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    Le case green? Si costruiscono con i container da smaltire

    Secondo la direttiva UE Case Green le nostre abitazioni dovranno consumare sempre meno energia e raggiungere la classe energetica E entro il 2030 con l’obiettivo emissioni zero del patrimonio edilizio europeo entro il 2050. Attualmente gli edifici, infatti, rappresentano circa il 40% del consumo energetico totale dell’UE, producendo il 36% delle emissioni inquinanti. Numeri importanti, per questo motivo il pacchetto normativo Ue punta non solo a migliorare l’efficienza energetica degli edifici esistenti, ma anche a garantire che le nuove costruzioni abbiano un impatto ambientale ridotto. Dai paesi del Nord Europa, da sempre più avanzati nello sviluppo di soluzioni abitative più ecologiche, arriva l’esempio di Keetwonen, in Olanda il più grande complesso di case fatte con container, destinate ad offrire una soluzione economica a circa 1.000 studenti, in una città come quella di Amsterdam, dove i prezzi degli affitti sono piuttosto elevati. In Danimarca, c’è un altro progetto, il CPH Village, mini-appartamenti per studenti anche questi costruiti con container dismessi, con una spesa media del 30% inferiore rispetto a case tradizionali.

    Transizione ecologica

    “Il mio bisnonno produceva sapone, oggi sviluppiamo materiali naturali dal sughero per case green”

    di Dario D’Elia

    19 Marzo 2025

    Le abitazioni costruite con container dunque, stanno diventando una soluzione abitativa sempre più diffusa grazie alla loro economicità, sostenibilità e rapidità di realizzazione. I container, abitualmente usati nel trasporto marittimo, a bordo di navi che trasportano merci in tutto il mondo, infatti, possono diventare spazi personalizzabili, riciclando circa 2 milioni di container che ogni anno vengono dismessi. Un’operazione che se compiuta su grande scala, sarebbe un esempio virtuoso di economia circolare. Ed i vantaggi non sono pochi. Uno dei principali è il basso costo, considerando che una casa in container varia tra 800 e 1.500 euro al metro quadrato, a seconda del livello di finitura e degli impianti installati. Altro punto di forza è la modularità dei container che possono essere assemblati in diverse configurazioni, per creare ambienti più ampi e complessi, adattandosi alle esigenze di chi li abita. La loro resistenza strutturale, progettata per affrontare condizioni atmosferiche estreme, li rende sicuri e durevoli nel tempo. Il fascino di queste abitazioni risiede nella loro versatilità e nel connubio tra innovazione e rispetto per l’ambiente e potrebbero rappresentare una soluzione utile anche in Italia per diverse ragioni: tra cui l’emergenza abitativa, visto che le case in container potrebbero offrire una soluzione rapida ed economica per il social housing, fornendo alloggi temporanei o permanenti per persone in difficoltà o ancora in caso di disastri naturali, come i terremoti, per la rapidità di costruzione.

    Inoltre l’Italia è uno dei Paesi più visitati al mondo e le case in container potrebbero essere utilizzate anche nel settore turistico, come strutture ricettive sostenibili, bungalow o eco-lodge. Ovviamente non mancano le criticità, come l’isolamento termico e acustico, infatti, i container sono costruiti in acciaio, che conduce facilmente sia il calore che il freddo, rendendo indispensabile l’installazione di adeguati sistemi di coibentazione. Se la direttiva europea stabilisce requisiti rigorosi per ridurre il consumo energetico, in questo caso, i container possono rappresentare una valida alternativa, ma solo se progettati secondo i criteri di efficienza, come l’uso di materiali isolanti avanzati e sistemi di energia rinnovabile. Nel nostro paese, c’è un’azienda specializzata in questo processo trasformativo – da container navali ad abitazioni – si chiama Green Living, ed è stata fondata nel 2016 da Vincenzo Russi, bio-architetto molto attivo anche nel promuovere green e sostenibilità delle abitazioni, di cui parlerà anche a Edilsocialnetwork BCAD, la fiera internazionale di Edilizia, Architettura e Design, a La Nuvola di Roma (19-21 settembre).

