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    Bonus climatizzatori, come funziona l’agevolazione per impianti fissi o portatili

    Estate ormai alle porte, anche per quest’anno sarà possibile beneficiare del bonus climatizzatori per installare gli impianti fissi. Un’occasione utile non solo per affrontare il caldo, ma anche per migliorare l’efficienza energetica della casa approfittando dei vantaggi offerti dalle pompe di calore, utilizzabili anche in funzione di riscaldamento.

    Regole confermate per il bonus anche se occorre tener conto che l’aliquota di detrazione cambia in base all’immobile, e che prima e seconda casa non sono più trattate allo stesso modo dal punto di vista della detrazione fiscale.

    Per chi nel 2024 ha effettuato interventi che godono della detrazione per ristrutturazione ma non può installare impianti fissi c’è comunque la possibilità di acquistare i climatizzatori portatili approfittando del bonus mobili, senza differenze di aliquote tra prima e seconda casa.

    Climatizzatori e nuove aliquote
    Il bonus climatizzatori per gli impianti a pompa di calore rientra nell’abito degli interventi di ristrutturazione che comprendono anche quelli di risparmio energetico, anche se realizzati senza interventi edilizi veri e propri. La pompa di calore, infatti, rientra tra gli impianti alimentati a fonti rinnovabili in quanto è in grado di produrre energia utilizzando anche il calore esterno, e limitando quindi il ricorso alla rete elettrica. Al di là della funzione di rinfrescamento, inoltre, il climatizzatore è un valido aiuto per ridurre la dipendenza dal gas in inverno, dal momento che può essere utilizzato a supporto o in sostituzione dell’impianto a gas quando il clima lo consente. Utilizzando il climatizzatore per posticipare l’accensione del riscaldamento in caso di impianto autonomo, ad esempio, si può arrivare ad un taglio del consumo del gas anche del 30%. Anche in caso di impianto centralizzato si possono ottenere risparmi sul consumo del gas impostando sul minimo le termovalvole e sfruttando invece i climatizzatori. Bonus confermato, dunque, ma con due aliquote: 50% di detrazione se l’installazione riguarda la prima casa; 36% se gli impianti sono destinati ad una seconda casa.

    Detrazione solo con messa a norma
    Il bonus si applica alle spese sostenute fino al 31 dicembre 2025, da ripartire in dieci rate annuali. Non è richiesta la comunicazione all’ENEA, e l’intervento rientra nell’ambito dell’edilizia libera. Per ottenere la detrazione per gli impianti fissi il pagamento va effettuato con bonifico parlante o carta di credito, indicando tutti i dati previsti (causale, codice fiscale del beneficiario e partita IVA del fornitore). Si deve trattare inoltre di un intervento effettuato da un tecnico specializzato. La fattura da portare in detrazione deve quindi comprendere obbligatoriamente anche la manodopera dato che per questi impianti è obbligatoria la messa a norma con relativa certificazione.

    Quando si può usare il Bonus mobili
    Chi non ha la possibilità di installare un impianto fisso può comunque usufruire della detrazione fiscale a anche per i climatizzatori portatili, a patto di aver effettuato nel 2024 interventi di ristrutturazione o di averli avviati nel 2025. Anche i climatizzatori, infatti, rientrano nella lista dei “grandi elettrodomestici” per i quali è possibile avere l’agevolazione fiscale nell’ambito del Bonus mobili, a patto di avere una classe energetica elevata. In questo caso si prevede una detrazione del 50% su una spesa massima di 5.000 euro. L’aliquota è unica e prescinde dal fatto che si tratti di prima o seconda casa. Per l’acquisto è obbligatorio il pagamento con bancomat o carte di credito, o con bonifico, ma non è obbligatorio utilizzare il bonifico parlante. LEGGI TUTTO

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    Un rapace ha imparato a leggere i segnali stradali per assicurarsi la cena

