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    Semi sempre più piccoli a causa dell’impatto umano

    I semi nelle foreste del Madagascar stanno diventando sempre più piccoli e una nuova ricerca pubblicata su Ecology Letters suggerisce che le attività umane stanno giocando un ruolo in questo cambiamento. I ricercatori del Centro tedesco per la ricerca integrativa sulla biodiversità (iDiv) e dell’Università di Lipsia hanno combinato i dati di oltre 2.800 specie […] LEGGI TUTTO

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    Il dispositivo portatile che monitora la qualità dell’aria che ci circonda

    Un dispositivo innovativo, portatile e intelligente, progettato per aiutare ogni cittadino a monitorare l’ambiente circostante e a prendere decisioni consapevoli in tempo reale, per spostarsi in città e scegliere i percorsi più sicuri per la propria salute. Si chiama RESPIRO (che sta per Real-time Environmental Sensing for Personal Intelligent Risk Optimization) ed è stato sviluppato dall’Università di Milano-Bicocca insieme a ROAD – Rome Advanced District, in collaborazione con la startup XearPro. Il dispositivo, grazie alla sua struttura low-cost, compatta e indossabile, può essere agganciato a uno zaino, a una borsa o a una giacca, e rileva gli inquinanti atmosferici, tra cui CO2, monossido di carbonio, polveri sottili e ultrafini, oltre a temperatura, umidità e pressione atmosferica. Tutti i dati vengono georeferenziati in tempo reale, fornendo un quadro dettagliato della qualità dell’aria che circonda la persona che utilizza il sensore.

    Come funziona il dispositivo
    Tramite un monitoraggio in tempo reale e la localizzazione GPS, il suo schermo LED offre all’utente una visualizzazione istantanea dei parametri ambientali, mentre l’app dedicata, collegata via Bluetooth, avvisa con notifiche intelligenti quando l’aria che si respira in un luogo può rappresentare un rischio ovvero fornisce dati utili ai ricercatori e cittadini attivi per le attività di monitoraggio partecipati in ottica citizen science. Tutto questo si associa a campagne di rilevamento che diversi volontari, studenti, tecnici e docenti dell’Ateneo Bicocca, stanno realizzando grazie ai sensori smart portatili RESPIRO per monitorare la qualità dell’aria all’interno del quartiere. “In un mondo in cui la qualità dell’aria che respiriamo è sempre più al centro del dibattito politico, sociale e scientifico – dice la rettrice dell’Università di Milano-Bicocca, Giovanna Iannantuoni – il nostro ateneo vuole fare la sua parte, proponendo un modello di rigenerazione di uno spazio come piazza della Scienza e promuovendo strumenti tecnologici all’avanguardia come RESPIRO. Il progetto della piazza sta continuando grazie alle azioni di monitoraggio dell’inquinamento e di studio e implementazione della biodiversità che coinvolgono la nostra comunità accademica. In questo contesto, il dispositivo è stato pensato per aiutare ogni cittadino a monitorare l’ambiente circostante e a muoversi più consapevolmente attraverso la città. Un vero e proprio alleato per la salute, la mobilità sostenibile e la citizen science”.
    La stessa sperimentazione è stata attivata anche nel quartiere Ostiense di Roma, grazie a ROAD e ai suoi partner. Una raccolta dati simultanea tra Milano e Roma, utile a costruire una base dati ampia, comparabile e utile a cittadini, enti locali e centri di ricerca, in un monitoraggio condiviso e partecipativo. “Con RESPIRO – ha dichiarato Claudio Granata, Presidente di ROAD – abbiamo la prima messa a terra concreta delle attività avviate dal Rome Advanced District. È un progetto che rispecchia pienamente la nostra visione: portare sul territorio tecnologie ad alto impatto, attivando collaborazioni tra ricerca pubblica e impresa.”

