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    Lo scioglimento del permafrost potrebbe rilasciare miliardi di tonnellate di CO2 in atmosfera

    È un circolo vizioso: l’anidride carbonica in atmosfera provoca l’aumento delle temperature; le temperature in aumento provocano lo scioglimento del ghiaccio e del permafrost; il permafrost, sciogliendosi, riversa altra anidride carbonica in atmosfera. Oggi conosciamo meglio l’entità di questo fenomeno grazie a uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Earth’s Future, i cui autori hanno combinato dati osservazionali con un modello biogeochimico per stimare la quantità di carbonio emessa dal permafrost in scioglimento, fino al 2100, in due scenari diversi.

    Nello scenario più pessimistico, quello in cui continueremmo a sfruttare i combustibili fossili, sarebbero riversate in atmosfera circa 20 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Una quantità assolutamente non trascurabile, ma – va sottolineato – inferiore a quella direttamente dovuta alle attività umane, che nel solo 2023 hanno causato l’emissione di 11,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica in atmosfera. Il permafrost è il suolo tipico delle regioni più fredde del mondo (ad esempio nord Europa, Siberia e America settentrionale): si tratta sostanzialmente di terreno ghiacciato composto di materiale organico che ha “intrappolato” per millenni anidride carbonica. Nelle regioni in cui le temperature scendono a meno di cinque gradi sotto lo zero, il permafrost è congelato in modo permanente. Durante l’Ultimo massimo glaciale, ossia il periodo durante il quale si ebbe la maggiore espansione dei ghiacci, circa 20mila anni fa, il permafrost copriva un’area molto più vasta di quella che copre attualmente, in particolare a partire dagli anni Ottanta, quando l’aumento delle temperature ha iniziato a diventare sempre più veloce e sensibile. Ed è proprio questa instabilità del permafrost a preoccupare oggi i climatologi.

    Riscaldamento globale

    Danni irreversibili alla criosfera, lo scioglimento dei ghiacciai non è più sostenibile

    di  Pasquale Raicaldo

    13 Novembre 2024

    Modellizzare il fenomeno, tuttavia, è molto complesso, perché molte sono le variabili in gioco. Gli autori dello studio appena pubblicato, un’équipe di scienziati della Zhengzhou University, hanno valutato profili dettagliati del carbonio intrappolato nel permafrost fino a sei metri di profondità, il doppio rispetto a quanto avevano fatto i lavori precedenti. In questo modo, hanno stimato che il permafrost dell’emisfero settentrionale contenesse 563 miliardi di tonnellate di carbonio tra il 2010 e il 2015, “seppellite” in un’area di quasi quindici milioni di chilometri quadrati. Gli scienziati, inoltre, hanno considerato due scenari diversi: il primo, decisamente ottimista, in cui riusciremo a contenere l’aumento delle temperature entro i due gradi centigradi; il secondo, peggiore ma purtroppo più realistico, in cui l’umanità continua a dipendere dallo sfruttamento dei combustibili fossili. Nel primo scenario, i ricercatori hanno stimato lo “scongelamento” di circa 119 miliardi di tonnellate di carbonio; nel secondo, la cifra sale a 252 miliardi di tonnellate. Fortunatamente, solo una piccola parte (tra il 4% e l’8%) finirà effettivamente in atmosfera, ossia 10 miliardi di tonnellate nello scenario più ottimista e il doppio in quello più pessimista. Tra l’altro, gli scienziati sottolineano che potrebbero verificarsi altre complicazioni (eventi di scioglimento improvvisi, dovuti per esempio a una diversa attività microbica) che aumenterebbero ancora di più la quantità di anidride carbonica immessa in atmosfera. Una ragione in più per insistere nelle azioni di contrasto al cambiamento climatico. LEGGI TUTTO

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    Gli utensili in plastica nera sono nocivi per la salute?

