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    Una carta da parati elettrica che riscalda le case: la sperimentazione

    In Scozia, quando arriva l’inverno, il freddo si insinua tra le pietre arenarie dei vecchi tenement, le abitazioni popolari costruite all’inizio del Novecento per la classe operaia. Pareti spesse, finestre sottili e impianti a gas ormai datati le rendono difficili da riscaldare: in questo Paese il calore degli edifici si disperde tre volte più rapidamente rispetto alle altre nazioni europee e il riscaldamento genera oltre il 36% delle emissioni di carbonio del Regno Unito.

    Tutorial

    Quali sono i materiali più ecologici per costruire una casa?

    25 Ottobre 2025

    Per invertire la rotta, il governo scozzese ha introdotto nel 2024 il New Build Heat Standard, il quale impone che le nuove costruzioni siano dotate di sistemi di climatizzazione a basso impatto. Inoltre, sta mettendo a punto la legge Heat in Buildings Bill, volta a eliminare gradualmente le fonti fossili dalle case entro il 2045.

    Glasgow, che conta circa 70mila appartamenti in palazzi storici, è una delle città più coinvolte in questa sfida. Proprio qui, l’Università e il Consiglio comunale cittadini, l’Università di Strathclyde, l’associazione West of Scotland Housing Association hanno ideato, con il finanziamento della coalizione accademica Scotland Beyond Net Zero, una speciale carta da parati elettrica riscaldante chiamata NextGen, attualmente in sperimentazione in dodici alloggi sociali, con l’obiettivo di ridurre sia le bollette sia l’inquinamento.

    Come funziona la nuova tecnologia
    Nei sistemi tradizionali, come termosifoni, pompe di calore, impianti a pavimento, il calore si diffonde per convezione, cioè riscaldando l’aria circostante che poi si disperde negli spazi. Il nuovo pannello, dello spessore di pochi millimetri e applicato come una tappezzeria, si basa, invece, sull’irraggiamento. In questo caso, l’effetto percepito, simile al sole sulla pelle in una giornata invernale, è immediato, mentre la temperatura resta uniforme e stabile in tutta la stanza. In concreto, la tecnologia presenta due sottili bande di rame, posizionate ai bordi con funzione di elettrodi, che, una volta collegate all’elettricità, attivano nel dispositivo un foglio di grafene, che emette raggi infrarossi, cioè onde termiche invisibili che riscaldano direttamente superfici, oggetti e persone.

    Tecnologia e Ambiente

    Pittura al grafene per scaldare gli appartamenti: più efficiente dei termosifoni

    05 Agosto 2025

    Un sistema sicuro
    A dispetto del nome, il sistema viene di solito posizionato, tramite un apposito adesivo, sul soffitto, dove può sfruttare la maggiore area libera ed erogare calore in modo omogeneo dall’alto. Il materiale può essere tagliato su misura per adattarsi a lampadari, prese o sensori antincendio. L’impianto è progettato per garantire la sicurezza: il foglio riscaldante è ignifugo e impermeabile e la sua superficie si mantiene tra i 40 e i 50 gradi, evitando rischi di scottatura. Inoltre, la soluzione impiantistica funziona a bassa tensione (24 volt), riducendo il rischio di cortocircuiti e assicurando un funzionamento affidabile. L’app e il termostato non modificano la temperatura del pannello, che resta costante, ma regolano quella dell’ambiente, consentendo di impostare con precisione il livello termico desiderato.

    I vantaggi: in casa aria più salubre e meno manutenzione
    Rispetto agli approcci attualmente usati, l’impianto offre diversi vantaggi. Anzitutto la rapidità: secondo gli sviluppatori, bastano uno-due minuti dall’accensione per avvertire una sensazione di tepore. Una volta raggiunta la temperatura ottimale, il calore viene assorbito e trattenuto da muri e arredi più a lungo rispetto ai sistemi convenzionali: i dati indicano che il calore può durare fino a 30 ore dopo lo spegnimento, grazie all’inerzia termica accumulata. Inoltre, dato che l’apparecchio non produce fumi né sostanze di combustione (come ossidi di azoto o monossido di carbonio), la qualità dell’aria domestica diventa più salubre.

