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    Il documento d’identità sarà biodegradabile: il prototipo

    In Italia, ogni anno vengono emessi circa 17 milioni di documenti di identità in formato card, per la produzione dei quali vengono utilizzate oltre 130 tonnellate di plastica. Al termine del ciclo di vita, tipicamente dopo dieci anni, la quasi totalità di queste carte viene smaltita in discarica.

    I materiali fino ad oggi impiegati nella costruzione di tali prodotti sono plastiche di origine fossile, nello specifico si tratta di policarbonato (PC) e polivinilcloruro (PVC), che per le prestazioni che garantiscono sono diventati veri e propri standard per il settore dei documenti di sicurezza (carte d’identità, patenti, tessere sanitarie), e delle carte bancarie di tutto il mondo. Il tempo di decomposizione nell’ambiente di questi materiali va però da un minino di 100 a un massimo di oltre 1.000 anni, con conseguenze catastrofiche per l’ambiente, e gli ecosistemi in cui vengono dispersi.

    Per contrastare questo fenomeno, l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, con la collaborazione dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, ha portato avanti un’iniziativa di ricerca e sviluppo finalizzata a ridurne l’impronta ambientale, mettendo a punto materiali innovativi ricavati da fonti rinnovabili ed ecosostenibili. La sfida del progetto è stata di assicurare un elevato livello di sicurezza del documento in termini di anticontraffazione, preservando allo stesso tempo la resistenza all’usura quotidiana, la conformità agli standard di settore e la minimizzazione degli impatti sui processi e sugli impianti di produzione in essere. “La ricerca di soluzioni green e tecnologicamente avanzate fa parte del DNA del Poligrafico, un’azienda che è sempre più protagonista della transizione della pubblica amministrazione verso un futuro sostenibile e digitale”, ha dichiarato a Green&Blue, l’amministratore delegato dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Francesco Soro.

    “Progetti la tua identità, proteggi l’ambiente”
    La carta. Dopo circa due anni di lavoro è stato messo a punto un supporto innovativo, costituito da strati di polimeri biodegradabili derivanti da biomasse, come per esempio amido di mais. Ogni parte della carta gioca il suo ruolo: dagli strati per alloggiare il microchip, a quello per stampare i dati e l’immagine del volto del titolare, fino agli strati di protezione da falsificazioni e contraffazioni.
    Per quanto riguarda la composizione, la tessera è costituita da sfoglie di polimeri biodegradabili prevalentemente a base di acido polilattico (PLA). Ognuna di queste viene funzionalizzata mediante trattamenti fisico-chimici al fine di ottenere le caratteristiche richieste. La formatura della carta avviene accoppiando i vari fogli mediante un processo di termofusione.

    I test. Il processo di validazione in corso per certificare la biodegradabilità del materiale realizzato sta fornendo risultati estremamente positivi, confermando che già dopo 77 giorni nella macchina di compostaggio la card è biodegradata al 90,6% (il limite del test di biodegradabilità è il 90% in sei mesi). “Realizzare un’alternativa ai materiali fossili usati nella costruzione di documenti, che presentino alte prestazioni in termini di durabilità e capacità di integrare elementi di sicurezza, senza stravolgere gli attuali processi di produzione, è stata senz’altro la sfida più ardua di questa iniziativa – spiega Antonio Gentile, responsabile della struttura di Ingegneria di Prodotto del Poligrafico – . Allo stesso tempo ha però rappresentato l’aspetto più stimolante che ha animato i ricercatori e i tecnici che per oltre due anni si sono confrontati quotidianamente su questi temi, arricchendosi di competenze che potranno essere messe a frutto su nuovi prodotti di sicurezza, in grado di realizzare condizioni sempre migliori per il cittadino, le imprese e l’intero Sistema Paese.”