    Rispettare il semaforo non è solo una questione di sicurezza stradale, ma perfino un sistema per assicurarsi la cena. Accade nel mondo animale dove, costantemente messi a rischio dalle azioni umane, i predatori si fanno furbi e imparano perfino a “leggere” la segnaletica stradale. Sappiamo bene quanto alcune specie – e in particolare gli uccelli – si siano abituate alle routine degli umani, tanto da sfruttarle in determinate circostanze a loro favore. Il caso più limpido è forse quello dei corvi che, capendo il ruolo delle auto e cosa è in grado di fare una ruota quando passa su un qualunque oggetto, hanno sviluppato la capacità di far cadere noci proprio in prossimità delle strade più trafficate, sperando così che qualche veicolo schiacci i gusci e li apra, trasformandoli in un lauto pranzo. Oppure i vari uccelli necrofagi che, consci del fatto che spesso le auto investono animali selvatici, aspettano soltanto di poter andare a recuperare la carcassa della prossima preda. E che dire degli uccelli canterini che, sfruttando gli insetti morti sui parabrezza delle auto (anche se sono sempre meno per via della crisi della biodiversità), vanno a mangiare direttamente dai vetri delle vetture parcheggiate? E poi ci sono i rapaci. I grandi predatori del mondo dei volatili hanno dimostrato, raccontano diversi studi, incredibili capacità di adattamento alle nostre azioni: per esempio in alcune città ucraine è stato osservato come sfruttino i veicoli in movimento per nascondersi e avvicinarsi furtivamente alle prede.

    Ora però, anche se può sembrare strano, sono andati persino oltre: secondo un professore dell’Università del Tennessee sarebbero addirittura in grado di sfruttare i semafori. Sulla rivista Frontiers in Ethology, in uno studio in fase di revisione, lo zoologo Vladimir Dinets ha infatti di recente descritto qualcosa di davvero inusuale. Quando accompagnava la figlia a scuola, ogni giorno, il ricercatore passava per un incrocio vicino casa: nel tempo ha notato che, soprattutto nelle ore di punta, nonostante durante le fasi di verde a favore degli automobilisti non ci fosse poi così tanto traffico, quando un pedone schiacciava il pulsante per l’attraversamento pedonale con tanto di segnale acustico allo scattare del rosso la coda delle auto si allungava immediatamente “fino ad arrivare a un piccolo albero sul ciglio della strada” spiega Dinets. A notare questa dinamica, a quanto pare, non era però solo il professore, ma anche un rapace – uno sparviere di Cooper, animale simile alla poiana comune – appostato sull’albero. Lo stesso Dinets infatti alcune mattine ha iniziato ad accorgersi che lo sparviere, appena il semaforo diventa verde accompagnato dal classico segnale acustico, iniziava a spuntare fuori e a volare basso lungo il marciapiede costeggiato dalle auto: a quel punto “dopo aver fatto una curva attraversava la strada e si lanciava su qualcosa vicino alle prime case”.

    Dopo aver osservato più volte questa scena lo zoologo ha iniziato a studiare il comportamento dell’uccello: ogni volta in corrispondenza del verde e del suono l’animale approfittando della pausa dal traffico e della coda capace di coprirne i movimenti, raggiungeva il giardino di una casa dove gli abitanti facevano colazione all’esterno e dove si accumulavano spesso briciole che favorivano la presenza di piccoli passeri e colombe, la potenziale cena del rapace.

    Biodiversità

    Il falco pescatore ripopola le zone umide della Maremma

    di Fiammetta Cupellaro

    05 Aprile 2025

    “Il rapace attaccava sempre quando la coda di auto era abbastanza lunga da fornire copertura, non facendosi vedere e questo accadeva solo dopo che qualcuno aveva premuto il pulsante del passaggio pedonale. Non appena il segnale acustico veniva attivato, il rapace volava da qualche parte, aspettava che le auto si allineassero e poi colpiva” spiega il professore. Lo stesso zoologo sostiene che, di fatto, lo sparviere di Cooper aveva capito la segnaletica, comprendendo la connessione tra il suono (del verde per i pedoni) e la lunghezza delle code di auto.

    Il fatto più impressionante è che l’esemplare citato nello studio, essendo un uccello migratore, molto probabilmente “era arrivato in città solo poche settimane prima dei miei osservamenti e aveva già capito come usare i segnali stradali e gli schemi” scrive il ricercatore. Una volta comprovato questo comportamento Dinets ha ampliato la sua analisi ad altri contesti dove, spesso d’inverno, ha potuto vedere un altro uccello cacciare nello stesso modo, anche se non esclude che si possa trattare dello stesso esemplare.

