, dovendo lasciare tra i semi una distanza di 20 centimetri. Le irrigazioni devono essere continue, per mantenere il terreno umido, evitando tuttavia quantitativi d’acqua eccessivi. Tra le spezie più usate in cucina, il prezzemolo può essere seminato ad agosto. Questa nota erba aromatica prospera in luoghi di sole indiretto o parzialmente in ombra e i suoi semi vanno interrati a una profondità di un centimetro, lasciando tra ciascuno una distanza di 3-5 centimetri. Per velocizzare la germinazione i semi possono essere messi in ammollo 24-48 ore prima della semina. Il substrato va irrigato costantemente, mantenendolo umido, ma non zuppo. Per favorire una crescita ottimale si può concimare la coltura ogni 4-6 settimane.

    Noto per il suo sapore tipicamente amarognolo, il radicchio può essere coltivato ad agosto, in particolare nelle sue varietà tardive. L’ortaggio si adatta bene a molteplici terreni, pur preferendo quelli drenati, freschi, dotati di sostanza organica e leggeri. I semi vanno interrati superficialmente, a una profondità di 0,5 centimetri, lasciando tra loro una distanza di 30 centimetri. Dopo la semina il substrato deve essere mantenuto umido, irrigandolo in modo regolare, ma non eccessivo, dovendo nelle prime settimane eliminare le erbacce per evitare competizione tra le piantine. Le cipolle possono essere coltivate ad agosto in caso di clima mite, optando per varietà precoci adatte a questo periodo dell’anno. Per prosperare questo ortaggio ricco di nutrienti e proprietà benefiche predilige una posizione soleggiata e un terreno drenato, non argilloso e leggero. A 1-2 centimetri di profondità si interrano i suoi semi, lasciando tra ciascuno una distanza di 10-15 centimetri. Dopo la semina le irrigazioni devono essere regolari e moderate, dovendo evitare i ristagni d’acqua. Con il loro colore verde e il sapore amarognolo o dolce a seconda delle varietà, gli spinaci possono essere coltivati anche ad agosto. L’ortaggio preferisce una posizione soleggiata o semi ombreggiata e un terreno ben drenato e leggero, da arricchire con compost maturo, per una crescita rigogliosa. Il substrato deve essere mantenuto umido, stando alla larga però dagli eccessi idrici. La profondità di semina dell’ortaggio è 1-2 centimetri, dovendo lasciare tra i semi una distanza di 5 centimetri.

    La barbabietola è facile da coltivare e può essere protagonista anche nell’orto di agosto con le sue varietà tardive, in particolare nelle zone dal clima mite. La coltura predilige una posizione soleggiata. I semi vanno posti a 2-3 centimetri di profondità e a una distanza di 10-15 centimetri. Il terreno deve essere fertile, ben drenato e irrigato regolarmente, scongiurando però i ristagni idrici, responsabili del marciume radicale. Nelle zone dal clima mite è possibile coltivare le carote ad agosto. Questo amatissimo ortaggio color arancio richiede una posizione soleggiata e un terreno sabbioso, drenato e ben concimato, in cui interrare i suoi semi a 3-4 centimetri di profondità, lasciando tra di loro 5 centimetri. In seguito alla semina il terreno va irrigato in modo moderato, ma regolare, mantenendolo umido. Durante il mese di agosto si può coltivare anche la lattuga, optando per particolari varietà come ad esempio la lattuga da taglio, che è resistente alle temperature elevate. I suoi semi vanno interrati in un terreno drenato e ricco di sostanza organica, a un centimetro di profondità, lasciando tra loro una distanza di 2-3 centimetri. Per quanto riguarda le irrigazioni queste devono essere regolari per mantenere il terreno umido, evitando però i ristagni idrici, responsabili del marciume radicale.

