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    Le turbine intelligenti che imparano dal vento e dialogano con la natura

    Portare sul mercato una soluzione modulare, distribuita e silenziosa di energia rinnovabile a km zero, integrabile anche in contesti urbani e complementare al fotovoltaico, per contribuire in modo concreto alla transizione energetica. È l’obiettivo che si è posta la startup Gevi, fondata nel 2022 da tre giovani ingegneri toscani: Emanuele Luzzati (CEO & Head of Engineering), Edoardo Simonelli (Head of Products) e Soufiane Essakhi (Head of Operations). Ha sviluppato la prima turbina microeolica ad asse verticale auto-apprendente, capace di adattarsi in tempo reale al vento grazie a sistemi di intelligenza artificiale che regolano dinamicamente l’angolo delle pale. L’azienda oggi ha un team di dieci persone con una sede che si occupa di Ricerca & Sviluppo a Pisa e uffici commerciali e operativi a Roma.

    Come funziona la turbina che ascolta il vento
    La turbina Gevi è una microeolica ad asse verticale di nuova generazione, progettata per superare i limiti delle soluzioni tradizionali. È caratterizzata da profili palari dinamici, la cui angolazione viene regolata in tempo reale, ogni centesimo di secondo, da un sistema di intelligenza artificiale capace di analizzare continuamente il vento, risolvere complessi sistemi di equazioni fluidodinamiche e ottimizzare la produzione energetica.

    Questa architettura consente maggiore efficienza (fino al +60% di energia annua rispetto alle migliori VAWT – Vertical Axis Wind Turbine – presenti sul mercato), affidabilità e sicurezza (il controllo attivo delle pale riduce fino all’80% i carichi in caso di vento forte, e versatilità, grazie a un design compatto (altezza rotore 3 m, diametro 5,4 m) e silenzioso, che ne consente l’installazione in contesti urbani, industriali e agricoli.

    Le microturbine eoliche di Gevi  LEGGI TUTTO

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    CMCC Award 2025: la lezione dei giornalisti del clima per superare disinformazione e disincanto

    “È la più grande storia del mondo”. Così il Guardian definì anni fa la crisi climatica, e la frase torna spesso nelle parole di chi oggi prova a raccontarla. A Torino, durante il Festival for the Earth, due giornalisti che di quella storia hanno scritto interi capitoli – Damian Carrington, direttore del desk ambiente del Guardian, e Pilita Clark, columnist e già corrispondente ambientale del Financial Times – hanno ricevuto il CMCC Climate Change Communication Award 2025, il premio del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici dedicato alla comunicazione scientifica.

    Carrington segue il clima dal 2008. All’epoca, dice, “le domande erano tre: è reale, lo causiamo noi, fa danni?”. Oggi la risposta è ovvia, ma resta una difficoltà di fondo: “Il cambiamento climatico è un disastro a rallentatore. Accade ogni giorno, ma non ha un momento preciso in cui esplode. E i giornali sono abituati a reagire alle emergenze, non a raccontare ciò che cresce lentamente”. Clark racconta di quando, nel 2011, fu nominata corrispondente per l’ambiente del Financial Times: “Ero sola. In redazione quasi nessuno se ne occupava. Oggi invece tutti – banche, assicurazioni, legali – devono fare i conti con il rischio climatico”.

    Raccontare ciò che non si vede
    Per Carrington, il primo ostacolo è la scala del fenomeno, le proporzioni. “Ci sono dati così grandi da essere incomprensibili. Se dici che l’inquinamento in India causa un milione di morti alla nascita l’anno, rischi di perdere il lettore. È troppo enorme per la mente umana. Funzionano le storie piccole, dirette, le voci di chi vive gli eventi”. Durante la COP il Guardian ha pubblicato la serie This is Climate Breakdown, una raccolta di testimonianze personali. “Un pompiere greco che tenta di salvare la propria casa, una famiglia travolta da un’alluvione: sono queste storie che fanno capire la scala del problema meglio di qualsiasi grafico”. Anche per Clark il racconto del clima richiede un equilibrio diverso. “Molti lettori oggi non si disinteressano perché la crisi è lontana, ma perché si sentono impotenti. È la fatica del ‘non cambierà mai nulla’”. Il compito, spiega, è “riconoscere questo sentimento senza fingere che vada tutto bene, ma anche senza cedere al pessimismo assoluto”. Il giornalismo delle soluzioni va bene, aggiunge, “ma solo se resta ancorato alla realtà: e la realtà, nel campo delle rinnovabili, dei veicoli elettrici e delle batterie, oggi è più dinamica di quanto crediamo”.

