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    Le startup di ZERO, l’acceleratore cleantech di Cdp Venture

    Il cleantech si conferma uno dei settori più promettenti dell’innovazione in Italia. Nel 2024, pur in un contesto di investimenti pressoché stabili, il comparto ha registrato un numero record di 72 operazioni di venture capital per oltre 177 milioni di euro raccolti. A livello early-stage, l’ecosistema mostra grande fermento, ma per competere su scala europea è fondamentale accelerare l’adozione industriale delle tecnologie sviluppate dalle startup. In questo scenario, modelli come Zero, l’acceleratore Cleantech della Rete Nazionale Acceleratori di CDP Venture Capital – con Eni attraverso Joule, la sua scuola per l’impresa – capaci di coordinare capitali, industria e ricerca, rappresentano una leva strategica per rafforzare la competitività sostenibile del nostro sistema produttivo. Nel corso della quarta edizione del Demo Day, l’evento di presentazione delle startup accelerate, ZERO ha rafforzato il proprio approccio ‘industry-driven’, selezionando startup capaci di rispondere alle sfide industriali attuali. Su oltre 260 candidature ricevute, 12 startup sono state ammesse al programma. Tra queste, 5 startup hanno concluso il percorso di accelerazione con risultati importanti: 4 hanno ottenuto un investimento pre-seed; 3 hanno realizzato un proof of concept (PoC) con i partner dell’acceleratore mentre una startup ha portato a termine una sperimentazione industriale con una PMI del network di SACE, nell’ottica di abilitare l’innovazione Cleantech di filiera.

    “L’Acceleratore Zero è diventato un punto di riferimento per l’innovazione in Italia, in particolare per le soluzioni a supporto della transizione energetica” – racconta Stefano Molino a Green&Blue – Senior Partner e Responsabile del Fondo Acceleratori di CDP Venture Capital. “Nelle quattro edizioni del programma, anche grazie alle sinergie sviluppate con i partner di Zero, abbiamo contributo alla nascita di nuove imprese con grandi prospettive di crescita. In questa quarta edizione ci siamo concentrati sulle applicazioni industriali di queste tecnologie e siamo convinti che le cinque startup accelerate porteranno benefici diffusi a tutto il settore”.

    I settori
    I settori delle soluzioni presentate spaziano dall’economia circolare, alla sostenibilità delle operations a livello industriale fino alle nuove fonti di energia e alle soluzioni tecnologiche in ottica smart city. Il programma ha incluso anche fasi strutturate di definizione di use case e studi di fattibilità, favorendo un processo di integrazione graduale delle tecnologie nelle operations aziendali. “Con il programma Zero ormai da diversi anni mettiamo al centro non solo la ricerca di soluzioni tecnologiche legate alle nuove energie – in ambito smart city e mobilità sostenibile – ma anche l’integrazione nella nostra filiera: questo ci consente di valorizzare i talenti imprenditoriali e generare impatto economico, sociale e ambientale. È il caso di Koalisation, la startup climate tech che sviluppa progetti di compensazione carbonica su larga scala e che ha testato una soluzione nel Programma Clean Cooking di Eni volto a migliorare l’efficienza dei fornelli in Africa. Un percorso di collaborazione con Eni che sta proseguendo con successo, accrescendo l’ambito di azione”, ha raccontato Antonietta De Sanctis, Head of Accelerator Program of Joule, la Scuola di Eni per l’impresa.

    Zero promuove la crescita sostenibile delle startup, attraverso strumenti avanzati di valutazione dell’impatto. Grazie al supporto di Elis, Eni Joule e di Open Impact, sono stati mappati oltre 187 indicatori di performance ambientale raggiunti dalle startup ed è stato calcolato lo SROI (Social Return on Investment), ovvero il ritorno sociale prodotto rispetto al capitale investito. Per le 5 startup accelerate, il valore medio dello SROI è risultato pari a 2,61: un impatto sociale di circa tre volte rispetto all’investimento iniziale.

    “ZERO, punto di riferimento per l’innovazione Cleantech in Italia”
    L’acceleratore ZERO si conferma una piattaforma d’innovazione cruciale in Italia, capace di attivare collaborazioni concrete tra startup, investitori e grandi aziende. Al fianco di CDP Venture Capital ed Eni, partecipano all’iniziativa Zest ed Elis in qualità di co-investitori e gestori del programma di accelerazione, leader della ricerca come il CNR ed ESA, oltre a importanti partner industriali come Acea, Microsoft, SACE, Saipem e Vodafone. Una rete che mette a sistema capitali pre-seed, metodologie per lo sviluppo d’impresa, anche in chiave di sostenibilità, know-how tecnico-scientifico e asset industriali per sostenere la crescita delle startup Cleantech e guidare l’innovazione lungo le filiere produttive italiane.