    “Studiare gli impatti dell’inquinamento con un monitoraggio partecipativo”
    RESPIRO nasce con l’ambizione di diventare uno strumento d’uso quotidiano, un alleato personale per chi si muove in città e vuole prendere decisioni informate sulla propria salute. Ma è anche uno strumento utile a studiare gli impatti dell’inquinamento con tecnologie avanzate, come biosensori in grado di valutare gli effetti delle particelle ultrafini sulle cellule polmonari umane. Si tratta di un approccio interdisciplinare e scalabile, che punta a migliorare la qualità della vita urbana, valorizzando la scienza partecipata, la mobilità sostenibile e l’accesso ai dati ambientali. Il progetto è stato presentato lo scorso giugno al Gazometro del quartiere Ostiense di Roma, sede del polo di ricerca tecnologica ROAD – Rome Advanced District il soggetto rete per l’innovazione voluto da Eni, Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, Acea, Autostrade per l’Italia, Bridgestone, Cisco Italia e Nextchem. LEGGI TUTTO

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    Baeta, il nuovo materiale che cattura CO2 ottenuto riciclando la plastica

    Potremmo finalmente essere sulla buona strada per risolvere non una ma ben due delle più importanti sfide globali: la crisi climatica e l’impatto ambientale della plastica. Merito di Baeta, un nuovo materiale prodotto attraverso la conversione dei rifiuti di plastica Pet, che al contempo può aiutarci mitigare i cambiamenti climatici, perché in grado di catturare in modo efficiente e sostenibile l’anidride carbonica. A crearlo è stato un team di chimici dell’Università di Copenaghen che hanno descritto nel dettaglio Baeta in uno studio pubblicato su Science Advances.

    Uno strumento contro plastica e crisi climatica
    Sappiamo ormai bene che l’inquinamento da microplastiche e la crisi climatica rientrano tra i principali problemi globali e sono interconnessi. Mentre, infatti, le concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera continuano ad aumentare, nonostante anni di sforzi per limitarne le emissioni, gli oceani di tutto il mondo stanno annegando nella plastica, con gli ecosistemi marini sempre più in pericolo.

    Ricerca

    Riciclo, scoperto un nuovo processo per scomporre la plastica

    a cura della redazione di Green&Blue

    02 Settembre 2025

    Trovare la soluzione a una di queste due sfide potrebbe aiutare a risolvere l’altra? È proprio quello che sono riusciti a fare in questo nuovo studio: il team di chimici ha inventato un metodo per trasformare i rifiuti di plastica Pet, uno dei tipi di plastica più utilizzati al mondo che si decompone in microplastiche, nell’ingrediente principale per la cattura efficiente e sostenibile dell’anidride carbonica. In altre parole, quindi,la plastica non solo non finisce in natura, ma anzi diventa una componente attiva per la mitigazione della crisi climatica. “La bellezza di questo metodo sta nel fatto che risolviamo un problema senza crearne uno nuovo”, ha commentato l’autrice principale dello studio Margarita Poderyte. “Trasformando i rifiuti in una materia prima in grado di ridurre attivamente i gas serra, rendiamo un problema ambientale parte della soluzione alla crisi climatica”.

    Il materiale Baeta
    Dalla consistenza polverosa, Baeta ha, come spiegano i ricercatori, una superficie chimicamente “potenziata” con l’aggiunta di un composto chiamato etilendiammina, che le consente di catturare la CO? in modo molto efficace. Una volta satura, il gas serra può essere rilasciato attraverso un processo di riscaldamento che consente di raccoglierlo, immagazzinarlo o convertirlo in una risorsa sostenibile.

    Startup

    La lotta all’inquinamento da plastica parte dall’ufficio

    di Gabriella Rocco

    27 Agosto 2025

    “L’ingrediente principale è costituito da rifiuti plastici e la sintesi che utilizziamo, in cui avviene la trasformazione chimica, è più delicata rispetto ad altri materiali per la cattura della CO? perché possiamo effettuarla a temperatura ambiente. Ha anche il vantaggio di poter essere scalata più facilmente”, ha spiegato Poderyte. Il materiale inoltre è anche estremamente flessibile nel suo utilizzo. “Funziona in modo efficiente dalla normale temperatura ambiente fino a circa 150 °C, il che lo rende molto utile” ha aggiunto Jiwoong Lee, tra gli autori dello studio. “Grazie a questo tipo di tolleranza alle alte temperature, il materiale può essere utilizzato alla fine degli impianti industriali, dove i gas di scarico sono tipicamente caldi”.
    Dai laboratori all’industria
    Con l’invenzione di Baeta, i ricercatori sono ora pronti per il passo successivo, ossia quello di produrre questo materiale in grandi quantità. “Vediamo un grande potenziale per questo materiale, non solo in laboratorio, ma anche negli impianti industriali di cattura della CO? reali. Il prossimo grande passo è l’aumento di scala per produrre il materiale in tonnellate, e stiamo già lavorando per attrarre investimenti e rendere la nostra invenzione un’impresa finanziariamente sostenibile”, ha commentato Poderyte.