    Economia, disinformazione e responsabilità
    Pilita Clark è abituata a guardare il cambiamento climatico dal punto di vista dei numeri. Negli ultimi anni ha indagato un tema nuovo: l’ipotesi che il riscaldamento globale possa innescare la prossima crisi finanziaria. “È una possibilità reale. Se le assicurazioni smettono di coprire le case nelle aree più esposte, o se un’alluvione cancella il valore dei beni immobili, le conseguenze arrivano a cascata. I danni lenti, sommati, diventano sistemici”. Un altro fronte è quello della disinformazione. “È l’unico ambito in cui ho visto mettere in dubbio i fatti di base con tanta ostinazione”, ricorda. “Ci siamo trovati a dover rispondere per settimane a chi accusava il Financial Times di faziosità solo per aver riportato i dati dell’IPCC, l’organo Onu che si occupa di studiare il clima”. Da qui l’importanza, ribadisce, di “avere basi scientifiche solide per replicare punto per punto”. Damian Carrington, che ha iniziato la carriera come geologo, aggiunge una riflessione sul linguaggio scientifico. “Il metodo resta la bussola più affidabile che abbiamo per capire il mondo. Ma la scienza deve riuscire a far sentire il suo legame con le persone. Gli scienziati non sono robot: provano paura, frustrazione, urgenza. Farlo vedere non sminuisce il rigore, lo rende più umano”.

    Lezioni di mestiere
    Per giornalisti, comunicatori e divulgatori che si vogliono occupare di clima, i due vincitori danno consigli diversi ma complementari. Carrington usa il consiglio che lui stesso aveva ricevuto da un consigliere comunale di Londra: “Capire che alla politica non bastano i fatti. Serve anche la dimensione emotiva, la capacità di costruire un racconto che parli alle persone”. E ritorna su due temi a lui cari: “La disinformazione – come nasce, chi la diffonde – e la giustizia climatica. Combattere il riscaldamento globale significa anche ridurre le disuguaglianze”. Clark, invece, insiste sull’esercizio: “Scrivere, scrivere, scrivere. Scrivere aiuta a pensare. Non importa per chi, né quanto si venga pagati: l’importante è cominciare. E poi uscire, incontrare le persone, guardarle negli occhi. Nel giornalismo climatico non esistono domande stupide: se qualcosa non è chiaro a voi, probabilmente non è chiaro neanche al lettore”.

    Verso la COP30
    A novembre tornerà la COP, la grande conferenza globale sul clima, in programma a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre 2025. Per Carrington sarà l’ottava da inviato. “È un processo terribile, che non rende felice nessuno. Ma senza le COP saremmo su traiettorie di riscaldamento molto peggiori. È il peggio, tranne tutte le alternative”. L’attenzione quest’anno, dice, sarà sulla finanza climatica. Clark, che è alla sua decima COP, è più scettica sulla logistica. “L’organizzazione brasiliana sembra complicata, i luoghi difficili da raggiungere. E il mondo, come sempre, è distratto da guerre e altre emergenze. Ma a volte le COP sorprendono proprio quando non ce lo aspettiamo, come accadde a Glasgow. E poi c’è il fattore Trump: la sua ostilità verso la diplomazia climatica potrebbe spingere gli altri Paesi a dimostrare che si può andare avanti anche senza di lui”.