    “Crediamo che il modello di partenariato attivato da Zero rappresenti l’evoluzione naturale dell’accelerazione: non più un semplice programma, ma una piattaforma di sviluppo che opera lungo tutta la catena del valore industriale. Unendo venture capital, corporate e mondo della ricerca, abilitiamo una transizione cleantech concreta, strutturata e scalabile. Questo approccio di filiera può rappresentare il modello di acceleratore del futuro”, ha aggiunto Antonella Zullo, Ceo di Zest Innovation. “Con Zero abbiamo contribuito a costruire un nuovo modello di accelerazione che unisce ricerca, corporate e venture capital per sviluppare soluzioni Cleantech ad alto impatto, pronte per il mercato. Oltre alla validazione tecnica e di business, abbiamo portato strumenti di misurazione dello SROI, aiutando le startup a valorizzare il proprio impatto sociale, ambientale ed economico. Crediamo che il futuro dell’innovazione passi da piattaforme che attivano le filiere e le eccellenze italiane – università, centri di ricerca, territori – per una transizione davvero sistemica e scalabile”, ha affermato Luciano De Propris, Director Open Innovation di ELIS Innovation Hub.

    Le startup CleanTech
    Dall’economia circolare, alla sostenibilità delle operations a livello industriale fino alle nuove fonti di energia e alle soluzioni tecnologiche in ottica smart city. Ecco le cinque giovani imprese che hanno completato il programma di accelerazione, dimostrando il potenziale industriale delle loro soluzioni innovative per la transizione ecologica del Paese. Le startup presentate al Demo Day 2025 di Zero sono:

    Bufaga: startup che sviluppa dispositivi IoT per la rimozione di inquinanti dall’aria e raccolgono dati ESG, offrendo alle aziende soluzioni di sostenibilità misurabili e nuove opportunità di business tramite modelli pubblicitari su veicoli e infrastrutture. Co-founder e CEO Serena Mignucci.

    Climate Charted: startup che aiuta banche e assicurazioni a ridurre il rischio climatico collegando clienti con soluzioni di mitigazione per alluvioni e terremoti, abbassando premi assicurativi e migliorando le condizioni di prestito. Co-founder, Lorenzo e Giovanni Campana.

    EXE Engineering: startup che automatizza la raccolta di biogas dalle discariche, aumentando l’efficienza fino al 70% e riducendo le emissioni di metano, ottimizzando così la produzione di energia rinnovabile e la sicurezza operativa. CFO & Managing Director Davide Cecchini.

    Heiwit: startup che produce batterie al sodio come alternativa sostenibile al litio, riducendo i costi e la dipendenza da materiali critici, con applicazioni in energia rinnovabile, mobilità elettrica e settori industriali. CEO & Founder Alessandro Gallani.

    Overlab: startup che ha sviluppato Greenverse, una piattaforma IoT che misura in tempo reale l’impronta ambientale dei processi industriali, aiutando le aziende a ridurre costi, emissioni di CO? e rischi di greenwashing. CEO & Founder Giovanni Fracasso. LEGGI TUTTO

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    Campanula: varietà, fiore, coltivazione e cura

    In bilico tra la grazia delle sue corolle e la forza della sua adattabilità, la campanula è una delle piante più versatili e amate dai giardinieri, professionisti e dilettanti. Fiorisce generosa in ambienti diversi, dalle altitudini alpine ai balconi cittadini, e si adatta con sorprendente facilità a terreni e climi differenti. La sua forma a campana e i suoi colori che virano dal blu intenso al viola la rendono un punto fermo nei giardini ornamentali, nei vasi da balcone e persino nelle aiuole urbane.
    Varietà di campanula: una per ogni angolo verde
    La famiglia delle Campanulaceae è vasta e affascinante, con varietà che si distinguono per forme, colori e abitudini di crescita. Ecco alcune delle più comuni e ornamentali:

    Campanula portenschlagianaConosciuta anche come “campanula delle mura”, è perfetta per crescere tra le fessure dei muri o nei giardini rocciosi. Resistente e infaticabile, forma cuscini fioriti che si espandono con tenacia;
    Campanula poscharskyanaUna varietà tappezzante con fiori a stella che si presta alla copertura del suolo o alla decorazione di bordure e sentieri. Un vero tappeto fiorito dal tocco fiabesco;
    Campanula glomerataProduce fiori raccolti in infiorescenze dense e vistose, in tonalità dal viola al blu. Ideale per chi cerca un effetto scenografico;
    Campanula carpaticaOriginaria dei Carpazi, si distingue per la delicatezza dei suoi fiori viola o bianchi. Si adatta bene alla coltivazione in vaso;
    Campanula latifoliaLa più grande tra le sorelle: i suoi fiori ampi e la sua altezza la rendono adatta alla creazione di piccole siepi o fondali per aiuole miste.

    Come coltivare la campanula in casa: bellezza accessibile
    Non serve avere un giardino per godere dello spettacolo delle campanule. Queste piante si prestano benissimo alla coltivazione in vaso. Basta qualche accortezza e il gioco è fatto. Intanto, scegliere vasi di terracotta o ceramica si rivelerà utilissimo (ricordarsi di tenere un diametro di circa 20 cm), ma non solo. Dopo avere scelto il vaso in questione, sarà importante aggiungere argilla espansa sul fondo per favorire il drenaggio. Infine, ma non per importanza, fare sempre un piccolo check sui fori di scolo: le radici temono il ristagno d’acqua. Non è una novità, ma è bene ricordarselo.
    Dove posizionare le campanule in casa
    Amano la luce, ma non quella cocente del mezzogiorno. L’ideale è una finestra schermata da una tenda leggera o una stanza ben illuminata, ma lontana da fonti di calore. In inverno, resistono bene al freddo, ma le gelate notturne possono danneggiarle: meglio tenerle al riparo, magari con un leggero strato protettivo di foglie secche.
    Come coltivare la campanula in giardino
    Le campanule non sono piante capricciose. Crescono bene in terreni leggeri, umidi, ricchi di nutrienti e anche leggermente calcarei. Da evitare, invece, i suoli argillosi e compatti. Ecco alcuni consigli pratici per la coltivazione in giardino:

    Piantare da metà aprile, dopo il rischio di gelate;
    Mantenere 30 cm di distanza tra una pianta e l’altra;
    Preferire zone semi-ombreggiate, magari sotto alberi o tra altre perenni.

    Fioritura: quando sbocciano le campanule
    Uno dei motivi per cui questo fiore è tanto amato è la sua lunga fioritura. Da aprile fino ad agosto, le campanule colorano con eleganza ogni angolo verde. Il periodo di semina migliore va da marzo a maggio, ma nelle zone a clima temperato anche l’autunno, tra ottobre e novembre, può essere indicato.
    Cura della campanula: irrigazione e concimazione
    Il segreto è mantenere il terreno costantemente umido, senza esagerare. L’acqua va versata direttamente alla base, evitando fiori e steli, fragili e sensibili a pioggia e annaffiature aggressive.
    Per quanto riguarda la concimazione, invece, vi basta sapere che la campanula si accontenta davvero di poco. Tuttavia, se lo scopo è avere una fioritura prolungata e piena, sarebbe utile nutrirla ogni 2-3 settimane con concimi specifici per piante fiorite, meglio se naturali, come quelli contenenti guano. Il risultato? Fiori fino a settembre, con colori che si intensificano con l’arrivo del fresco.
    La campanula deve essere potata? I consigli
    Per avere sempre una pianta bella rigogliosa e in salute, sarebbe meglio prendersi l’abitudine di potare la campanula. In realtà i passaggi da fare sono pochi, ma restano efficaci. Intanto, come prima cosa sarebbe meglio rimuovere tutti i fiori appassiti con regolarità. Questo step è essenziale per la stimolazione di nuove fioriture. Inoltre, a fine stagione si consiglia di tagliare la pianta appena sopra il terreno e, se dopo qualche anno la fioritura tende a diminuire, il consiglio è preciso: dividere la zolla a settembre e ripiantare le parti in un terreno nuovo. Infine, in vista dell’inverno, si consiglia di proteggere la base della campanula con foglie secche. Una prevenzione molto semplice che però lascia il segno. LEGGI TUTTO

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    Rifiuti domestici, sconto sulla Tari per chi fa compostaggio

    Scadenza in vista per chi vuol risparmiare sulla Tari impegnandosi al compostaggio domestico. Utilizzare il concime prodotto con gli scarti alimentari per fertilizzare le proprie piante consente infatti di ottenere uno sconto sulla Tariffa per lo smaltimento dei rifiuti e in diversi capoluoghi di provincia è fissato al 30 giugno il termine ultimo per presentare […] LEGGI TUTTO

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    Perché vediamo sempre più “pesci della fine del mondo” risalire in superficie?

