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    Rinnovabili, il solare va bene mentre l’eolico vola

    Bene, ma non abbastanza. Si può riassumere così il cammino globale delle energie rinnovabili nel corso del 2024 e nei primi mesi del 2025. Bene, perché in tutto il mondo, sono stati aggiunti quasi gigawatt di potenza fotovoltaica e 117 di eolica. Non abbastanza, in quanto la crescita non riesce ancora a raggiungere i livelli necessari per centrare l’obiettivo globale di triplicare l’energia rinnovabile entro il 2030 fissato alla Cop28 di Dubai: ciò richiederebbe una crescita della capacità del 16,6% ogni anno fino al 2030, mentre l’anno scorso l’aumento è stato del 15,1% rispetto al 2023, raggiungendo i 4.448 gigawatt totali. Il che fa dire all’Agenzia internazionale per l’energia (Iea): “Prevediamo che la capacità globale di energia rinnovabile crescerà di 2,7 volte entro il 2030, superando le attuali ambizioni dei Paesi di quasi il 25%, ma non riuscendo a triplicarla”.

    Il boom del solare
    Nel dettaglio, gli impianti solari nel 2024 hanno fatto registrare un impressionante aumento del 33% rispetto all’anno precedente (ma nel 2023 si era toccato addirittura un +85%). Il solare ha rappresentato l’81% di tutta la nuova capacità di energia rinnovabile aggiunta a livello mondiale. Pur restando un contributo modesto alla produzione complessiva di elettricità, la quota del solare è salita al 7% nel 2024, quasi raddoppiando in soli tre anni. Merito della “migrazione” degli investimenti.

    Secondo la Iea, tra il 2015 ed il 2024, gli investimenti globali in combustibili fossili sono scesi da 1.374 miliardi di dollari a 1.116, mentre quelli nel settore delle energie pulite sono incrementati del 78%, passando da 1.080 miliardi di dollari nel 2015 a ben 1.923 miliardi nel 2024.La produzione di elettricità fotovoltaica è dominata dalla Cina. Ma nel 2024 gli Stati Uniti hanno raggiunto un record di 50 gigawatt, con un aumento del 54%. E l’India ha registrato una notevole ripresa, con un aumento del 145% a 30,7 gigawatt, riconquistando il terzo posto. Spagna, Italia e Giappone si collocano al 6°, 8° e 9° posto, con installazioni rispettivamente di 8,7, 6,8 e 6,2 gigawatt.

    Il record dell’eolico

    L’industria eolica, invece, nel 2024 ha installato un record di 117 gigawatt di nuova capacità a livello globale. In prospettiva futura, lo scorso anno è stata assegnata in tutto il mondo una capacità eolica offshore di 56,3 gigawatt. L’Europa ha fatto da apripista, con 23,2 gigawatt assegnati in Europa, seguita dalla Cina con 17,4.Considerando la capacità rinnovabile installata totale, inclusi solare ed eolico, la Cina ha raggiunto 1.456 gigawatt nel febbraio 2025, superando per la prima volta la capacità di energia termica. Il boom di fotovoltaico ed eolico impone una accelerazione nei sistemi di accumulo. E in effetti nel 2024 sono stati installati in Europa 21,9 GWh, segnando l’undicesimo anno consecutivo di installazioni record e portando la flotta di batterie totale europea a 61,1 GWh. Tuttavia, il tasso di crescita annuale è rallentato al 15% nel 2024, dopo tre anni consecutivi di raddoppio della capacità aggiunta.
    L’Europa e l’Italia
    Dopo la Cina, l’Unione europea è l’area in cui le rinnovabili sono cresciute di più tra il 2017 e il 2023. Un secondo posto che, secondo la Iea, la Ue conserverà anche nel periodo 2024-2030, con 552 gigawatt in più rispetto ai 498 degli Stati Uniti. E nello scenario più ottimistico, l’Europa al 2030 si troverà a ospitare il 13% della capacità rinnovabile installata, contro il 45% della Cina e il 9% degli Usa.E in Italia? A monitorare la situazione nel nostro Paese, tra gli altri, è Legambiente che poche giorni fa ha pubblicato l’edizione 2025 del suo storico rapporto Comuni Rinnovabili. “Vent’anni di nuove installazioni hanno permesso di arrivare, alla fine del 2024, a una copertura del 41,2% del fabbisogno elettrico nazionale”, scrivono gli esperti dell’associazione.