    Il futuro del “climate journalism”
    Il CMCC Award è stato consegnato a Torino durante l’apertura del Festival for the Earth, alla presenza del direttore scientifico Giulio Boccaletti e di numerosi rappresentanti del mondo della ricerca e dell’informazione. Accanto ai due vincitori principali, il premio ha assegnato menzioni speciali a Giulia Bassetto di Will Media per i contenuti multimediali, a Matteo Civillini di Climate Home News per il giornalismo digitale, e a Nicola Lagioia e Paolo Benini per il progetto Lucy sulla cultura, riconosciuti per la capacità di unire discipline diverse in un linguaggio comune. La crisi climatica, ricordano Carrington e Clark, non è più un argomento tra gli altri: è la cornice in cui si muovono tutti i temi di attualità – economia, salute, politica, cultura. Raccontarla non significa solo diffondere dati, ma capire come quei dati cambiano le vite. E forse questo è il senso più profondo del loro lavoro: ricordare che il clima non è una sezione dei giornali, è una chiave di lettura del presente. LEGGI TUTTO

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    Una carta da parati elettrica che riscalda le case: la sperimentazione

    In Scozia, quando arriva l’inverno, il freddo si insinua tra le pietre arenarie dei vecchi tenement, le abitazioni popolari costruite all’inizio del Novecento per la classe operaia. Pareti spesse, finestre sottili e impianti a gas ormai datati le rendono difficili da riscaldare: in questo Paese il calore degli edifici si disperde tre volte più rapidamente rispetto alle altre nazioni europee e il riscaldamento genera oltre il 36% delle emissioni di carbonio del Regno Unito.

    Tutorial

    Quali sono i materiali più ecologici per costruire una casa?

    25 Ottobre 2025

    Per invertire la rotta, il governo scozzese ha introdotto nel 2024 il New Build Heat Standard, il quale impone che le nuove costruzioni siano dotate di sistemi di climatizzazione a basso impatto. Inoltre, sta mettendo a punto la legge Heat in Buildings Bill, volta a eliminare gradualmente le fonti fossili dalle case entro il 2045.

    Glasgow, che conta circa 70mila appartamenti in palazzi storici, è una delle città più coinvolte in questa sfida. Proprio qui, l’Università e il Consiglio comunale cittadini, l’Università di Strathclyde, l’associazione West of Scotland Housing Association hanno ideato, con il finanziamento della coalizione accademica Scotland Beyond Net Zero, una speciale carta da parati elettrica riscaldante chiamata NextGen, attualmente in sperimentazione in dodici alloggi sociali, con l’obiettivo di ridurre sia le bollette sia l’inquinamento.

    Come funziona la nuova tecnologia
    Nei sistemi tradizionali, come termosifoni, pompe di calore, impianti a pavimento, il calore si diffonde per convezione, cioè riscaldando l’aria circostante che poi si disperde negli spazi. Il nuovo pannello, dello spessore di pochi millimetri e applicato come una tappezzeria, si basa, invece, sull’irraggiamento. In questo caso, l’effetto percepito, simile al sole sulla pelle in una giornata invernale, è immediato, mentre la temperatura resta uniforme e stabile in tutta la stanza. In concreto, la tecnologia presenta due sottili bande di rame, posizionate ai bordi con funzione di elettrodi, che, una volta collegate all’elettricità, attivano nel dispositivo un foglio di grafene, che emette raggi infrarossi, cioè onde termiche invisibili che riscaldano direttamente superfici, oggetti e persone.

    Tecnologia e Ambiente

    Pittura al grafene per scaldare gli appartamenti: più efficiente dei termosifoni

    05 Agosto 2025

    Un sistema sicuro
    A dispetto del nome, il sistema viene di solito posizionato, tramite un apposito adesivo, sul soffitto, dove può sfruttare la maggiore area libera ed erogare calore in modo omogeneo dall’alto. Il materiale può essere tagliato su misura per adattarsi a lampadari, prese o sensori antincendio. L’impianto è progettato per garantire la sicurezza: il foglio riscaldante è ignifugo e impermeabile e la sua superficie si mantiene tra i 40 e i 50 gradi, evitando rischi di scottatura. Inoltre, la soluzione impiantistica funziona a bassa tensione (24 volt), riducendo il rischio di cortocircuiti e assicurando un funzionamento affidabile. L’app e il termostato non modificano la temperatura del pannello, che resta costante, ma regolano quella dell’ambiente, consentendo di impostare con precisione il livello termico desiderato.