    Memorie di plastica

    Archeoplastica, il museo degli oggetti gettati nel mare e riapparsi dopo decenni

    di Fiammetta Cupellaro

    13 Agosto 2025

    Negli impianti industriali, per esempio, l’idea dei ricercatori sarebbe quella di convogliare i gas di scarico attraverso le unità Baeta per purificarli dalla CO?, e, quando sature, attuare un processo di riscaldamento che rilascia il gas serra ripristinandone l’efficienza. Oltre a questo, i ricercatori sperano che la loro invenzione possa contribuire a cambiare radicalmente il modo in cui consideriamo i problemi climatici e ambientali come problemi separati. “Non stiamo parlando di problemi isolati, né lo saranno le soluzioni”, ha concluso Jiwoong Lee. “Il nostro materiale può creare un incentivo economico molto concreto per ripulire gli oceani dalla plastica”. LEGGI TUTTO

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    Corniolo: coltivazione, cura e consigli

    Longevo ed elegante, il corniolo si distingue con il suo aspetto grazioso e i suoi frutti succosi. Bellezza e robustezza si incontrano in questa splendida pianta da frutto e ornamentale: appartenente alla famiglia della Cornaceae, cresce lentamente, il suo ciclo di vita è molto lungo e la fioritura è precoce. Con semplici accorgimenti coltivare il corniolo e prendersene cura è semplice, essendo quindi alla portata anche dei principianti del giardinaggio.
    Esposizione del corniolo
    Pianta da frutto e ornamentale, il corniolo è caratterizzato da foglie ovali verdi scure, una corteccia marrone e piccoli fiori gialli e profumati. Originario dell’Asia occidentale e dell’Europa meridionale, l’arbusto presenta medie dimensioni, una crescita lenta, un portamento espanso e una chioma densa, che può svilupparsi fino a 5 metri di altezza. Chiamato a livello scientifico cornus mas, si distingue per la fioritura abbondante, che avviene tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, mentre i suoi frutti fanno la loro comparsa dalla conclusione della primavera al termine di luglio. Si tratta di bacche color rosso vivo, chiamate corniole, grandi quanto una ciliegia e dalla forma ovoidale.

    Questa pianta rustica va coltivata tra ottobre e novembre oppure dopo la fine dell’inverno in un substrato non gelato. Per assicurarle uno sviluppo rigoglioso è importante scegliere una posizione adeguata, prediligendo un luogo soleggiato (anche se non disprezza la penombra), e protetto dai venti. L’arbusto si adatta a diversi tipi di terreni, crescendo meglio in quelli ben drenati e dotati di nutrienti, dovendo arricchire il substrato con del compost maturo.
    Se il clima è temperato, per ottenere produzioni ricche, il corniolo richiede una posizione in pieno sole, mentre in caso di sole estivo intenso una mezz’ombra, per tutelarne foglie e frutti. Qualora si trovi in ombra totale la fioritura e lo sviluppo dei frutti diminuiscono drasticamente.

    La robustezza del corniolo e la sua adattabilità a diverse tipologie di terreno e climi lo rendono facile da coltivare e mantenere. L’arbusto è infatti molto resistente, sopportando il freddo, perfino temperature sottozero, mentre mal tollera in estate il caldo eccessivo associato alla siccità.