    Dalle profondità degli abissi, dicono le leggende, il grande pesce del giorno del giudizio universale arriva sino a noi in superficie per portarci un segnale. Dicono sia il messaggero del Dio del mare. Potrebbe essere l’annuncio di un terremoto, uno tsunami o una catastrofe, narrano tutte quelle storie di folklore intorno al pesce remo, che però tali rimangono, leggende senza prove scientifiche. Ma quando l’inusuale si trasforma in usuale – come sta accadendo quest’anno – inevitabilmente anche le leggende finiscono per fare un po’ paura. Negli ultimi tempi infatti il pesce della fine del mondo, il pesce remo, o “oarfish” se preferite, è stato avvistato sempre di più nelle acque di tutto il mondo: dalla California al Messico dove un esemplare di 4 metri è stato ripreso con lo smartphone sino all’India o a varie coste dell’Oceania. In quest’ultima settimana proprio tra le coste di Australia, Tasmania e Nuova Zelanda, gli avvistamenti di questo animale che solitamente vive tra i 200 e i 1000 metri di profondità si stanno ripetendo in maniera sorprendente.

    Prima uno, poi due, tre e quattro in poco più di sette giorni fra le spiagge dell’Oceania: un numero elevato di avvistamenti se si pensa che nella sola Australia finora in tutta la storia delle segnalazioni di pesce remo ci sono stati appena 70 casi. In questi ultimi episodi alcuni dei pesci remo recuperati erano morti e senza testa, come quelli vicino a Christchurch in Nuova Zelanda. La particolarità di questa affascinante specie sta nella sua lunghezza: alcuni esemplari superano perfino gli otto metri e i 200 chilogrammi e, anche se non ci sono prove documentate, in alcuni casi potrebbero arrivare anche a 11 metri. Studiare questi animali, i pesci ossei più lunghi al mondo, è però estremamente complesso perché sono rarissimi da incontrare, soprattutto ancora in vita. Eppure, tra oarfish spiaggiati, recuperati dai pescatori e altri ripresi dal vivo mentre nuotavano, nell’ultimo anno c’è stato un vero e proprio boom di avvistamenti. Lungo le coste della California, dove dal 1901 ad oggi erano stati registrati solo 20 avvistamenti, da agosto 2024 fino ad ora ci sono stati almeno tre casi comprovati fra gli Usa e il Messico. Poi all’improvviso un pesce remo è stato ritrovato anche in India, nella zona del Tamil Nadu, recuperato dai pescatori: ci sono volute più persone per poterlo alzare e mostrarlo in immagini diventate subito virali.

    La viralità, soprattutto in Asia, è anche collegata alle credenze. Nel folklore giapponese, ma anche filippino, si pensa che il pesce remo sia presagio di catastrofi come terremoti oppure tsunami, una credenza che è andata rafforzandosi dopo alcune di quelle che per molti scienziati sono solo coincidenze ed episodi difficili da comprovare scientificamente, ma che per il popolo nipponico sono qualcosa di più. Nel 2011 c’è stata infatti una serie di strani ritrovamenti di pesce remo in Giappone che hanno anticipato, per tempistiche, il grande terremoto e lo tsunami che ha sconvolto il paese del Sol Levante. Stessa cosa per le Filippine nel 2017 prima del grande sisma di magnitudo 6.6. La scienza però è chiara: non ci sono prove evidenti di alcun collegamento tra gli avvistamenti di pesci remo e un imminente disastro naturale. Per esempio alcuni pesci furono avvistati in California nel 2013 ma poi non seguì nessun sisma o evento naturale particolare. Al massimo, come sostiene Neville Barrett dell’Istituto di Studi Marini dell’Università della Tasmania “un grande terremoto potrebbe portare alcuni pesci a risalire in superficie, ma questo dovrebbe accadere praticamente nello stesso istante della catastrofe, non prima”. Allo stesso tempo, ha ricordato Nick Ling, ecologo ittico dell’Università di Waikato, si hanno ancora pochissime informazioni su questi pesci che vivono “a profondità considerevoli e per questo sono difficilissimi da studiare. Sappiamo per esempio che restano sospesi verticalmente nell’acqua probabilmente in attesa di prede”. Così come è noto che i pesci remo siano in grado di praticare l’autotomia, l’auto amputazione della coda forse per avere un risparmio delle energie nei movimenti. Meno chiaro è invece il perché di questi recenti incontri e ritrovamenti, fattori che gli scienziati intendono tentare di studiare senza escludere per esempio la possibilità con altri collegamenti: con la crisi del clima che rende le acque più calde, con la presenza di inquinanti (come le microplastiche) trovate persino nella Fossa delle Marianne o con tutte quelle criticità, dall’acidificazione alle azioni dell’uomo sul mare, che potrebbero favorire la loro risalita in superficie. LEGGI TUTTO