    Il primo prototipo di tessera biodegrabile creata con processi industriali, nella quale sono stati integrati – visibili in una clear window – dei semi di lino: “dai documenti scaduti, a contatto con la terra, potranno nascere dei fiori”, è stato presentato dal Poligrafico a Milano lo scorso 5 marzo in occasione della fiera Integraf. LEGGI TUTTO

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    Nevediversa, Legambiente: 265 gli impianti sciistici dismessi

    Dalle Alpi agli Appennini sono 265 gli impianti legati allo sci dismessi: un dato raddoppiato rispetto al 2020, quando ne erano stati censiti 132. A fare il punto sulla situazione in alta quota, dove ormai nevica sempre meno, è Legambiente che ha presentato il nuovo dossier Nevediversa 2025 Una nuova montagna è possibile? con il censimento aggiornato degli impianti legati allo sci chiusi, oppure semichiusi e quelli che faticano a restare aperti. Le regioni con le strutture non funzionanti sono Piemonte (76), Lombardia (33), Abruzzo (31) e Veneto (30).

    I numeri parlano chiaro su quanto sta succedendo sia sulle Alpi che sugli Appennini a causa soprattutto del cambiamento climatico. 112 sono gli impianti temporaneamente chiusi; 128 quelli che aprono a fasi alterne, mentre salgono a 218 quelli sottoposti ad “accanimento terapeutico”, distribuiti in 36 comprensori. Più che raddoppiati rispetto al 2020 quando ne erano stati censiti 103. Il numero più alto in Lombardia (59), Abruzzo (47), Emilia-Romagna (34).

    (ansa) LEGGI TUTTO

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    Il ritorno della pelliccia, un dilemma di sostenibilità

    Sono tornate. Bandite dal guardaroba da vent’anni, le pellicce sono il nuovo must sulle passerelle delle fashion week appena terminate. Da Milano a Parigi sono apparse addosso alle modelle di molti brand contaminando abiti, camicie, cappotti, giacche sia per uomo che per donna. Gli stessi marchi che fino a qualche anno fa avevano bandito completamente la pelliccia, come scelta ecologica che univa designer, modelle e consumatori. Ora, però, non è più così. E per capire quanto il ritorno della pelliccia abbia presa sul mercato cresce l’elenco di star e influencer che durante le giornate della moda di sono fatte fotografare impellicciate. Lo dice anche Google che nell’ultimo anno ha registrato l’85% in più delle ricerche. Eppure, appena pochi anni fa apparire su una copertina con un look simile avrebbe significato alienarsi le simpatie del pubblico. Oggi invece una pelliccia vera scovata in un mercatino è considerata cool.

    Purché sia vintage
    Tutto questo però non ha influito sul mercato delle pellicce vere che rimane comunque ancora basso: il giro d’affari in dieci anni è infatti sceso da 14 miliardi a poco più di 3. Ad andare per la maggiore infatti non sono le pellicce nuove, ma quelle eco, vintage e di seconda mano. Almeno per il momento. Ma al di là del tipo di pelle e manto, il mondo della moda sembra oggi cedere meno alle proteste di Peta (People for the Ethical Treatment of Animals), o di altri gruppi ambientalisti che anno dopo anno, dagli anni ‘80 hanno influito sicuramente su un cambio di mentalità collettivo e anche di normativa (in Italia l’allevamento di animali da pelliccia è stato vietato dal 1 gennaio 2022) fino al punto da convincere il settore dell’alta moda a imboccare la strada dell’animal welfare e a puntare su materiali alternativi, l’ecopelle ad esempio, creata con ingredienti meno inquinanti, più economici di origine vegetale e su tessuti riciclati. LEGGI TUTTO

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    RiforestAzione: 4,5 milioni di alberi in 13 città contro il climate change

    Piantare 4,5 milioni di alberi e arbusti e trapiantarne altre 3,5 milioni nel loro habitat ideale, creando 4.500 ettari di nuove foreste. Tutto questo nell’arco di due anni. “RiforestAzione” è il titolo dell’iniziativa dedicata alla promozione del verde urbano ed extraurbano in 13 città metropolitane italiane presentato ll’Orto botanico di Roma. Lanciato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, con il sostegno delle società Axpo Italia e Pulsee Luce e Gas, rientra nella missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica” del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Riprende il Piano Eu forest strategy for 2030, dedicato al rafforzamento delle foreste continentali e che ambisce ad aggiungere 3 miliardi di alberi entro il 2030. Investimento italiano: 210 milioni di euro.