    Il mestolo per mescolare la zuppa, la pinza per impiattare gli spaghetti, la paletta per servire le melanzane al forno. Se sono in plastica nera, meglio tenerli o buttarli via? È questo il dilemma da quando i ricercatori di Toxic-Free Future e della Vrije Universiteit di Amsterdam hanno sostenuto, in uno studio pubblicato nell’ottobre 2024 sulla rivista Chemosphere, che negli oggetti realizzati con questo materiale sono presenti sostanze chimiche nocive. In particolare, la ricerca ha analizzato 203 prodotti per la casa, tra cui 109 utensili da cucina, 36 giocattoli, 30 accessori per capelli e 28 articoli per la ristorazione, concludendo che contengono ritardanti di fiamma tossici. Tra questi, gli eteri di difenile polibromurati, collegati a un aumentato rischio di malattie della tiroide, e il decabromodifeniletere, chiamato anche Bde-209 o decaBde, associato a un incremento di cancro, ad alterazioni endocrine, a tossicità neurologica e a danni riproduttivi.

    Dalla tv al vassoio per il sushi
    La storia comincia negli anni Settanta del secolo scorso, quando le aziende hanno iniziato ad aggiungere questi composti ad alcuni prodotti, come televisori e computer, per rallentare la propagazione degli incendi. Nei decenni seguenti tali sostanze sono state vietate nell’Unione europea, negli Stati Uniti e, più recentemente, anche in Cina proprio a causa della loro tossicità. Il problema è che spesso gli apparecchi elettronici, inclusi quelli realizzati prima del divieto, sono destinati, una volta dismessi, a essere riciclati. Può accadere così che la materia di cui sono formati finisca, dopo un’opportuna lavorazione, anche nei pelapatate e nei vassoi di plastica per il sushi, oltre che in collane di perline e in fermagli per la chioma.

    Scenario, frequenza, errori
    Ma per comprendere la reale portata dell’analisi di recente data alle stampe, che ha suscitato più di qualche allarmismo, è necessario tenere conto di alcuni elementi. Primo: lo studio ha considerato lo scenario peggiore, stimando i livelli di tossine presenti sulla base di una ricerca pubblicata nel 2018, che aveva analizzato utensili contenenti un’alta concentrazione di ritardanti di fiamma immersi in olio caldo per 15 minuti. Secondo: la contaminazione non si è rivelata frequente (per esempio, solo 14 prodotti su oltre 200 contenevano Bde-209). Terzo: nella ricerca è stato commesso un errore di calcolo, in seguito riconosciuto e corretto dagli stessi autori.

    Per uno zero in meno
    Nello specifico, i ricercatori avevano stimato che un utensile da cucina contenente Bde-209 avrebbe potuto trasferire agli alimenti, con un uso regolare durante la cottura, 34.700 nanogrammi di contaminante al giorno. Visto che la quantità considerata sicura dall’Environmental Protection Agency è 7 mila nanogrammi per chilo di peso corporeo al giorno, ipotizzando che il peso medio di un adulto sia circa 60 chili si otterrebbe il valore di 420 mila nanogrammi. Tuttavia, gli autori hanno dimenticato uno zero, riportando un limite giornaliero di 42 mila nanogrammi. Lo sbaglio ha fatto sembrare che l’esposizione stimata fosse quasi al limite di sicurezza, anche se in realtà era molto inferiore.

    Gli esperti raccomandano un uso attento
    Un abbaglio che potrebbe sembrare significativo, ma che viene minimizzato dagli autori del documento, che sostengono che “non influisce sulle conclusioni”, le quali restano “preoccupanti”. A rassicurare i consumatori è Joseph G. Allen, professore di Salute ambientale all’Università di Harvard, negli Stati Uniti. “Nelle abituali condizioni d’uso, è molto improbabile che le sostanze tossiche vengano rilasciate nel cibo a livelli tali da creare rischi per la salute”, afferma.