    E ancora, i raggi infrarossi, che penetrano nelle pareti e nei soffitti, aiutano ad asciugare l’umidità eventualmente presente, prevenendo condensa e muffe. Infine, eliminando termosifoni, tubature, caldaie, si recupera spazio nelle stanze e, poiché la configurazione non ha parti meccaniche in movimento come pompe o bruciatori, si riduce la necessità di manutenzione.

    Dal punto di vista energetico, alcuni studi indicano che questi pannelli possono ridurre i consumi fino al 76% rispetto al riscaldamento elettrico a convezione e fino al 14% rispetto a quello a gas.

    Cosa succede al pianeta

    Le soluzioni contro la crisi climatica, così possiamo invertire la rotta

    di Giacomo Talignani

    15 Agosto 2025

    I primi riscontri e le prospettive future
    Gli appartamenti pilota sono monitorati con sensori dedicati e analizzati attraverso l’intelligenza artificiale, per raccogliere dati accurati su efficienza, comfort e durata del calore. I residenti si dichiarano soddisfatti dei risultati, ma non mancano le sfide.

    La principale riguarda i costi di messa in opera, ancora elevati: si stima che per dotare dell’impianto una casa di medie dimensioni servano oltre 4.500 euro, una spesa che rende per ora la tecnologia poco accessibile al grande pubblico. I ricercatori sono, tuttavia, ottimisti: con l’aumento della produzione e il progresso degli studi, i costi potrebbero progressivamente diminuire. LEGGI TUTTO

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    Cosa piantare nell’orto a ottobre: guida pratica per l’autunno

    Con l’arrivo dell’autunno, l’orto si trasforma e si prepara ad accogliere nuove semine e nuovi trapianti. Ottobre è il mese ideale per organizzare le coltivazioni, scegliendo frutta e verdura di stagione che rispettino l’ambiente e il ciclo naturale. Ma c’è di più, perché consumare prodotti locali e autunnali non solo è più sostenibile, ma permette anche di godere dei sapori tipici di questo periodo dell’anno. Il mese di ottobre è anche particolarmente strategico: l’orto si arricchisce di verdure a ciclo breve, perfette da raccogliere prima dei grandi freddi, e ospita trapianti importanti come cavoli, finocchi e lattughini.

    Ottobre in orto: cosa seminare e come organizzarsi
    Con l’abbassarsi delle temperature, l’orto va pianificato con attenzione. La semina in pieno campo tende a ridursi, perché molte piante non tollerano il freddo. Tuttavia, nelle regioni dal clima mite, alcune coltivazioni possono ancora essere avviate direttamente in aiuole. In tutti gli altri casi, la soluzione migliore è il semenzaio: protegge le piantine dal freddo notturno e accelera la germinazione grazie al calore controllato. Gli ortaggi da seminare a ottobre si dividono in due categorie principali:
    Coltivazioni veloci a crescere, come lattuga, lattughino, spinaci e rapanelli;
    Ortaggi resistenti al freddo, tra cui cipolle, aglio, piselli e fave.
    Si possono aggiungere anche rucola, radicchio, scalogno, cime di rapa, cavolo verza e carote, ideali per l’orto autunnale.

    Trapianti a ottobre: le piante da mettere a dimora
    Il trapianto consiste nello spostare in pieno campo piante già sviluppate, una tecnica utile per anticipare la raccolta e aumentare le possibilità di sopravvivenza al freddo. A ottobre, ad esempio, i trapianti più frequenti (e consigliati) riguardano queste verdure:
    Cavoli (cappuccio, broccolo, cavolfiore);
    Biete da coste;
    Cime di rapa;
    Finocchi;
    Porri invernali.
    Per ottenere il massimo dai trapianti (e dalle semine), è fondamentale seguire la rotazione colturale, controllare le temperature e scegliere sementi adatte alla stagione.