    La conferenza stampa all’Orto Botanico di Roma  LEGGI TUTTO

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    Pesci alieni nel Mediterraneo, Coldiretti: sono quasi un centinaio

    L’ultima arrivata è la triglia tropicale endemica nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden, scoperta dai pescatori di Lampedusa e consegnata ai ricercatori dell’Ispra di Palermo. Prima era arrivato il pesce palla maculato (lagocephalus sceleratus) potenzialmente pericoloso per l’uomo come il pesce scorpione entrato dal Canale di Suez e il granchio blu, il “killer dei mari” da qualche anno finito sulle nostre tavole. Sono circa un centinaio le specie aliene invasive che hanno preso d’assalto i mari italiani causando un impatto non solo sulla biodiversità, ma anche sull’economia. É quanto ha spiegato Daniela Borriello, responsabile della Coldiretti Pesca in occasione di un incontro promosso dal ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida con il Commissario Ue alla Pesca e agli Oceani, il cipriota Costas Kadis. Se ne parla da tempo delle specie aliene che provenienti soprattutto dall’oceano Indiano e Atlantico stanno colonizzando il Mediterraneo. Portate dalle navi cariche di merci, il clima ha fatto il resto. A causa del cambiamento climatico infatti le specie “aliene” si sono adattate perfettamente al mare Mediterraneo che nel frattempo è diventato più caldo (la temperatura è salita di 1º C negli ultimi 25 anni), cambiando la dieta e dando un duro colpo alle economie ittiche. L’esempio lampante di quanto sta accadendo è il granchio blu particolarmente aggressivo che ha imparato a nutrirsi di cozze e vongole.

    Biodiversità

    La citizen science per monitorare l’invasione dell’ibis sacro nel Sud Italia

    di Pasquale Raicaldo

    17 Gennaio 2025

    Specie esotiche marine e terrestri quintuplicate
    Alla vigilia di una stagione che si annuncia complicata dal punto di vista climatico la questione torna centrale. E che sia un’emergenza lo dimostra il fatto che il governo ha già stanziato a favore di consorzi e di imprese 2,9 milioni di euro per mettere al riparo le zone maggiormente colpite. Secondo l’Ispra, proprio a causa dei cambiamenti climatici il numero di specie esotiche terrestri e marine introdotte ogni anno nel nostro Paese è quintuplicato, passando da una media di 6 negli anni Settanta alle oltre 30 dell’ultimo decennio. Solo l’invasione del granchio blu ha provocato un danno stimato da Coldiretti Pesca in quasi 200 milioni di euro, mettendo a rischio l’attività di oltre 3000 aziende ittiche, con diverse realtà che sono state costrette a chiudere i battenti.

    Costa Kadis, commissario Ue: “Adottare misure basate sulla natura”
    “La sfida rappresentata dalle specie invasive senz’altro rappresenta un focus delle nostre attività e in particolare delle attività di ricerca, di innovazione e a livello strategico. In particolare quella del granchio blu – ha affermato il commissario Ue Kadis – Ci sono altri paesi del Mediterraneo che hanno affrontato questo problema basandosi sulla ricerca e la tecnologia. Poi chiaramente c’è il fondo per le attività di pesca per l’acquacultura che ha promosso azioni proprio contro questa specie invasiva, Ci sono anche altri strumenti di finanziamento, come Horizon e Life che si concentrano per affrontare questa minaccia in particolare. I mezzi dunque ci sono già, bisogna fare in modo che crescano con il tempo e si possano intensificare gli sforzi”. ha poi aggiunto. “Da biologo mi sento di dire che bisogna adottare soluzioni che siano comunque basate sulla natura, quindi bisogna cercare un nemico, un predatore naturale, l’uomo può esserlo e per fare ciò deve includere questa specie nelle proprie abitudini di consumo e questo è il modo i cui in alcuni paesi europei si sta cercando di contrastare la diffusione di una specie così invasiva”. LEGGI TUTTO