    Come regolarsi, quindi, visti i pareri contrastanti? Gli scienziati suggeriscono di tenere pure nel cassetto della cucina mestoli, palette, forchettoni, ma di mettere in pratica qualche accortezza per tutelarsi, come evitare di lasciare questi utensili in pentole o padelle calde, non riscaldare il cibo in contenitori di plastica nera, eliminare gli oggetti scheggiati o ammaccati per scongiurare la contaminazione. E, quando possibile, limitarne l’impiego, per esempio preferendo cucchiai di legno e pinze in metallo. LEGGI TUTTO

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    Kentia, la palma sempreverde da casa o ufficio

    La kentia o kenzia è una pianta da interno che si presenta con un fusto singolo che sembra ricordare una palma. Diamo uno sguardo a tutti gli aspetti più importanti per una crescita corretta e sana.
    La cura e l’esposizione della kentia (o kenzia)
    La kentia o howea forsteriana è una palma della famiglia delle arecaceae che non richiede chissà quali abilità per la sua coltivazione, anche se molto spesso si pensa il contrario. Si presenta con foglie pennate di colore verde scuro ed è in grado di raggiungere i 2-3 metri, mentre nel suo habitat naturale arriva addirittura ai 18 metri d’altezza. I fiori di questa pianta sono rari da vedere in casa, ma compaiono in estate e sono di colore verde o bruno chiaro. Successivamente, spuntano i frutti di colore rosso-arancio.

    Questa specie botanica si caratterizza per una crescita lenta, che riesce a regalare poche foglie annualmente. Anche se si sviluppa con lentezza, in realtà questa pianta è in grado di adattarsi alla perfezione a quegli ambienti dove le condizioni di luminosità sono scarse. È importante ricordare, però, che questa pianta non ama l’esposizione diretta alla luce del sole, specie durante la stagione più calda dell’anno. Quindi, dalla primavera all’autunno è fondamentale fare molta attenzione per evitare di danneggiare le sue foglie.

    Suggeriamo di collocare la pianta in un ambiente dove può avere a disposizione luce diffusa e abbondante, magari schermata da delle tende. Con il sopraggiungere dell’inverno, invece, la kenzia può essere esposta anche alla luce diretta. L’assenza totale di luce non permetterà alla pianta di svilupparsi e produrre nuova vegetazione. Per quanto riguarda la temperatura, invece, gradisce una minima di 10°C e massima compresa tra i 18°C e i 25°C. Va sottolineato che si tratta di una pianta che non subisce alcun danno con sbalzi di temperatura tra la notte e il giorno.

    Qual è il terreno migliore per la pianta?
    Il terreno ideale per una kenzia è studiato appositamente per una pianta d’appartamento: infatti, sarà necessario collocare sul fondo del vaso argilla espansa utile ad evitare il ristagno idrico e che garantisce il drenaggio corretto. Questa pianta ama i terreni con il pH leggermente acido/neutro (6,5 – 7,5). Selezionando torba e corteccia è possibile garantire un ottimo mix all’interno del vaso per migliorare la crescita della pianta.

    Quando e come annaffiarla
    Per annaffiare in maniera corretta la kentia o kenzia è necessario considerare che i primi strati del terreno devono essere asciutti. Infatti, si può procedere solo in questo momento, poiché la pianta non gradisce troppa acqua. Il suggerimento è di controllare anche le condizioni climatiche: durante l’estate è necessario irrigare con più frequenza, mentre in inverno le annaffiature si possono diminuire.

    La concimazione
    Per concimare al meglio la kenzia si può selezionare un prodotto ideale per piante verdi: in questo modo, durante l’intero anno si può bagnare la pianta, arricchendo l’acqua con la quantità corretta di concime liquido. È importante selezionare un prodotto che contiene al suo interno una quantità ottimale di azoto, così da offrire una crescita migliore alla pianta.

    Che cosa fare quando le foglie sono secche?
    A volte, le foglie della kentia possono apparire secche in punta: questo è sintomo del fatto che l’aria è troppo asciutta. Per intervenire correttamente con le foglie secche delle kentia si può aumentare l’umidità oppure spostare la pianta in un altro luogo della casa o dell’ufficio. In questo modo, le parti secche scompaiono. In alternativa, si può intervenire tagliandole con una forbice. È importante seguire la forma della foglia nel rimuovere la parte secca, così da mantenere la sua forma.