    Cosa raccogliere nell’orto in ottobre
    Anche se le temperature scendono, l’orto continua a offrire frutti del proprio lavoro. Ad esempio, questo mese permette ancora di raccogliere gli ultimi pomodori e basilico, che concludono il loro ciclo vegetativo. Non mancano poi i prodotti tipici dell’autunno, come le olive, le castagne, i funghi, le mandorle e le nocciole. E naturalmente, la zucca, protagonista indiscussa delle tavole di ottobre: un evergreen per eccellenza.

    Frutta di stagione a ottobre: mele, pere, uva e altro
    Anche la frutta segue il ritmo delle stagioni. A ottobre di solito si raccolgono grandi quantità di mele, di pere, di uva (periodo ideale perché inizia la vendemmia), i cachi, i kiwi, ottimi alleati della stagione che anticipa l’inverno. Consumare frutta di stagione è sempre un’ottima scelta: significa rispettare i tempi della natura e valorizzare i prodotti locali.

    Orto a ottobre: consigli pratici per semina e coltivazione
    Un orto sano richiede cure quotidiane. Prima di seminare o trapiantare, è importante seguire alcune regole di base. Pur sembrando banali e conosciute già da tutti, in realtà è sempre bene tenerle a mente e rispolverarle a ogni cambio stagione. Qui le principali:
    Luce: le piante necessitano di almeno 7 ore di sole al giorno. Evitare zone d’ombra sotto grandi alberi;
    Disposizione: le piante alte non devono ombreggiare quelle più basse;
    Irrigazione: fondamentale per la crescita, soprattutto nei periodi meno piovosi;
    Concimazione: preferire sostanze organiche che stimolano i microrganismi del terreno, evitando diserbanti chimici.

    Come sistemare le piante nell’orto
    L’altro grande interrogativo che attanaglia la mente di chi deve fare l’orto a ottobre è: dove posiziono le piante e come? Anche in questo caso, bastano davvero piccoli accorgimenti per fare sì che tutto fili liscio senza intoppi. Ad esempio, i pomodori andrebbero posizionati a 40 cm, mentre la lattuga, la bietola e i finocchi, a 25 cm. Dieci i cm per cipolle, porri, aglio e ricola, mentre le carote e i ravanelli stanno a 3 cm. Una disposizione corretta permette alle piante di crescere senza ostacolarsi a vicenda e di ricevere luce e nutrienti in modo equilibrato.

    Altri lavori da svolgere in ottobre
    Oltre a piantare e trapiantare, ottobre è il momento di preparare l’orto per l’inverno e la nuova stagione. Prima di tutto, si dovrebbe ripulire l’orto dagli ortaggi estivi, poi preparare il terreno per le semine future. Step successivo? Organizzare il semenzaio per i trapianti primaverili e, step importantissimo, realizzare il compost che durante l’inverno arricchirà il terreno di sostanze nutritive. LEGGI TUTTO

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    Crisi del clima: “L’IA può essere una soluzione se ci poniamo le giuste domande”

    Se la principale emergenza mondiale che abbiamo di fronte è la crisi del clima, può l’intelligenza artificiale essere una soluzione per risolverla? Oppure, per via dei suoi enormi consumi di elettricità ed acqua per raffreddare i server, rischia di trasformarsi in una ulteriore criticità?
    È la domanda che, alla Dolomites Conference di Venezia organizzata dal think tank Vision, si sono posti diversi fra scienziati, esperti e policy makers in vista del futuro. LEGGI TUTTO

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    Come coltivare l’osmanto profumato

    Apprezzato per il suo fascino unico, l’Osmanthus fragrans incanta con i suoi piccoli fiori delicati, color bianco crema, giallo tenue e arancio. Eleganti, riuniti in grappoli e profumatissimi, fanno la loro comparsa in autunno e, oltre che per il loro aspetto incantevole, sono noti per il loro profumo intenso e dolce.

