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    Rosa banksiae: potatura, cura e consigli per una fioritura perfetta

    La Rosa banksiae è una rosa cara agli appassionati di giardino per la sua fioritura precoce, la crescita vigorosa e lo stile quasi selvaggio. È perfetta per muri, pergolati e grandi spazi. Nel linguaggio comune la si conosce anche come “Lady Banks’ rose” in onore di Dorothea Lady Banks, moglie del botanico Sir Joseph Banks. Un’altra caratteristica che fa innamorare tutti? Il fatto che sia quasi sempre senza spine. Bellissima e pronta ad arricchire ogni spazio, la Rosa banksiae è amata nei giardini mediterranei o con clima temperato, dove può offrire un effetto scenografico davvero notevole.

    Rosa banksiae: perché sceglierla
    Originaria delle regioni centrali e occidentali della Cina, la Rosa banksiae è arrivata in Europa all’inizio del XIX secolo e ha conquistato i giardini storici e contemporanei grazie a diversi vantaggi. È una rampicante molto vigorosa, in molti casi quasi priva di spine, il che la rende adatta anche a chi cerca un effetto estetico senza dover lottare contro i rovi. Inoltre, fiorisce in modo spettacolare da aprile-maggio, coprendo muri e pergolati con nuvole di piccoli fiori bianchi o gialli. Per questi motivi è amata nei giardini mediterranei o con clima temperato, dove può offrire un effetto scenografico davvero notevole.

    Rosa banksiae: colori e varietà, dal bianco al giallo eleganti
    Questa bellissima pianta rampicante conta diverse varianti, che possono assumere colori diversi e forme diverse. Tra quelle più note, troviamo:

    Rosa banksiae “Lutea”: si riconosce per i fiori gialli;
    Rosa banksiae “Alba”: presenta fiori bianchi;
    Rosa banksiae “Pink”: produce fiori rosa acceso.

    È importante sottolineare che questa rosa è una sola fioritura (once-blooming): la sua spettacolare fioritura primaverile non si ripete in estate o autunno come avviene per molte rose moderne.

    Dove piantarla: esposizione e terreno
    La Rosa banksiae ama una posizione luminosa: pieno sole è l’ideale, anche se tollera una leggera ombra parziale senza troppo penalizzare la fioritura. Quando posizionata alla luce, è doveroso assicurarsi che questa sia garantita per almeno sei ore al giorno.

    Il terreno deve essere ben drenato, con buona dotazione di humus: le radici richiedono un substrato che non resti fradicio ma che trattenga anche un minimo di umidità. Nelle regioni con clima mediterraneo (quindi buona parte dell’Italia) la Rosa banksiae trova le condizioni perfette: la stagione mite, l’esposizione solare e il terreno ben lavorabile sono elementi vincenti. Prima della messa a dimora conviene lavorare il terreno in profondità, arricchendolo con compost o letame maturo. È anche utile lasciare almeno mezzo metro tra la base della pianta e il muro o il sostegno, in modo che l’aria possa circolare liberamente e le radici non restino soffocate.

    Come coltivare la Rosa banksiae e quando potarla
    Una volta piantata, la Rosa banksiae ha bisogno di un sostegno solido. Questa rosa senza spine cresce in fretta e può raggiungere diversi metri di altezza. Nei primi due o tre anni i rami vanno accompagnati, legati e orientati in modo armonioso, preferibilmente in diagonale o orizzontale, così da stimolare una fioritura più abbondante. È una rampicante vigorosa ma docile, che con un po’ di guida diventa un vero sipario di fiori.

    L’acqua è importante solo all’inizio: nei mesi successivi all’impianto conviene innaffiare regolarmente, mantenendo il terreno umido ma mai zuppo. Quando la pianta è ben radicata, tollera senza problemi brevi periodi di siccità, tipici dei giardini mediterranei. Un piccolo aiuto arriva anche da una pacciamatura di corteccia o foglie secche, utile a trattenere l’umidità e a proteggere le radici dal caldo estivo.

    Infine, una leggera concimazione primaverile, a base di compost o di un fertilizzante bilanciato per rose, aiuterà la pianta a riprendere vigore dopo la pausa invernale e a prepararsi a quella cascata di fiori che ogni anno, tra aprile e maggio, conquista chiunque la osservi.