    Che fare se le foglie presentano macchie marroni?
    Un’altra problematica che si manifesta sempre sulle foglie della pianta riguarda la comparsa di macchie marroni. In questo caso, il problema si può ricondurre alle scarse annaffiature oppure a un’esposizione a temperature eccessivamente basse. Prestando attenzione a questi fattori è possibile evitare la comparsa di queste macchie sulle foglie.

    È possibile ottenere delle talee?
    In realtà la propagazione della kentia è davvero molto complicata e non si possono ottenere delle talee, cosa che con altri tipi di palme è possibile fare. Proprio per questo, sconsigliamo di effettuare esperimenti di questo genere con la pianta: se stesse pensando come alternativa alla propagazione per seme, in realtà anche questa è decisamente improbabile.

    Il rinvaso e la potatura
    Con l’arrivo della primavera si può effettuare il rinvaso della kentia. In media è bene effettuare questa operazione ogni 2 anni, così a poter accompagnare al meglio lo sviluppo della pianta ed evitare un apparato radicale troppo fitto. Suggeriamo di selezionare un vaso leggermente più ampio, senza eccedere nelle dimensioni. La kentia è una pianta che non va potata.

    Malattie e parassiti
    Proprio come succede per molte piante d’appartamento, la kenzia può essere attaccata dal ragnetto rosso e dalla cocciniglia. Entrambi i problemi si possono risolvere intervenendo con prodotti specifici per questi parassiti. Così facendo si evita di indebolire la pianta o rallentare maggiormente la crescita della vegetazione. Ricordiamo anche di evitare eccessi idrici, poiché questi fanno comparire ristagno idrico e possono addirittura portare alla morte della pianta. LEGGI TUTTO

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    Risparmio energetico e bonus 2025: tutte le novità

    Detrazioni per risparmio energetico con aliquote ridotte e addio allo sconto per le caldaie autonome a gas. Il 2025, però, potrebbe essere l’anno di incentivi rafforzati e agevolazioni semplificate per i pannelli solari per i gruppi di autoconsumo e le Comunità energetiche. Sta per essere varato infatti il Conto Termico 3.0 e si annuncia un ulteriore ampliamento dei finanziamenti. Ci sarà inoltre ancora per un anno la possibilità di avere il bonus per gli arredi e gli elettrodomestici a basso consumo per chi ha lavori di ristrutturazioni in corso, e arriva un nuovo bonus elettrodomestici per chi deve semplicemente rottamare vecchi frigoriferi, lavatrici o lavastoviglie.

    Fisco verde

    Dai pannelli alle caldaie: aumentano gli impianti finanziati dal “Conto termico”

    di  Antonella Donati

    18 Dicembre 2024

    Le nuove regole per l’ecobonus
    Per quanto riguarda le detrazioni per risparmio energetico, sia nell’ambito del bonus casa che per l’ecobonus, per il 2025 è prevista un’aliquota unica al 50%, senza più differenze, quindi, in base alla tipologia di intervento. Questa aliquota, però spetta solo per l’abitazione principale e solo per i proprietari o i titolari di diritti reali, ossia l’usufrutto e il diritto di abitazione per eredità o stabilito dal giudice. Non sarà più possibile avere la detrazione da parte dei familiari se chi vive nell’appartamento è un parente, ma neppure per comodatari e inquilini. Per le seconde case, invece, la detrazione scende al 36%. Inoltre c’è lo stop alle agevolazioni per le caldaie autonome alimentate solo a gas, come previsto dalla direttiva Case Green. Ammesse alle agevolazioni solo le caldaie ibride, ossia gli impianti che abbinano il gas ad una pompa di calore. Detrazione confermata, invece, per caldaie e stufe a legna o pellet, oltre che per i climatizzatori, in tutti i casi con aliquota differenziata tra prima casa e altre abitazioni. Bonus elettrodomestici per chi rottama quelli più datati.