    Come coltivare il corniolo
    Il corniolo è una meravigliosa pianta ornamentale, perfetta per decorare il giardino, abbellendolo e regalando deliziosi frutti. Per quanto riguarda la sua coltivazione, è necessario collocarlo in un luogo abbastanza spazioso, visto che l’arbusto può raggiungere un’altezza di 5 metri e un’ampiezza simile. I suoi semi vanno piantati in un terreno ben drenato a una profondità di 1-2 centimetri, lasciando tra ciascuno una distanza di 2,5 centimetri. Una volta cresciute, le piantine dovranno essere poi trapiantate, posizionandole a una distanza di 3-5 metri. Per coltivare il corniolo in giardino si può trapiantare una piantina di 2-3 anni di età in una buca profonda, facendo in modo che le radici abbiano spazio per crescere.

    Il corniolo può essere coltivato in vaso, tenendo conto però che crescendo può raggiungere anche grandi dimensioni: è molto importante occuparsi delle sue potature in modo regolare per gestirlo al meglio. I semi vanno interrati a una profondità di 2-3 centimetri, ricorrendo a un vaso del diametro tra i 30 e 40 centimetri. Nel caso della coltivazione in vaso le irrigazioni dovranno essere più frequenti rispetto a quelle in piena terra e sarà necessario rinvasare periodicamente l’arbusto.

    Cura del corniolo: consigli utili
    Prendersi cura del corniolo è semplice, dovendo mettere in atto poche e facili accortezze. Per quanto riguarda le irrigazioni, queste devono essere abbondanti e costanti durante la primavera e l’estate, verificando che tra un’annaffiatura e l’altra il terreno sia ben asciutto, dovendo sempre evitare i ristagni idrici. Se viene coltivato in giardino, durante l’inverno è necessario sospendere le operazioni di irrigazione, visto che l’arbusto si accontenta dell’acqua delle precipitazioni. Nel caso sia coltivato in vaso le annaffiature devono essere costanti in estate per poi essere ridotte in inverno, facendo sempre in modo che il substrato sia umido. Nell’acqua dell’irrigazione si può aggiungere ogni due settimane del fertilizzante liquido per piante da fiore in estate e primavera, mentre una volta al mese durante l’inverno e l’autunno.

    Almeno una volta all’anno la pianta va concimata ricorrendo a del fertilizzante che contenga potassio, azoto e fosforo, per garantire così una fioritura abbondante. La potatura del corniolo è semplice e va svolta tra febbraio e marzo, prima che le sue gemme si gonfino. Dopo la fioritura, a fine primavera, può essere effettuata una potatura leggera: grazie a questa operazione si mantiene l’arbusto sano, se ne preserva la forma e la sua crescita viene sviluppata, come anche la sua fruttificazione. La potatura prevede la rimozione dei rami danneggiati, malati e secchi e quelli che crescono verso l’interno e si incrociano: inoltre, è necessario sfoltire la chioma, in modo da migliorare la circolazione dell’aria. L’operazione deve essere svolta ricorrendo ad attrezzi puliti e affilati, facendo in modo di eseguire dei tagli precisi, dovendo disinfettare la pianta tra un taglio e l’altro per evitare l’insorgere di malattie. Inoltre, è necessario eliminare le erbacce che possono svilupparsi alla base dell’arbusto.

    Per quanto resistente, il corniolo non è esente da malattie, essendo soggetto a marciume radicale, oidio, muffa grigia e all’invecchiamento delle radici, responsabile di malattie batteriche pericolose. Inoltre, è incline all’attacco di parassiti, come ragnetto rosso, che determina sulle sue foglie macchie giallastre, portando anche alla loro caduta, e cocciniglia, responsabile della formazione di una melata appiccicosa sui frutti e le foglie, dovendo intervenire prontamente con interventi mirati. In ottica di prevenzione, è importante realizzare potature regolari, rimuovere le foglie infette e cadute, assicurare il giusto flusso dell’aria, la penetrazione corretta della luce ed evitare gli sbalzi di temperatura. LEGGI TUTTO

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    Ondate di calore più intense e meteo estremo sono dovuti ai grandi produttori di carbonio

    “Il cambiamento climatico ha reso più probabili e intense 213 ondate di calore nel periodo 2000-2023”. Non solo: al fenomeno “ha contribuito in modo sostanziale ciascuna delle 180 principali fonti di carbonio”, (aziende statali e private che estraggono combustibili fossili o producono di cemento). Le durissime affermazioni che posano una nuova pietra miliare nella “scienza dell’attribuzione”, la disciplina che calcola quanto le emissioni umane di gas serra contribuiscano all’innesco dei singoli eventi meteo estremi, sono contenute in uno studio che è diventato la copertina di Nature e condotto da un team dell’Eta, il Politecnico di Zurigo.