    I vantaggi: in casa aria più salubre e meno manutenzione
    Rispetto agli approcci attualmente usati, l’impianto offre diversi vantaggi. Anzitutto la rapidità: secondo gli sviluppatori, bastano uno-due minuti dall’accensione per avvertire una sensazione di tepore. Una volta raggiunta la temperatura ottimale, il calore viene assorbito e trattenuto da muri e arredi più a lungo rispetto ai sistemi convenzionali: i dati indicano che il calore può durare fino a 30 ore dopo lo spegnimento, grazie all’inerzia termica accumulata. Inoltre, dato che l’apparecchio non produce fumi né sostanze di combustione (come ossidi di azoto o monossido di carbonio), la qualità dell’aria domestica diventa più salubre.

    E ancora, i raggi infrarossi, che penetrano nelle pareti e nei soffitti, aiutano ad asciugare l’umidità eventualmente presente, prevenendo condensa e muffe. Infine, eliminando termosifoni, tubature, caldaie, si recupera spazio nelle stanze e, poiché la configurazione non ha parti meccaniche in movimento come pompe o bruciatori, si riduce la necessità di manutenzione.

    Dal punto di vista energetico, alcuni studi indicano che questi pannelli possono ridurre i consumi fino al 76% rispetto al riscaldamento elettrico a convezione e fino al 14% rispetto a quello a gas.

    Cosa succede al pianeta

    Le soluzioni contro la crisi climatica, così possiamo invertire la rotta

    di Giacomo Talignani

    15 Agosto 2025

    I primi riscontri e le prospettive future
    Gli appartamenti pilota sono monitorati con sensori dedicati e analizzati attraverso l’intelligenza artificiale, per raccogliere dati accurati su efficienza, comfort e durata del calore. I residenti si dichiarano soddisfatti dei risultati, ma non mancano le sfide.

    La principale riguarda i costi di messa in opera, ancora elevati: si stima che per dotare dell’impianto una casa di medie dimensioni servano oltre 4.500 euro, una spesa che rende per ora la tecnologia poco accessibile al grande pubblico. I ricercatori sono, tuttavia, ottimisti: con l’aumento della produzione e il progresso degli studi, i costi potrebbero progressivamente diminuire. LEGGI TUTTO

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    Cosa piantare nell’orto a ottobre: guida pratica per l’autunno

    Con l’arrivo dell’autunno, l’orto si trasforma e si prepara ad accogliere nuove semine e nuovi trapianti. Ottobre è il mese ideale per organizzare le coltivazioni, scegliendo frutta e verdura di stagione che rispettino l’ambiente e il ciclo naturale. Ma c’è di più, perché consumare prodotti locali e autunnali non solo è più sostenibile, ma permette anche di godere dei sapori tipici di questo periodo dell’anno. Il mese di ottobre è anche particolarmente strategico: l’orto si arricchisce di verdure a ciclo breve, perfette da raccogliere prima dei grandi freddi, e ospita trapianti importanti come cavoli, finocchi e lattughini.

    Ottobre in orto: cosa seminare e come organizzarsi
    Con l’abbassarsi delle temperature, l’orto va pianificato con attenzione. La semina in pieno campo tende a ridursi, perché molte piante non tollerano il freddo. Tuttavia, nelle regioni dal clima mite, alcune coltivazioni possono ancora essere avviate direttamente in aiuole. In tutti gli altri casi, la soluzione migliore è il semenzaio: protegge le piantine dal freddo notturno e accelera la germinazione grazie al calore controllato. Gli ortaggi da seminare a ottobre si dividono in due categorie principali:
    Coltivazioni veloci a crescere, come lattuga, lattughino, spinaci e rapanelli;
    Ortaggi resistenti al freddo, tra cui cipolle, aglio, piselli e fave.
    Si possono aggiungere anche rucola, radicchio, scalogno, cime di rapa, cavolo verza e carote, ideali per l’orto autunnale.