    Rosa banksiae in inverno: resistenza e cura stagionale
    Pur essendo una pianta di origine asiatica, la Rosa banksiae si adatta bene anche ai climi temperati italiani e resiste a leggere gelate. Durante l’inverno, nelle zone più fredde, conviene proteggere la base della pianta con uno strato di foglie secche o corteccia, per difendere le radici dal gelo. I rami più esposti possono essere legati per evitare rotture dovute al vento.

    Nonostante la pausa vegetativa, anche in inverno la Banksiae conserva un suo fascino: i tralci verdi e lucenti disegnano trame eleganti sul muro, in attesa della fioritura che tornerà a illuminare il giardino con l’arrivo della primavera.

    Malattie e parassiti della Rosa banksiae
    Anche se la Rosa banksiae è considerata una specie robusta e poco soggetta a malattie, un minimo di attenzione resta sempre utile per mantenerla sana e rigogliosa. In condizioni di umidità elevata o scarso ricambio d’aria, può infatti comparire l’oidio, la classica patina biancastra sulle foglie che ne rallenta la crescita. Altri ospiti indesiderati, più frequenti nei mesi caldi, sono la cocciniglia, il ragno rosso e gli afidi, minuscoli ma capaci di indebolire la pianta se trascurati.

    Il segreto è osservare regolarmente: un’occhiata ogni settimana alle foglie e ai germogli permette di individuare in tempo i primi segnali di sofferenza, come una foglia accartocciata, una macchia sospetta, una colonia di insetti nascosta sotto il fogliame. Intervenire subito è la strategia più efficace per evitare che il problema si diffonda. Quando serve, si possono impiegare prodotti fitosanitari naturali o trattamenti ecologici, come oli minerali leggeri o saponi potassici, rispettosi dell’ambiente e della biodiversità del giardino. L’importante è leggere sempre con attenzione le istruzioni e non eccedere: in molti casi basta davvero poco per ristabilire l’equilibrio.

    Prezzo e disponibilità nei vivai italiani
    La Rosa banksiae è facile da reperire nei vivai italiani e online. I prezzi variano in base alla varietà e alla dimensione: una pianta giovane in vaso da 20 cm costa in media tra i 10 e i 25 euro, mentre esemplari già formati possono superare i 40 euro. LEGGI TUTTO

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    Lo scienziato che studia le spiagge: “Quasi la metà scomparirà entro la fine del secolo”

    Li chiamano “paesaggi sommersi”. Territori costieri, che senza un’inversione di marcia, sembrano destinati nel giro di qualche decennio a diventare inabitabili sia a causa dell’erosione dovuta alle attività umane, sia all’innalzamento del mare. Non significa solo perdere spiagge, ecosistemi naturali e infrastrutture, ma anche compromettere sistemi vitali per le popolazioni costiere come la pesca e il turismo. Significa immaginare intere comunità costrette a spostarsi all’interno per sopravvivere.

    Omar Defeo, docente presso l’Università della Repubblica dell’Uruguay (UdelaR)  LEGGI TUTTO

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    Selvatici sempre più piccoli e domestici più grandi: l’impatto dell’uomo sugli animali

    L’umanità nel corso dell’ultimo millennio ha avuto un’influenza più grande di qualsiasi altro fattore ambientale sugli animali, arrivando addirittura a modificarne le dimensioni. È questa l’impressionante conclusione a cui è giunto uno studio multidisciplinare durato cinque anni e condotto su più di 80mila misurazioni biometriche di frammenti ossei provenienti da 311 siti archeologici della Francia del Sud. La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Pnas, si è concentrata sugli ultimi 8mila anni (periodo in cui nella regione sono comparse le prime specie allevate) e ha evidenziato che nei primi 7mila gli animali domestici e selvatici hanno cambiato le proprie dimensioni di pari passo, mentre negli ultimi mille i primi sono diventati più grandi e i secondi più piccoli, a causa dell’impatto dell’uomo.

    (foto: J. Verseilles)  LEGGI TUTTO

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    Chi salverà Parana?

    Si chiamava Paraná. Aveva la mia età, nei miei libri per bambini. Lo vedo ancora, con indosso un perizoma, mentre pesca con una lancia mentre sua madre gli prepara un piatto di manioca. Si diceva che fosse un “piccolo indiano”. Mio padre mi raccontava che venivano uccisi per rubare le loro terre. E io piangevo.

