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    Impatto ambientale minimo e ricarica ultrarapida. Ecco la bici a idrogeno

    “Nel 2023 a Francoforte durante una visita alla fiera internazionale Eurobike ci eravamo fermati, incuriositi, davanti a un piccolo ed anonimo stand un po’ nascosto, in cui un giovane ragazzo esponeva una bici e un idrolizzatore. In mezzo a centinaia di espositori del Far East dedicati alla componentistica per e-bike, quel progetto ci aveva colpito per la sua visione semplice e rivoluzionaria”. Lui è Andrea Tomasoni, presidente e Ceo di Remoove, startup di Riva del Garda specializzata in mobilità dolce e inclusiva che, in questi giorni, ha introdotto sul mercato italiano la bici a idrogeno, innovazione ancora più sostenibile di quella elettrica: si ricarica con mezzo litro d’acqua, il rifornimento avviene in pochi minuti, proprio come la fornitura di un’auto a benzina. Le biciclette a idrogeno rappresentano una delle più innovative soluzioni di mobilità sostenibile, perché combinano tecnologia avanzata con un impatto ambientale ridotto. Questi veicoli funzionano attraverso l’uso di celle a combustibile a idrogeno, che generano energia elettrica necessaria per alimentare il motore della bicicletta. Il principio su cui si basano è tanto semplice quanto rivoluzionario: l’idrogeno, immagazzinato in appositi serbatoi, reagisce all’interno della cella a combustibile con l’ossigeno dell’aria, producendo energia elettrica e acqua come unico sottoprodotto.

    “In Italia, solo nel 2023 sono state vendute 1,3 milioni di bici. Le e-bike continuano a guadagnare popolarità grazie alla crescente domanda di mobilità sostenibile. Per questo motivo ci siamo avvicinati al mercato delle biciclette a idrogeno. Per circa un anno – racconta Tomasoni -, abbiamo lavorato a stretto contatto con il produttore cinese per renderle disponibili nel nostro Paese (e in tutta Europa). E ci siamo riusciti. Queste bici, ci hanno conquistato innanzitutto perché, la linea produttiva è già attiva e pronta alla commercializzazione anche in grandi quantità. Poi si ricaricano con soli 20 cl di acqua, utilizzano una bombola a 30 bar di idrogeno e non contengono materiali inquinanti”. LEGGI TUTTO

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    La salute del Pianeta? Dipende dagli oceani

    Nella Giornata della Terra, i riflettori si accendono anche sul mare. E non c’è alcun paradosso, anzi. Del resto, il 71% della superficie del Pianeta è ricoperta d’acqua: l’Oceano è fondamentale per il nostro clima, la biodiversità, la salute e l’economia globale. Quanto basta per suggerire a Marevivo, la fondazione ambientalista che fin dalla sua nascita ha dedicato la sua azione alla tutela del mare, di presentare – proprio in occasione dell’Earth Day, i dieci hotpoints sul mare. Verità assolute in grado di favorire un paradigma sempre più Oceano-centrico. “Il mare è, d’altronde, il liquido amniotico del nostro Pianeta ma benché ricopra la maggior parte della superficie terrestre, nelle politiche di tutela dell’ambiente da sempre viene considerato come un elemento di serie B”, sottolinea Rosalba Giugni, presidente di Marevivo. Parlando di una “terra di nessuno, che tutto nasconde e dove tutto è possibile”. Di qui l’esigenza di un cambio di prospettiva. “Proprio in occasione della Giornata che celebra la Terra, un po’ provocatoriamente, vogliamo ribadire che non ci sarà vita sulla Terra senza una seria tutela del mare. Non solo: dal mare possono arrivare le immediate soluzioni per avviare la strada della transizione ecologica”. Ma quali sono, allora, i dieci hotpoints? Le parole chiave sono tutte particolarmente attuali: clima, biodiversità, rifiuti, alimentazione, energia, trasporti, salute, guerre, legislazione e tecnologie.