    “Una rivoluzione che non ha portato solo megawatt installati, ma anche ad una crescita di posti di lavoro nel settore e che nel mondo tocca quota 16 milioni di unità, di cui 1,81 milioni nell’Unione europea e 212mila in Italia, seconda tra gli stati membri dopo la Germania”.
    Chi produce i pannelli
    Resta uno squilibrio cruciale per il futuro delle rinnovabili e l’indipendenza energetica: ancora nel 2030 la Cina sarà il principale produttore di tecnologie per il fotovoltaico, con oltre l’80% del mercato. Nel frattempo altri Paesi potrebbero aver recuperato terreno, soprattutto Stati Uniti e in India. “Anche se oggi – fa notare la Iea – costruire moduli fotovoltaici negli Usa e in India costa da due a tre volte di più che in Cina. Un divario destinato a perdurare nel prossimo futuro”.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno)
    La partecipazione al G&B Festival è gratuita previa registrazione. LEGGI TUTTO

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    Dal frigo alla tavola, ecco come sprechiamo il cibo e cosa fare per evitarlo

    Alzi la mano chi, andando al supermercato, non si è mai lamentato dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari? Ed ora alzi la mano chi non ha mai sprecato quel cibo tanto prezioso, per negligenza o dimenticanza in fondo al frigorifero? Sì, può capitare. Ma un italiano su tre getta cibo ogni settimana. Più al sud che al centro-nord. A dircelo è un’indagine condotta per Too Good To Go – l’app sviluppata proprio per contrastare lo spreco alimentare – realizzata con YouGov, che ha analizzato il rapporto di noi italiani nei confronti del cibo, (un campione di 1015 adulti) rivelando abitudini quotidiane spesso contraddittorie, a volte sbagliate.

    Bisogna dire però, a nostra discolpa, che il 99% degli intervistati riconosce l’importanza di ridurre lo spreco e che il 78% considera la lotta allo spreco come una priorità. Quindi c’è tanta consapevolezza, ma non è ancora sufficiente se il 31% ammette di buttare il cibo nella spazzatura almeno una volta a settimana: al Sud si sale al 38% che arriva al 44% tra i genitori con figli minorenni. LEGGI TUTTO

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    Il cortocircuito dei movimenti

    I movimenti per il clima oggi stanno vivendo un cortocircuito: la sensazione è che una volta trovato l’inghippo possano sprigionare una nuova e potente luce di battaglia, ma per ora è il buio a prevalere. In tempi di negazionismi e nazionalismi, di guerre e di politiche oscurantiste targate Donald Trump, le folle oceaniche di giovani pronti a scendere in piazza per chiedere giustizia climatica e un futuro diverso da quello prospettato dalle attuali tendenze del riscaldamento globale appaiono infatti lontanissime. Eppure, soltanto pochi anni fa, l’onda verde era in grado persino di avere un peso politico: i primi scioperi per il clima globali guidati da quella Greta Thunberg che affrontava a muso duro proprio Donald Trump, poi le piazze locali – come in Italia – riempite in ogni città di giovani di Fridays For Future decisi a chiedere a politici e governi di agire subito contro le emissioni e ancora le proteste dei 100 mila di Glasgow, alla COP26, dove sotto le bandiere di Extinction Rebellion migliaia di giovani, ma anche adulti, manifestavano per il clima. Oppure i raduni dei giovanissimi, come quelli di Milano dei “Youth4Climate” e tutte quelle proteste diffuse dall’Africa sino agli Usa passando per la Conferenza sul clima in Egitto. Erano tempi di colore e di cartelli, poi il Covid ha azzerato tutto. Senza più la possibilità di radunarsi e far sentire un coro unico, i movimenti dell’onda verde si sono spenti e disgregati: alcuni sono passati alla politica, come molti giovani di Fridays che hanno provato a candidarsi con i partiti, altri alle azioni forte ed eclatanti, come le vernici di Ultima Generazione o i blitz di Extinction Rebellion, supportati anche da nuove costole fatte di adulti laureati, come Scientist Rebellion.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    Nel frattempo i teatri chiave delle proteste, le COP climatiche dove chiedere davanti ai leader del mondo di agire per rispettare l’Accordo di Parigi e restare sotto i +1,5 gradi, si sono trasformati in palcoscenici silenziati: con tre Conferenze di fila in Paesi regni dei combustibili fossili e dei diritti negati, dall’Egitto fino agli Emirati Arabi del petrolio o l’Azerbaijan del gas, la voce dell’onda verde si è così trasformata letteralmente in un tiepido mugugno. Proprio a Baku, nel nuovo clima di repressione, i movimenti hanno sì protestato, ma solo con versi e con la mano sulla bocca per non incorrere in sanzioni e arresti. Il nuovo scenario globale, dagli Usa di Trump che escono dall’Accordo di Parigi sino ai disegni legge italiani repressivi nei confronti delle proteste e all’attenzione mediatica tutta rivolta esclusivamente sulle guerre, ha poi fatto il resto: i movimenti verdi oggi esistono ancora ma appaiono oggi frazionati, depotenziati, perennemente in attesa di riprendere forza.