    Fisco verde

    Rinnovabili, bonus per pannelli solari e gruppo di autoconsumo: come funziona

    di  Antonella Donati

    26 Novembre 2024

    Anche per il 2025, poi, viene confermato il bonus mobili, ossia la detrazione del 50% per l’acquisto di arredi ed elettrodomestici da destinare alla casa ristrutturata. Per chi non ha lavori in corso è stato introdotto un bonus ad hoc finalizzato all’acquisto di grandi elettrodomestici a basso consumo (lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi) a fronte della rottamazione di quelli più vecchi. Il bonus, fino al 30% del costo, può avere un importo massimo di 100 euro che verrà raddoppiato a 200 per gli acquirenti con un Isee al di sotto dei 25.000 euro. A disposizione un fondo di 50 milioni di euro. Sarà però necessario un decreto con le norme attuative prima di poter accedere all’agevolazione.

    Fisco verde

    Perché le pompe di calore convengono al portafogli e all’ambiente

    di  Antonella Donati

    21 Ottobre 2024

    Contributo per i pannelli
    Per chi sta pensando all’installazione dei pannelli solari, invece, arriva la possibilità di avere, in alternativa alla detrazione, il rimborso da parte del Conto Termico 3.0 se i panelli sono destinati ad alimentare un nuovo impianto di riscaldamento a pompa di calore. Rientrano nell’incentivo anche i sistemi di accumulo e le colonnine di ricarica per veicoli elettrici, e si potrà far ricorso anche ad una Esco, ossia una società energetica per realizzate l’impianto agevolato.

    Nuovi incentivi per l’autoconsumo
    Nuovi contributi in arrivo anche per i gruppi di autoconsumo. A questo proposito il ministro Picchetto ha annunciato nuove misure, volte proprio ad incentivare l’autoconsumo collettivo in tutte le sue forme. Si tratterà di un pacchetto complessivo che comprenderà semplificazioni per l’accesso all’agevolazione, un ampliamento della platea dei beneficiari, un allargamento della finestra temporale di apertura dello sportello del Gse per la presentazione delle domande per gli incentivi, ma anche nuove modalità di accesso alle garanzie finanziarie per chi intende realizzare una Comunità energetica. LEGGI TUTTO

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    La rosa di Natale, la sempreverde dai fiori di tanti colori

    Pianta di mezz’ombra, l’elleboro è conosciuto grazie al suo fogliame sempreverde, ma anche grazie ai suoi fiori colorati. Più comunemente conosciuta come “rosa di Natale”, questa pianta fiorisce da febbraio ad aprile, ma è possibile osservare la bellezza della sua fioritura anche in modo precoce: come? Riparandola sotto una campana di vetro al sole, da circa metà novembre in poi. Prendersene cura non è complesso, ma come ogni pianta anche l’Elleboro necessita di alcune costanti attenzioni.

    Elleboro: consigli per la coltivazione
    Originaria dell’Europa e appartenente alla famiglia delle Ranuncolacee, l’elleboro resta una delle piante predilette delle festività di Natale. Coltivarla non è difficile, basterà seguire passo dopo passo alcuni piccoli consigli utili per il benessere della pianta. Intanto, questa meravigliosa rosa di Natale è molto resistente al freddo, anche se quelle coltivate in vaso sono un po’ più sensibili rispetto a quelle coltivate in giardino. A prescindere da ciò, l’elleboro preferisce un’esposizione di mezz’ombra o luce schermata: sì alla luce del mattino durante il periodo invernale, ma no al sole diretto durante l’estate, stagione durante la quale ha bisogno di stare in un luogo fresco e arieggiato.