    Russi a Green&Blue ha spiegato come funziona il processo di trasformazione e quali sono gli aspetti di sostenibilità più importanti di una casa-container. “Acquistiamo container di due dimensioni, 16 e 35 metri quadri, che andrebbero in dismissione dopo aver svolto la loro attività di trasporto merci per 5 anni. Sono fatti di acciaio corten, il più resistente in commercio, praticamente indistruttibili, e ridiamo loro nuova vita connettendoli uno con l’altro, come dei mattoncini Lego, per realizzare case dai 50 ai 500 metri quadri, o altre soluzioni, come una caserma dei Carabinieri che abbiamo realizzato a Ravenna”, evidenzia Russi, che ha scoperto questo sistema di costruzione nel Regno Unito, e ha importato per primo l’idea in Italia, dopo aver studiato il modo di adattare le case-container alla normativa italiana, più restrittiva rispetto ad altri Paesi.

    Ricerca

    Così l’edilizia studia come intrappolare la CO2 nei materiali da costruzione

    di Sara Carmignani

    17 Gennaio 2025

    Tra i motivi che spingono una persona ad una soluzione abitativa così alternativa, in primis ci sono i costi. “Sono inferiori rispetto alle case in legno e costano la metà rispetto alle case tradizionali, si costruiscono rapidamente e sono resistenti anche a livello sismico”, spiega Russi. Ed a proposito di costi, “una villetta di 100 metri costa circa 80mila euro, indipendentemente dal costo del terreno, che varia in base alla location”, senza contare che se costruire una casa tradizionale genera in media 50 tonnellate di CO?, una casa in container può ridurre le emissioni fino al 60%, soprattutto se realizzata con materiali isolanti naturali.

    E dal punto di vista energetico? “Una casa-container ha la stessa coibentazione di una casa in legno, per essere riscaldata usiamo pompe di calore connesse all’impianto fotovoltaico da 8 kw ed alle batteria da 12 kw per l’accumulo energetico, che rendono la casa del tutto autosufficiente – evidenzia ancora Russi – senza contare che l’impiego di cemento si riduce ad appena 20 centimetri usati per il piano terra, su cui sono poggiati i container, per cui siamo totalmente dentro i parametri della direttiva Case Green”. LEGGI TUTTO

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    Non solo uragani, le parole del meteo estremo

    Ormai sappiamo cosa intende per uragano o tifone, mentre è meno noto il significato di “dust devil”. Anche il linguaggio risente degli effetti della crisi climatica e i termini legati alla meteorologia sono sempre più frequenti nell’uso comune e si arricchiscono di definizioni tecniche che rimandano agli eventi estremi. In occasione della Giornata mondiale della meteorologia l’app Babbel propone un glossario per comprendere l’etimologia di alcune parole che sentiamo sempre più spesso. Eccone alcune.

    Ciclone, uragano e tifone
    Un evento atmosferico devastante, contraddistinto da forti e impetuose raffiche di vento e piogge torrenziali, è generalmente categorizzabile con la denominazione ciclone; questo termine affonda le sue radici etimologiche nel greco kùklos, ovvero “cerchio” o “giro”: a livello satellitare, infatti, i cicloni sono distinguibili per le loro dense nubi a forma circolare che si sviluppano intorno ad un “occhio”, il punto centrale più calmo dove i venti si placano. Tuttavia questa perturbazione violenta, esacerbata dall’aumento delle temperature globali, assume nomi diversi a seconda della zona in cui si sviluppa e si abbatte. Ad esempio con uragano, o ciclone tropicale, si fa riferimento alla tempesta che interessa principalmente il Centro e il Nord America; nella zona del centro-America, in particolare, si utilizza il termine proveniente dallo spagnolo di origine caraibica huracán, ovvero il nome del terribile dio indigeno al comando del vento e delle tempeste. Mentre al largo e sulle coste dell’Oceano Pacifico e del Mar Cinese nascono i tifoni, un vocabolo preso in prestito dalla lingua cinese, dove t’ai fung significa “grande vento”, in riferimento alla potenza dei venti che caratterizzano questo fenomeno distruttivo.