    Eppure, racconta un interessante ricerca apparsa su Nature, in un studio basato su 130mila intervistati di 125 Paesi è emerso come l’89% delle persone in tutto il mondo vorrebbe che si facesse di più per proteggere il clima e crede nella necessità di continuare questa battaglia. Ma, e questo fa parte anche del cortocircuito dei movimenti, gli stessi intervistati hanno raccontato di presumere – erroneamente – che altre persone non sostengano questa necessità. Addirittura il 69% delle persone si è detto disposto a contribuire con l’1% del proprio reddito personale pur di sostenere azioni e norme pro-clima, ma non avendo più la sensazione che ci sia un’onda globale unita pronta a battersi contro l’avanzata del surriscaldamento planetario – che nel frattempo è peggiorato – queste stesse persone restano inermi, come se attendessero che il pulsante della lotta venga riacceso chissà da chi. La speranza, e qui sta la buona notizia, è che una serie di nuovi fattori oggi potrebbero presto riaccendere la luce e riunire le varie facce della protesta climatica in modo da stimolare i governi a una azione concreta. Ci sono infatti una serie di “aumenti” che oggi uno dopo l’altro stanno portando nuova corrente alla ripresa dei movimenti: in primis la crescita delle persone e degli attivisti che, dagli Usa sino all’Europa, dai campus sino alle piazze si stanno unendo per combattere le politiche di negazione e smantellamento della scienza di Trump. E poi la fiducia, crescente, che il nuovo Papa Leone XIV possa dare nuova linfa all’impegno climatico iniziato da Bergoglio, così come l’attenzione in ascesa nei confronti di quella che sarà, dopo anni, la prima Cop fuori dai petrol-stati e che si svolgerà al contrario nel cuore della sofferente Amazzonia, in Brasile. Questi aspetti, uniti alle evidenze dell’aumento delle temperature, degli incendi e la siccità, degli eventi estremi e della perdita di biodiversità, potrebbero rilanciare la forza dell’onda verde, a un patto però: per dare nuova linfa ai movimenti serve assolutamente anche il coinvolgimento delle nuovissime generazioni, di quei i teenager e giovanissimi che, dopo l’onda di Greta, oggi faticano a scendere in prima linea nella lotta per il clima. LEGGI TUTTO

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    Fotovoltaico, al via i nuovi incentivi per l’autoconsumo e i sistemi di accumulo

    Al via dal 3 giugno le domande per i nuovi incentivi al fotovoltaico. La procedura, prevista dal decreto FERX in versione transitoria, riguarda sia gli impianti dei privati di piccola taglia, sia quelli di più grandi dimensioni. I privati possono presentare la domanda per ottenere una tariffa incentivante sull’energia prodotta entro il prossimo 24 giugno. Il supporto favorisce l’autoconsumo e l’abbinamento degli impianti a fonti rinnovabili con i sistemi di accumulo.