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    Cat Nat, la polizza assicurativa contro le catastrofi naturali obbligatoria per le aziende

    Si chiama Cat Nat la polizza assicurativa contro le catastrofi naturali che, a partire dal 31 marzo, tutte le aziende con sede legale in Italia o con una stabile organizzazione sul territorio nazionale saranno obbligate a sottoscrivere. La copertura riguarda i danni a terreni, fabbricati, impianti, macchinari, nonché ad attrezzature industriali e commerciali. Gli unici esclusi dall’obbligo sono solo gli imprenditori agricoli.

    La disposizione è contenuta nel Decreto Milleproroghe (Dl 27 dicembre 2024, n. 202) recante “Disposizioni urgenti in materia di termini normativi”. Un passo necessario per proteggere aziende e infrastrutture dai danni causati da terremoti, alluvioni, frane e inondazioni.

    Piani di adattamento e resilienza
    L’obiettivo è quello di tutelare il patrimonio immobiliare delle aziende, con particolare attenzione alle piccole e medie imprese, spesso meno assicurate. Tale obbligo spinge le imprese ad adattarsi ai cambiamenti climatici, migliorando le proprie strutture e a prepararsi per fronteggiare i rischi crescenti.

    Il sondaggio

    Le aziende rischiano il 25% dei profitti se non affrontano le sfide del clima

    di Simone Cosimi

    12 Marzo 2025

    Secondo i dati del colosso assicurativo Munich Re, nel 2024, le catastrofi naturali nel mondo hanno causato perdite per 320 miliardi di dollari, di cui circa 140 miliardi coperti da assicurazioni, ben al di sopra della media degli ultimi trent’anni. Il 2024 si colloca al quinto posto nella scala dei costi dal 1980.

    In Italia, un’indagine commissionata da Facile.it all’istituto mUp Research mostra che, da settembre 2023 a settembre 2024, oltre 278mila micro e piccole imprese italiane hanno subito danni per circa 3 miliardi di euro. E, in base alle stime dello Swiss Re Institute, nei prossimi dieci anni, le perdite assicurate potrebbero raddoppiare con l’aumento delle temperature e la maggiore frequenza e intensità degli eventi meteorologici estremi.

    crisi del clima

    L’Italia è prima in Europa per morti e danni da eventi meteo estremi

    di Giacomo Talignani

    12 Febbraio 2025

    Regole operative
    Il 14 marzo 2025 entreranno in vigore le regole operative del Ministero delle Finanze per le imprese. Il regolamento recante modalità attuative degli schemi di assicurazione dei rischi catastrofali è stato approvato con Dm Finanze 30 gennaio 2025, n. 18.

    Il premio assicurativo
    Il costo della polizza varierà in base al rischio: verranno valutati la pericolosità del territorio, le caratteristiche strutturali dei beni assicurati e le misure di prevenzione adottate nella costruzione. Per calcolarlo, si useranno dati storici, mappe di rischio e modelli predittivi che valutano come evolvono nel tempo la probabilità di eventi catastrofici e la vulnerabilità dei beni. I premi assicurativi poi verranno aggiornati periodicamente.

    Lo studio

    Clima, i dieci eventi estremi più devastanti e costosi del 2024

    di Pasquale Raicaldo

    30 Dicembre 2024

    Scoperto a carico dell’assicurato
    Per importi fino a 30 milioni di euro di somma assicurata, considerando tutte le ubicazioni coperte, le polizze possono prevedere, previo accordo tra le parti, uno scoperto a carico dell’assicurato che non superi il 15% del danno indennizzabile.
    Per la fascia superiore a 30 milioni di euro oppure per le grandi imprese: la quota di danno che resta a carico dell’assicurato è negoziabile liberamente tra le parti.