    “A causa del riscaldamento globale dal 1850 al 1900, la media delle ondate di calore nel periodo 2000-2009 è diventata circa 20 volte più probabile e circa 200 volte più probabile nel periodo 2010-2019”, scrivono gli autori della ricerca. “Nel complesso, un quarto di questi eventi sarebbe stato praticamente impossibile senza il cambiamento climatico”.

    Sul “banco degli imputati” emettitori grandi e piccoli: “I principali produttori di carbonio (l’ex Unione Sovietica, la Repubblica Popolare Cinese per il carbone, Saudi Aramco, Gazprom, ExxonMobil, Chevron, National Iranian Oil Company, BP, Shell, l’India per il carbone, Pemex, CHN Energy, la Repubblica Popolare Cinese per il cemento) rappresentano il 30% delle emissioni totali cumulative di CO? di origine antropica, circa quanto le altre 166 principali aziende del carbonio messe insieme (27%)”.

    Secondo i ricercatori svizzeri, “nel periodo 2000-2009 il cambiamento climatico ha aumentato l’intensità media delle ondate di calore di 1,36 °C, di cui 0,44 °C sono attribuibili ai principali emettitori di carbonio e 0,22 °C alle altre 166. Nel periodo 2010-2019 invece, l’influenza del cambiamento climatico è aumentata a 1,68 °C, con 0,47 °C (28%) dalle principali emissioni di carbonio e 0,38 °C (22%) dalle altre 166: tali emissioni dunque hanno contribuito a circa la metà dell’aumento dell’intensità delle ondate di calore dall’epoca preindustriale”.

    Ma oltre ad accrescerne l’intensità, i principali produttori di carbonio hanno anche aumentato la probabilità di tutte le ondate di calore: “Per i produttori di carbonio con emissioni più basse, i contributi sono limitati a un aumento del 10% della probabilità preindustriale. Tuttavia, ci sono ondate di calore che i principali produttori di carbonio hanno reso almeno 10.000 volte più probabili rispetto ai livelli preindustriali, e che sarebbero state praticamente impossibili senza l’influenza antropica”.

    Perché è così importante questo studio? Perché consacra su una rivista prestigiosa come Nature la scienza dell’attribuzione, creando un legame diretto tra le emissioni di singole aziende e il verificarsi di eventi meteo estremi. “Gli studi precedenti hanno preso in considerazione principalmente le emissioni di persone e paesi. Questa volta ci concentriamo sui grandi emettitori di carbonio”, spiega Yann Quilcaille, co-autore dell’articolo. Si tratta di aziende che hanno una responsabilità particolare: hanno perseguito principalmente i loro interessi economici, pur sapendo fin dagli anni Ottanta che bruciare combustibili fossili avrebbe portato al riscaldamento globale”.

    “Il collegamento – dagli eventi meteorologici ai cambiamenti climatici, e dai cambiamenti climatici ai singoli emettitori – che studi come questo definiscono ridisegneranno il modo di intendere la responsabilità, e potrebbe diventare la base per le azioni legali e politiche volte a responsabilizzare gli inquinatori”, commenta Davide Faranda, direttore di ricerca presso il Cnrs di Parigi e fondatore di Climameter, un consorzio internazionale di scienziati specializzato nell’attribuzione degli eventi meteo estremi. “Questa disciplina ha fatto grandissimi progressi dal suo esordio, nel 2003 dopo l’ondata di calore che colpì l’Europa, e in particolare la Francia”, continua il ricercatore italiano. La procedura che si segue, ormai consolidata, consiste nel cercare eventi simili a quello da ‘attribuire’, che si siano verificati con le emissioni attuali di gas sera e con emissioni a livello pre-industriali. Il risultato di queste analisi sono statistiche molto robuste, che permettono di valutare l’impatto delle attività umane sulle ondate di calore, ma, più di recente, anche su perturbazioni atlantiche e tempeste tropicali”.