    Il rapporto

    Italia rimandata in materia di transizione: bene le rinnovabili male la decarbonizzazione

    di Luca Fraioli

    22 Aprile 2025

    Contributi e decarbonizzazione
    Il decreto FERX prevede un meccanismo transitorio di supporto per impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività di mercato ha la finalità di sostenere la produzione di energia elettrica di impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività di mercato. Definito per questo di un meccanismo di supporto che ne promuova l’efficacia, l’efficienza e la sostenibilità in misura adeguata al perseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, coerentemente con gli obiettivi di sicurezza e adeguatezza del sistema elettrico. Il decreto cessa di applicarsi il 31 dicembre 2025.

    Fisco Verde

    Reddito energetico 2025: come funziona e limiti di accesso

    Antonella Donati

    06 Maggio 2025

    Accesso diretto per impianti inferiori a 1 MWPer gli impianti fotovoltaici con potenza nominale inferiore a 1 MW, vale a dire quelli che rientrano nella categoria “di piccola taglia”, l’accesso è diretto, senza necessità di partecipare a bandi competitivi. L’unico requisito richiesto è quello di aver avviato i lavori successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, ossia non prima del 28 febbraio 2025. Gli impianti acquisiscono il diritto di accedere al meccanismo a fronte della presentazione della comunicazione di inizio lavori. Tutti gli interventi devono essere realizzati utilizzando componenti nuovi. Rientrano nell’ambito di applicazione del decreto anche gli interventi di rifacimento integrale e parziale e di potenziamenti di impianti esistenti, fermo restando che, per questi ultimi, l’accesso al meccanismo di supporto è consentito limitatamente alla nuova sezione di impianto che corrisponde al potenziamento.

    La tariffa incentivante
    Per gli impianti fino a 1 MW l’incentivo viene riconosciuto attraverso una tariffa fissa omnicomprensiva sulla produzione netta immessa in rete. La tariffa, calcolata secondo i criteri ARERA, oscilla tra 85 e 95 €/MWh, a seconda della taglia e della tecnologia. L’incentivo viene erogato per 20 anni, a partire dalla data di entrata in esercizio dell’impianto. Il valore dei prezzi di aggiudicazione può essere aggiornato annualmente tenendo conto delle analisi svolte dal GSE. Nel documento Regole operative per la comunicazione di avvio lavori, reperibile sul sito del GSE, sono disciplinate le modalità di accesso diretto al meccanismo di supporto e i requisiti e le condizioni per l’erogazione dei prezzi di aggiudicazione.Come presentare domandaLe domande si presentano esclusivamente attraverso il portale FER-X del GSE, accessibile con SPID, CIE o CNS. È necessario allegare la scheda tecnica dell’impianto; la dichiarazione di possesso del titolo abilitativo; l’eventuale documentazione sull’area idonea e sul punto di connessione.

    Energia

    Comuni Rinnovabili 2025, i premi alle migliori CER d’Italia

    di Luca Fraioli

    27 Maggio 2025

    Il GSE ha fissato un termine massimo di 45 giorni per l’istruttoria, al termine della quale – in caso di esito positivo – il soggetto richiedente riceverà il contratto da firmare digitalmente. Il criterio applicato è quello cronologico. Ciò significa che le domande saranno ammesse in ordine di arrivo fino a esaurimento delle risorse, con priorità per gli impianti più rapidi nell’attivazione. La tariffa sarà riconosciuta a partire dalla data effettiva di messa in esercizio, verificata attraverso i dati di Terna. LEGGI TUTTO

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    Lettera degli scienziati al governo: “Tagliare il 90% dei gas serra al 2040”

    Alla cortese attenzione
    della Presidente del Consiglio dei ministri, On. Giorgia Meloni,
    e del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, On. Gilberto Pichetto Fratin,

    Noi, studiosi impegnati nella ricerca scientifica sui cambiamenti climatici, sulle politiche di mitigazione e adattamento e sui sistemi complessi come il clima, desideriamo esprimere la nostra preoccupazione per il futuro del Paese e per le persone e specie viventi che abitano il pianeta rivolgendo un appello ai rappresentanti politici.