    Oggi, alla Cop30 di Belém, lo ritrovo sugli schermi. Ora lo chiamano “indigeno”. La parola è cambiata, ma non il destino. Il suo ambiente è devastato, gli alberi della sua foresta abbattuti, i fiumi avvelenati. E io ho ancora voglia di piangere.

    Parana ha ancora la mia età, ma è cresciuto. Nel frattempo, il mondo si è rimpicciolito. Non in termini di dimensioni, ma di valori umani, compassione, lucidità. Improvvisamente ho l’impressione che questi ultimi 60 anni non siano serviti a nulla. Da decenni mi sforzo di dimostrare che esistono migliaia di innovazioni pulite e attraenti in tutti i settori e che rendono la transizione non solo possibile, ma desiderabile ed economicamente redditizia. LEGGI TUTTO

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    Il primo impianto italiano di depurazione che riusa il calore

    Energia per riscaldare e per raffreddare, proveniente da un impianto di depurazione. Il sito di Peschiera Borromeo, nel milanese, è il primo esempio in Italia di una tecnologia innovativa che permette di applicare i principi di economia circolare al depuratore del Gruppo CAP, uno dei più grandi al servizio della città metropolitana di Milano. “È un impianto dotato di una sezione molto importante di digestione anerobica. Sei digestivi aerobici, grazie al lavoro dei batteri in assenza di ossigeno, trasformano i fanghi per produrre biogas in grandi quantità”, spiega Alessandro Reginato, direttore generale di CAP Evolution, azienda di Gruppo CAP che opera nei settori del waste, wastewater ed energy. “Il biogas fino a ieri veniva utilizzato solo per la produzione di energia elettrica destinata all’autoconsumo dello stesso impianto, riuscendo a coprire circa il 30% dell’energia necessaria all’impianto di depurazione, che richiede un grande fabbisogno energetico”. Un passaggio successivo dunque, in ottica circolare.

    Come avviene con qualsiasi motore a combustione, la generazione di calore si disperde, mentre allo stesso tempo si producono emissioni inquinanti. Un danno duplice. L’impianto realizzato presso il depuratore di Peschiera Borromeo, invece, d’inverno utilizza il calore per il teleriscaldamento e la produzione di acqua calda di un centro commerciale, un condomino ed un edificio comunale. Non solo, perché come dicevamo d’estate è in grado di produrre energia frigorifera, quindi raffrescamento mediante un gruppo frigorifero ad assorbimento, alimentato esclusivamente dal biogas. Un processo circolare altamente virtuoso che fornisce benefici ambientali tangibili: una riduzione di 2.800 tonnellate di CO2 all’anno, pari a circa 1.015 tonnellate di petrolio e fino al 20% di risparmio energetico per cittadini e imprese del territorio.

    “Grazie ad un investimento complessivo di oltre 3 milioni di euro, finanziati da PNRR e con risorse del gruppo, abbiamo sviluppato questo progetto che ci ha permesso di introdurre all’interno del depuratore, uno scambiatore di calore che intercetta il calore che sarebbe stato perso, trasmettendolo a una linea di riscaldamento di circa tre chilometri di estensione che collega alcune utenze all’esterno dell’impianto di depurazione” sottolinea ancora Reginato. LEGGI TUTTO

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    Sciacquone WC, quanta acqua si spreca e come evitarlo

    L’acqua è vita, rappresentando un bene preziosissimo e, vista la sua centralità per il Pianeta e le persone, dovrebbe essere preservata con grande attenzione. Purtroppo, però, questo non accade: troppo spesso viene considerata illimitata, quando in realtà non lo è. Per invertire la rotta, come singoli possiamo contribuire a fare la differenza, impegnandoci ad adottare comportamenti quotidiani consapevoli grazie ai quali tutelare questa risorsa così importante. Tra le buone pratiche rientra anche un uso attento dello sciacquone del WC, con cui ogni giorno sprechiamo moltissima acqua, senza neanche rendercene conto: grazie ad azioni semplici è possibile diminuire i suoi consumi idrici, mettendo così in atto un comportamento più sostenibile e consapevole.