    Biodiversità

    Alberi più piccoli ed elefanti senza zanne: così la natura si adatta all’uomo

    di Giacomo Talignani

    07 Gennaio 2025

    Il comportamento descritto, nuovo per questa specie, secondo Dinets rimarca come – nonostante le estreme difficoltà degli uccelli a vivere in ambienti cittadini dato che devono evitare grattacieli, finestre, auto, cavi elettrici e tanti altri pericoli – grazie una straordinaria intelligenza alcune specie possano persino riuscire non solo a sopravvivere al traffico delle città ma anche a trarne un personale beneficio. LEGGI TUTTO

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    Comuni Rinnovabili 2025, i premi alle migliori CER d’Italia

    “Una crescita lenta ma importante”. E l’andamento delle fonti rinnovabili in Italia negli ultimi vent’anni secondo Legambiente. L’associazione da due decenni pubblica il rapporto Comuni Rinnovabili e l’edizione 2025 è anche l’occasione per fare un bilancio di quanto successo nel fotovoltaico e nell’eolico dal 2004 a oggi nel nostro Paese. L’anno scorso la potenza rinnovabile […] LEGGI TUTTO

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    Paola Mercogliano (CMCC): “Eventi climatici sempre più estremi, serve consapevolezza”

    “Negli ultimi anni l’evidenza scientifica sul cambiamento climatico si è ulteriormente consolidata. Report internazionali, come quelli dell’IPCC, e nazionali, come quelli di Ispra sullo stato del clima in Italia, mostrano un chiaro aumento nella frequenza, nell’intensità e nella durata di eventi estremi: ondate di calore, precipitazioni intense concentrate in brevi periodi e lunghi periodi siccitosi. Non è sempre possibile attribuire un singolo evento al cambiamento climatico in modo chiaro, ma i trend – in termini di maggiore persistenza, intensità e frequenza di questi fenomeni – sono inequivocabilmente legati a un clima che sta cambiando”. Paola Mercogliano insegna Meteorologia Avanzata all’Università degli Studi di Napoli Parthenope e lavora presso il Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici come responsabile della Divisione di Ricerca su Modelli Regionali e Impatti Geo-Idrologici.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    Anche in Italia facciamo i conti con le conseguenze del cambiamento. Come?
    “Con ondate di calore sempre più intense e frequenti e precipitazioni che tendono a concentrarsi in episodi brevi ma molto intensi, con conseguenti difficoltà nella gestione del rischio idraulico, soprattutto in contesti urbani. Anche la siccità si manifesta con maggiore severità e in modo prolungato, provocando danni rilevanti a biodiversità e agricoltura. I numeri cambiano da territorio a territorio, ma la tendenza è univoca. E la progressiva alterazione dei regimi atmosferici e idrologici rende il sistema climatico non solo più estremo, ma anche più variabile e complesso da prevedere”.

    Perché Il Mediterraneo è un “osservato speciale”?
    “Perché è uno dei principali hotspot del cambiamento climatico a livello globale: si sta riscaldando a un ritmo circa del 20% superiore rispetto alla media planetaria. Le città costiere sono esposte all’innalzamento del livello del mare e, in alcune aree, anche all’aumento della frequenza e dell’intensità delle mareggiate. Inoltre i territori montani risentono della riduzione del manto nevoso e dell’incremento del rischio geo-idrologico. L’agricoltura è messa a dura prova sia dalla siccità sia da eventi estremi, con ripercussioni dirette sulla produzione alimentare”.

    Come sta rispondendo il territorio?
    “Le infrastrutture critiche italiane si trovano ad affrontare condizioni climatiche — in termini di temperature, precipitazioni e venti – per le quali non sono state progettate. Ci sono rilevanti impatti sulla salute pubblica specialmente nelle città, legati all’aumento delle ondate di calore. Un quadro complesso che richiede interventi urgenti, integrati e fondati su basi scientifiche”.