    Questa straordinaria pianta ornamentale non si distingue solo per la bellezza e la sua fragranza, ma anche per la notevole resistenza. Può essere coltivata in giardini, terrazzi e balconi, abbellendo ogni spazio in cui si trova. Con cure adeguate e azioni mirate, l’Osmanthus fragrans cresce in modo rigoglioso, potendo contare su una fioritura abbondante.

    Dove collocare l’osmanthus fragrans
    Chiamato anche osmanto profumato, l’osmanthus fragrans è originario di Cina e Giappone e appartiene alla famiglia delle Oleaceae. Questo arbusto sempreverde è noto in particolare per i suoi piccoli fiori molto profumati, la cui fragranza ricorda la vaniglia, ma evoca anche le note dell’albicocca e del gelsomino. Il nome stesso della pianta richiama questa caratteristica: osmanto deriva dal greco osmè, che significa odore, e anthos, che indica fiore.

    Ampiamente utilizzato per decorare parchi e giardini, presenta un portamento eretto e foglie verdi scure, lucide e dalla forma ovale. Può superare i 3 metri di altezza se coltivato in giardino e generalmente fiorisce durante l’autunno, tra settembre e novembre, anche se alcune varietà possono fiorire precocemente in primavera oppure avere una doppia fioritura.

    Coltivare l’Osmanthus fragrans è semplice, tenendo conto che si adatta a molteplici condizioni climatiche e terreni: grazie alla sua resistenza, l’arbusto richiede una bassa manutenzione, essendo alla portata sia di esperti di giardinaggio che di principianti.

    Prima di procedere con la semina, è fondamentale individuare il luogo più adatto in cui farlo crescere. L’Osmanto profumato preferisce il pieno Sole, che gli consente di fiorire in modo abbondante, pur tollerando anche la mezzombra. Quanto al terreno, richiede un substrato ben drenato, fertile e leggermente acido, dovendo aggiungere ghiaia o sabbia qualora sia troppo argilloso. La sua robustezza lo rende resistente, ma non tollera la salsedine, le temperature sotto lo zero e i venti freddi. Se coltivato all’aperto, in caso di clima rigido è necessario proteggerlo, ricorrendo ad esempio a uno strato di pacciamatura da porre alla sua base.

    Come coltivare l’Osmanthus fragrans
    Per coltivare l’Osmanthus in giardino bisogna considerare come il freddo intenso sia suo nemico e pertanto è consigliato procedere con la semina in piena terra nelle zone dal clima mite. I semi, avendo un guscio duro, vanno leggermente scarificati con un coltellino oppure della carta vetrata e poi lasciati in ammollo per 24 ore e successivamente conservati in frigo fino alla semina.

    In un terreno ben drenato, i semi vanno interrati a una profondità di 1-2 centimetri, coprendoli leggermente con la terra e lasciando tra ciascuno una distanza di 5-10 centimetri. Una volta cresciute, le piantine possono essere trapiantate a una distanza di 2-3 metri oppure, se si desidera realizzare una siepe, di 80 centimetri. L’Osmanthus fragrans può essere moltiplicato anche tramite talea e va trapianto preferibilmente in primavera. In caso di trapianto, occorre scavare una buca profonda e larga il doppio rispetto al vaso in cui si trova, ponendo sul fondo del fertilizzante a lenta cessione e procedendo poi con l’irrigazione.

    La coltivazione in vaso dell’Osmanto profumato è consigliata nelle zone con inverni molto freddi, visto che permette di spostare la pianta all’interno quando le temperature diventano rigide. Il vaso scelto deve avere una grandezza sufficiente che sia almeno 15-20 centimetri di diametro: per migliorare il drenaggio, sul fondo del recipiente si può collocare uno strato di biglie di argilla espansa. I semi vanno interrati a una profondità di 1-2 centimetri, mantenendo tra loro una distanza di 3-5 centimetri. Ogni 2-3 anni è necessario procedere con il rinvaso per garantire lo sviluppo corretto delle radici, ricorrendo a un contenitore più capiente.