    Cosa trapiantare nell’orto ad agosto
    Durante il mese di agosto ci si può dedicare anche al trapianto di diverse colture. Si tratta di un processo molto delicato, che prevede di spostare nell’orto le piantine già formate, cresciute in semenzaio, tra cui per esempio: basilico, porro, cavoli, zucchine, sedano, cardi, bieta, lattuga, cicoria e indivia. Nel corso di questa operazione è importante prestare molta attenzione, premurandosi di non arrecare danni all’apparato radicale delle piante. Dopo il trapianto è necessario eseguire subito le operazioni di irrigazione, evitando però di eccedere con i quantitativi d’acqua, per garantire lo sviluppo corretto delle colture. Per quanto riguarda il raccolto, l’orto di agosto dà molte soddisfazioni, offrendo produzioni ricche come melanzane, zucchine, pomodori, fagioli, fagiolini, peperoni, lattuga, cicoria, rucola e basilico.

    Consigli utili per un orto produttivo nel mese di agosto
    Per l’orto agosto è un mese molto importante, che gioca un ruolo essenziale per garantire una produzione ricca e soddisfacente in autunno e inverno. Tuttavia, le operazioni possono essere complesse, tenendo conto delle temperature elevate del momento, soprattutto in determinate zone d’Italia: in particolare, bisogna prestare attenzione alla corretta gestione delle risorse idriche, facendo in modo che il substrato non sia mai secco, scongiurando così eventuali danni alle semine appena piantate. Durante il periodo estivo è bene prestare molta attenzione al clima, adattando le annaffiature di conseguenza e concentrandole al mattino presto o alla sera. Oltre a garantire alle semine il giusto apporto idrico, è necessario ricorrere ad acqua a temperatura ambiente, evitando gli shock idrici. Inoltre, per proteggere le piante dal caldo si possono impiegare delle reti ombreggianti, che aumentano la circolazione dell’aria, prevenendo l’insorgere di eventuali malattie, riducendo le scottature e rendono l’ambiente più fresco. Per mantenere il terreno maggiormente umido si può ricorrere alla pacciamatura, una tecnica che prevede di coprire il terreno attorno alle piante con materiali quali foglie secche, teli speciali o paglia, in modo che il substrato sia umido a lungo e le radici protette dalle temperature eccessive. LEGGI TUTTO

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    Kokedama: cos’è e come prendersi cura delle piante senza vaso

    Arriva direttamente dal Giappone la tecnica di coltivazione chiamata kokedama: grazie a questa soluzione è possibile coltivare piante senza vaso, appoggiandole o appendendole in modo scenografico nella propria abitazione. Scopriamo che cos’è e come si pratica il kokedama.

    Che cos’è il kokedama?
    È necessario andare indietro nel tempo per trovare le prime testimonianze del kokedama: infatti, questa tecnica di coltivazione era nota già dal 1600. Letteralmente, quando si parla di kokedama ci si riferisce a una “palla di muschio”. In poche parole, si effettua la coltivazione di una pianta senza vaso. Questa trova il suo nutrimento proprio nella palla di muschio e terriccio che si può realizzare in maniera semplice da soli.

    Come si può immaginare, si scelgono delle piante piccole che si possono inserire all’interno di questi speciali contenitori naturali e che diventano così dei vasi pensili in cui prendersi cura della specie prescelta. In alternativa, è possibile anche poggiare la palla di muschio kokedama su un piattino di design, così da poter creare un effetto particolare, arredando un angolo della casa.

    La cura delle piante senza vaso: le annaffiature
    Il kokedama si mantiene in maniera semplice e non chiede chissà quale manutenzione per mantenersi in uno stato buono. A differenza delle piante che si possono annaffiare semplicemente con l’acqua, il kokedama deve essere vaporizzato oppure immerso. È importante utilizzare uno spruzzino per donare la giusta idratazione a questo contenitore e alla pianta presente al suo interno. In alternativa, è possibile immergere il kokedama per 5-10 minuti e, dopodiché, far sgocciolare bene il kokedama. Per quanto riguarda la quantità di acqua che si può utilizzare, è necessario fare delle differenze a seconda della pianta che si vuole coltivare all’interno della palla di muschio.