    Che tipo di interventi?
    “Ci vogliono strategie e piani di adattamento, quindi strumenti di governance, scientificamente validi ma che tengano anche in conto le esigenze di chi vive nel territorio, non calati dall’alto. La resilienza urbana si costruisce attraverso scelte di trasformazione concrete: più verde e meno cemento, gestione intelligente delle acque piovane, reti energetiche efficienti, piani regolatori che integrino il rischio climatico. Le soluzioni devono arrivare a valle di lavoro di concertazione tra tecnici e cittadinanza. Noi stiamo lavorando con molte amministrazioni per fornire scenari, indicatori e strumenti decisionali basati sulla scienza”.

    La scienza, già. Come fanno a sopravvivere, oggi, i negazionismi?
    “È un fenomeno complesso: oggi più che negare l’esistenza del cambiamento climatico – ormai evidente – si tende a minimizzarne l’urgenza o a mettere in dubbio la necessità di agire in tempi rapidi. Un atteggiamento che rallenta l’adozione di quelle trasformazioni strutturali ormai imprescindibili. Andrebbe cambiata la narrazione pubblica sul cambiamento climatico, troppo spesso focalizzata sull’allarme e sulla paura. Come? Valorizzando le soluzioni concrete disponibili, le buone pratiche che in molte comunità si stanno adottando con risultati positivi, l’importanza di fare certe scelte per il benessere delle persone: oggi la comunità scientifica ha molte risposte. Nel progetto europeo che coordino stiamo sviluppando strumenti formativi e informativi accessibili a diversi tipi di pubblico, per rafforzare consapevolezza e coinvolgimento sociale”.

    Cosa può fare ciascuno di noi?
    “Scelte individuali come l’uso dell’energia, i consumi alimentari, la mobilità o il modo in cui si gestisce l’acqua contribuiscono a contenere il nostro impatto ma il coinvolgimento va oltre le azioni dei singoli: i cittadini devono essere coinvolti nella co-progettazione di strategie di adattamento. Nella recente esperienza che ho avuto con la città di Roma hanno portato idee innovative in grado di migliorare le strategie di adattamento: questa è una sfida che richiede la collaborazione tra scienza, istituzioni e società civile”.

    La partecipazione è gratuita previa registrazione. LEGGI TUTTO

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    Elizabeth Kolbert: “E se fosse già iniziata l’era di una nuova estinzione?”

    Quasi senza rendercene conto stiamo passando dalla Primavera silenziosa all’Estinzione silenziosa. Nel 1962, quando Elizabeth Kolbert aveva appena un anno, la zoologa Rachel Carson pubblicò il suo famoso libro – Primavera silenziosa – che descrivendo la scomparsa degli uccelli e dei loro canti a causa dell’uso di DDT e pesticidi diventò un manifesto globale per […] LEGGI TUTTO

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    Ghiacciai e intelligenza artificiale: un nuovo modello globale per calcolare profondità e volume

    Stimare in modo accurato il volume dei ghiacciai del pianeta è una delle sfide scientifiche più complesse per chi si occupa di clima e ambiente. Non si tratta soltanto di una questione di modellistica glaciale ma di un tassello fondamentale per prevedere scenari futuri legati all’innalzamento del livello dei mari, alla disponibilità di acqua dolce e in definitiva agli impatti socioeconomici della crisi climatica. Ora, grazie a un nuovo approccio che sfrutta l’intelligenza artificiale, siamo di fronte a un passo avanti significativo. Il lavoro, frutto di una collaborazione tra l’Università Ca’ Foscari Venezia e la University of California-Irvine, è stato coordinato da Niccolò Maffezzoli, ricercatore Marie Curie e membro associato dell’Istituto di scienze polari del CNR. Il modello sviluppato, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Geoscientific Model Development, è il primo del suo genere a livello globale a integrare misurazioni dirette dello spessore dei ghiacci con strumenti avanzati di machine learning.

    Negli ultimi anni sono stati raccolti oltre 4 milioni di dati sullo spessore dei ghiacciai, grazie soprattutto alla missione IceBridge della Nasa. Tuttavia queste informazioni sono sfruttate solo in minima parte dai sistemi attualmente in uso, che coprono meno dell’1% dei ghiacciai del pianeta. “Il nostro modello si basa su due algoritmi a struttura ad albero – spiega Maffezzoli – addestrati su dati di spessore dei ghiacci e su 39 variabili geofisiche e climatiche tra cui velocità di scorrimento, bilancio di massa, temperatura, altitudine e caratteristiche geodetiche”.