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    Fiere sostenibili: quando l’alluminio riciclato incontra l’economia circolare

    Ogni anno, migliaia di stand fieristici vengono costruiti e smantellati in tutto il mondo. Una pratica che, secondo le stime, porta quasi il 90% dei materiali convenzionali direttamente in discarica dopo un singolo evento. Un paradosso dell’economia moderna che l’azienda tedesca Octanorm, con una forte presenza in Italia, ha deciso di sfidare attraverso un approccio radicalmente diverso.

    “La sostenibilità è per noi non solo una responsabilità aziendale, ma un vero e proprio approccio mentale che pratichiamo in ogni aspetto del nostro business”, spiega Antonio Jurkovic, Managing Director e Marketing Director di Octanorm Italia. Una filosofia che si traduce in scelte concrete, a partire dai materiali utilizzati.

    L’alluminio che non si consuma mai
    Il segreto di Octanorm sta nell’alluminio secondario, ovvero riciclato, che costituisce la base di tutte le sue estrusioni. Un materiale dalle caratteristiche uniche: può essere riutilizzato all’infinito senza perdere qualità e richiede appena il 5% dell’energia necessaria per produrre alluminio primario. Il risultato? Una drastica riduzione delle materie prime, dei rifiuti e delle emissioni di CO2.”Tutto l’alluminio che utilizziamo è alluminio riciclato”, racconta Jurkovic. Non solo: anche il sistema di pavimento Octaeco è interamente realizzato con polipropilene riciclato, completando il quadro di un’azienda che ha fatto della circolarità il proprio DNA.
    Modularità contro spreco
    La vera rivoluzione di Octanorm è però concettuale. Dal 1969, quando introdusse il primo sistema a serratura a tensione, l’azienda ha puntato sulla modularità. I suoi profili sono progettati per durare decenni e per essere riconfigurati infinite volte, trasformando l’allestimento da prodotto usa-e-getta a investimento a lungo termine. “I nostri profili, in termini di sostenibilità, vengono utilizzati per mediamente 25-30 anni prima di essere smaltiti – precisa Jurkovic -. Octanorm ha puntato sulla modularità e su un sistema basato su una gola particolare nella quale si innescano un po’ tutti i nostri profili. Quindi chi acquista un profilo da noi, ho acquistato un profilo 40 anni fa, è ancora in grado di utilizzarlo e integrarlo anche con le strutture nuove. Diciamo che non si butta via niente.”
    La rete globale che riduce l’impronta carbonica
    Oltre ai materiali e alla progettazione, Octanorm ha ripensato anche la logistica. La rete Ospi conta circa 120 partner in oltre 40 paesi e opera secondo il principio “Designed here. Built there”. In pratica, invece di spedire i materiali dall’altra parte del mondo, si inviano solo i progetti. “Abbiamo un network che si chiama Ospi che consente di produrre dove serve: se si deve fare un allestimento in America, non si manda il materiale in America, ma si manda solo il progetto perché lì c’è un licenziatario Octanorm esattamente come noi, che ha gli stessi nostri prodotti e che quindi lo può realizzare lì, con un impatto sull’ambiente decisamente minore”.
    L’azienda ha così ottenuto una riduzione delle emissioni di CO2 fino al 65% e una diminuzione dello spazio di trasporto a un quinto rispetto agli allestimenti tradizionali, grazie anche alla leggerezza dell’alluminio e alla possibilità di smontare e impilare i profili. LEGGI TUTTO

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    “La crisi climatica è già nei nostri campi”. L’agricoltura europea tra rischi e opportunità

    “La crisi climatica non è un concetto astratto. È già nelle nostre case, nelle nostre città, si può toccare nei nostri campi”. A dirlo sono gli agricoltori che hanno partecipato a “Back to Growth”, l’evento che Bayer ha organizzato a Bruxelles il 10 e l’11 giugno. Sono passati ormai due anni dall’inizio della “rivolta dei trattori”, che ha visto gli agricoltori protestare contro le politiche europee, ma le criticità che coinvolgono il settore, come emerge dalla due giorni, sono lontane dall’esser risolte.