    L’esposizione
    La posizione in cui sistemare il kokedama deve essere luminosa, ma non con il sole diretto. È importante selezionare un’area corretta all’interno della propria abitazione, così da evitare dei danni al kokedama.

    Come si fa il kokedama?
    Per creare un kokedama è necessario munirsi di alcuni elementi:

    Piantina giovane di piccole dimensioni
    Terriccio acido con fango e torba
    Argilla espansa
    Spago
    Forbici
    Nylon per appendere al soffitto (opzionale)

    Il procedimento da seguire minuziosamente per creare il kokedama:

    In una bacinella unire cinque parti di terriccio con una parte di argilla espansa, utile per avere un terriccio drenante;
    Dare una forma di palla al composto e inserire le radici della piantina all’interno;
    Coprire la palla di muschio e poi utilizzare la corda per avvolgerla e realizzare il kokedama;
    Immergere per 2 ore il kokedama in una bacinella d’acqua fresca;
    Lasciare sgocciolare il kokedama dall’acqua in eccesso;
    Sistemare il kokedama su un piattino oppure utilizzare del nylon per appenderlo al soffitto.

    Quali piante scegliere per il kokedama?
    Il kokedama può accogliere diverse piante al suo interno. È importante selezionare degli esemplari di piante giovani e di dimensioni piccole, poiché in questo modo è più facile iniziare ad approcciarsi a questa tecnica. Qui di seguito ecco le piante che si possono scegliere per il kokedama:

    Piante grasse: il kokedama accoglie bene le piante succulenti e sono la scelta migliore per tutte quelle persone che non hanno molto tempo da dedicare al verde. Inoltre, la quantità d’acqua per le annaffiature è limitata!
    Piante aromatiche: timo, salvia e basilico sono solo alcune delle specie che si possono coltivare nel kokedama. Si può sistemare questo contenitore pensile anche in cucina, scegliendo una posizione luminosa.
    Piante con fiori: anche i fiori trovano una buona accoglienza all’interno della palla di muschio e terriccio. Tra gli esemplari che si possono sistemare nel kokedama suggeriamo le primule, le violette, la tillanzania, la bromelia, ma anche le orchidee.
    Piante cascata: un effetto scenografico lo si può ottenere selezionando anche delle piante che hanno un portamento a cascata. In questo modo, appendendo il kokedama si ottiene un elemento d’arredo splendido. In questo caso, le piante che si possono scegliere sono l’edera, le felci e il photos.

    Quanto tempo dura?
    I kokedama di solito hanno una vita breve, ma può variare anche a seconda di molti fattori. Alcune piante possono vivere più a lungo di altre, come nel caso di quelle grasse. Le piante a foglia verde, invece, hanno bisogno di maggiore umidità e nutrimento; quindi, in questo caso il kokedama potrebbe durare di meno. Anche le cure del kokedama fanno la differenza: infatti, seguendo attentamente la giusta coltivazione della pianta e le annaffiature con vaporizzatore è possibile prolungare la vita della palla di muschio anche per anni.

    Il rinvaso del kokedama
    Quando la pianta cresce troppo o sembra sofferente tanto che non entra più all’interno della palla di muschio, si può decidere di procedere con il rinvaso. In questo caso, è necessario eliminare dapprima gli strati di spago che tengono legata tutta la palla. Dopodiché si può aprire in maniera delicata la palla di terriccio, togliendo la piantina e le radici vecchie. A questo punto, si procede con la rimozione di una parte della terra e poi si crea un nuovo composto con il terriccio ricavato dal kokedama. A questo punto, si impasta con un po’ di acqua, ottenendo una palla di terriccio e si riposiziona nel centro la pianta. Ora è possibile sistemare del nuovo muschio e creare nuovamente il kokedama, fissando lo spago con qualche nodo. In questo modo, il kokedama può essere riutilizzato per far crescere una nuova piantina.