    Il risultato? L’errore del modello allenato è fino al 30-40% inferiore rispetto agli approcci tradizionali, in particolare nelle regioni polari e nelle zone periferiche delle calotte glaciali, che custodiscono la maggior parte del ghiaccio terrestre. Ma cosa ci si fa con un modello del genere? Una delle applicazioni cruciali riguarda la simulazione dei futuri scenari climatici. Nelle regioni polari, in particolare in Groenlandia e Antartide, piccole variazioni di spessore possono innescare effetti a cascata sul comportamento dinamico dei ghiacci e nelle masse oceaniche circostanti. “Le stime che forniamo possono essere utilizzate come input nei modelli numerici di evoluzione glaciale – osserva il coordinatore – e contribuire a migliorare le mappe del substrato roccioso sotto le calotte, come il Geikie Plateau in Groenlandia o la Penisola Antartica”.

    I protagonisti

    Carlo Buontempo (Copernicus): “Quel caldo da record che non si può più ignorare”

    di Giacomo Talignani

    22 Maggio 2025

    Secondo i ricercatori, il modello ha mostrato un’elevata capacità di generalizzazione, provando che l’IA può colmare importanti lacune nella conoscenza della struttura interna dei ghiacciai. Sul sito Iceboost è già possibile visualizzare alcune delle mappe generate. Finanziata dall’Unione Europea tramite il programma Horizon Europe, l’indagine rappresenta solo una prima tappa. Il team prevede infatti di rilasciare entro la fine dell’anno un dataset completo con circa mezzo milione di mappe di profondità. “È solo l’inizio – afferma Maffezzoli – ma abbiamo dimostrato che l’integrazione di big data e algoritmi intelligenti è la chiave per affrontare le sfide della modellistica glaciale”.

    Le ricadute del progetto sono enormi. Oltre alla comunità scientifica, i dati potranno supportare le valutazioni dell’Intergovernmental panel on climate change (IPCC) e guidare le strategie dei decisori politici in materia di mitigazione e adattamento climatico. L’urgenza di sviluppare modelli più precisi è d’altronde rafforzata dal rapido scioglimento dei ghiacci degli ultimi decenni. I ghiacciai contribuiscono attualmente per circa il 25-30% all’innalzamento del livello del mare, con ritmi in accelerazione sotto l’effetto del riscaldamento globale.

    In particolare, le masse glaciali delle regioni aride come le Ande o le catene montuose dell’Himalaya e del Karakoram sono essenziali per la sopravvivenza di miliardi di persone, perché sono serbatoi idrici naturali. Anche le gigantesche distese glaciali ai margini di Groenlandia e Antartide svolgono un ruolo essenziale: contengono quantità enormi di acqua dolce e interagiscono direttamente con gli oceani contribuendo alla (in)stabilità delle calotte polari. Capire esattamente quanto ghiaccio contengano e come potrebbe evolvere nei prossimi decenni è quindi una priorità globale.

    I temi

    Impatto ambientale e distruzione dei ghiacciai, anche il turismo deve essere sostenibile

    di Michele Sasso

    24 Maggio 2025

    La ricerca di Maffezzoli e del suo team rappresenta una svolta nella glaciologia moderna, aprendo la strada a un uso più sistematico dell’AI nello studio del sistema Terra. Se la conoscenza del passato e del presente è essenziale per affrontare il futuro, dotarsi di strumenti più sofisticati per leggere il comportamento dei ghiacci potrebbe fare la differenza tra una previsione approssimativa e una risposta climatica precisa ed efficace. La mappatura precisa del ghiaccio è un’azione concreta per anticipare crisi idriche, proteggere le popolazioni vulnerabili e contenere gli impatti dei cambiamenti climatici. LEGGI TUTTO

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    Quali sono le differenze tra pannelli solari e pannelli fotovoltaici

    Nel vasto panorama delle energie rinnovabili, i termini pannelli solari e pannelli fotovoltaici sono spesso utilizzati in modo intercambiabile, generando confusione. Eppure, queste due tecnologie, pur condividendo la medesima fonte energetica, il sole, presentano differenze sostanziali sia nel funzionamento, sia nelle applicazioni pratiche. Orientarsi nel mondo delle energie rinnovabili è ovviamente possibile, ma per non perdersi nelle incomprensioni è bene conoscere le varie modalità di sfruttamento dell’energia solare, comprendendo anche quale tecnologia sia più adatta alle specifiche esigenze energetiche.