    Basterà a inchiodare i pero-Stati e le compagnie dell’oil&gas alle loro responsabilità storiche nelle aule di tribunale? “Vedo almeno due problemi”, risponde Faranda. “Il primo punto su cui ho delle riserve, come altri colleghi, è il seguente: l’evento preso in considerazione si sarebbe verificato comunque anche solo con quella fetta di emissioni relative a una specifica azienda? Perché se invece è l’insieme delle emissioni ad aver innescato l’ondata di calore, non si potrà fare causa al singolo emettitore ma a tutti quelli che hanno contribuito. L’altro aspetto controverso riguarda la gestione locale del territorio, che può contribuire enormemente ai danni arrecati da un evento meteo estremo. Nell’alluvione di Valencia del novembre 2024, per esempio, le persone sono morte certamente perché il riscaldamento globale ha aumentato l’intensità delle piogge, ma anche perché l’argine era solo su una sponda del fiume e l’allarme è stato dato in ritardo”. E qui la questione smette di riguardare gli scienziati per investire legislatori e giuristi climatici. LEGGI TUTTO

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    Stufa o caldaia, cambiarla ora conviene: ecco perché

    Spazio al riscaldamento a legna e pellet per la transizione energetica. Nel nuovo Piano nazionale sulla qualità dell’aria c’è una sezione ad hoc con nuovi bonus per favorire il passaggio agli impianti più efficienti. Di qui a fine anno, poi, si può contare anche sui bonus regionali che sommati ai contributi del Conto Termico consentono […] LEGGI TUTTO

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    Il riscaldamento globale favorisce un maggior consumo di zuccheri dannosi alla salute

    L’elenco delle conseguenze che il riscaldamento globale potrebbe avere sul nostro pianeta e sulla nostra salute continua ad allungarsi. Secondo i risultati di uno studio appena pubblicato su Nature Climate Change l’aumento delle temperature potrebbe infatti favorire una maggiore assunzione di zuccheri, dovuta soprattutto al consumo di bevande zuccherate e dessert congelati, come semifreddi e […] LEGGI TUTTO

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    Aster “settembrini”: coltivazione, cura e potatura

    Noti con il nome di settembrini, gli aster incantano con i loro meravigliosi fiori simili alle margherite e colorati dalle sfumature del viola, fucsia, rosa, azzurro, blu e bianco. La loro fioritura va dalla tarda estate a ottobre, illuminando così il grigiore autunnale, un aspetto che li rende estremamente apprezzati, tenendo conto che in questo periodo molte piante sono prossime invece al riposo invernale. Questa romantica pianta perenne e rustica impreziosisce giardini e terrazzi: oltre alla sua bellezza e alla fioritura prolungata e abbondante, tra i suoi punti di forza spiccano anche la resistenza notevole e la facile manutenzione. Coltivare i settembrini in vaso e giardino è semplice, come anche prendersene cura, assicurandosi con semplici accorgimenti una loro crescita rigogliosa.
    Aster e l’esposizione: cosa sapere
    Bellezza, eleganza, colore e resistenza si fondono negli aster, meravigliosi fiori appartenenti alla famiglia delle Asteraceae. Questa varietà è originaria di America settentrionale, Asia e Europa e comprende molte specie, che si differenziano tra di loro in tanti aspetti, come colore e portamento. Tra queste sono comprese ad esempio l’aster alpino, dai fiori viola e blu, l’aster pink star, sui delicati toni del rosa, e l’aster oblongifolium, che si distingue per i suoi piccoli fiori rosa-lavanda. L’aster va seminato tra marzo e maggio e fiorisce tra la fine dell’estate e l’autunno inoltrato.

    Conosciuta anche come margherita di S. Michele o astro, questa pianta perenne prospera in pieno sole, malgrado cresca comunque in caso di un’ombra moderata. Il settembrino si sviluppa in modo rigoglioso se riceve 6-8 ore di sole diretto al giorno e nei luoghi molto ombrosi potrebbe non fiorire. Seppur prediliga climi temperati, sopporta il freddo, anche temperature sottozero, aspetto che dimostra la sua robustezza. I suoi nemici sono l’umidità e i ristagni idrici, dovendo essere protetto dalle correnti d’aria.

