Come sarà la comunicazione del futuro
Se è possibile pianificare un piano industriale a dieci anni, perché non dovrebbe essere possibile anche per la strategia di comunicazione? Da questa domanda prende forma il progetto avviato da A2A in collaborazione con Sapienza Università di Roma: un vero e proprio laboratorio per immaginare la comunicazione del futuro e come si potrà ottenere e gestire la fiducia del pubblico, elemento fondamentale alla base delle scelte di chi deve costruire un racconto. Al centro dell’iniziativa c’è un cantiere culturale e organizzativo, affidato a uno steering committee multidisciplinare di studiosi e a un gruppo di giovani professionisti under 30. L’obiettivo? Definire una brand strategy capace di accompagnare la crescita del gruppo fino al 2035, con uno sguardo già pronto al cambiamento (future fit). A guidare il percorso Carlotta Ventura, direttore comunicazione, sostenibilità e affari regionali di A2A, e Alberto Mattiacci, docente di Economia e Gestione delle imprese alla Sapienza e presidente del comitato. Ne fanno parte anche i professori Fabio Babiloni (Fisiologia), Marino Bonaiuti (Psicologia sociale), Francesca Cuomo (Telecomunicazioni) e Paola Panarese (Sociologia dei processi culturali e comunicativi) coordinati da Stella Romagnoli, Executive Director International Advertising Association Italy. “È un lavoro con una visione di fondo ottimista – spiega Ventura – un modo per guardare oltre le difficoltà del presente e costruire una comunicazione capace di evolvere con la società, i media e la tecnologia. Immaginare il futuro è utile per elaborare gli strumenti per poterlo governare”.
Il cuore dell’iniziativa è corale e generazionale. Nel team di lavoro 24 professionisti under 30. Insieme, tra gennaio e aprile 2025, hanno affrontato dieci key driver di ricerca: pensiero, attenzione, creatività, intelligenza artificiale, digital twin, network, demografia, rapporto io-noi, Gen Z e… Medioevo. Un mix di classico e contemporaneo, che ha impiegato metodologie della disciplina dei “future studies”, che ha permesso di riflettere sui futuri della comunicazione, partendo da due domande fondamentali: che tipo di competenze e attitudini serviranno da qui a dieci anni? E a chi parleremo? Il futuro non si prevede: si progetta con metodo, intelligenza collettiva e visione. Il progetto si articola su due linee temporali: l’orizzonte del 2035 e un “pit stop” intermedio a cinque anni, necessario per adeguarsi a uno scenario che cambia rapidamente. Con la tecnologia che evolve in modo continuo e con l’avanzare dell’intelligenza artificiale generativa molte attività che oggi le aziende affidano all’esterno potrebbero tornare a essere internalizzate. Questo impatterà anche sull’organizzazione delle funzioni impegnate nella gestione della comunicazione. Ma a cambiare, avverte Ventura, non saranno solo le competenze. “La fiducia diventerà ancora più centrale. In un contesto dove l’offerta di contenuti si moltiplica, spesso senza filtri, sarà la coerenza nel tempo tra l’agito e il dichiarato a fare la differenza nel posizionamento di un brand. Dal mio punto di vista bisogna prima cercare di raggiungere gli obiettivi e poi raccontarli”.
Come formare, allora, team di comunicazione all’altezza della sfida? “Serve un’attitudine fatta di curiosità, flessibilità, capacità di lettura del contesto – continua Ventura –. Ma soprattutto serve saper tenere insieme attenzione e fiducia: due elementi da costruire con contenuti rilevanti e profondità culturale”. La competenza non basta. “Il mondo è pieno di ‘cretini competenti’ – provoca Ventura – iperspecializzati ma non in grado di collocarsi nello spazio e nel tempo. È il rischio che corre la generazione dei nostri giovani manager. Serve qualcosa di più: cultura, pensiero critico, visione”. Spesso non si vede l’ovvio. E se non si capisce davvero l’intelligenza artificiale – il suo linguaggio, l’impatto – si rischia di subirla. La cultura è quindi l’unica via per non avere paura del futuro. Il rapporto tra attenzione e comprensione è particolarmente delicato: “Uno dei grandi problemi di oggi è l’analfabetismo funzionale – osserva Ventura –. Le persone sanno leggere, ma non hanno la capacità di elaborare i concetti. È un limite serio, che obbliga chi comunica a rivedere linguaggi e strumenti, per evitare che la distanza diventi incolmabile”. Il rischio non è solo economico, ma cognitivo. Una polarizzazione tra pochi in grado di pensare e molti esclusi dalla comprensione. La vera sfida sarà la recessione cognitiva. E per affrontarla, la comunicazione dovrà tornare all’essenziale: emozioni, simboli, codici accessibili. Cosa resterà della comunicazione di oggi tra dieci anni? “Sotto il profilo delle tecnologie attuali forse nulla – conclude Ventura –. Ma resterà la capacità di emozionare, di ispirare.” Uno dei primi cantieri progettuali avviati da A2A, a valle della fase di ricerca condotta con La Sapienza, riguarda l’esplorazione dell’integrazione degli “utenti sintetici” nei processi di progettazione della comunicazione. Si tratta di modelli digitali evoluti, basati sulla tecnologia Digital Twin, che si affiancherebbero agli strumenti tradizionali come dei veri e propri “panel virtuali”. Questa innovazione non rappresenta solo un passo avanti nella capacità dell’azienda di comprendere in profondità i propri pubblici, ma apre anche nuove possibilità per costruire un dialogo più inclusivo, efficace e mirato con stakeholder molto diversi tra loro. L’obiettivo è rendere la comunicazione sempre più accessibile, traducendo messaggi complessi in linguaggi chiari e rilevanti, a vantaggio dell’intera rete di relazioni che ruota attorno al gruppo. LEGGI TUTTO