    I dati più recenti confermano la pericolosa realtà del surriscaldamento globale: il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e le temperature negli ultimi decenni sono cresciute con una rapidità che non ha eguali almeno negli ultimi 2000 anni. Tale riscaldamento sta compromettendo gli equilibri climatici, ecologici ed economici in molte aree del pianeta. L’Italia è tra i paesi minacciati e sta già sperimentando numerosi impatti diretti e indiretti dei cambiamenti climatici, con proiezioni che indicano un aggravamento delle condizioni nei prossimi decenni: aumento delle ondate di calore, con impatti sulla salute pubblica, in particolare per le persone vulnerabili come anziani e bambini; riduzione delle precipitazioni nevose e ritiro dei ghiacciai; stress idrico crescente; incendi sempre più vasti e con comportamento estremo; innalzamento del livello del mare ed erosione costiera.

    La preoccupante realtà del surriscaldamento globale non può più essere negata. Per questo è necessario che tutti facciano la loro parte per ridurre le emissioni climalteranti, in particolare quei Paesi come l’Italia e l’Europa che hanno una chiarissima responsabilità storica.

    In questo contesto, accogliamo con favore la proposta dell’ESABCC (European Scientific Advisory Board on Climate Change) che ha indicato come per l’Unione Europea l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra del 90-95% nel 2040 (rispetto ai livelli del 1990) sia una tappa imprescindibile per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica al 2050, obiettivo già incardinato nella Legge europea sul clima e comunicato nell’ambito della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici. Tale riduzione rappresenta un’opportunità per l’Europa, poiché comporta numerosi vantaggi: maggiore sicurezza energetica e riduzione della dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili; miglioramento della salute pubblica e riduzione dei costi sanitari; stimolo all’innovazione tecnologica e creazione di posti di lavoro verdi; minimizzazione dei rischi ambientali e sociali.

    Il raggiungimento di questo obiettivo intermedio al 2040 sarebbe infine una scelta strategica per il presente e il futuro della nostra economia. La chiarezza e la coerenza degli obiettivi climatici sono infatti fondamentali per orientare gli investimenti dell’industria e della finanza verso soluzioni sostenibili e innovative. Solo con una rotta ben definita e supportata da evidenze scientifiche, oltre che da solide motivazioni politiche strategiche, possiamo evitare di rallentare la transizione energetica e quindi mettere a rischio la competitività del nostro sistema produttivo, e nel contempo fare la nostra parte nella lotta al surriscaldamento globale.

    Per questo, chiediamo al Governo di sostenere con convinzione l’obiettivo europeo del -90% al 2040. Si tratta di una scelta che richiede coraggio politico, ma che sarà ricordata come un atto di responsabilità verso le future generazioni.

    Con rispetto e fiducia,

    Primi/e firmatari/ie
    Stefano Caserini, Professore associato, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici, Università di Parma
    Antonello Pasini, Primo ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), docente di Fisica del clima all’Università Roma Tre
    Giorgio Parisi, Professore emerito di Fisica Teorica presso la Sapienza Università di Roma, Premio Nobel per la Fisica 2021
    Nicola Armaroli, Direttore di Ricerca presso l’Istituto per la Sintesi Organica e la Fotoreattività (ISOF) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) a Bologna
    Valentina Bacciu, Ricercatrice presso l’Istituto per la BioEconomia (IBE) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Sassari
    Vincenzo Balzani, Professore emerito di Chimica, Università di Bologna
    Carlo Barbante, Professore di Paleoclimatologia presso l’Università Ca’ Foscari Venezia, Presidente del Centro di Studio e di Ricerca Internazionale sui Cambiamenti Climatici, Venezia
    Roberto Buizza, Professore Ordinario di Fisica, Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna, Pisa
    Carlo Cacciamani, Direttore Agenzia Nazionale per la Meteorologia e Climatologia-ItaliaMeteo
    Carlo Carraro, Professore di Economia dei Cambiamenti Climatici, Universita’ Ca’ Foscari Venezia
    Susanna Corti, Dirigente di Ricerca presso l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
    Claudio Cassardo, Professore associato di Fisica dell’atmosfera, meteorologia e clima, Dip. di Fisica, Università di Torino
    Maria Cristina Facchini, Direttrice dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
    Paola Faggian, Ricercatrice esperta in meteorologia e climatologia presso Ricerca sul Sistema Energetico (RSE) S.p.A.
    Davide Faranda, Direttore di ricerca al Centro Nazionale della Ricerca Scientifica (CNRS), Parigi-Saclay
    Michela Gallo, Professore associato di Ingegneria Sanitaria ed ambientale, Docente del corso di Mitigation and Adaptation to climate change, Università di Genova
    Mario Grosso, Professore associato di Ingegneria sanitaria-ambientale, Docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici, Politecnico di Milano
    Silvio Gualdi, Principal Scientist Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) – Direttore della Divisione di Modellistica del Sistema Terra e Data Assimilation
    Piero Lionello, Professore ordinario di Fisica dell’Atmosfera e Oceanografia presso l’Università del Salento e membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC)
    Luigi Moccia, Primo ricercatore presso l’Istituto di Calcolo e Reti ad Alte Prestazioni (ICAR) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
    Paola Mercogliano, Presidente della Società Italiana per le Scienze del Clima (SISC), Principal Scientist presso la Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC)
    Mario Marcello Miglietta, Dirigente di Ricerca, CNR – Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (CNR-ISAC)
    Elisa Palazzi, Professoressa associata di fisica del clima, Dip. di Fisica, Università di Torino
    Claudia Pasquero, Professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra (DISAT) dell’Università di Milano-Bicocca
    Gianluca Ruggieri, Ricercatore e Docente di Fisica Tecnica Ambientale, Università dell’Insubria
    Silvia Torresan, Direttrice della Divisione “Risk Assessment and Adaptation Strategies” (RAAS) presso la Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC)
    Giorgio Vacchiano, Professore associato in gestione e pianificazione forestale all’Università di Milano, presidente di Climate Media Center Italia
    Dino Zardi, Professore Ordinario di Fisica dell’Atmosfera presso l’Università di Trento LEGGI TUTTO