    Trapianti a ottobre: le piante da mettere a dimora
    Il trapianto consiste nello spostare in pieno campo piante già sviluppate, una tecnica utile per anticipare la raccolta e aumentare le possibilità di sopravvivenza al freddo. A ottobre, ad esempio, i trapianti più frequenti (e consigliati) riguardano queste verdure:
    Cavoli (cappuccio, broccolo, cavolfiore);
    Biete da coste;
    Cime di rapa;
    Finocchi;
    Porri invernali.
    Per ottenere il massimo dai trapianti (e dalle semine), è fondamentale seguire la rotazione colturale, controllare le temperature e scegliere sementi adatte alla stagione.

    Cosa raccogliere nell’orto in ottobre
    Anche se le temperature scendono, l’orto continua a offrire frutti del proprio lavoro. Ad esempio, questo mese permette ancora di raccogliere gli ultimi pomodori e basilico, che concludono il loro ciclo vegetativo. Non mancano poi i prodotti tipici dell’autunno, come le olive, le castagne, i funghi, le mandorle e le nocciole. E naturalmente, la zucca, protagonista indiscussa delle tavole di ottobre: un evergreen per eccellenza.

    Frutta di stagione a ottobre: mele, pere, uva e altro
    Anche la frutta segue il ritmo delle stagioni. A ottobre di solito si raccolgono grandi quantità di mele, di pere, di uva (periodo ideale perché inizia la vendemmia), i cachi, i kiwi, ottimi alleati della stagione che anticipa l’inverno. Consumare frutta di stagione è sempre un’ottima scelta: significa rispettare i tempi della natura e valorizzare i prodotti locali.

    Orto a ottobre: consigli pratici per semina e coltivazione
    Un orto sano richiede cure quotidiane. Prima di seminare o trapiantare, è importante seguire alcune regole di base. Pur sembrando banali e conosciute già da tutti, in realtà è sempre bene tenerle a mente e rispolverarle a ogni cambio stagione. Qui le principali:
    Luce: le piante necessitano di almeno 7 ore di sole al giorno. Evitare zone d’ombra sotto grandi alberi;
    Disposizione: le piante alte non devono ombreggiare quelle più basse;
    Irrigazione: fondamentale per la crescita, soprattutto nei periodi meno piovosi;
    Concimazione: preferire sostanze organiche che stimolano i microrganismi del terreno, evitando diserbanti chimici.

    Come sistemare le piante nell’orto
    L’altro grande interrogativo che attanaglia la mente di chi deve fare l’orto a ottobre è: dove posiziono le piante e come? Anche in questo caso, bastano davvero piccoli accorgimenti per fare sì che tutto fili liscio senza intoppi. Ad esempio, i pomodori andrebbero posizionati a 40 cm, mentre la lattuga, la bietola e i finocchi, a 25 cm. Dieci i cm per cipolle, porri, aglio e ricola, mentre le carote e i ravanelli stanno a 3 cm. Una disposizione corretta permette alle piante di crescere senza ostacolarsi a vicenda e di ricevere luce e nutrienti in modo equilibrato.