    Panelli solari e pannelli fotovoltaici: le differenze chiave
    Sebbene entrambi i sistemi sfruttino l’energia solare, le differenze tra le due tipologie di pannelli sono significative. Intanto, è da considerare il tipo di energia prodotta: i pannelli solari generano calore, mentre quelli fotovoltaici producono elettricità. Non solo, perché i pannelli solari termici utilizzano collettori e serbatoi di accumulo per il fluido riscaldato, mentre i pannelli fotovoltaici sono composti da celle in silicio e richiedono inverter per la conversione della corrente. Infine, è da tenere in considerazione anche l’efficienza e lo spazio richiesto dai due sistemi: i pannelli fotovoltaici assorbono le radiazioni solari con un rendimento compreso tra il 17% e il 25% a seconda del tipo di pannello, mentre i pannelli solari termici hanno un’efficienza che raggiunge l’80%. Per quanto riguarda lo spazio richiesto (o più semplicemente l’installazione), è bene considerare che un singolo pannello solare termico potrebbe bastare per riscaldare l’acqua sanitaria, a differenza dei pannelli fotovoltaici che richiedono una superficie maggiore per produrre quantità significative di energia elettrica.

    Che cosa sono i pannelli solari e come funzionano
    Posti sul tetto di casa, i pannelli solari termici sfruttano il calore del sole per produrre acqua calda. Il funzionamento di questo sistema, assai gettonato, si basa su un collettore in grado di assorbire l’irraggiamento solare, trasferendo l’energia termica a un fluido termovettore, spesso acqua o una miscela di acqua e antigelo. Il fluido, una volta riscaldato, inizia a circolare attraverso un serbatoio di accumulo, dove cede il calore all’acqua domestica.

    Che cosa sono i pannelli fotovoltaici e come funzionano
    Al contrario di quelli solari, i pannelli fotovoltaici sono dispositivi che trasformano l’energia del sole direttamente in energia elettrica. Si compongono di celle fotovoltaiche realizzate principalmente in silicio, un semiconduttore che, quando esposto alla luce solare, genera una corrente elettrica continua. Questa corrente si converte poi in corrente alternata tramite un inverter e diventa utilizzabile per alimentare gli apparecchi elettrici domestici. Inoltre, gli impianti fotovoltaici possono essere integrati con sistemi di accumulo (ad esempio le batterie), per immagazzinare l’energia prodotta in eccesso e utilizzarla quando necessario.

    Vantaggi e svantaggi: pannelli solari e fotovoltaici a confronto
    Entrambe le soluzioni utilizzano l’energia del sole per produrre energia rinnovabile, ma come ogni tecnologia e/o sistema, ognuna di esse ha i suoi pro e i suoi contro, che vediamo qui riassunti per offrire una panoramica esaustiva e il più chiara possibile.

    Pannelli solari: pro e contro
    Tra i vantaggi principali dell’avere un impianto con pannelli solari ci sono indubbiamente:
    Efficienza energetica: i pannelli solari termici hanno un’elevata efficienza nella conversione dell’energia solare in calore, rendendoli ideali per la produzione di acqua calda sanitaria e per il supporto ai sistemi di riscaldamento;
    Costi iniziali: generalmente l’installazione di un impianto solare termico comporta un investimento iniziale inferiore rispetto a un impianto fotovoltaico;
    Manutenzione: gli impianti solari termici richiedono una manutenzione relativamente semplice e hanno una lunga durata operativa.

    Tra gli svantaggi dei pannelli solari, invece, è bene ricordare:
    Utilizzo limitato: l’energia termica prodotta è utilizzabile principalmente per il riscaldamento dell’acqua e degli ambienti, limitando l’applicabilità in altre esigenze energetiche domestiche;
    Stagionalità: l’efficienza dei pannelli solari termici può diminuire durante i mesi invernali o in condizioni climatiche sfavorevoli, riducendo la quantità di energia termica prodotta.