    Le sfide
    Al centro del dibattito, l’industria europea delle scienze della vita. Nonostante sia stato un motore di innovazione, il settore sta infatti perdendo terreno rispetto a competitor come Stati Uniti e Cina. Le sfide sono molte: rafforzare l’economia senza compromettere la sostenibilità, colmare il divario di produttività e innovazione mantenendo gli obiettivi climatici, stimolare le industrie della salute e dell’agricoltura garantendo al contempo prezzi accessibili per i consumatori. Per quanto riguarda l’agricoltura, soddisfare l’aumento di domanda di prodotti, alla luce del cambiamento climatico e degli obiettivi di sostenibilità, è una sfida economica che continua in molti casi a scontrarsi con le esigenze pratiche degli agricoltori. La chiave, secondo gli esperti che hanno partecipato all’incontro può essere riassunta in una parola: innovazione.

    Nicolas Lobet PRYZM  LEGGI TUTTO

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    Se la benzina “verde” si produce direttamente dall’aria

    Immaginiamo una macchina grande quanto un frigorifero modulare in grado di trasformare aria e acqua in benzina. È l’ultima invenzione di una startup. Si chiama Aircela, con sede a New York, è stata fondata nel 2019 dai coniugi Eric e Mia Dahlgren, e mediante un processo di reazioni chimiche e processi fisici, riesce a produrre combustibile direttamente dall’ambiente. Alla base di tutto c’è l’utilizzo di un sistema di cattura della CO2 presente nell’aria, combinata con acqua e trasformata attraverso vari passaggi in carburante verde. La startup a fine maggio 2025 ha fatto la sua prima dimostrazione pubblica sui tetti del Garment District di Manhattan, segando un momento storico: per la prima volta negli Stati Uniti, è stata prodotta benzina sintetica in tempo reale, partendo dall’aria urbana. Il risultato è un carburante purissimo, privo di zolfo, metalli pesanti ed etanolo, compatibile al 100% con qualsiasi motore a benzina. “La parte migliore? – affermano i fondatori – Non è necessario cambiare l’auto o il sistema di alimentazione: funziona con quello che abbiamo già”.

    Come funziona: il processo di elettrolisi
    Mia e Eric Dahlgren, fondatori di Aircela, hanno trascorso anni di test per perfezionare questo processo, basandosi sulle ricerche pioneristiche di Klaus Lackner, il fisico che nei primi anni 2000 propose per primo la cattura diretta dell’aria. Lackner stesso ha partecipato all’evento dimostrativo dello scorso maggio, spiegando le basi scientifiche del processo di cattura del carbonio. La tecnologia di Aircela si basa sui suoi vent’anni di ricerca presso il Center for Negative Carbon Emissions dell’Arizona State University, dove ha sviluppato i concetti di base per la cattura passiva dell’anidride carbonica. La macchina Aircela utilizza solo aria, acqua ed elettricità rinnovabile. Gli ingegneri hanno progettato la struttura a nido d’ape completamente modulare, per essere facilmente trasportata. Il vantaggio competitivo – e unico nel suo genere – è quello di produrre e-fuel ovunque, anche off-grid. Il carburante prodotto è utilizzabile nei motori a benzina senza modifiche, e privo di zolfo o metalli pesanti.