    Biodiversità

    Quali rischi dalle “miniere” nell’oceano profondo? Per la scienza “impatti anche dopo decadi”

    di Giacomo Talignani

    28 Marzo 2025

    Dal clima ai rifiuti, la sfida del futuro
    Che il clima della Terra dipenda dal mare e che gli oceani siano determinanti nel bilancio climatico globale è cosa risaputa. L’Oceano è in grado di catturare circa il 30% delle emissioni di CO? provocate dalle attività umane e produce oltre il 50% dell’ossigeno che respiriamo. Una capacità di termoregolazione fondamentale per mantenere stabili le temperature globali, fatalmente messa a rischio dall’interferenza umana sta mettendo a rischio questi equilibri delicati. Basti pensare allo scioglimento dei ghiacci marini, che altera le correnti che contribuiscono a mitigare il clima. Hotpoint numero 2 è la biodiversità: l’Oceano rappresenta più del 90% dello spazio abitato dalla vita. Minacciato da attività come la pesca eccessiva e dalla distruzione degli habitat marini: rischia l’estinzione il 44% delle specie di coralli – essenziali per il 25% della fauna marina e per la riduzione dell’erosione delle coste – e il 50% degli ecosistemi di mangrovie

    C’è poi il tema dei rifiuti, hotpoint numero 3. La plastica (10 tonnellate all’anno quella gettata in mare), i rifiuti industriali, i fertilizzanti e i pesticidi, persino gli antibiotici rappresentano una costante minaccia per la biodiversità e per la sicurezza alimentare umana. Già, perché – hotpoint numero 4 – il mare, con la pesca, è in grado di offrire risorse da popolazioni naturali, assicurandoci il 30% delle proteine consumate globalmente. Purché si porga un limite alla sovrappesca, che sta impoverendo le popolazioni naturali, costringendo al piano B, l’acquacultura. Che, denuncia Marevivo, si traduce in “allevamenti ittici alimentati con farine di pesci catturati in mare ed è insostenibile”.

    Biodiversità

    Agli oceani dobbiamo la vita, ma stiamo perdendo la loro ricchezza

    Roberto Danovaro

    08 Giugno 2024

    Energia e trasporti, la sostenibilità è sempre più blu
    C’è poi una questione, non marginale, legata all’Oceano come fonte potenziale e inesauribile di energia, hotpoint numero 5. “Con investimenti mirati in tecnologie innovative, – sottolinea Marevivo – i mari potrebbero fornire l’energia pulita necessaria a ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili, contribuendo alla transizione verso una società più sostenibile. Altro tema è quello dei trasporti, hotspot numero 6. Oggi il commercio marittimo movimenta l’80% delle merci che circolano globalmente, generando un valore economico di oltre 14.000 miliardi di dollari. Ma gli impatti ecologici, denuncia l’associazione, non sono trascurabili: tra questi, la dispersione di specie invasive e la modifica degli ecosistemi marini derivante da emissioni, elevata cementificazione e maggiore inquinamento acustico. Meno dibattuta è forse la questione legata alla salute: perché c’è un motivo se Il 30% della popolazione mondiale risiede entro 50 chilometri dal mare, e il 50% vive entro 200 dalla costa. Il mare è fonte di benessere, direttamente o indirettamente, attraverso i composti bioattivi provenienti dagli oceani, che stanno aprendo nuove frontiere nella ricerca farmacologica, anche per trattare malattie come il cancro e le infezioni virali.