    La concimazione
    Per concimare il kokedama bisogna diluire nell’acqua dell’innaffiatura il giusto quantitativo di concime. In questo modo, ogni 15 giorni durante la primavera e l’estate si può offrire il meglio alla propria pianta e al kokedama.

    I problemi in cui può incorrere la palla di muschio
    È importante fare delle ispezioni per capire se il kokedama gode sempre di ottima salute. Per esempio, se si notano dei problemi alle foglie della pianta, è importante rimuoverle velocemente per evitare che il kokedama si deteriori. Inoltre, è molto importante evitare innaffiature scorrette, poiché possono comparire funghi e batteri che compromettono la vita della pianta e del kokedama. LEGGI TUTTO

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    La spesa è “disimballata”, i prodotti freschi vengono venduti sfusi

    “Questa attività contribuisce alla riduzione degli imballaggi e della plastica monouso”. Un adesivo verde con la scritta bianca è apparso su molte vetrine dei negozi in un paese della Sicilia, San Giovanni la Punta, in provincia di Catania. È il secondo comune italiano che ha aderito al progetto pioneristico “Spesa Disimballata”. Il primo è stato Varese. Gli abitanti escono per fare la spesa portandosi dietro i contenitori da casa. Carne, formaggi, pesce, affettati, pizza, frutta, verdura non vengono più incartati, chiusi nei cestelli monouso di plastica, infilati in buste, bustine, scatole di carta e di cartone usa e getta. Vengono venduti sfusi e semplicemente serviti dentro un contenitore di proprietà del cliente. Senza imballaggio.

    L’impegno dei Depeche Mode
    Il progetto è dell’associazione “Rifiuti Zero Sicilia”, sostenuto sia da Sicily Environment Fund, fondazione nata per sostenere iniziative di tutela ambientale e preservare la biodiversità e gli ecosistemi in Sicilia, grazie al finanziamento ricevuto da Conservation Collective attraverso la partnership con la band Depeche Mode. Ed è proprio la band britannica ad aver scelto di sostenere la rete di fondazioni locali che hanno aderito al Conservation Collective. Durante il loro ultimo tour, hanno lanciato l’appello per affrontare concretamente problemi globali come la gestione dei rifiuti e l’inquinamento da plastica, spiegando che lo avrebbero messo in atto attraverso l’implementazione di iniziative locali innovative. Grazie a questa mission nasce dunque il progetto “Spesa Disimballata”. Obiettivo: stimolare un cambiamento profondo e duraturo nella comunità siciliane e non solo.

    Contenitori per la pizza forniti per il progetto “Spesa Imballata”  LEGGI TUTTO

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    L’acqua dolce sta scomparendo a un ritmo senza precedenti in tutto il pianeta

    L’acqua dolce sta diminuendo a un ritmo allarmante. I cambiamenti climatici e l’eccessivo sfruttamento delle falde acquifere stanno infatti drasticamente riducendo le riserve di acqua dolce e al contempo contribuendo all’innalzamento del livello del mare. A riferirlo è un nuovo studio dei ricercatori dell’Arizona State University che hanno mostrato come i continenti abbiano subito una perdita d’acqua dolce senza precedenti dal 2002, minacciando, quindi, la disponibilità idrica per la popolazione mondiale. I dettagli dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Science Advances.

    La perdita di acqua dolce
    Per stimare le variazioni della quantità totale di massa d’acqua immagazzinata nei continenti, tra cui fiumi, falde acquifere sotterranee, ghiacciai e calotte glaciali, i ricercatori hanno passato in rassegna oltre un decennio di dati provenienti delle missioni satellitari US-German Gravity Recovery and Climate Experiment (GRACE) e GRACE-Follow On (GRACE-FO). Dalle analisi, il team ha scoperto che tra il 2002 e il 2024 si sono verificate drastiche riduzioni di acqua dolce. In particolare, è emerso che le aree soggette a siccità non solo stanno diventando sempre più aride, una tendenza prevista dai cambiamenti climatici, ma si stanno espandendo di oltre 800 mila chilometri quadrati all’anno, un’area grande quanto Regno Unito e Francia messe insieme.