    Cura dell’Osmanthus fragrans
    Oltre che apprezzato per la sua bellezza, l’osmanthus fragrans ha il pregio di non richiedere cure impegnative. Dal punto di vista delle irrigazioni, l’arbusto deve essere annaffiato in modo abbondante e costante, soprattutto in estate e primavera, se coltivato in vaso e in caso di piantine giovani. È sempre fondamentale evitare i ristagni idrici, responsabili dell’insorgere di malattie fungine e di danni alle radici. Durante l’inverno le irrigazioni possono essere ridotte.

    Dopo la fioritura si può procedere con la potatura, rimuovendo i rami malati, secchi e danneggiati, accorciando quelli irregolari e troppo lunghi e alleggerendo la chioma. La pianta va concimata in autunno o in primavera per stimolare il suo sviluppo.

    Consigli utili per la manutenzione dell’Osmanthus fragrans
    Pur essendo un arbusto molto resistente, l’Osmanthus fragrans presenta alcune criticità, che richiedono interventi immediati. Tra queste spiccano le foglie ingiallite o colpite da macchie brunastre, causate generalmente dalla ruggine, da trattare con prodotti specifici. L’ingiallimento delle foglie può essere dovuto anche da una carenza di ferro, responsabile inoltre della caduta precoce dei fiori. Quando il fusto appare indebolito, le foglie arricciate e le radici sofferenti si può sospettare di un drenaggio insufficiente, un terreno scarso di nutrienti e una carenza di calcio.

    Tra le altre problematiche che possono insorgere spicca il marciume radicale dettato dai ristagni idrici e responsabile di una crescita rallentata e della caduta delle foglie.

    La pianta è raramente colpita da afidi e cocciniglia, ma questo può accadere soprattutto se il clima è caldo e asciutto, chiedendo di intervenire prontamente con rimedi naturali come olio di lino, di neem e sapone molle o altri prodotti ad hoc. LEGGI TUTTO

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    In Sicilia i volontari antincendio salvano i boschi dai piromani: “Uniamoci per proteggere la terra”

    Nella Sicilia nord-occidentale, là dove il paesaggio si apre tra colline e vigne, sorge fiero il Monte Bonifato, massiccio calcareo che domina la città di Alcamo. Sulla sua sommità, vive un bosco fitto e rigoglioso di conifere, latifoglie, lecci, roverelle, dove si aggirano volpi, conigli selvatici, ricci, ma anche tordi, poiane e picchi rossi. Nel 1984 il territorio, ampio 314 ettari, è diventato una riserva naturale, affidata alla Provincia di Trapani.

    Biodiversità

    Incendi e crisi climatica stanno decimando le libellule

    a cura della redazione di Green&Blue

    12 Settembre 2025

    Una lunga storia di fiamme e distruzione
    Una zona, questa, nota per la vulnerabilità agli incendi, spesso di origine dolosa. Un rogo divampato nel 2012 ha distrutto gran parte della cima della montagna, mentre nell’estate del 2015 le fiamme hanno reso necessario l’intervento di vigili del fuoco, corpo forestale ed elicotteri. Per arginare il fenomeno, nel 2016 le istituzioni hanno affidato la manutenzione del bosco agli agenti di vigilanza: nonostante alcuni interventi, la situazione non è migliorata. Così varie associazioni, tra cui il presidio locale di Libera, hanno chiesto a gran voce interventi rapidi nel timore di ulteriori disastri: preoccupazioni che si sono rivelate fondate, visto che gli incendi si sono ripetuti negli anni seguenti distruggendo la vegetazione.

    Il successo dell’azione collettiva dal basso
    Di fronte all’inerzia degli enti, gli abitanti della zona si sono organizzati in autonomia per proteggere il territorio. Nell’estate del 2024 è nata un’esperienza di sorveglianza popolare antincendio, promossa dal collettivo ambientalista Muschio ribelle. La mobilitazione ha avuto come base operativa l’ex ostello della Funtanazza, in seguito sgomberato dalla Provincia. Con buona volontà e attrezzature di base, i volontari hanno assicurato una presenza quotidiana nei mesi più caldi e asciutti, fungendo da sentinelle contro possibili piromani. Un impegno che ha dato i suoi frutti: per la prima volta dopo molto tempo, nessun rogo ha colpito il bosco.