    Coltivazione in vaso dell’Elleboro
    Oltre a decorare bordure e giardini, la rosa di Natale può essere coltivata anche in vaso dentro casa e/o in fioriere su terrazzi e balconi. In questi casi bisognerà stare attenti al tipo di contenitore e al terreno, due elementi fondamentali ai fini del benessere della pianta. Se piantata in vaso, quindi, sarà necessario assicurarsi che questo sia abbastanza profondo; questo perché le rose di Natale hanno radici molto profonde e hanno di conseguenza bisogno di spazio per adattarsi al terreno. Inoltre, il vaso selezionato per il vostro elleboro dovrebbe avere un’apertura nel fondo; in questo modo l’acqua in eccesso post annaffiatura defluirà naturalmente ed eviterà il tanto temuto ristagno, mai troppo apprezzato dalle piante. Come terriccio, invece, quello per rose sarà perfetto. Nel caso in cui la rosa di Natale sia in casa, il consiglio principale è quello di spostarla fuori di tanto in tanto per farle “prendere aria”. L’unica attenzione da prestare in questo caso è evitare il contatto diretto con i raggi del sole, a meno che non si tratti di raggi mattutini, ben tollerati dalla pianta.

    Rosa di Natale: l’esposizione ideale
    L’Elleboro non ha bisogno di troppa luce e predilige temperature in genere fresche, motivo per il quale il suo secondo nome è “rosa di Natale” e fiorisce proprio durante i mesi più freddi dell’anno. La sua esposizione ideale resta comunque la mezz’ombra: si può lasciare all’aperto anche durante tutto l’anno, ma bisogna sempre assicurarsi che in estate il sole non la colpisca direttamente perché potrebbe danneggiarla. Discorso simile anche per l’inverno, dove il troppo gelo, sebbene l’elleboro sia resistente, potrebbe indebolirla. In questo caso si consiglia sempre di coprire la pianta o spostarla in un luogo più riparato. Infine, la rosa di Natale può essere esposta anche in casa durante le feste, quindi a dicembre. In questo caso l’unica accortezza da avere riguarda la sua posizione. Si cerchi il più possibile di tenerla lontana da fonti di calore diretto come stufe, camini e termosifoni.

    Cura della Rosa di Natale: irrigazione e concimazione
    Una volta piantato, l’elleboro avrà bisogno di annaffiature regolari durante la primavera fino a tutta la stagione estiva. Discorso analogo anche per le rose di Natale più “mature”, che richiederanno una buona quantità di acqua soprattutto durante l’estate. In linea di massima ed escluso il periodo immediatamente precedente la fioritura o quello del trapianto, l’elleboro dovrebbe essere irrigato con non troppa frequenza. In inverno, ad esempio, si può procedere con l’annaffiatura anche una volta a settimana, ma prima ancora di farlo si dovrebbe sentire il terreno per capire il grado di umidità. Se il terreno è secco, la vostra rosa di Natale avrà bisogno di acqua (senza esagerare), ma fate sempre attenzione al sottovaso ed evitate sempre i ristagni di acqua, causa principale di malattie fungine. Per quanto riguarda invece la concimazione dovrebbe essere effettuata in primavera, con l’utilizzo di un concime organico ricco di azoto. Grazie a questa sostanza, infatti, la rosa di Natale avrà la possibilità di crescere più sana, più rigogliosa e con una fioritura più ricca. In estate, invece, si consiglia sempre di ridurre la concimazione per evitare che la pianta soffra le alte temperature.

    Come e quando potare
    Durante la fioritura è consigliabile recidere i fiori appassiti per dare la possibilità a quelli ancora in bocciolo di crescere in modo più vigoroso. Terminato il periodo della fioritura, invece, si dovrebbe procedere con la potatura delle parti secche della pianta, lasciandola successivamente in una zona fresca e umida nella quale trascorrere l’estate. In linea di massima la rosa di Natale non richiede una potatura obbligatoria e regolare, ma l’eliminazione delle foglie vecchie e danneggiate è da considerarsi un plus per il suo benessere. Si consiglia la potatura quando si vuole evitare che questo inselvatichisca.

    I colori della rosa di Natale: varietà e fioritura
    Pianta perenne perfetta da regalare proprio durante il periodo natalizio, l’elleboro è apprezzato sia per la sua resistenza, sia per la bellezza dei suoi fiori colorati, che possono variare da bianco (il più comune), al rosa, al verde, al viola e al rosso. La fioritura di questa pianta perenne è esteticamente appagante: il fogliame è verde brillante, mentre le corolle possono essere di più colori, anche se il bianco ricalca quello della tradizione natalizia. I fiori della rosa di Natale hanno petali lunghi e un “cuore” di stami bianchi.