    Massimali
    Per importi fino a 1 milione di euro: il limite di indennizzo corrisponde alla somma assicurata.
    Da 1 a 30 milioni di euro: il limite di indennizzo è almeno pari al 70% della somma assicurata.
    Per la fascia superiore a 30 milioni di euro o per le grandi imprese: il limite di indennizzo può essere definito liberamente tra le parti.
    Per i terreni, la copertura è offerta “a primo rischio assoluto” entro il massimale proporzionato alla superficie del terreno.
    Le polizze fino a 1 milione di euro, stipulate in forma collettiva o tramite convenzioni, non hanno un unico massimale uguale per tutti, ma prevedono una suddivisione in classi di rischio con coperture differenti a seconda delle necessità.

    Crisi climatica

    L’Italia perde 2,8 miliardi di euro all’anno per frane e alluvioni

    di redazione Green&Blue

    15 Novembre 2024

    Sanzioni e penali
    Niente multe per chi non si assicura, ma chi rimane scoperto rischia di perdere contributi, incentivi o agevolazioni pubbliche, comprese quelle stanziate per affrontare calamità naturali. LEGGI TUTTO

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    Lavori green, la cheffe sostenibile Chiara Pavan. Quando la stella del ristorante è verde

    “Quando abbiamo tolto la carne dai nostri menù volevamo dare un segnale: l’alta ristorazione può essere a base vegetale”. Parola di Chiara Pavan, cheffe (femminile di chef) del ristorante Venissa, sull’isoletta di Mazzorbo, a Venezia, detentrice di una stella Michelin e una stella verde per la sostenibilità. Pavan non è solo un talento della cucina, ma anche una pioniera di un nuovo modello di ristorazione: più etico, consapevole e innovativo. “Serviamo ancora pesce della laguna e abbiamo un menù con le specie invasive (il famoso granchio blu, ndr), ma forse è arrivato il momento di porre attenzione anche alle risorse ittiche, sempre più vulnerabili”.

    DOSSIER Lavori greenLa transizione ecologica sta cambiando il mondo del lavoro, ristorazione compresa. Proviamo ad allargare lo sguardo, da Venezia all’Italia: il 39% delle aziende del comparto ha fatto eco-investimenti negli ultimi cinque anni, secondo l’ultimo Rapporto Greenitaly della fondazione Symbola, e la domanda di competenze legate alla sostenibilità è in costante crescita. I tecnici della produzione e preparazione alimentare sono tra le figure professionali più richieste, secondo un sondaggio Unioncamere. E l’eco-chef è una delle professioni più in ascesa secondo diverse classifiche. Pavan, classe 1985, consiglia la via per seguire le orme dei migliori: “Fate esperienze diverse e non fermatevi con gli studi, anche in settori lontani dalla cucina”. Lei stessa all’università ha studiato Filosofia e ha scelto la cucina solo dopo la laurea. Il termine “eco-chef” è entrato nella lista dei neologismi Treccani nel 2018 per indicare quei professionisti che scelgono ingredienti biologici e a km zero, minimizzano sprechi e consumi energetici, e promuovono un’idea di cucina in armonia con l’ambiente. Pavan incarna questa filosofia: “Noi puntiamo su orti sociali, rapporto di fiducia con i fornitori e la precisa stagionalità”. L’attenzione è priva di pregiudizi: “Mangiare un pollo allevato bene può avere meno impatto climatico di un pesce pescato senza controllo. Bisogna ragionare in modo sistemico”, spiega.Questa attenzione ha anche un ritorno economico: per la fondazione Bcfn ridurre gli sprechi alimentari genera fino a 13,5 euro di risparmio per ogni euro investito. Un concetto che i ristoranti di alta cucina conoscono bene: “Ci sono chef che pesano la pattumiera. Non ha senso sprecare, incide sui conti e sul Pianeta”, aggiunge Pavan.Oltre agli eco-chef, il settore della ristorazione sta creando nuovi “lavori verdi”.Oltre ai cuochi, nel settore si stanno affermando figure come i responsabili della sostenibilità alimentare, esperti di economia circolare applicata alla ristorazione, e i consulenti per la riduzione dello spreco alimentare, che affiancano i ristoranti per ottimizzare menu, porzioni e gestione degli acquisti. Secondo studi della Lumsa e di Roma Tre, il 45% dello spreco nella ristorazione avviene nella fase di preparazione, il 34% nei piatti dei clienti e il 21% per deterioramento degli ingredienti. Professionisti con competenze in gestione delle eccedenze e food sharing sono quindi sempre più richiesti. Cresce anche la domanda di esperti in energia e risorse idriche.Se da una parte le imprese della ristorazione stanno cambiando, dall’altra anche i clienti giocano un ruolo chiave. Uno studio dell’Osservatorio nazionale sugli sprechi di Last Minute Market mostra che il 90% degli italiani è consapevole degli sprechi in cucina, e ormai prova sempre meno imbarazzo a chiedere la famosa doggy bag, il sacchetto degli avanzi.