    Il dispositivo integra tre processi: cattura diretta della CO2 (con la tecnologia DAC, Direct-Air-Capture), elettrolisi dell’acqua per ottenere idrogeno, e sintesi catalitica in carburante liquido. La CO2 viene assorbita tramite un solvente a base di KOH (idrossido di potassio), una sostanza fortemente alcalina che reagisce con l’anidride carbonica atmosferica formando carbonati. Un trattamento elettrochimico successivo rigenera il KOH e rilascia CO2 pura, pronta per essere utilizzata nella sintesi. L’idrogeno ottenuto per elettrolisi dell’acqua viene poi combinato con la CO2 per produrre metanolo, successivamente trasformato in benzina secondo il processo MTG (Methanol-to-Gasoline) sviluppato dalla metà degli anni 70. “Per produrre gas da aria e acqua, la macchina utilizza l’elettrolisi – spiega Dahlgren -. Processo che scompone l’acqua in idrogeno e ossigeno. Questo idrogeno rappresenta una delle componenti fondamentali nel successivo processo di produzione della benzina. Innovazioni nell’elettrolisi avanzata sono necessarie per migliorare l’efficienza di produzione dell’idrogeno, riducendo al contempo il consumo energetico necessitato. Gli sviluppi continuano a rendere questo processo economicamente ed energicamente sostenibile, con l’obiettivo di minimizzare perdite e di massimizzare la resistenza operativa nel lungo termine, rendendo l’idrogeno prodotto una risorsa affidabile e conveniente per la generazione di carburante”.

    A fine procedura, l’utente estrae la pompa situata lateralmente alla macchina e versa il gas – privo di combustibili fossili – in un contenitore pronto per l’uso. Dahlgren precisa, inoltre, che per ogni gallone (3,8 litri) di e-fuel prodotto con questo sistema sono necessarie circa 10 kg di CO2. L’innovazione di Aircela punta su casi d’uso specifici: luoghi remoti, ambienti militari o aree senza infrastrutture. L’azienda prevede di avviare la produzione su larga scala alla fine del 2025 “Migliaia di sistemi Aircela prodotti in serie opereranno insieme come server farm per carburante verde”. LEGGI TUTTO

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    Cactus: tutto quello che c’è da sapere

    Resistenti, affascinanti e straordinariamente adattabili: i cactus sono piante grasse che conquistano per la loro estetica esotica e la facilità di coltivazione. Perfetti per chi desidera un tocco di verde senza impegni eccessivi, i cactus si rivelano alleati ideali sia per giardini assolati, sia per appartamenti luminosi. Ecco tutto quello che c’è da sapere su queste straordinarie piante.

    Le caratteristiche dei cactus: tipi e varietà principali
    Quando si parla di cactus, ci si riferisce a una famiglia botanica, le Cactaceae, che conta circa 3.000 specie suddivise in oltre 100 generi. Originari delle zone aride dell’America e dell’Africa, questi vegetali hanno sviluppato nel tempo incredibili strategie di sopravvivenza, diventando veri e propri campioni di adattabilità.

    Il loro elemento distintivo è il fusto succulento, capace di immagazzinare acqua e svolgere la fotosintesi in assenza di foglie vere e proprie. Al posto di queste ultime, infatti, i cactus sono spesso dotati di spine, una soluzione evolutiva che riduce la dispersione d’acqua e li protegge dai predatori. Alcune specie presentano una lanugine biancastra che aiuta a schermare i raggi solari, mentre altre sviluppano fiori spettacolari, spesso effimeri ma incredibilmente scenografici.

    La fioritura, che varia a seconda della specie, regala tonalità vivaci che vanno dal bianco puro al rosso acceso, dal giallo brillante al rosa intenso. In alcuni casi, come per il fico d’India, dal fiore si sviluppano frutti commestibili, apprezzati sia per il loro sapore dolce, sia per le proprietà nutrizionali.

    Quali sono i tipi di cactus più diffusi e quali i suoi frutti
    Tra le tipologie di cactus più conosciute sono da menzionare:

    Echinocactus grusonii: conosciuto come “cuscino della suocera”, ha una forma sferica e spine dorate;
    Opuntia ficus-indica: il classico fico d’India, con pale piatte e frutti commestibili;
    Mammillaria: piccoli cactus con spine morbide e fiori colorati;
    Schlumbergera: il cactus di Natale, che fiorisce in inverno;
    Astrophytum: caratterizzato da una forma geometrica e una crescita lenta.

    Ogni varietà ha esigenze specifiche, ma tutte condividono la necessità di un substrato drenante e un’esposizione alla luce adeguata.
    Molte persone non sanno che alcuni cactus producono anche frutti commestibili. Tra i più noti, troviamo: il Fico d’India, la Pitaya e la Pereskia aculeata. Apprezzati per il loro sapore esotico e le loro proprietà, i frutti del cactus sono spesso utilizzati anche in cosmetica e in molti integratori alimentari.