    Le varietà più comuni di elleboro
    Tra le varietà più comuni dell’Elleboro (tecnicamente Helleborus niger), ci sono:
    Helleborus ‘Christmas Carol’: fiori bianchi, luminosi, boccioli tinti di rosa pallido;
    Helleborus ‘Potter’s Wheel’: fiori bianchi, piatti, capaci di raggiungere 9 cm di diametro;
    Helleborus niger ‘Praecox’: fiorisce già a novembre e i fiori sono tinti di un bianco acceso;
    Helleborus niger ‘Thibet’: ha foglie dentellate lucide e fiori singoli bianchi luminosissimi;
    Helleborus niger ‘Joséphine’: ha fiori semi-doppi colorati di un bianco cremoso e foglie verde scuro;
    Helleborus niger ‘Maximus’: fiori di media grandezza e un fogliame particolarmente rigoglioso.
    Il bianco è sicuramente uno dei colori più apprezzati e gettonati dell’Elleboro e risulta perfetto per il periodo natalizio. Insieme alla stella di Natale, infatti, questa pianta è ottima sia come regalo, sia da esporre nel proprio appartamento durante le feste. Sapevate che per stimolare la fioritura precoce della rosa di Natale la tradizione dice di coprire la pianta sotto una campana di vetro? Questa operazione si può fare già da metà novembre in poi. Nonostante il suo aspetto, è sempre bene ricordare che l’elleboro – rosa di Natale è una pianta velenosa. Per questo, quindi, è importante tenerla a distanza da bambini e animali. LEGGI TUTTO

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    Quegli animali star dei social che ci ricordano l’importanza della conservazione

    Buffi, inusuali, atipici, terribilmente teneri, capricciosi e decisamente adorabili. Il 2024 che se ne va ci lascia in eredità una serie di animali, diventati celebri e “meme” in tutto il mondo, che hanno il potere di farci contemporaneamente sorridere, riflettere e talvolta disperare. E sebbene la maggior parte di loro sia in cattività o all’interno di uno zoo, sono anche diventati simbolo – proprio per le loro caratteristiche uniche – di una biodiversità e di una varietà che il mondo sta perdendo, tanto da ricordarci l’importanza di impegnarci di più per salvaguardarla.

    Regina incontrastata delle “celebrities” animali del 2024 è Moo Deng, una cucciola femmina di ippopotamo pigmeo che è stata curiosamente chiamata con un nome che più o meno significa “maiale saltellante”. In pochi mesi, dopo la sua nascita all’interno del Khao Kheow Open Zoo in Thailandia, Moo Deng è diventata una star assoluta: sarà per il suo aspetto “scivoloso”, sarà perché è capricciosa, buffa e passa la maggior parte del tempo a dormire, oppure a dare piccoli morsi ai custodi, ma ai tempi dei social e degli animali ripresi tramite webcam la piccola di ippopotamo è diventata talmente celebre, davvero un meme vivente, da avere una “sua” canzone tradotta in quattro lingue, da ispirare personaggi del Saturday Night Show, o ancora da essere interpellata sul pronostico (poi azzeccato) sul vincitore delle elezioni statunitensi. Se a questo si aggiunge “una pelle invidiabile” scrivono gli utenti sui social o un “caratterino ingovernabile”, oppure la capacità di sfidare altri animali di sesso maschile tanto da trasformarla in icona femminista, è facile intuire come la figura di Moo Deng sia diventata poi anche ultra commerciale, tanto da usare la sua immagine per vendere di tutto, dai trucchi alle criptovalute.