    La transizione digitale aiuta, con app sempre più usate come Too Good To Go e BringTheFood, che stanno cambiando le abitudini di clienti e cucine. Sono sempre più diffusi ristoranti con menù circolari e porzioni flessibili, piatti plant-based e cibo biologico. “L’importante è diffondere una cultura del cibo più etica e consapevole, senza moralismi, ma con scelte concrete”, conclude Pavan, che suggerisce un modo per sperimentare da vicino la sostenibilità in cucina, per chi è a casa o lavora in un ristorante: “Provate a fare dei piatti con le bucce delle verdure, come quelle delle zucche, vedrete che soddisfazione”. La sostenibilità è servita, parola di cheffe. LEGGI TUTTO

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    Muscari: coltivazione, cura, fioritura

    I muscari sono piante bulbose appartenenti alla famiglia delle Asparagaceae, note per le loro affascinanti fioriture primaverili che ricordano piccoli grappoli d’uva. Originari dell’Europa, del Nord Africa e dell’Asia, questi fiori sono perfetti per abbellire giardini, bordure e aiuole grazie alla loro vivace tonalità blu, sebbene esistano anche varietà bianche, viola e gialle. Scopriamo insieme tutto quello che c’è da sapere sulla coltivazione, cura e fioritura di questa pianta simile al Giacinto, che Giacinto non è.

    Muscari: coltivazione
    La coltivazione del Muscari non richiede particolari competenze o attenzioni e forse è proprio questo che la rende una scelta perfetta anche per chi si approccia per la prima volta al mondo delle piante o per chi, amante dei colori, ha voglia di dare un tocco di originalità al proprio giardino senza troppi sforzi. Essendo piante rustiche, i muscari si adattano molto facilmente a diverse condizioni climatiche. Il momento ideale per piantare i bulbi è l’autunno, tra settembre e novembre, prima delle gelate; questo consente ai bulbi di radicarsi durante l’inverno e fiorire meravigliosi in primavera. I muscari preferiscono posizioni soleggiate o semi-ombreggiate. In pieno sole, la fioritura sarà più abbondante e intensa, mentre sono da evitare obbligatoriamente le aree con ristagni d’acqua, poiché i bulbi potrebbero marcire. Per questo, dunque, un terreno ben drenato è essenziale per il successo della coltivazione. I muscari non sono particolarmente esigenti in termini di suolo, ma preferiscono terreni leggermente sabbiosi e ricchi di sostanza organica; se il terreno è troppo compatto, è consigliabile mescolarlo con sabbia o ghiaia per migliorarne il drenaggio.