    Riuso

    Los Angeles, la nuova vita del legno dopo gli incendi

    di Paolo Travisi

    11 Settembre 2025

    Nell’estate del 2025 l’opera è proseguita, grazie a 28 volontari provenienti da Alcamo, dai Comuni vicini, come Castellammare del Golfo, Calatafimi, Trapani-Erice, e perfino da altre regioni. Concentrandosi sui giorni più critici, nei quali soffia il vento di scirocco, i cittadini hanno effettuato turni di perlustrazione per un totale di 10 giornate di allerta e circa 58 ore di presenza. Muniti di giubbotti ad alta visibilità, binocoli, cellulari, blocchetti di carta per annotare numeri di targa o movimenti anomali, si sono rivelati un utile deterrente: anche quest’anno, infatti, nessun incendio è stato appiccato nelle aree sorvegliate.

    L’appello agli enti locali
    L’iniziativa popolare ha sensibilizzato gli enti preposti, anche se per quanto riguarda la collaborazione ufficiale permangono problemi.

    Biodiversità

    Così i castori possono aiutare a mitigare gli incendi

    di Sandro Iannaccone

    08 Settembre 2025

    “Abbiamo denunciato, per esempio, la presenza di discariche abusive ai piedi del monte, che aumentano il rischio incendiario”, fa sapere Baldo Lucchese, esponente di Muschio ribelle. “Dopo avere promesso un intervento con i droni, l’amministrazione non vi ha dato seguito. Parallelamente, resta irrisolta la questione della gestione della Funtanazza, bene pubblico che rischia di essere nuovamente abbandonato, perdendo l’opportunità di farne un presidio permanente per la riserva. La speranza è che le istituzioni non ci percepiscano come una minaccia, ma come una risorsa da integrare nelle strategie di gestione del patrimonio ambientale”.

    In attesa che questa auspicata sinergia si concretizzi, gli attivisti lanciano il loro appello: “Uniamoci per proteggere e rigenerare la nostra terra. Possiamo essere le gocce che spengono gli incendi”. LEGGI TUTTO

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    Oceani sempre meno verdi, negli ultimi 20 anni è diminuito il fitoplancton

    Per la maggior parte blu, ma a volte, a tratti in maniera più o meno apprezzabile, anche verde. Parliamo dei colori di mari e oceani, dove vivono, tra gli altri, piccolissimi e preziosi organismi complessivamente noti come fitoplancton, come alghe e batteri fotosintetici, alla base della catena alimentare marina. Ma a viverci sono sempre meno: […] LEGGI TUTTO

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    Le scienziate: “Catturiamo le emissioni delle navi per aiutare gli oceani”

    Accompagnata dal ruggito dei motori, una portacontainer attraversa il Mediterraneo lasciando dietro di sé fumi inquinanti, che contribuiscono all’acidificazione degli oceani e al riscaldamento globale. Oggi il trasporto marittimo è, infatti, responsabile di circa il 2-3% delle emissioni di gas serra, una percentuale da ridurre con urgenza. A cimentarsi in questo ambizioso obiettivo sono due giovani scienziate: Alisha Fredriksson, laureata in business e scienze ambientali alla Minerva University, e Roujia Wen, con una laurea all’Università di Cambridge, nel Regno Unito, cui è seguito un master in fisica teorica. Insieme hanno fondato nel 2021, a Londra, la startup Seabound, ricoprendo rispettivamente i ruoli di amministratore delegato e di consulente tecnica.

    All’interno dell’azienda si è sviluppato il sistema chiamato Onboard Carbon Capture, una tecnologia basata sul principio del calcium looping, cioè su un ciclo chimico di assorbimento e rigenerazione del carbonio.