    Preservare l’acqua riducendo i consumi idrici in casa
    Il nostro organismo è composto prevalentemente da acqua, richiedendo idratazione costante per svolgere le sue funzioni vitali. Oltre alla nostra sopravvivenza, questo elemento è anche fondamentale per l’ambiente, contribuendo alla regolazione del clima, alla conservazione degli ecosistemi e all’agricoltura. Le risorse idriche sono quindi un patrimonio comune fondamentale per il Pianeta e le persone e in quanto tali vanno preservate, cosa che attualmente però non avviene: con gli sprechi all’ordine del giorno la tutela dell’acqua si afferma come priorità immediata. Lo stress idrico rappresenta un problema globale e urgente, vedendo l’acqua messa in pericolo in termini di qualità e quantità. Sono tanti i fattori di rischio per l’acqua, tra i quali la sua gestione inefficiente, la domanda idrica incessante, l’inquinamento imperante, il cambiamento climatico e gli habitat acquatici alterati.

    Guardando solo all’Italia, ad esempio, secondo i dati Istat, ogni cittadino consuma in media 214 litri d’acqua potabile al giorno, superando la media dell’Unione Europea. Inoltre, circa il 42% dell’acqua immessa nelle reti comunali viene dispersa per colpa di infrastrutture obsolete e scarsa manutenzione.

    Per ridurre gli sprechi e migliorare l’efficienza idrica è urgente un uso più consapevole dell’acqua. Nella quotidianità ciascuno di noi può fare differenza, prestando una maggiore attenzione al suo consumo, in particolare in cucina e nel bagno, dove l’impiego di questa risorsa è superiore.

    Quanta acqua si spreca con lo sciacquone del WC
    La maggior parte dell’acqua usata nelle case è destinata al bagno, in particolare per l’igiene personale: in Europa, due terzi delle risorse idriche impegnate al giorno da ogni famiglia deriva proprio da questa stanza. Tra doccia, lavandino, bidet e water si finisce per ricorrere a moltissima acqua: uno degli elementi che incide maggiormente è lo sciacquone del WC, che spesso non viene tenuto in considerazione in quanto indispensabile. In realtà, il suo utilizzo ha un grande impatto, tenendo conto che può arrivare a coprire un terzo del consumo idrico domestico complessivo.

    Ogni volta che si aziona lo scarico del WC si consuma circa una decina di litri di acqua, facendo salire il contatore dell’acqua inesorabilmente senza neanche rendersene conto. Quindi, usarlo con più consapevolezza contribuisce a ridurre i nostri sprechi e anche i costi in bolletta.

    Come ridurre il consumo di acqua che deriva dallo sciacquone del WC
    Un uso intelligente delle risorse idriche in casa va a vantaggio sia del portafoglio, che del Pianeta, riducendo le bollette e il nostro impatto ambientale. Proprio per questo, ogni giorno dovremmo impegnarci a ricorrere all’acqua con una maggiore consapevolezza, evitando sprechi inutili. Per esempio, possiamo attuare particolari accorgimenti pratici in bagno, partendo da un uso più attento dello sciacquone del water.

    In primo luogo, è importante non ricorrere al WC come se fosse un cestino per liberarci dei rifiuti non organici, abitudine che, sebbene dannosa, è purtroppo ancora diffusa. Gettare al suo interno oggetti come cotton fioc, carta da cucina e pannolini ci costringe ad azionare lo sciacquone più del necessario, può intasare le tubature e provocare anche gravi danni all’impianto idraulico, rendendo il sistema inefficiente. Impiegare lo sciacquone del WC in modo consapevole è il primo passo per ridurre gli sprechi, evitando di azionarlo senza un bisogno reale.

    Un’altra via è poi quella di installare uno scarico a 2 pulsanti, soluzione con cui ridurre in modo significativo i nostri consumi idrici in bagno. Infatti, grazie a questo modello si può scegliere la quantità di acqua che serve in base a ogni risciacquo: di solito vengono offerte una opzione più forte e una più leggera. Quando è possibile è sempre bene ricorrere alla modalità di scarico parziale, riuscendo così a contenere in modo significativo il consumo idrico. Rispetto alle cassette tradizionali, con le cassette con 2 pulsanti si può arrivare a consumare metà dell’acqua.