    Come piantare i bulbi di muscari
    Prima di procedere alla piantagione in sé per sé, bisogna preparare in modo sicuro il terreno. Per cominciare, bisogna rimuovere tutte le erbacce e smuovere il terreno fino a una profondità di circa 20 cm, dopodiché si pianteranno i bulbi a una profondità di circa 8-10 cm e a una distanza di 5-10 cm l’uno dall’altro, con la punta rivolta verso l’alto. Ora è il momento di ricoprire i bulbi con il terreno e compattare leggermente il tutto, senza premere eccessivamente. Fatto anche questo passaggio, è necessario innaffiare subito dopo la piantagione; in questo modo si andrà a favorire l’attecchimento della pianta.

    Muscari: coltivazione in vaso
    Se non si ha a disposizione un giardino, si possono coltivare i muscari anche in vaso. Per farlo basterà scegliere un contenitore con fori di drenaggio e riempirlo con un mix di terriccio universale e sabbia. I bulbi possono essere piantati a una distanza ravvicinata per creare un effetto più denso e decorativo.

    Irrigazione, concimazione e potatura
    I muscari non necessitano di molta acqua; dopo la piantagione autunnale, basta annaffiare moderatamente per mantenere il terreno umido fino all’arrivo delle piogge. Durante il periodo di crescita attiva in primavera, è sempre bene assicurarsi che il terreno rimanga umido, ma non zuppo. Inoltre, per favorire una fioritura rigogliosa, dall’inizio della primavera è possibile applicare un concime specifico per bulbose. Un fertilizzante ricco di fosforo e di potassio si rivela ottimo per sostenere la formazione dei fiori, sempre suggestivi. Infine, la potatura: non è necessaria una vera e propria potatura per i muscari. Dopo la fioritura, infatti, è possibile lasciare che il fogliame si secchi in modo del tutto naturale; questo consente ai bulbi di accumulare energia per la stagione successiva. Una volta che le foglie saranno completamente appassite, si possono rimuovere, e dunque potarle.

    Protezione dai parassiti e malattie
    I muscari sono generalmente resistenti ai parassiti e alle malattie. Tuttavia, possono essere occasionalmente attaccati da afidi o da marciume dei bulbi. Nel primo caso, questi piccoli insetti possono essere rimossi manualmente o trattati con un sapone specifico insetticida. Nel caso del marciume, invece, bisognerebbe prima interrogarsi sulle cause che hanno portato a tale situazione, che il più delle volte si riduce a un terreno con scarso drenaggio. La soluzione? Monitorarne lo stato e prevenire che questo si secchi troppo.

    Riproduzione e moltiplicazione
    I muscari si moltiplicano facilmente da soli grazie alla formazione di bulbilli intorno al bulbo madre. Per mantenere le piante vigorose, è possibile dissotterrare e dividere i bulbi ogni 3 o 4 anni. Per farlo basterà scavare i bulbi durante la stagione estiva, dopo che il fogliame sarà diventato secco, per poi separare i bulbilli e ripiantarli in autunno seguendo le indicazioni sopra descritte.

    La fioritura
    La fioritura dei muscari avviene generalmente tra marzo e maggio, a seconda della varietà e delle condizioni climatiche. I fiori durano diverse settimane, creando un tappeto colorato e profumato che attira api e altri insetti impollinatori.

    Caratteristiche dei fiori
    I fiori dei muscari sono piccoli e tubulari, raggruppati in infiorescenze a forma di spiga. La maggior parte delle varietà presenta una vivace tonalità blu, ma esistono anche varietà bianche (‘Album’), gialle (‘Golden Fragrance’) e persino viola scuro (‘Dark Eyes’). Poiché la bellezza dei muscari risiede proprio nella loro suggestiva fioritura, esiste un trucco per prolungarla. Vi basterà potare i fiori appassiti, azione necessaria per evitare che la pianta investa energia nella produzione di semi. Importante anche il mantenimento del terreno umido durate la fase di fioritura e il posizionamento della pianta in una zona con una buona esposizione al sole. LEGGI TUTTO