    Dalle guerre alla tecnologia, il conto è sempre più salato
    L’hotpoint numero 8 segnalato da Marevivo riguarda le guerre, alle quali l’Oceano paga un dazio elevato in termini di danni ambientali, con fuoriuscite di petrolio, contaminazioni da sostanze tossiche e dispersione di ordigni e veleni nei fondali. Ancora: c’è la questione della legislazione. “Fuori dalle giurisdizioni nazionali – denuncia ancora l’associazione – il mare è terra di nessuno, con regole vaghe e nessuno che le faccia rispettare”. Di qui la necessità di un rafforzamento della governance internazionale per evitare il collasso ecologico, perché “le normative internazionali che regolano l’uso e la protezione del mare sono insufficienti e spesso disattese”. Infine, hotspot numero 10, la tecnologia. “Stiamo sviluppando tecnologie come l’IA che necessitano dell’acqua di mare per raffreddare gli impianti e alteriamo la costa con grandi infrastrutture industriali”, denuncia Marevivo. Ed esiste anche il “Punto Nemo”, il cosiddetto “polo oceanico dell’inaccessibilità”: viene utilizzato come discarica dei rifiuti spaziali, in primis satelliti dismessi. LEGGI TUTTO

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    Francesco, un Papa vicino alla scienza

    Un Papa che ha pienamente compreso la complessità del sistema clima e le strettissime interconnessioni che legano la sua dinamica alla dinamica umana. Il suo concetto di ecologia integrale riflette appieno le conoscenze scientifiche che vedono la natura rispondere alle nostre azioni e generare retroazioni che ci colpiscono duramente. I paesi Cop29, Vaticano: il Pontefice […] LEGGI TUTTO

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    Come fare il compost in casa: la guida

    Il compost, detto anche terricciato o composta, è oro per la cura delle piante. Questa preziosa risorsa è un ammendante, ciò significa che rende fertile il terreno dal punto di vista chimico, biologico e fisico, arricchendolo e migliorandone la struttura. Insieme di materiali organici di diversa natura, decomponendosi diventa un amalgama in cui sono racchiusi nutrienti preziosi per rigenerare la terra. Utilizzato in giardino e nell’orto, il compost è realizzabile anche a livello domestico: con una serie di passaggi semplici e i giusti accorgimenti si potrà creare facilmente questa sostanza con la quale apportare humus al terreno coltivato e recuperare allo stesso tempo gli scarti prodotti in casa.

    Cos’è il compost e il suo utilizzo
    Impiegato in agricoltura e giardinaggio, il compost è un concime organico ricco di sostanze con cui nutrire il suolo. Questa sostanza fantastica viene prodotta industrialmente in impianti di compostaggio di grandi dimensioni, mettendo in campo un processo nel segno dell’economia circolare, grazie al quale i rifiuti vengono gestiti in modo virtuoso, riducendo il loro impatto e rendendo al contempo il suolo più produttivo.

    Il compost può essere anche realizzato in casa, ricorrendo agli scarti organici, che generalmente si aggirano intorno al 30% dell’ammontare complessivo dei rifiuti, riducendo così la loro mole in modo significativo: grazie al compostaggio casalingo si contengono quindi le emissioni generate e i costi determinati dalla gestione dei rifiuti. Questo procedimento imita la natura e i suoi processi biologici di riciclo delle sostanze organiche non più utili, che vengono trasformate in humus.

    Oltre a fungere da nutriente, il compost rivitalizza i terreni rendendoli porosi, più semplici da lavorare e aumenta la loro capacità di trattenere l’acqua, consentendo di ottenere un raccolto abbondante e sano, evitando sprechi di fertilizzante e acqua.

    L’intervista

    “In un pugno di compost il mio amore per la terra”

    di Gaia Scorza Barcellona

    11 Aprile 2023

    Cosa serve per fare il compostaggio domestico
    Realizzare il compost in casa significa trasformare i rifiuti in una sostanza preziosa grazie alla quale nutrire le piante in vaso, in giardino e nell’orto. Il processo con cui viene creato il compost ha una durata variabile e necessita di ingredienti di base quali ossigeno, acqua e materia organica. Il suo ciclo prevede di nutrire, donare idratazione e far respirare gli organismi terricoli responsabili di tramutare gli scarti in terriccio fertile. Tramite questo processo i materiali organici vengono decomposti dall’azione di insetti e microrganismi, diventando humus da usare per reintegrare il terreno.