    Come funziona il sistema
    In pratica, i vapori di combustione prodotti dal motore della nave vengono convogliati in un contenitore riempito di piccole pietre bianche di calce viva, che reagiscono con l’anidride carbonica presente negli scarichi trasformandola in calcare, una sostanza solida sotto forma di minuscoli sassolini, facilmente stivabili a bordo. LEGGI TUTTO

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    Per salvarci dal riscaldamento globale dobbiamo “cambiare approccio”

    Mentre tutto cambia, fuori dalle finestre delle aule dell’Isola di San Servolo – dove studiano i giovani della Venice International University – si intravede un promemoria che ricorda a tutti una tendenza che non muta affatto: il livello del mare, qui, continua a crescere. In Laguna il livello del mare aumenta ogni anno, secondo uno studio dell’INGV, di quasi 0,59 centimetri: di questo passo gli esperti temono che entro il 2150 un’area di 139 chilometri quadrati della città di Venezia finirà per essere sommersa. Per questo, non a caso, proprio nel cuore della Laguna – davanti a San Marco e sull’isola di San Servolo – da giovedì centinaia di studenti, professori, esperti, policy makers, politici e rappresentanti del mondo dell’industria si sono dati appuntamento per la quarta Dolomite Conference “Global Governance del Climate Change and Sustainability – Venice Edition”, un appuntamento organizzato dal think tank Vision che mira a prendere di petto la questione climatica. L’idea base della conferenza è quella di mettere a confronto giovani ed esperti e trovare soluzioni pragmatiche da indicare e discutere in vista della COP30, la grande conferenza delle parti sul Clima che inizierà a novembre a Belem, nel cuore dell’Amazzonia.

    Oltre 100 i partecipanti a confronto: il 43% ha meno di 35 anni e più di un terzo è rappresentato da donne. In sostanza, agli stessi giovani di università quali Bocconi, Polimi, Ca’ Foscari e LUISS, tutti preoccupati per il loro futuro che sarà inevitabilmente condizionato dalla crisi del clima, viene offerta la possibilità di misurarsi con il mondo delle aziende e della politica per indicare in maniera concreta le scelte necessarie “non tanto per salvare il Pianeta, ma più che altro l’umanità” ricorda il professor Francesco Grillo, direttore di Vision. Chiusi nelle stanze di San Servolo, all’interno di quelli che vengono chiamati PSGG, i giovani lavorano così per elaborare soluzioni che verranno poi inserite nel Manifesto delle Dolomiti, documento che sarà presentato direttamente alla COP30. Per esempio si ragiona – grazie a un caso studio fatto sulle città di Barcellona e Atene – su quali strumenti di finanza pubblica e privata siano necessari per migliorare l’adattamento delle persone nelle città che si riscaldano e restano senz’acqua, suggerendo come un maggior coinvolgimento della finanza privata possa portare a benefici per i cittadini. Oppure, parlando di rifiuti, ci si interroga come possano le città andare oltre la differenziazione per migliorare la circolarità e la trasparenza lungo l’intera filiera o ancora come dovrebbero essere ridisegnate e riprogettate le città in grado da poter ospitare al meglio l’evoluzione dei veicoli a guida autonoma che, in futuro, saranno un modo per “per spostare persone e merci in modo più sostenibile”.