    Anche sostituire il water vecchio con uno nuovo a basso consumo può fare la differenza, visto che i modelli più moderni sono progettati per consumare tra i 4 e i 6 litri di acqua per scarico, a differenza dei 10 dei water tradizionali. Altro aspetto importante è quello di riparare le perdite, tenendo conto che anche una piccola goccia può arrivare mensilmente a sprecare tantissima acqua.
    Un metodo alternativo per contenere il consumo idrico dello sciacquone consiste nell’inserire all’interno della cassetta dello scarico un oggetto, come una bottiglia con del liquido o della sabbia, in modo da diminuire lo spazio disponibile e di conseguenza anche la quantità di acqua erogata quando lo si aziona. L’oggetto scelto non deve essere un ostacolo al sistema dello scarico per evitare danni: per scongiurare malfunzionamenti, si può ricorrere a prodotti specifici, pensati proprio per questo scopo. LEGGI TUTTO

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    Lithops: cura, coltivazione, varietà e prezzo dei “sassi viventi”

    Sembrano sassi, ma sono piante. Si chiamano Lithops, sono succulente e appartengono alla famiglia delle Aizoaceae. Piccole ed esteticamente particolari, queste piante grasse arrivano dalle regioni dell’Africa meridionale e dalla Namibia, dove il clima è molto diverso dal nostro e dove l’estate è calda e l’inverno è mite. Particolari e assolutamente uniche nel loro genere, queste piantine hanno la capacità di mimetizzarsi tra le rocce, aspetto che consente loro anche di proteggersi in modo del tutto naturale dai predatori. Crescono lentamente, sviluppando coppie di foglie carnose divise da una fessura centrale, da cui spuntano fiori a forma di margherita nella stagione autunnale. Questa straordinaria adattabilità li rende piante perfette per chi cerca un connubio tra estetica originale e resistenza alle condizioni più secche. Ma come ci si prende cura dei Lithops e come si coltivano? Qui una guida completa, alla scoperta dei sassi viventi.

    Cura dei Lithops: consigli pratici per i “sassi viventi”
    Prendersi cura dei Lithops significa rispettare il loro ciclo vegetativo. La luce è essenziale: queste piante prosperano con esposizione luminosa intensa, ma è fondamentale evitare il sole diretto nelle ore più calde. Troppa luce diretta può bruciare le foglie, alterandone i colori e compromettendo la salute della pianta.

    Il terreno deve essere ben drenante. La combinazione ideale prevede sabbia grossolana, pietrisco e terriccio per succulente, in modo da evitare ristagni d’acqua che potrebbero causare marciume radicale. I Lithops necessitano di annaffiature limitate: durante il periodo di riposo vegetativo (primavera ed estate) è sufficiente fornire acqua solo occasionalmente. Con l’arrivo dell’autunno, invece, quando la pianta produce nuove foglie, si può aumentare leggermente l’irrigazione, sempre con moderazione.

    Un trucco utile per chi coltiva Lithops in casa è osservare attentamente la pianta: foglie morbide o rugose indicano bisogno d’acqua, mentre foglie gonfie possono segnalare un eccesso di irrigazione.

    Coltivazione dei Lithops: come farli crescere in casa
    Coltivare i Lithops in appartamento è possibile anche in spazi ridotti. Vasi piccoli e profondi consentono alle radici di svilupparsi senza ostacoli, mentre posizionare la pianta vicino a finestre luminose garantisce l’apporto di luce necessario. La temperatura ideale è compresa tra 15°C e 25°C ed è importante evitare ambienti troppo umidi, soprattutto durante l’inverno.

    Chi desidera un controllo più preciso sul microclima può utilizzare mini-serre domestiche o coperture trasparenti che mantengano temperatura e umidità costanti. Per le piante coltivate all’aperto, è essenziale ripararle da piogge intense e gelate improvvise, replicando le condizioni aride dei loro habitat originari.

    Varietà di Lithops: forme e colori più diffusi dei “sassi viventi”
    Esistono numerose varietà di Lithops, ciascuna con caratteristiche uniche. Tra quelle più gettonate e conosciute, è bene ricordare:

    Lithops aucampiae: sfumature rosate e verdi, superficie liscia e lucida;
    Lithops karasmontana: macchie marroni che richiamano la terra arida africana;
    Lithops lesliei: striature simmetriche e toni grigio-verdi;
    Lithops optica: forma quasi perfettamente sferica con colori pastello delicati;
    Lithops dorotheae: pattern complessi e tonalità che vanno dal beige al marrone scuro.

    La diversità estetica li rende ideali per collezioni, terrari e composizioni decorative. Alcune varietà rare possono raggiungere valori significativi sul mercato, trasformando il loro possesso in un vero e proprio investimento per gli appassionati.