    Anche se la pianta si adatta ai diversi tipi di suolo, preferisce un terreno ben drenato, con ph neutro, fertile e leggero. Visto che i ristagni rappresentano una minaccia per i settembrini, è consigliabile aggiungere sabbia oppure perlite nel substrato per migliorare il drenaggio.

    Coltivazione in giardino e vaso dell’aster
    Oltre che resistenti, i settembrini si prestano ad abbellire giardini, aiuole, bordure e terrazzi e sono anche semplici da coltivare e curare. Per quanto riguarda la semina in piena terra, i semi vanno posti in un luogo soleggiato e in un terreno drenato, interrandoli a una bassa profondità, compresa tra 0,5 e 1 centimetro, facendo così in modo che la luce ne faciliti la germogliazione. Tra i semi va lasciata una distanza di circa 8 centimetri. Successivamente, per garantire una crescita vigorosa, è necessario diradare le piantine per poi distanziare le piante adulte tra i 30 e 45 centimetri.

    Gli aster possono essere coltivati anche in vaso, dovendo però in questo caso prediligere delle varietà nane, in modo tale da scongiurare problematiche a livello di spazio. Il vaso utilizzato deve essere capiente, dotato di fori di drenaggio e sul fondo bisogna posizionare uno strato di argilla espansa per contrastare i ristagni di acqua. I semi vanno interrati a una profondità di 0,5-1 centimetro e il vaso va posto in un ambiente areato, con un clima moderato e in un punto soleggiato o semiombreggiato. Se necessario bisogna dedicarsi alle operazioni di rinvaso in primavera, ricorrendo a un recipiente poco più grande. Avendo bisogno di molta luce, i settembrini si sviluppano meglio se coltivati esternamente, anche se crescono comunque negli interni.

    Cura degli aster: consigli utili
    Nonostante siano molto resistenti, i settembrini necessitano di alcuni accorgimenti nella loro cura. Per quanto riguarda le irrigazioni bisogna tenere conto di come non tollerino i ristagni idrici, responsabili di muffe e marciume radicale: proprio per questo, vanno evitate le annaffiature quotidiane e tra una e l’altra è importante verificare sempre prima che il terreno sia asciutto. Le irrigazioni vanno potenziate in estate, facendo sì però che il terreno non sia zuppo, a differenza dell’inverno, periodo in cui diradarle. Ogni 15 giorni è possibile ricorrere a del fertilizzante liquido per piante da fiore da diluire nell’acqua per fornire il giusto nutrimento alla pianta e ottenere una fioritura ottimale.

    Per mantenere gli aster in salute, preservarne la robustezza e assicurarsi una loro fioritura abbondante, è necessario dedicarsi alle operazioni di potatura. In primavera si procede ad eliminare le parti danneggiate, la vegetazione in eccesso e i germogli incrociati e sottili, per migliorare la circolazione dell’aria. Dopo la fioritura, in tardo autunno si rimuovono gli steli secchi.

    Altri accorgimenti nella cura dell’aster
    Nella manutenzione dell’astro bisogna mettere in campo i giusti accorgimenti per quanto riguarda le malattie e i parassiti. La pianta è incline al mal bianco, fungo determinato da una cattiva circolazione dell’aria e da troppa umidità, che si presenta sotto forma di muffa biancastra su foglie e steli. Per eliminare questa problematica si deve ricorrere a fungicidi ad hoc o prodotti a base di zolfo e rimuovere le foglie infette. In ottica di prevenzione, è importante non bagnare eccessivamente la pianta e assicurarsi che abbia una buona circolazione dell’aria.

    Il settembrino è anche soggetto ad altre malattie fungine, come ruggine e marciume radicale, che insorgono per via dell’umidità eccessiva, dovendo migliorare il drenaggio, ridurre le annaffiature e usare fungicidi specifici. Inoltre, l’astro è incline all’attacco di acari tipicamente quando il clima è secco e caldo, come il ragnetto rosso, e delle lumache, responsabili di tagli e buchi sulle foglie. In questi casi bisogna intervenire prontamente con soluzioni naturali, come sapone molle potassico oppure olio di neem, o pesticidi specifici. LEGGI TUTTO