    In merito agli scarti organici da impiegare è possibile ricorrere a resti di cibi, come frutta, verdura, pane, formaggi, dolci, pasta, uova, fondi di caffè e tè, scarti del giardino, ad esempio fiori, foglie secchi e sfalcio dei prati, truciolo del legno non trattato e in piccole quantità anche cartone e carta non stampata. I cibi cotti, la carne e il pesce vanno trattati con attenzione in quanto se non gestiti in modo ottimale potrebbero attirare i topi. Non vanno impiegati invece rifiuti non biodegradabili e tossici, materiali sintetici, scarti di gomma, plastica, metallo, vetro e ceramica e barattoli di latta.

    Per quanto riguarda gli attrezzi utili bisogna munirsi di una paletta, una forca, una forbice robusta, un setaccio e un innaffiatoio. Il compost può essere realizzato avvalendosi di una compostiera, grazie alla quale tenere il giardino ordinato. Nel caso in cui non si disponga di questo strumento se ne può creare uno fai da te, ricorrendo a dei bancali oppure a un vaso rettangolare da ricoprire con dei cartoni. In alternativa, si può semplicemente scavare una buca in giardino.

    Dalla lettiera alla natura: l’impatto ambientale dei rifiuti felini e le soluzioni eco-friendly

    15 Gennaio 2025

    Come si realizza il compost in casa?
    Per realizzare il compost è necessario creare un mix composto dal 50% di erbe, foglie e scarto di cucina e l’altro 50% da scarto vegetale legnoso, ricco di carbonio, allo scopo di donare alla miscela porosità, garantendo la presenza di ossigeno, indispensabile così come l’acqua. Nel momento in cui si allestisce la compostiera per la prima volta si può inserire nel contenitore un letto con rami, paglia e trucioli, per poi alternare strati di scarto verde con quello umido. Il tutto va mescolato di tanto in tanto, mediante un aeratore, ed è necessario anche aggiungere dell’acqua.

    Nel corso del tempo si verificano diversi fenomeni: inizialmente sui materiali si formano muffe e funghi, poi la massa si riscalda al suo interno fino a 50 gradi e in seguito i materiali si trasformano, riducendo di oltre il 50% il loro volume e perdendo i loro colori originali, imbrunendosi. Infine, la miscela si raffredda e si stabilizza, spia di come il compost si sia formato. Questo appare come un terriccio spugnoso, nero e soffice.

    Compost, consigli utili per la sua creazione
    Per quanto riguarda il luogo in cui realizzare il compost è consigliato scegliere un punto che sia all’ombra degli alberi, evitando che in estate si secchi eccessivamente, ma permettendo comunque ai raggi solari di stimolare le sue reazioni in inverno. Visto che l’acqua è fondamentale per la produzione del compost, se questo è secco deve essere annaffiato, mentre qualora fosse eccessivamente bagnato si dovrà aggiungere del materiale secco, come del truciolo.

    Inoltre, essendo un composto vivo, la presenza dell’aria è imprescindibile: pertanto, all’interno del contenitore il cumulo non deve essere compatto, ma bensì soffice, consistenza che si ottiene aggiungendo materiali grossolani come paglia e rametti. Una buona quantità di ossigeno è fondamentale nel processo di compostaggio, scongiurando l’insorgere di cattivi odori e assicurando il giusto livello di umidità. Per comprendere se l’umidità raggiunta è quella giusta basta prendere del materiale per poi stringerlo con un pungo: qualora questo si mantenga in forma e non ci siano gocce d’acqua significa che l’umidità è ottimale mentre, nel caso in cui si sbricioli, è la spia di come l’ambiente sia troppo asciutto. Per aumentare la porosità della miscela si possono aggiungere dei materiali biodegradabili, come per esempio legno, foglie secche, truciolo o segatura.