    L’evento

    Verso Cop30, a Venezia la Dolomite Conference sul clima

    di Giacomo Talignani

    07 Ottobre 2025

    E quali incentivi servirebbero – per esempio per rendere le città più green – per riuscire a coinvolgere di più i cittadini sia nel processo della transizione energetica sia nel ristrutturare abitazioni e infrastrutture energivore e fortemente emissive che oggi peggiorano la crisi del clima?. Sono tutte domande che gli studenti si pongono, e a cui tentano di trovare risposte, dopo un periodo estremamente difficile in cui il mondo sembra aver perso fiducia (e investimenti) nella lotta alla crisi del clima necessaria proprio per scongiurare scenari drammatici come quelli dell’innalzamento dei mari a Venezia, per esempio. Se ci pensiamo bene, ricorda Oliver Morton di The Economist, negli ultimi “tre anni è cambiato tutto. Prima il mondo ha imparato a uscire da una pandemia devastante, poi ci sono state le elezioni di Donald Trump. Nel mezzo due conflitti, l’imminente crescita dell’intelligenza artificiale e un’economia stravolta. Però una cosa non è cambiata: la tendenza delle temperature a salire, tanto che gli ultimi tre anni sono stati nuovamente fra i più caldi della storia”. E allora, chiede il giornalista scientifico ad una serie di relatori della Dolomites Conference, come possiamo fare a rimettere la questione climatica al centro?. La risposta, per tutti, è che bisogna cambiare, ripartire da come il nuovo mondo è stato ridisegnato negli ultimi tre anni e trovare dunque nuove soluzioni. Per l’ex ministro dell’Ambiente del Brasile, Izabella Teixeira, il cambiamento in atto ha portato attualmente a comandare nelle stanze “la politica, e non la politica climatica, quella che servirebbe ripristinare. Se vogliamo soluzioni al problema delle emissioni climalteranti dobbiamo partire dalle differenze: ogni Paese, e soprattutto quelli inquinatori, deve impegnarsi di più nei suoi NDC (i piani climatici) e renderli fattibili. Ma ci vuole anche più ambizione e cambiare approccio, un approccio che oggi deve mettere al centro le nuove sfide, che non sono più quelle di ieri, ma sono diverse, come per esempio la corsa ai minerali critici e alle risorse naturali che si sta verificando”.

    Che “qualcosa è cambiato”, parafrasando il titolo di un famoso film, è evidente anche per Carlo Carraro, ex rettore della Ca’ Foscari che ha lavorato ai rapporti dell’IPCC (Gruppo intergovernativo cambiamenti climatici). “Fra tante cattive notizie ci sono anche segnali incoraggianti – dice – come il fatto che in alcune aree, in Europa o Giappone o Gran Bretagna ad esempio, le emissioni stanno scendendo. Il problema è che la velocità a cui scendono, rispetto a quella con cui avanza il riscaldamento, è insufficiente. Però a mio parere per continuare a ridurle, per investire su questo cambiamento, abbiamo bisogno di cambiare e modificare i target, rivedendoli in maniera più realistica, dato che quello dei +1,5 gradi ad esempio ormai non lo è più. Rivedendo i target possiamo poi ripartire con nuovi obiettivi dai nuovi paesi industrializzati con strategie più concrete e fattibili. E poi, quello che servirebbe, è trovare un modo per ridistribuire i flussi di investimento: oggi sono spesso diretti verso la mitigazione, ma serviranno sempre di più per qualcosa di meno profittevole, come l’adattamento, perché la crisi del clima possiamo ridurla, ma non eliminarla”.

    Infine, aggiunge l’ex ministro Enrico Giovannini, direttore dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, per trovare nuovi strumenti nella lotta alla crisi climatica bisogna anche “cambiare linguaggio, usare nuove parole e concetti che colpiscano in maniera più diretta le persone. Negli ultimi tre anni abbiamo perso una cosa molto importante: i giovani nelle strade, come quelli di Fridays for Future, che ci ricordavano l’importanza di agire. Nel frattempo a livello internazionale tendiamo a cooperare sempre meno e competere di più e in questo contesto i cittadini si sono allontanati dalla questione climatica, spesso anche perché certi aspetti appaiono poco visibili. Se però, come ha fatto l’ex governatore Arnold Schwarzenegger, si parla direttamente di danni alla salute per inquinamento, le persone allora tendono ad ascoltare e ad unirsi alla battaglia”. Perché quindi – chiede Giovannini in una Venezia che soffre proprio di inquinamento – non parlare per esempio sempre di più di come smog e crisi del clima portano a 300mila morti premature ogni anno in Europa? Forse ci aiuterebbe a cambiare”. LEGGI TUTTO