    Altri lavori da svolgere in ottobre
    Oltre a piantare e trapiantare, ottobre è il momento di preparare l’orto per l’inverno e la nuova stagione. Prima di tutto, si dovrebbe ripulire l’orto dagli ortaggi estivi, poi preparare il terreno per le semine future. Step successivo? Organizzare il semenzaio per i trapianti primaverili e, step importantissimo, realizzare il compost che durante l’inverno arricchirà il terreno di sostanze nutritive. LEGGI TUTTO

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    Crisi del clima: “L’IA può essere una soluzione se ci poniamo le giuste domande”

    Se la principale emergenza mondiale che abbiamo di fronte è la crisi del clima, può l’intelligenza artificiale essere una soluzione per risolverla? Oppure, per via dei suoi enormi consumi di elettricità ed acqua per raffreddare i server, rischia di trasformarsi in una ulteriore criticità?
    È la domanda che, alla Dolomites Conference di Venezia organizzata dal think tank Vision, si sono posti diversi fra scienziati, esperti e policy makers in vista del futuro. LEGGI TUTTO

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    In Sicilia i volontari antincendio salvano i boschi dai piromani: “Uniamoci per proteggere la terra”

    Nella Sicilia nord-occidentale, là dove il paesaggio si apre tra colline e vigne, sorge fiero il Monte Bonifato, massiccio calcareo che domina la città di Alcamo. Sulla sua sommità, vive un bosco fitto e rigoglioso di conifere, latifoglie, lecci, roverelle, dove si aggirano volpi, conigli selvatici, ricci, ma anche tordi, poiane e picchi rossi. Nel 1984 il territorio, ampio 314 ettari, è diventato una riserva naturale, affidata alla Provincia di Trapani.

    Biodiversità

    Incendi e crisi climatica stanno decimando le libellule

    a cura della redazione di Green&Blue

    12 Settembre 2025

    Una lunga storia di fiamme e distruzione
    Una zona, questa, nota per la vulnerabilità agli incendi, spesso di origine dolosa. Un rogo divampato nel 2012 ha distrutto gran parte della cima della montagna, mentre nell’estate del 2015 le fiamme hanno reso necessario l’intervento di vigili del fuoco, corpo forestale ed elicotteri. Per arginare il fenomeno, nel 2016 le istituzioni hanno affidato la manutenzione del bosco agli agenti di vigilanza: nonostante alcuni interventi, la situazione non è migliorata. Così varie associazioni, tra cui il presidio locale di Libera, hanno chiesto a gran voce interventi rapidi nel timore di ulteriori disastri: preoccupazioni che si sono rivelate fondate, visto che gli incendi si sono ripetuti negli anni seguenti distruggendo la vegetazione.

    Il successo dell’azione collettiva dal basso
    Di fronte all’inerzia degli enti, gli abitanti della zona si sono organizzati in autonomia per proteggere il territorio. Nell’estate del 2024 è nata un’esperienza di sorveglianza popolare antincendio, promossa dal collettivo ambientalista Muschio ribelle. La mobilitazione ha avuto come base operativa l’ex ostello della Funtanazza, in seguito sgomberato dalla Provincia. Con buona volontà e attrezzature di base, i volontari hanno assicurato una presenza quotidiana nei mesi più caldi e asciutti, fungendo da sentinelle contro possibili piromani. Un impegno che ha dato i suoi frutti: per la prima volta dopo molto tempo, nessun rogo ha colpito il bosco.

    Riuso

    Los Angeles, la nuova vita del legno dopo gli incendi

    di Paolo Travisi

    11 Settembre 2025

    Nell’estate del 2025 l’opera è proseguita, grazie a 28 volontari provenienti da Alcamo, dai Comuni vicini, come Castellammare del Golfo, Calatafimi, Trapani-Erice, e perfino da altre regioni. Concentrandosi sui giorni più critici, nei quali soffia il vento di scirocco, i cittadini hanno effettuato turni di perlustrazione per un totale di 10 giornate di allerta e circa 58 ore di presenza. Muniti di giubbotti ad alta visibilità, binocoli, cellulari, blocchetti di carta per annotare numeri di targa o movimenti anomali, si sono rivelati un utile deterrente: anche quest’anno, infatti, nessun incendio è stato appiccato nelle aree sorvegliate.

    L’appello agli enti locali
    L’iniziativa popolare ha sensibilizzato gli enti preposti, anche se per quanto riguarda la collaborazione ufficiale permangono problemi.