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    Clima e ambiente, quanto ne sai davvero?

    Quanto sta cambiando davvero il nostro pianeta? L’uso dei combustibili fossili aumenta o diminuisce? Qual è il ruolo di oceani e foreste nell’assorbimento dell’anidride carbonica? Tutte domande cui risponderemo dal palco del Festival di Green&Blue, in programma dal 5 al 7 giugno a Milano, con l’aiuto di scienziati, associazioni, attivisti, imprenditori, amministratori. Ma nell’attesa abbiamo […] LEGGI TUTTO

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    Crisi climatica, per le nostre città ora la vera sfida è l’adattamento

    Cominciamo da quattro numeri: 3, 55, 75, 80. Queste cifre hanno plasmato per anni il modo in cui parliamo delle città. Le città occupano solo il 3% della superficie del pianeta. Ospitano oltre il 55% della popolazione globale. Consumano il 75% di tutta l’energia e producono l’80% delle emissioni di anidride carbonica.È il modello standard. Spesso viene usato per giustificare l’importanza delle città – perché renderle più efficienti potrebbe avere un impatto globale sproporzionato. E per molto tempo, questa è stata la logica guida: ottimizzare la città, e il Pianeta seguirà.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    Ma c’è un altro insieme di numeri di cui dobbiamo iniziare a parlare:

    1.5 – i gradi Celsius che con ogni probabilità supereremo nei prossimi decenni.
    2035 – l’anno in cui, secondo alcune proiezioni, la barriera del MOSE a Venezia potrebbe non reggere più.
    3,6 millimetri all’anno – l’attuale ritmo di innalzamento del livello medio globale del mare.
    150.000 – le morti stimate ogni anno legate al clima entro la fine di questo decennio.

    Questi non sono numeri che richiedono ottimizzazione. Chiamano l’adattamento. Per anni, come architetti, urbanisti e progettisti, ci siamo concentrati sulla mitigazione. Abbiamo parlato di ridurre le emissioni, rimpicciolire l’impronta ecologica, abbassare le soglie. Abbiamo progettato edifici con un migliore isolamento, sistemi più efficienti, materiali più intelligenti. Al MIT, abbiamo sviluppato tecnologie per riscaldare o raffreddare direttamente le persone, evitando di sprecare energia per stanze vuote. A Singapore, abbiamo scoperto che la domanda di mobilità privata si poteva soddisfare con una frazione del parco auto attuale – se le persone erano disposte a condividere. Ma anche se implementassimo ognuna di queste soluzioni, la realtà è questa: il clima è già cambiato. Il danno non è più teorico. Il mare si alza. Il caldo aumenta. E le infrastrutture che abbiamo costruito – fisiche e concettuali – non sono pronte. L’adattamento diventa, così, la vera frontiera del progetto.