    Altro aspetto da tenere in considerazione è il giusto rapporto tra carbonio e azoto, grazie al quale ottenere una rapida decomposizione: l’azoto permette ai microrganismi di crescere e moltiplicarsi, mentre il carbonio gli fornisce l’energia. Qualora nel cumulo ci siano più rifiuti con carbonio il processo si rallenta, per via dell’azoto troppo scarso, dovendo aggiungere altri scarti alimentari per aumentarlo. Se prevale l’azoto si possono verificare cattivi odori, per via della quantità eccessiva di ammoniaca, dovendo avvalersi di rametti sminuzzati per incrementare il carbonio. Il rapporto ottimale tra carbonio e azoto dovrebbe essere circa 25-30 parti di carbonio per una parte di azoto. LEGGI TUTTO

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    Raffreddamento a laser: una svolta per data center più sostenibili?

    Secondo Raktim Sarma, scienziato presso l’azienda statunitense di ricerca tecnologica Sandia Lab, circa un terzo dell’energia che serve per far funzionare un data center viene speso per raffreddare i chip ed evitare quindi che i computer o i server si surriscaldino. Attualmente, i sistemi di raffreddamento si basano principalmente sullo scambio di calore con acqua o aria fredda, che viene fatta passare attraverso minuscoli tubicini montati sui chip stessi. Il team di Sarma, insieme alla startup Maxwell Labs e all’Università del New Mexico (Stati Uniti), sta però provando a mettere in piedi un sistema di raffreddamento diverso, basato sui laser, che vada a rimpiazzare o affiancare quelli attuali. L’idea sarebbe quella di sfruttare questo nuovo approccio per riciclare, in forma di elettricità, il calore estratto dai chip.

    L’intelligenza artificiale “divora” energia con un impatto ambientale insostenibile

    a cura della redazione di Green&Blue

    21 Marzo 2025

    Se pensiamo alle applicazioni tecnologiche dei laser, più che il raffreddamento forse ci vengono in mente impieghi nel contesto della saldatura di precisione, delle incisioni e della stampa 3D. Tuttavia, spiegano da Sandia Labs, in specifiche condizioni i laser possono essere utilizzati come fonti di raffreddamento. Non certo per rinfrescare un’intera casa, ma per abbassare la temperatura di piccolissime porzioni di materiali molto puri. Infatti, il raffreddamento laser funziona quando un raggio laser con una particolare frequenza incontra un bersaglio molto piccolo costituito da un unico e specifico elemento. E, per quanto riguarda i chip, spiega Sarma, si tratta in effetti di dover raffreddare superfici minuscole, nell’ordine delle centinaia di micron. Come anticipato, i sistemi attuali si basano sul passaggio di acqua o aria fredda attraverso microscopici canali scavati all’interno di piastre di rame che vengono poi adagiate sui chip. Il nuovo sistema funzionerebbe in modo simile, con la differenza che deve essere pensato per incanalare la luce laser, anziché acqua o aria, verso le superfici da raffreddare.

    Lo studio

    L’intelligenza artificiale è assetata di acqua. Per ogni conversazione se ne consuma una bottiglietta

    Gabriella Rocco

    22 Marzo 2024

    Jacob Balma, CEO della Maxwell, sostiene che questo approccio potrebbe essere anche più efficiente di quelli già esistenti, consentendo “nuovi paradigmi di recupero energetico non possibili con la tecnologia di raffreddamento tradizionale”. La sfida sarà quella di costruire delle piastre di raffreddamento prive di impurità, che altrimenti verrebbero riscaldate dalla luce laser. Ed è proprio su questo aspetto che si concentreranno i ricercatori di Sandia Labs, specializzata nella lavorazione di arsenurio di gallio, un materiale semiconduttore simile al silicio, di cui dovrebbero essere costituite in buona parte le piastre di raffreddamento a laser progettate dalla Maxwell.