    Cosa succede al pianeta

    Così la siccità ci mette tutti a rischio

    di Giacomo Talignani

    08 Agosto 2025

    Le 4 regioni mega aride
    Il team, inoltre, ha identificato quattro regioni “mega-aride” che creano la cosiddetta fascia di siccità. Tra queste ci sono il Canada settentrionale e la Russia, dove la perdita è causata dallo scioglimento dei ghiacciai, dal permafrost e dalla riduzione della neve. Nelle altre due regioni, invece, è dovuta principalmente all’esaurimento delle falde acquifere. Si tratta, nel dettaglio, del sud-ovest degli Stati Uniti, di gran parte dell’America centrale e di una regione che si estende dall’Europa occidentale e dal Nord Africa fino all’India settentrionale e alla Cina. I ricercatori, infatti, hanno scoperto che l’esaurimento delle falde acquifere rappresenta il 68% del calo complessivo delle riserve idriche. “È impressionante quanta acqua non rinnovabile stiamo perdendo”, ha affermato Hrishikesh A. Chandanpurkar, tra gli autori dello studio. “I ghiacciai e le falde acquifere profonde sono una sorta di antichi fondi fiduciari. Invece di utilizzarli solo in periodi di necessità, come una siccità prolungata, li diamo per scontati. Inoltre, non cerchiamo di ricostituire le falde acquifere durante gli anni umidi, andando così incontro a un’imminente bancarotta di acqua dolce”.

    L’innalzamento degli oceani
    Le implicazioni negative di tutto questo per la disponibilità di acqua dolce sono sconcertanti. Il 75% della popolazione mondiale vive in 101 Paesi che hanno perso acqua dolce negli ultimi 22 anni. Le Nazioni Unite prevedono che la popolazione mondiale continuerà a crescere per i prossimi 50-60 anni, mentre la disponibilità di acqua dolce si sta riducendo drasticamente. Inoltre, stando ai risultati del nuovo studio, dal 2015 la perdita d’acqua dai Continenti ha causato un innalzamento del livello del mare maggiore rispetto allo scioglimento delle calotte glaciali dell’Antartide o della Groenlandia, innalzando gli oceani di poco meno di un millimetro all’anno. “Questi risultati inviano forse il messaggio più preoccupante finora sull’impatto del cambiamento climatico sulle nostre risorse idriche”, ha affermato il co-autore Jay Famiglietti. “I continenti si stanno prosciugando, la disponibilità di acqua dolce si sta riducendo e l’innalzamento del livello del mare sta accelerando. Le conseguenze del continuo sfruttamento eccessivo delle falde acquifere potrebbero compromettere la sicurezza alimentare e idrica per miliardi di persone in tutto il mondo”. LEGGI TUTTO

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    Le aree di foresta amazzonica bruciata restano calde e stressate per decenni

    Il danno dovuto agli incendi che si verificano nelle foreste dell’Amazzonia brasiliana non è solo quello immediatamente visibile. Secondo i risultati di uno studio pubblicato su Environmental Research Letters, infatti, le aree di foresta amazzonica danneggiate dagli incendi rimangono più calde di circa 2,6°C rispetto alle aree circostanti intatte oppure soggette a disboscamento controllato. E questo effetto può durare per decenni, con un abbassamento di temperatura pari a soli 1,2°C nei 30 anni successivi all’evento. Questo rende le foreste danneggiate molto più vulnerabili per esempio alle conseguenze del cambiamento climatico. “Stiamo scoprendo che gli incendi hanno un impatto ecologico significativo su scale temporali molto ampie e che la rigenerazione è molto più a rischio: è più lenta o non avviene affatto”, spiega Savannah Cooley, che ha un dottorato di ricerca in Ecologia, evoluzione e biologia ambientale ottenuto presso la Columbia University (Stati Uniti), ed è prima autrice del lavoro e ricercatrice presso il Nasa Ames Research Center. Autori e autrici dello studio hanno analizzato in particolare un’aera di foresta amazzonica brasiliana nota come “Arco di deforestazione” (“Arc of deforestation”), che negli ultimi decenni è stata appunto oggetto di deforestazione e teatro di incendi. E che oggi costituisce un caso studio ideale, spiegano i ricercatori, perché è in sostanza un mosaico di aree intatte, bruciate, disboscate e in fase di rigenerazione.