    Pannelli fotovoltaici: pro e contro
    Anche i pannelli fotovoltaici hanno ovviamente dei pro e dei contro. Per quanto riguarda i pro, dunque i vantaggi, si sottolineano:
    Versatilità: i pannelli fotovoltaici producono energia elettrica utilizzabile per alimentare una vasta gamma di dispositivi e apparecchi domestici, aumentando l’autosufficienza energetica;
    Riduzione dei costi energetici: l’energia elettrica prodotta può ridurre significativamente le bollette energetiche, soprattutto nel lungo periodo;
    Nessuna emissione di gas serra durante l’uso;
    Incentivi e detrazioni: in molti Paesi, inclusa l’Italia, sono disponibili incentivi fiscali e detrazioni per l’installazione di impianti fotovoltaici, rendendo l’investimento più conveniente.

    Gli svantaggi, invece, comprendono:
    Costi iniziali elevati: l’installazione di un impianto fotovoltaico comporta un investimento iniziale significativo, che include il costo dei pannelli, dell’inverter, della manodopera e dell’eventuale sistema di accumulo con batterie;
    Dipendenza dalla luce solare: la produzione di energia elettrica dipende dalla quantità di luce solare disponibile. In giornate nuvolose, piovose o nei mesi invernali, l’efficienza dei pannelli fotovoltaici diminuisce, rendendo necessario l’acquisto di batterie per accumulare energia o l’integrazione con la rete elettrica;
    Effetto ombra che può ridurre la produzione energetica;
    Rischio di degradamento nel tempo: sebbene i pannelli fotovoltaici abbiano una lunga durata (circa 25-30 anni), l’inverter e le batterie necessitano di manutenzione e sostituzione dopo circa 10-15 anni;
    Smaltimento e impatto ambientale: i pannelli fotovoltaici contengono materiali che, alla fine del loro ciclo di vita, devono essere smaltiti correttamente per evitare impatti ambientali negativi.

    Pannelli solari e fotovoltaici: quali scegliere
    Scegliere tra pannelli solari termici e pannelli fotovoltaici significa compiere un ragionamento e porsi delle domande specifiche. Intanto: quali sono le esigenze energetiche di cui si ha bisogno? Qual è l’obiettivo che si vuole raggiungere? Quali le condizioni dell’abitazione? A seconda delle risposte, la decisione sarà molto più immediata. Se il bisogno principale è quello di avere acqua calda sanitaria riducendo i costi del riscaldamento, i pannelli solari termici saranno la soluzione migliore. Ideali per abitazioni con un consumo elevato di acqua calda, come nel caso di famiglie particolarmente numerose. Se, invece, l’obiettivo è quello di produrre elettricità per alimentare elettrodomestici e ridurre quindi anche le bollette, allora i pannelli fotovoltaici saranno la scelta giusta. Perfetti per chi vuole ridurre la dipendenza dalla rete elettrica e sfruttare incentivi statali. Tra le variabili anche il budget a disposizione, lo spazio disponibile sul tetto, il clima e le condizioni ambientali, la manutenzione, la durata e gli incentivi e le detrazioni fiscali descritte ampiamente sopra. In base a tutti questi elementi, scegliere sarà più ordinato e si eviterà di incorrere in dubbi e/o paure tipiche di chi si trova di fronte a una doppia possibilità. Eppure, se bene ci pensiamo, il concetto di fondo è molto semplice: basta pensare all’obiettivo per scegliere l’una o l’altra soluzione. In linea generale, qualunque sia la scelta, puntare sull’energia solare significa investire in un futuro più sostenibile e conveniente. LEGGI TUTTO

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    Roberto Danovaro: “Nessun futuro senza gli oceani”