    La conferenza

    “Per arrestare il declino della biodiversità servono 1.000 miliardi di dollari l’anno”

    di  Luca Fraioli

    18 Dicembre 2024

    Eppure, questo straordinario esemplare nato nel 2024, ha anche il potere di ricordarci altro: fa parte di una specie, gli ippopotami pigmei, che lotta contro l’estinzione e di cui sono rimasti pochissimi esemplari in natura. Come Moo Deng, un altro animale che ha fatto “esplodere l’internet” nel 2024, di quelli che vorresti abbracciare nei momenti tristi, è il pulcino di pinguino reale chiamato Pesto. Anche lui in cattività, all’interno delle strutture del Sea Life Melbourne Aquarium in Australia, il “piccolo” Pesto è diventato famoso per le sue impressionanti dimensioni. Paffuto e decisamente in forma, il pulcino era talmente grande già poche settimane dopo la sua nascita a inizio 2024 all’interno dell’Acquario che è subito diventato un “animale cult” della rete, tanto che quando la cantante americana Katy Perry si è esibita in Australia ha dichiarato di voler abbracciare e baciare il piccolo Pesto.

    Anche in questo caso, nonostante la marea di like, meme e immagini riferite a Pesto, la storia di questa pinguino ci riporta facilmente – con un po’ di attenzione – a riflettere sulle condizioni dei pinguini che ad oggi sono in forte sofferenze a causa della perdita dei ghiacci per via dell’impatto del surriscaldamento globale. Altro animale simbolo, a livello mondiale, è poi il polpo “domestico” Terrance, “adottato” dalla famiglia Clifford in Oklahoma: il racconto della sua storia, di un esemplare inizialmente identificato come maschio che aveva però deposto 50 uova fecondate nell’acquario domestico, riuscendo a fatica a gestire il futuro dei suoi “piccoli”, è diventata virale grazie ai social e al racconto quotidiano delle imprese del polpo.

    Come per Terrance, virale è anche diventata la storia di Charlotte, una razza che sembrava essere rimasta incinta (forse per partenogenesi) nonostante non ci fossero esemplari maschi nell’Aquarium & Shark Lab in North Carolina. La sua storia ha poi fatto piangere: nel tempo ha sviluppato una rara malattia riproduttiva e successivamente è stato annunciato dai responsabili dell’acquario prima che “non era più incinta” e poi che era deceduta. E infine c’è Nibi, adorabile castoro di due anni, salvato da cucciolo e diventato inconsapevole attore protagonista di una lunga battaglia legale nel Massachusetts per il suo rilascio in natura.

    Quasi tutti questi animali, e tanti altri diventati celebri del 2024, sono diventati per molti di noi familiari, quasi come fossero cuccioli di cui ognuno vorrebbe prendersi cura. Questo anche per via di quel “baby schema” o “Kindchenschema” descritto da Konrad Lorenz già nel 1934, quello che racconta come segnali infantili fatti di caratteristiche morfologiche esteriori particolari – dalle guance paffute al muso corto, dagli occhi grandi da cucciolo sino alle forme arrotondate o la pelle morbida o ancora l’andatura goffa – spingono i genitori a prendersi cura dei piccoli. Probabilmente, se tutti noi avessimo le stesse attenzioni che mostriamo a suon di views e di like per i cuccioli animali anche per le tante specie in declino, la generale lotta per la conservazione e contro la perdita di biodiversità mondiale avrebbe davvero qualche chance in più. LEGGI TUTTO

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    Clima, i dieci eventi estremi più devastanti e costosi del 2024

    Dieci eventi climatici estremi per un costo alla collettività di oltre quaranta miliardi di dollari. Fare i conti con il cambiamento climatico è (anche) un modo per prendere coscienza dell’impatto finanziario del riscaldamento globale e dell’incremento dell’intensità e della frequenza dei cosiddetti climatici estremi. Ed è quel che ha fatto la ong Christian Aid con il suo rapporto “Counting the cost 2024: a year of climate breakdown”: un dossier che dà traccia del peso specifico dei disastri climatici attraverso l’impatto generato sulle comunità. Un impatto che non sempre è direttamente proporzionale all’attenzione mediatica: basti pensare che l’evento più raccontato, l’alluvione di Valencia, è appena decimo nella speciale classifica delle calamità che hanno causato più danni economici a livello globale.

    Valencia, tantissimi cittadini sono arrivati ad aiutare chi è stato colpito alluvione  LEGGI TUTTO