    La ricerca è stata condotta combinando i dati sulla temperatura della superficie terrestre ottenuti attraverso lo strumento Ecostress della Nasa con i dati raccolti grazie alla missione Gedi (Global Ecosystem Dynamics Investigation) lidar. Quest’ultima in sostanza è pensata per produrre immagini ad alta risoluzione della struttura tridimensionale della Terra, e per scansionare dall’alto la situazione delle foreste e soprattutto delle chiome, la cui integrità è fondamentale per il controllo delle temperature in queste aree. Oltre ad essere mediamente più calde, le zone di foresta bruciata all’interno dell’Arco di deforestazione sono risultate essere anche più instabili dal punto di vista termico. Rispetto alle aree intatte o soggette a disboscamento controllato, quelle che hanno subito incendi in passato mostrerebbero infatti maggiori fluttuazioni di temperatura nell’arco della giornata, e sarebbero anche più soggette a superare le soglie fisiologiche che compromettono la funzionalità degli alberi. Per esempio, durante il picco di calore della stagione secca, quasi l’87% delle foglie esposte alla luce solare nelle foreste bruciate raggiungerebbe temperature per cui la respirazione cellulare prevale sulla fotosintesi (situazione in cui le piante bruciano più riserve di energia di quelle che accumulano), rispetto al 72-74% delle aree di foresta soggette a disboscamento controllato o intatte.

    Deforestazione

    C’era una volta l’Amazzonia, il WWF: “In 15 anni rischiamo di perderla”

    di Giacomo Talignani

    13 Maggio 2025

    Inoltre, nelle aree che sono state teatro di incendi in passato, la probabilità che la temperatura delle foglie superi il limite per cui si verificano danni permanenti è risultata essere dieci volte superiore. Questo perché gli incendi cambiano completamente la struttura della foresta, diradando le chiome, spazzando via il sottobosco e riducendo la superficie fogliare, da cui dipendono i due principali meccanismi di raffreddamento delle piante (ombra e traspirazione). Al contrario, spiegano i ricercatori, nelle aree soggette a disboscamento controllato e in cui è stata mantenuta l’integrità delle chiome, le temperature sono risultate simili a quelle registrate nelle foreste intatte. “Gli ecosistemi tropicali degradati, in particolare le foreste bruciate, stanno subendo uno stress termico – conclude Cooley – Ma possiamo fare molto per ridurre al minimo i danni alla biodiversità e alle specie che stanno subendo questo stress, sia in termini di gestione forestale, contribuendo a ridurre gli incendi in Amazzonia, sia dal punto di vista della mitigazione delle emissioni di carbonio, continuando a ridurre le emissioni in modo aggressivo e rapido e passando a un’economia energetica sostenibile e pulita”. LEGGI TUTTO

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    Le “terre alte”, un patrimonio da rivalutare