    Biodiversità

    Così i castori possono aiutare a mitigare gli incendi

    di Sandro Iannaccone

    08 Settembre 2025

    “Abbiamo denunciato, per esempio, la presenza di discariche abusive ai piedi del monte, che aumentano il rischio incendiario”, fa sapere Baldo Lucchese, esponente di Muschio ribelle. “Dopo avere promesso un intervento con i droni, l’amministrazione non vi ha dato seguito. Parallelamente, resta irrisolta la questione della gestione della Funtanazza, bene pubblico che rischia di essere nuovamente abbandonato, perdendo l’opportunità di farne un presidio permanente per la riserva. La speranza è che le istituzioni non ci percepiscano come una minaccia, ma come una risorsa da integrare nelle strategie di gestione del patrimonio ambientale”.

    In attesa che questa auspicata sinergia si concretizzi, gli attivisti lanciano il loro appello: “Uniamoci per proteggere e rigenerare la nostra terra. Possiamo essere le gocce che spengono gli incendi”. LEGGI TUTTO

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    Come coltivare l’osmanto profumato

    Apprezzato per il suo fascino unico, l’Osmanthus fragrans incanta con i suoi piccoli fiori delicati, color bianco crema, giallo tenue e arancio. Eleganti, riuniti in grappoli e profumatissimi, fanno la loro comparsa in autunno e, oltre che per il loro aspetto incantevole, sono noti per il loro profumo intenso e dolce.

    Questa straordinaria pianta ornamentale non si distingue solo per la bellezza e la sua fragranza, ma anche per la notevole resistenza. Può essere coltivata in giardini, terrazzi e balconi, abbellendo ogni spazio in cui si trova. Con cure adeguate e azioni mirate, l’Osmanthus fragrans cresce in modo rigoglioso, potendo contare su una fioritura abbondante.

    Dove collocare l’osmanthus fragrans
    Chiamato anche osmanto profumato, l’osmanthus fragrans è originario di Cina e Giappone e appartiene alla famiglia delle Oleaceae. Questo arbusto sempreverde è noto in particolare per i suoi piccoli fiori molto profumati, la cui fragranza ricorda la vaniglia, ma evoca anche le note dell’albicocca e del gelsomino. Il nome stesso della pianta richiama questa caratteristica: osmanto deriva dal greco osmè, che significa odore, e anthos, che indica fiore.

    Ampiamente utilizzato per decorare parchi e giardini, presenta un portamento eretto e foglie verdi scure, lucide e dalla forma ovale. Può superare i 3 metri di altezza se coltivato in giardino e generalmente fiorisce durante l’autunno, tra settembre e novembre, anche se alcune varietà possono fiorire precocemente in primavera oppure avere una doppia fioritura.

    Coltivare l’Osmanthus fragrans è semplice, tenendo conto che si adatta a molteplici condizioni climatiche e terreni: grazie alla sua resistenza, l’arbusto richiede una bassa manutenzione, essendo alla portata sia di esperti di giardinaggio che di principianti.

    Prima di procedere con la semina, è fondamentale individuare il luogo più adatto in cui farlo crescere. L’Osmanto profumato preferisce il pieno Sole, che gli consente di fiorire in modo abbondante, pur tollerando anche la mezzombra. Quanto al terreno, richiede un substrato ben drenato, fertile e leggermente acido, dovendo aggiungere ghiaia o sabbia qualora sia troppo argilloso. La sua robustezza lo rende resistente, ma non tollera la salsedine, le temperature sotto lo zero e i venti freddi. Se coltivato all’aperto, in caso di clima rigido è necessario proteggerlo, ricorrendo ad esempio a uno strato di pacciamatura da porre alla sua base.

    Come coltivare l’Osmanthus fragrans
    Per coltivare l’Osmanthus in giardino bisogna considerare come il freddo intenso sia suo nemico e pertanto è consigliato procedere con la semina in piena terra nelle zone dal clima mite. I semi, avendo un guscio duro, vanno leggermente scarificati con un coltellino oppure della carta vetrata e poi lasciati in ammollo per 24 ore e successivamente conservati in frigo fino alla semina.