    Passato ancestrale e futuro remoto, è tutto lì: negli oceani. Il 40% della popolazione mondiale vive entro i 100 chilometri dal mare: va da sé che la grande sfida che attende l’umanità sia legata al destino della grande distesa blu che ci circonda, e di chi la abita. “Proprio così, l’umanità non può che guardare agli oceani quando si interroga sul suo futuro, perché sono loro a ospitare i servizi ecosistemici che ci consentiranno di vivere meglio e sfamarci e perché è lì che si giocherà una grande partita geopolitica per gli equilibri del pianeta”, sottolinea Roberto Danovaro, già presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn, oggi docente di ecologia all’Università Politecnica delle Marche, tra gli esperti più influenti al mondo sullo studio del mare.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    Il 90% dello spazio abitabile della Terra è, del resto, negli oceani: 250 mila specie catalogate, molte ancora da scoprire. “Un patrimonio da tutelare attraverso la limitazione degli impatti antropici, in particolare degli effetti dei cambiamenti climatici, e la tutela della biodiversità, ma soprattutto con il restauro degli ecosistemi marini, argomento nuovo ma già dominante, e che continuerà ad esserlo fino al 2050. – aggiunge Danovaro – Bisogna recuperare servizi ecosistemici, ma anche ridare vita a potenziali stock ittici e garantire continuità all’attività di sequestro di carbonio che assicura la vita a tutti noi. Per farlo, va sviluppata una nuova economia generativa e di recupero, in grado di contrastare i fenomeni, preoccupanti, degli ultimi decenni”.

    Tra questi, naturalmente, la cosiddetta marine litter (“la concentrazione delle microplastiche aumenterà di 4 volte nei prossimi 25 anni, malgrado i nostri sforzi”) e gli ultimi report sulla salute delle barriere coralline. “Per la quarta volta in 25 anni stiamo assistendo allo sbiancamento di massa dei coralli, con la perdita del 25% dei coral reef a livello globale, fenomeno legato direttamente ai cambiamenti climatici. – annota Danovaro – Se non si interviene, entro il 2050 avremo perso o trasformato il 50% delle barriere coralline”. Un fenomeno che non è così lontano da noi. “Prova ne è lo sbiancamento di specie come la madrepora a cuscino, la Cladocora caespitosa, vittima delle ondate di calore nelle ultime estati, chissà cosa accadrà ora tra fine giugno e inizio luglio. – prosegue l’ecologo – E lo stesso accade con le foreste di gorgonia del Mediterraneo”.

    I numeri parlano chiaro, del resto: complice la sua stessa conformazione, il Mare Nostrum si è riscaldato più degli oceani, fino a +0,4 °C ogni 10 anni rispetto a +0,2 °C. Qui più che altrove è in atto il fenomeno di acidificazione delle acque, con effetti nocivi sulla salute degli ecosistemi. “Viene meno la dinamica di raffreddamento del nostro mare. – annota Danovaro – Del resto non c’è da sorprendersi, se – come temperatura globale – abbiamo già superato nel 2024 la soglia di 1,5° C in più rispetto ai livelli pre-industriali, prevista dall’accordo di Parigi”.

    La buona notizia è nella resilienza di molte specie marine: “Quando si interviene con politiche ragionevoli, anche facendo il minimo, le risposte non tardano ad arrivare: è accaduto negli anni passati con le Caretta caretta, sta avvenendo con il ritorno della foca monaca. E la biodiversità marina ha risvolti ancora in larga parte incompresi anche in termini economici: i paesaggi sommersi vanno considerati alla stregua di attrattori come Grand Canyon o Sequoia Park”.

    Va, tuttavia, regolamentato l’impatto dell’overtourism: “Per il bene delle specie marine, ma anche dello stesso turismo, che ha bisogno di luoghi godibili, e dunque regolamentati”.

    E il futuro degli oceani è anche negli abissi: “Nelle profondità, ancora in larga parte ignote, si gioca una parte del nostro futuro: anzitutto in ragione della ricchezza biologica, ancora in larga parte ignota, che potrà migliorare le nostre vite: penso alle scoperte future per la medicina, legate ai batteri che popolano gli ambienti più estremi. E poi per le risorse che vi si trovano: idrocarburi e metalli come nichel e manganese, ma anche oro. Il mondo è pronto a una continua corsa, che va regolamentata: l’impatto delle attuali tecnologie è stato sin qui devastante. E ancora: negli ambienti profondi c’è il 90% del potenziale pescato di tutto il mondo. Capire come prelevarlo, e in che misura, è uno degli obiettivi del Sustainable Blue Economy Partnership, partenariato internazionale istituito dalla Commissione europea, coordinato proprio dall’Italia”. LEGGI TUTTO