    Nel cuore dell’Italia meno visibile – quella delle aree interne – si custodisce una parte fondamentale del nostro patrimonio agroalimentare e ambientale. Lontano dai grandi centri urbani, si intrecciano storie di colture tradizionali, saperi contadini e paesaggi agrari modellati nel tempo. Sono le terre alte, forgiate da secoli di lavoro agricolo, che hanno dato origine a produzioni uniche e allevamenti sostenuti da pascoli permanenti, talmente ricchi di biodiversità da non essere mai uguali a sé stessi. Eppure, questi patrimoni – per decenni fonte di eccellenze irripetibili – faticano ancora a ricevere il giusto riconoscimento. Oggi, le politiche del cibo e della biodiversità in queste aree assumono un ruolo strategico, non solo per la resilienza ambientale, ma anche per lo sviluppo socioeconomico. La cornice normativa, sia nazionale che europea, inizia timidamente a riconoscerne il valore, pur tra difficoltà e contraddizioni. Secondo la Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), le terre alte coprono oltre il 60% del territorio italiano, ma sono segnate da spopolamento, carenze infrastrutturali e abbandono agricolo.

    Nonostante ciò, proprio in questi territori resistono varietà colturali e razze autoctone ad alto valore ecologico, insieme a pratiche agricole compatibili con la tutela degli ecosistemi. L’Italia, pioniera nella difesa della biodiversità agraria anche grazie alla Legge 194/2015, continua tuttavia a perdere risorse genetiche preziose, con gravi ricadute culturali, sociali e ambientali. La scomparsa degli agricoltori, del resto, è spesso il preludio al dissesto idrogeologico. Lo ricordava Sereni: il paesaggio agrario è un paesaggio naturale modellato dall’uomo per fare agricoltura e produrre cibo, attraverso la biodiversità agraria e applicando modelli colturali in equilibrio con l’ambiente, basati su principi di agroecologia. Su questo solco, oggi, è tempo di immaginare modelli di sviluppo alternativi a quelli industriali che hanno portato l’agricoltura a contribuire significativamente all’emissione di gas climalteranti in atmosfera. Abbiamo bisogno di mettere a fuoco un modello in cui la biodiversità diventi un ponte tra territori diversi e una leva culturale per valorizzare quelle aree fragili, ma ricche di potenziale, dove il cibo rappresenta molto più che nutrimento.

    Nelle aree interne, infatti, il cibo è presidio del territorio e di fronte alla crisi climatica, alla perdita di suolo fertile e all’instabilità delle filiere globali, le produzioni locali non sono un retaggio nostalgico, ma strumenti di resilienza e sovranità alimentare. A giugno 2024, l’approvazione definitiva della legge sul ripristino della natura (Nature Restoration Law) – uno dei pilastri del Green Deal europeo – ha segnato una svolta. La legge, vincolante per tutti gli Stati membri, impone il ripristino di almeno il 20% degli ecosistemi terrestri e marini entro il 2030, con particolare attenzione a quelli agricoli e forestali degradati, inclusi pascoli e prati permanenti delle terre alte. Un’opportunità storica per le aree interne, che possono diventare protagoniste della transizione ecologica, grazie a pratiche agroecologiche, alla rinaturalizzazione dei suoli e al recupero della biodiversità, al rafforzamento delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale funzionali a rigenerare il ruolo delle comunità.

    Ma perché questa transizione sia possibile, è necessario uno sguardo lungo: servono visione politica, scelte coraggiose e il coinvolgimento attivo di agricoltori, enti locali, cittadini. Dalla Legge 194/2015 alla PAC, dalla SNAI alla Nature Restoration Law, il quadro normativo esiste. La vera sfida, ora, è politica e culturale: costruire alleanze capaci di ridare futuro a questi territori e restituire loro la centralità che meritano. Non mancano le criticità: la frammentazione delle competenze, la difficoltà di accesso alla terra per i giovani, l’eccessiva burocrazia nei fondi europei. Ma se crediamo in un cibo che nutre davvero – e non che sfama – allora non possiamo che scegliere la strada della rigenerazione e un modello alimentare più locale, giusto e sostenibile ha come punto di partenza proprio il paesaggio agrario delle terre alte quale filo conduttore che lega ambiente, cultura e futuro.
    * (L’autore è vicepresidente di Slow Food) LEGGI TUTTO