    In un terreno ben drenato, i semi vanno interrati a una profondità di 1-2 centimetri, coprendoli leggermente con la terra e lasciando tra ciascuno una distanza di 5-10 centimetri. Una volta cresciute, le piantine possono essere trapiantate a una distanza di 2-3 metri oppure, se si desidera realizzare una siepe, di 80 centimetri. L’Osmanthus fragrans può essere moltiplicato anche tramite talea e va trapianto preferibilmente in primavera. In caso di trapianto, occorre scavare una buca profonda e larga il doppio rispetto al vaso in cui si trova, ponendo sul fondo del fertilizzante a lenta cessione e procedendo poi con l’irrigazione.

    La coltivazione in vaso dell’Osmanto profumato è consigliata nelle zone con inverni molto freddi, visto che permette di spostare la pianta all’interno quando le temperature diventano rigide. Il vaso scelto deve avere una grandezza sufficiente che sia almeno 15-20 centimetri di diametro: per migliorare il drenaggio, sul fondo del recipiente si può collocare uno strato di biglie di argilla espansa. I semi vanno interrati a una profondità di 1-2 centimetri, mantenendo tra loro una distanza di 3-5 centimetri. Ogni 2-3 anni è necessario procedere con il rinvaso per garantire lo sviluppo corretto delle radici, ricorrendo a un contenitore più capiente.

    Cura dell’Osmanthus fragrans
    Oltre che apprezzato per la sua bellezza, l’osmanthus fragrans ha il pregio di non richiedere cure impegnative. Dal punto di vista delle irrigazioni, l’arbusto deve essere annaffiato in modo abbondante e costante, soprattutto in estate e primavera, se coltivato in vaso e in caso di piantine giovani. È sempre fondamentale evitare i ristagni idrici, responsabili dell’insorgere di malattie fungine e di danni alle radici. Durante l’inverno le irrigazioni possono essere ridotte.

    Dopo la fioritura si può procedere con la potatura, rimuovendo i rami malati, secchi e danneggiati, accorciando quelli irregolari e troppo lunghi e alleggerendo la chioma. La pianta va concimata in autunno o in primavera per stimolare il suo sviluppo.

    Consigli utili per la manutenzione dell’Osmanthus fragrans
    Pur essendo un arbusto molto resistente, l’Osmanthus fragrans presenta alcune criticità, che richiedono interventi immediati. Tra queste spiccano le foglie ingiallite o colpite da macchie brunastre, causate generalmente dalla ruggine, da trattare con prodotti specifici. L’ingiallimento delle foglie può essere dovuto anche da una carenza di ferro, responsabile inoltre della caduta precoce dei fiori. Quando il fusto appare indebolito, le foglie arricciate e le radici sofferenti si può sospettare di un drenaggio insufficiente, un terreno scarso di nutrienti e una carenza di calcio.

    Tra le altre problematiche che possono insorgere spicca il marciume radicale dettato dai ristagni idrici e responsabile di una crescita rallentata e della caduta delle foglie.

    La pianta è raramente colpita da afidi e cocciniglia, ma questo può accadere soprattutto se il clima è caldo e asciutto, chiedendo di intervenire prontamente con rimedi naturali come olio di lino, di neem e sapone molle o altri prodotti ad hoc. LEGGI TUTTO

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    Oceani sempre meno verdi, negli ultimi 20 anni è diminuito il fitoplancton

    Per la maggior parte blu, ma a volte, a tratti in maniera più o meno apprezzabile, anche verde. Parliamo dei colori di mari e oceani, dove vivono, tra gli altri, piccolissimi e preziosi organismi complessivamente noti come fitoplancton, come alghe e batteri fotosintetici, alla base della catena alimentare marina. Ma a viverci sono sempre meno: […] LEGGI TUTTO