    La collaborazione è stata annunciata pochi giorni fa, per cui non resta che attendere per sapere se il nuovo sistema porterà effettivamente a una svolta in termini di risparmio di energia e quindi di sostenibilità dei data center. Balma si dice particolarmente entusiasta: “La capacità unica della luce di indirizzare e controllare il riscaldamento localizzato in modo spaziale e su tempi ottici per questi dispositivi sblocca vincoli di progettazione termica così fondamentali per il design dei chip che è difficile ipotizzare cosa faranno gli architetti di chip con questo sistema, ma confido che cambierà radicalmente i tipi di problemi che possiamo risolvere con i computer”. LEGGI TUTTO

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    Dal rossetto allo smalto, i consigli per smaltire i cosmetici

    Una cipria in frantumi, un mascara secco, uno smalto ormai solidificato. Capita che alcuni cosmetici usati di rado vengano dimenticati e, col tempo, diventino inutilizzabili. Tra polveri e gel, tubetti e flaconi, non è sempre facile capire dove conferire i prodotti e le loro confezioni. Ecco allora una mini-guida al corretto smaltimento, ricordando che ogni Comune ha regole specifiche per la raccolta differenziata ed è pertanto utile controllare le indicazioni locali.

    La normativa

    La Francia mette al bando i Pfas in cosmetici e tessuti

    a cura della redazione di Green&Blue

    21 Febbraio 2025

    I residui non sono innocui
    Prima regola: mai svuotare quel che resta dei cosmetici nel lavandino o nel wc. Questi ultimi contengono, infatti, molti ingredienti sintetici e derivati del petrolio, che non devono essere dispersi nell’ambiente. Non possono finire nello scarico neppure i prodotti che vantano l’etichetta “vegetale” o “biologico”, dato che di rado si tratta di composti al 100% naturali. In generale, gli articoli di bellezza esausti non sono riciclabili e vanno perciò destinati al cestino dell’indifferenziata. Prima di buttarli, meglio raccoglierli in un contenitore chiuso, come un barattolo con coperchio. Attenzione a smalti, solventi, tinte per capelli che, data la loro aggressività, potrebbero richiedere lo smaltimento tra i rifiuti speciali, al pari dei medicinali scaduti.

    Il rebus della plastica
    Una volta eliminato il contenuto, resta da gestire l’imballaggio. Non sempre è semplice, perché quest’ultimo è spesso formato da più materiali e componenti, come specchietti, pennelli, tappi, spugnette. La maggior parte dei packaging è, comunque, in plastica. In tal caso, è importante verificare la presenza del simbolo del riciclo e conferirli nel bidone corretto.
    “Le materie plastiche garantiscono resistenza, flessibilità e protezione ai cosmetici deperibili”, spiegano Ana M. Martins e Joana M. Marto, ricercatrici alla Facoltà di Farmacia dell’Università di Lisbona, in Portogallo, in uno studio pubblicato nel 2023 su Sustainable Chemistry and Pharmacy. “Nel confezionamento dei prodotti di bellezza si usa soprattutto plastica petrolchimica, perché è economica, vanta buone prestazioni ed è facilmente reperibile. Per questi motivi, nonostante il grave impatto ambientale, questo materiale rimane difficile da sostituire. Tuttavia, esistono varie iniziative globali per ridurne l’impiego, anche nel settore cosmetico, tra cui la Ellen MacArthur Foundation e l’Alliance to End Plastic Waste”.