    Cosa significa progettare per l’adattamento? Significa immaginare edifici e città capaci di convivere con l’acqua, invece di respingerla. Significa abbracciare la flessibilità al posto della permanenza, la ridondanza invece della precisione. Significa guardare ai sistemi ecologici – barriere coralline, zone umide, colonie microbiche – non solo come metafore di resilienza, ma come veri modelli da cui apprendere. Significa anche cambiare i parametri con cui misuriamo il successo. Se 2, 50, 75 e 80 hanno definito il capitolo precedente dell’urbanistica, quali numeri dovrebbero guidare il prossimo? Quanti edifici riescono ad assorbire calore senza ricorrere a sistemi meccanici? Quante infrastrutture sono progettate per cedere senza collassare? Quanti ambienti urbani riescono a sostenere più di una specie?

    Alla Biennale Architettura 2025, abbiamo usato spesso un termine latino: intelligens – non semplicemente intelligenza come qualcosa che si possiede, ma inter-legere: la capacità di leggere tra le righe. Tra il naturale e l’artificiale. Tra le discipline. Tra umani e non umani. Questo spirito del “leggere tra” è essenziale per l’adattamento. Perché adattarsi non è un esercizio solitario. È un atto collettivo. Ci chiede di lavorare oltre i compartimenti stagni, oltre i confini, oltre le specie. Di attingere all’intelligenza naturale, ai sistemi artificiali e alla creatività umana – non in isolamento, ma in dialogo.

    Sì, i numeri contano ancora. Ma i numeri da soli non bastano a farci orientare in ciò che ci aspetta. Per questo, dobbiamo cambiare il modo in cui progettiamo, collaboriamo e immaginiamo. Una volta progettavamo le città per resistere all’ambiente. Ora, la vera sfida è imparare a viverci insieme.

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    Carne coltivata, il grande rebus: pro e contro

    Perché sì: “Questione di etica e sostenibilità”
    “Quella che chiamiamo eufemisticamente carne sono in verità pezzi di cadaveri, di animali morti, morti ammazzati. Perché fare del proprio stomaco un cimitero?”, chiedeva provocatoriamente lo scrittore Tiziano Terzani. Il tema dell’etica e della compassione è uno dei motivi per cui i ricercatori hanno avviato la sperimentazione di carne coltivata, ottenuta da cellule staminali sviluppate in laboratorio, quindi senza la necessità di allevare e macellare polli, bovini, suini. Poi c’è la sostenibilità.“I cambiamenti climatici in atto e l’elevato tasso di inquinamento impongono di trovare alternative all’industria della carne tradizionale, una filiera basata sugli allevamenti intensivi, che hanno un rilevante impatto ambientale”, sostiene Luciano Conti, professore del dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata dell’Università di Trento. Un’alternativa, la carne “sintetica”, che permetterebbe a tutti di beneficiare delle proteine animali diverse rispetto a quelle vegetali, contenute, per esempio, in legumi, avena o frutta secca. Alla luce di tali benefici, gli esperti stanno lavorando per risolvere le sfide relative a questo alimento, ovvero l’alto costo e la complessità produttiva. “Per ovviare a entrambe le criticità sono ora in commercio, a Singapore e negli Stati Uniti, solo prodotti ibridi, costituiti cioè, oltre che da cellule animali, in particolare di pollo, anche da fibre”, spiega il biologo.Nel frattempo, in altre aree del mondo, come Australia, Hong Kong, Regno Unito, Svizzera, Israele, stanno valutando l’ingresso sul mercato di questi preparati. “In Europa sono state avanzate due richieste di approvazione: la prima da parte dell’impresa francese Gourmey, che produce foie gras, una sorta di patè a base di materiale cellulare d’oca; la seconda da parte dell’azienda olandese Mosa Meat, che crea grasso di manzo da colture bovine”, prosegue l’esperto. Solo in caso di esito positivo i prodotti potranno essere commercializzati, ma ciò non implica un’immediata distribuzione nei supermercati. La palla dovrà, infatti, passare al Parlamento europeo, che analizzerà gli aspetti commerciali.