    Lithops: curiosità e consigli pratici
    I Lithops sono perfetti da tenere esposti in casa: coltivarli è semplice e l’effetto estetico che donano è molto apprezzato anche da chi non è abituato al pollice verde. I fiorellini, che generalmente nascono in autunno, sono molto simili a margherite e rispetto al corpo della piantina sono di grandi dimensioni. Il contrasto è dunque immediato e rende i Lithops ancora più unici.

    Il loro nome deriva dal greco lithos (pietra) e ops (simile a), un chiaro richiamo al loro mimetismo naturale. Sapevate che sono piante longeve? Se curate in modo adeguate, un Lithops può vivere oltre 20 anni: quasi un quarto di secolo, insomma.

    Infine, ma non per minore importanza, questi sassi viventi sono perfetti per interni moderni: infatti, si adattano bene a composizioni minimaliste, terrari di vetro e decorazioni da scrivania. Ottime anche come idea regalo.

    Perché scegliere i Lithops
    I Lithops rappresentano l’equilibrio perfetto tra estetica e semplicità di cura; con pochi accorgimenti, luce adeguata e annaffiature mirate, è possibile avere in casa piante scenografiche e resistenti. I “sassi viventi” sono la scelta ideale per chi ama la natura ma dispone di poco tempo: grazie a loro, trasformare finestre, terrazzi o balconi in piccoli angoli di deserto africano non sarà più impossibile. LEGGI TUTTO

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    Cosmetici bio dagli scarti dei pistacchi

    Kymia nasce a Bronte, nel cuore della Sicilia, ai piedi dell’Etna, da un’intuizione semplice ma potente: trasformare ciò che oggi è considerato uno scarto agricolo in una risorsa preziosa per la salute e la longevità. L’idea prende forma osservando il potenziale inespresso del mallo del pistacchio, una materia prima ricchissima di antiossidanti e polifenoli che, pur essendo di altissimo valore biologico, viene quasi sempre eliminata durante la lavorazione del frutto. Arianna Campione e Anna Cacopardo sono le cofondatrici di Kymia, startup nata nel 2022 in un territorio simbolo del pistacchio siciliano.

    Startup

    Dal siero di latte i prodotti per la cosmesi

    di Gabriella Rocco

    08 Novembre 2025

    Dal mallo del pistacchio alla cosmetica
    Arianna Campione, medico odontoiatra specializzata in medicina estetica anti-age e cosmetologia, e Anna Cacopardo, esperta in marketing industriale e startup, con competenze differenti ma unite da una stessa visione, hanno deciso di partire dal luogo d’origine del pistacchio, Bronte, per creare un’impresa pionieristica capace di valorizzare il territorio e generare un impatto ambientale positivo.

    Il cuore dell’innovazione risiede nello sviluppo di una tecnologia proprietaria di estrazione e purificazione che preserva l’integrità dei principi attivi del mallo del pistacchio, trasformandoli in ingredienti funzionali, stabili e performanti. “Non si tratta più di scarto, ma di una nuova risorsa biologica che trova una seconda vita grazie alla ricerca scientifica”. La tecnologia, replicabile e sostenibile, è basata su un modello di economia circolare che valorizza scarti agricoli sottraendoli all’incenerimento e alle discariche.

    Food e ambiente

    Cibo del futuro, la biotecnologia aiuta a creare alimenti più sani e sostenibili

    di Gabriella Rocco

    05 Novembre 2025

    Il processo di estrazione sostenibile
    La startup ha brevettato a livello internazionale un processo proprietario di estrazione sostenibile che consente di isolare dal mallo del pistacchio molecole bioattive di grande valore, come i polifenoli, senza l’uso di solventi chimici dannosi.

    “Il primo prodotto sviluppato, M-Active, rappresenta il risultato di questa ricerca: un ingrediente naturale ricco di antiossidanti, interamente sviluppato in Italia con un approccio circolare e rispettoso dell’ambiente”, raccontano le fondatrici. Kymia sta attualmente concludendo un round di investimento da 800 mila euro, che si aggiunge ai 135 mila euro già raccolti negli anni precedenti. I primi capitali hanno consentito l’ingresso nel mercato della cosmetica. “La nostra ambizione è quella di diventare un punto di riferimento per l’innovazione biotech italiana nel campo della longevità naturale, partendo dal Made in Italy”. LEGGI TUTTO