    Come coltivare il cactus all’aperto
    Se il clima lo consente, la coltivazione in giardino o su un terrazzo soleggiato è la soluzione ideale per i cactus. In particolare, nelle regioni del Sud Italia queste piante riescono a prosperare senza problemi anche durante l’inverno, grazie alle temperature miti. Nelle aree più fredde, invece, è consigliabile optare per la coltivazione in vaso, così da poter spostare le piante al riparo nei mesi più rigidi.
    L’esposizione è un fattore cruciale: il cactus ha bisogno di molta luce per crescere sano e forte. L’ideale è collocarlo in un punto ben illuminato e riparato dai venti freddi. Anche il substrato gioca un ruolo fondamentale: il terreno deve essere specifico per piante grasse, caratterizzato da una miscela di sabbia e torba per garantire un ottimo drenaggio. I ristagni d’acqua, infatti, rappresentano una delle principali minacce per la sopravvivenza di queste piante, causando rapidamente marciumi radicali.

    Cactus: irrigazione e concimazione all’aperto
    L’irrigazione deve essere moderata e calibrata in base alla stagione: in estate, un’annaffiatura ogni due settimane è sufficiente, mentre in inverno è bene ridurre drasticamente le somministrazioni, arrivando a bagnare la pianta al massimo una volta al mese.
    Un altro aspetto da considerare è la concimazione. Se coltivato in vaso, il cactus può beneficiare di un fertilizzante specifico per piante grasse durante i mesi estivi, mentre se piantato in piena terra spesso riesce a trarre da solo i nutrienti necessari.
    Per garantire uno sviluppo armonioso, è consigliabile effettuare il rinvaso ogni primavera, scegliendo un contenitore leggermente più grande del precedente. Se alla base della pianta madre compaiono nuovi germogli, questi possono essere separati con cura e piantati in nuovi vasi, dando così vita a nuove piante.

    Come coltivare il cactus in appartamento
    Anche chi non dispone di uno spazio esterno può godere della bellezza di un cactus. Queste piante si adattano infatti perfettamente alla vita in appartamento, purché si rispettino alcune semplici accortezze.
    La luminosità resta il fattore chiave: il cactus va posizionato vicino a finestre esposte a sud o a ovest, dove possa ricevere il massimo della luce naturale. Durante l’inverno, è fondamentale evitare di collocarlo vicino a fonti di calore come termosifoni o camini, mentre in estate, se l’ambiente è climatizzato, è meglio spostarlo all’esterno per qualche ora al giorno.

    Irrigazione e concimazione in appartamento
    Le regole per il substrato e l’irrigazione restano le stesse della coltivazione all’aperto: terriccio ben drenante e annaffiature sporadiche, soprattutto nella stagione fredda. Anche la concimazione segue un ritmo stagionale, con apporti di fertilizzante nei mesi caldi e un periodo di riposo vegetativo in inverno.

    La fioritura, generalmente, avviene attorno al terzo anno di vita e rappresenta una gratificazione straordinaria per chi ha seguito con costanza e attenzione la crescita della pianta. Alcune specie, come l’Echinopsis, producono fiori spettacolari che si aprono di notte e durano solo poche ore, rendendo l’attesa ancora più affascinante.

    Cactus da interno: quali scegliere
    Sebbene siano amanti delle zone all’aperto, i cactus sono perfetti anche per gli interni. Questo è dovuto alla loro grande capacità di adattarsi agli ambienti domestici. Ma quali scegliere per un appartamento? Di seguito alcune opzioni particolarmente apprezzate:
    Haworthia: piccola e facile da curare, ideale per scrivanie e mensole;
    Sansevieria cylindrica: purifica l’aria e resiste a condizioni di scarsa illuminazione;
    Schlumbergera: adatta per ambienti con luce indiretta, fiorisce in inverno;
    Echinopsis: dalle fioriture spettacolari, necessita di molta luce.

    Prezzo dei cactus: quanto costano in media?
    Il prezzo di un cactus varia ovviamente a seconda della specie, della dimensione e del punto vendita in cui lo si acquista. Indicativamente e per avere una panoramica più o meno fissa, possiamo dire che i piccoli cactus da interno possono andare dai 3 ai 15 euro, mentre i cactus medi dai 15 ai 50 euro. Per gli esemplari grandi e rari, infine, le cifre si alzano e possono oltrepassare anche i 200 euro.

    Capaci di prosperare dove altre specie fallirebbero, i cactus non sono solo piante ornamentali. Longevi, resistenti, dallo spirito di adattamento formidabile, queste piante sono perfette per tutti coloro che desiderano un angolo di natura senza troppo impegno. LEGGI TUTTO