    “«Quando un nuovo prodotto ottiene l’approvazione, occorre svolgere alcune analisi per valutare l’impatto sul mercato”, continua Conti. “Nel caso della carne coltivata, poiché il prodotto più prossimo è la carne tradizionale, bisogna effettuare un confronto con l’industria degli allevatori, che costituiscono una lobby potente. Si tratta di valutare in quale misura il nuovo processo industriale potrebbe creare posti di lavoro e indotto economico, oltre a essere più etico e sostenibile”. In ogni caso, nel momento in cui la cultivated meat ottenesse il via libera in Europa, l’Italia non potrà opporsi. “Il nostro Paese ha varato nel 2024 una legge in antitesi con la normativa europea, nella quale vieta la commercializzazione di carne coltivata”, stigmatizza il professor Conti. “Del resto, bandire un prodotto a priori, attraverso norme preventive, è un controsenso, significa guardare al passato e non al futuro, sostenendo gli interessi di pochi a scapito di benefici per tutti”.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    Perché no: “Sarà sicura per la nostra salute?”
    Nel maggio 2012, durante la trasmissione televisiva Quello che (non) ho su La7, Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, aveva pronunciato un monologo. “Appartengo alla Terra”, disse. “E come me tutta l’umanità e ogni forma di vita. Animali d’ogni specie e tutto ciò che il lavoro umano ha plasmato e trasformato nel tempo”. Bisognerebbe forse partire da qui per comprendere la posizione dell’associazione sul tema carne coltivata. “I consumi di carne in Occidente sono insostenibili”, dice la presidente Barbara Nappini. “E questa impennata della produzione è correlata allo sviluppo degli allevamenti intensivi, che provocano più del 30% delle emissioni di CO? nel Pianeta, inquinano il suolo e l’acqua, causano la sofferenza del bestiame e, infine, compromettono la nostra salute”. Secondo Slow Food, quest’ultimo settore è oggi controllato da poche multinazionali, come Virgin Group, Jbs, Cargill, Tyson Foods, le stesse che stanno finanziando la ricerca sui prodotti di origine cellulare.

    Gli ospiti

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    di Sandro Iannaccone

    19 Maggio 2025

    “Ora che il settore dell’allevamento inizia ad avere prospettive più incerte, i grandi gruppi aziendali si sono concentrati su un altro business, applicando gli stessi strumenti, come brevetti e monopoli”, incalza Nappini. Due le principali criticità che la presidente ravvisa nei nuovi preparati a base di cellule. La prima: l’elevato impatto ambientale, visto che “al momento gli impianti necessari alla produzione consumano una rilevante quantità di energia”. La seconda: l’incognita della salubrità, dato che “nei processi produttivi vengono impiegati sia ormoni sia lieviti geneticamente modificati, realizzando così alimenti iperprocessati”. Un’ulteriore considerazione riguarda le ricadute negative sui piccoli allevatori, che usano un modello estensivo e che, in seguito all’introduzione degli alimenti innovativi, “rischierebbero di scomparire”, sostiene la rappresentante dell’associazione, che non fa sconti nemmeno sulla denominazione: “Il nome attribuito ai sostituti della carne e la loro etichettatura non devono generare confusione nel consumatore. Perciò questi nuovi prodotti non potranno essere definiti carne, ma neppure si potranno usare termini come salame, latte, prosciutto per riferirsi ai derivati”.

    Alla luce di tutto ciò, conclude Nappini, “il problema di un’eccessiva produzione di carne non si risolve passando dagli allevamenti intensivi ai laboratori, ma si affronta analizzando e modificando il modello che ha originato la distorsione. È, dunque, imprescindibile ridurre il consumo di proteine animali e puntare su un allevamento sostenibile”. Per cercare di raggiungere questi obiettivi, l’organizzazione ha realizzato varie iniziative di comunicazione. Tra queste, Slow Meat, la campagna internazionale “Diamoci un taglio” mirata a sensibilizzare i consumatori sulla necessità di diminuire il consumo di proteine animali. È, invece, rivolta anche ai cuochi, oltre che ai cittadini, la campagna “Meat the change”, che invita i professionisti dei fornelli a promuovere menù amici del clima. LEGGI TUTTO