    Startup

    Anche quando si compra uno shampoo si può aiutare il Pianeta

    di Gabriella Rocco

    03 Aprile 2025

    Anche vetro, metallo, carta
    Oltre alla plastica, negli imballaggi vengono utilizzati anche altri materiali. Tra questi il vetro usato soprattutto per le boccette dei profumi (rappresenta circa l’89% del packaging del settore) o per alcune creme di fascia alta, in virtù della sua estetica sofisticata – che va conferito nella relativa raccolta. Lo stesso vale per le confezioni in alluminio o metallo, impiegate per esempio nei rossetti o nei deodoranti in spray, da smaltire nel bidone dei metalli oppure insieme alla plastica, a seconda delle regole comunali. Infine, le scatole e i cartoncini che avvolgono i cosmetici possono essere gettati nella raccolta della carta.

    Sulle etichette alcune volte sono riportate le indicazioni per lo smaltimento  LEGGI TUTTO

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    Nella Sicilia senza acqua nasce il progetto I.D.R.O.

    Un inverno e una primavera così piovosi, in Sicilia nessuno se li ricordava. Eppure, nonostante l’acqua dal cielo, cittadini e agricoltori guardano il livello delle riserve idriche di aprile, scuotono la testa e continuano a rimanere con il fiato sospeso. Preoccupati per l’estate che verrà e per l’acqua che non ci sarà. Perché ad essere scongiurata, spiegano, è la siccità a breve termine, ma per il futuro, anche quello prossimo, nessuno in Sicilia, se la sente di fare previsioni. L’isola, dicono gli scienziati, si sta scaldando il 20% in più della media globale e ancora tutti hanno negli occhi e nei pensieri l’estate 2024. Un incubo. Con 100 città e paesi senza acqua, i cittadini di Gela che per mesi hanno aperto i rubinetti solo un giorno su tre, quelli di Caltanissetta, Agrigento e Enna a cui è andata anche peggio con le giornate scandite dai ritmi della distribuzione dell’acqua.

    Immagini dal drone  LEGGI TUTTO

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    Nelle case europee quasi 200 pesticidi “invisibili”: “Mix potenzialmente tossico”

    I pesticidi, o meglio gli agrofarmaci, continuano a genere preoccupazioni anche e soprattutto per la salute umana: pericolosi singolarmente ma anche e soprattutto nella loro reazione con altre sostanze chimiche, che ne può amplificare gli effetti, creando un potenziale cocktail tossico”.
    A rilanciare l’allarme è ora il Guardian, partendo dai risultati già noti di uno studio che ha esaminato la polvere delle case di dieci paesi europei, Italia compresa, rilevando più di 200 tipi diversi di pesticidi, il 40% dei quali dagli effetti altamente tossici. “Il numero dei pesticidi – spiega lo studio – variava di casa in casa, da un minimo di 25 e un massimo di 121, con numeri tendenzialmente più elevati nelle case degli agricoltori”.

    Inquinamento

    Sostanze tossiche nei parchi urbani? Ce lo dicono i ricci

    di Paolo Travisi

    17 Aprile 2025

    Mix di pesticidi
    “Diverse analisi epidemiologiche dimostrano che le malattie sono associate a miscele di pesticidi”, annota Paul Scheepers del Radboud Institute for Biological and Environmental Sciences. A favorire la penetrazione delle sostanze negli ambienti “indoor” sono anche la mancanza di alcune precauzioni (togliersi le scarpe o spolverare il giubbotto, per esempio) e il contributo degli animali domestici. “Del resto è da tempo noto che i pesticidi siano sostanze persistenti e pervasive. – spiega Franco Ferroni, responsabile agricoltura Wwf Italia – Ancora oggi i report Ispra restituiscono la presenza, nell’ambiente, di sostanze vietate da anni, dal para-diclorodifeniltricloroetano o DDT all’atrazina (diserbante clorotriazinico in passato usato per il mais, bandito in Italia a causa dell’inquinamento delle falde freatiche, ndr). Né si può dire che i sistemi di irrorazione digitale legati all’agricoltura di precisione, peraltro usati ancora molto marginalmente, stiano risolvendo il problema. Il punto – aggiunge – è come spiega lo studio citato dal Guardian, che il rischio di contaminazione investe anche aree limitrofe, come documentato per il Trentino Alto-Adige dallo studio di parchi pubblici e aree gioco vicine alle zone agricole con colture intensive. E, del resto, si sono trovati pesticidi anche ad altissima quota”.

    Allarme biodiversità: crolla il numero di uccelli negli ambienti agricoli. Ecco perché

    di Loredana Diglio

    22 Marzo 2025

    Sostanze trovate lontane dai campi agricoli
    Di recente, il Pesticide Action Network ha reso noto un recente studio condotto in 78 diverse località della Germania: anche in questo caso i dati mostrano come i pesticidi si diffondano molto più lontano dal campo di quanto si è creduto finora, anche a diverse centinaia di metri dai terreni agricoli. Non solo: lo studio ha attestato come anche aree remote, decisamente lontane dai campi trattati con pesticidi, non sono risultate prive di residui.

    Lo studio

    Polimeri “ecologici”, un nuovo studio smentisce: “I polyBFR sono pericolosi”

    a cura della redazione di Green&Blue

    05 Marzo 2025

    “Questo non è solo un problema agricolo, ma una realtà che riguarda tutte le persone che possono entrare in contatto con i pesticidi mentre fanno una passeggiata nei parchi giochi o nei giardini. – denuncia WWF Italia – Gli agricoltori, le loro famiglie e i vicini di casa sono particolarmente a rischio, così come i gruppi sensibili come bambini, donne incinte e anziani”. Enti di ricerca come l’Istituto Ramazzini hanno condotto studi tossicologici sui rischi del glifosato e degli erbicidi a base di glifosato, evidenziando che la sostanza è pericolosa anche a basse dosi.
    L’aiuto dell’intelligenza artificiale
    “Occorre la giusta attenzione, ma senza allarmismi, anche perché in Italia la situazione è meno critica che in Gran Bretagna. – sottolinea Matteo Guidotti, ricercatore all’Istituto di scienze e tecnologie chimiche del Cnr – Prima ancora delle norme, bisognerebbe investire nello sviluppo di sistemi analitici o di sensori di semplice utilizzo e a buon mercato: oggi la scienza è ampiamente in grado di cercare sostanze inquinanti fino a livelli minimi, anche molto al di sotto di un pericolo immediato per la salute umana, ma quanto è pensabile farlo tutti i giorni, in ogni area del Paese? E ancora: bisogna puntare sempre di più sull’uso di un’agricoltura che faccia affidamento di nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale, che consentirebbe un uso mirato e oculato dei fitofarmaci, con una riduzione degli sprechi, anche in termini di consumi idrici. Una piccola rivoluzione che in Italia, dove l’agricoltura abbraccia una costellazione di aziende soprattutto di piccole dimensioni, è particolarmente difficile”.
    Le preoccupazioni italiane
    Ma anche nel nostro Paese le pressioni aumentano. E la preoccupazione c’è. “Il nostro Paese è ancora senza un Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei pesticidi, scaduto dal 2019 e mai rinnovato con disposizioni più stringenti come l’obbligo della distanza di sicurezza inderogabile di almeno 50 metri dalle abitazioni per i trattamenti fitosanitarie”, denuncia ancora Franco Ferroni, responsabile agricoltura Wwf Italia. “I singoli stati europei sono tenuti a recepire le direttive Ue, come la Direttiva 2009/128/CE che stabilisce le regole per un uso sostenibile dei pesticidi nell’Unione europea, soprattutto dopo il ritiro del regolamento europeo SUR che prevedeva la riduzione dell’uso del 50% dei pesticidi entro il 2030. – aggiunge – In più, si continua a ignorare il problema del multiresiduo: chiediamo da tempo che i limiti massimi per i pesticidi non riguardino i singoli principi attivi ma la somma dei trattamenti, anche per prevenire possibili escamotage degli agricoltori”. LEGGI TUTTO