    Società

    “Treintrots” e altri neologismi climatici, così la crisi cambia la nostra lingua

    di Pasquale Raicaldo

    17 Gennaio 2025

    Tsunami
    Conosciuto anche come maremoto nella lingua italiana, lo tsunami è uno degli eventi naturali potenzialmente più catastrofici. Questo fenomeno colpisce principalmente le aree soggette a terremoti subacquei i quali, a seconda della loro intensità, possono generare onde anomale, che raggiungono fino a 50 metri di altezza nei casi più estremi. Mentre il termine italiano “maremoto” richiama la caratteristica oscillazione delle onde del mare a seguito di una scossa, in giapponese il termine “tsunami” ha un significato letterale di “onde sul porto”, essendo etimologicamente composto da due kanji, tsu, che significa “porto”, e nami, che può voler dire “maroso” o “grande onda”. La denominazione giapponese di questo fenomeno violento è ormai entrata nel linguaggio comune, soprattutto per la frequenza con cui questi eventi estremi si verificano sulle coste del Giappone, un’area geografica fortemente soggetta a sismi di magnitudo elevata.

    Tornado
    Con il termine “tornado”, o tromba d’aria in italiano, si indica il vortice intenso di nubi e vento alimentato da correnti di aria calda e fredda che nasce da una cella temporalesca. Questo fenomeno si verifica sempre più frequentemente in diverse regioni a causa del surriscaldamento globale che, con l’aumento della temperatura atmosferica, favorisce la formazione di trombe d’aria. La parola “tornado” deriva dal termine spagnolo “tronada”, che significa “tempesta” o “temporale”, a sua volta derivato dal verbo tronar (“tuonare”); successivamente, il termine si è evoluto in “tornado”, con riferimento al moto rotatorio del vento tipico del fenomeno (dal participio del verbo spagnolo “tornar” ovvero “girare”). Una versione informale, utilizzata soprattutto negli Stati Uniti, per descrivere questo evento atmosferico è twister la cui etimologia richiama, anche in questo caso, la forma turbinosa del vortice, dal verbo inglese twist che significa “ruotare”.

    Derecho
    Tra aprile ed agosto uno dei fenomeni estremi più frequenti, soprattutto negli stati del Midwest statunitense, è il “derecho”. Questa tempesta è caratterizzata principalmente da improvvisi rovesci di pioggia e da forti venti, che possono essere paragonabili in potenza e velocità a quelli generati dagli uragani e dai tornado. Per descrivere questo tipo di fenomeno atmosferico violento i meteorologi hanno coniato il termine derecho, che in spagnolo significa “dritto”, per contraddistinguere i venti lineari, tipici di questo evento naturale, che si muovono appunto in linea retta, differenziandosi da quelli invece ruotanti dei tornado. Negli ultimi anni, a causa dell’aumento delle temperature e, soprattutto, dell’umidità, queste tempeste improvvise sono arrivate ad interessare anche le coste italiane provocando numerosi danni.

    Willy willy
    Chiamato anche dust devil, ovvero “diavolo di polvere”, il “willy willy” è un fenomeno molto particolare che interessa le zone desertiche dell’outback australiano. Si tratta di alte colonne di sabbia e polvere che, a differenza dei tornado, nascono e si innalzano direttamente dal suolo e, seppur simili nella forma, risultano decisamente meno distruttive. Come sottolinea Gianluca Pedrotti di Babbel, l’origine etimologica del termine è incerta, ma si ritiene che “willy-willy”, ampiamente usato dagli australiani, derivi dal nome con cui le popolazioni aborigene, in lingua Yindjibarndi e Wemba-wemba, descrivevano degli spiriti maligni che si manifestavano appunto sotto forma di vortici di sabbia. Il fenomeno dei “vortici di polvere” è diffuso in numerosi Paesi ed è noto con nomi differenti, spesso connessi ad un elemento divino, come “diablo de polvo” (“diavolo di polvere”) in Messico e “Djin” o “Jinn”, in riferimento agli spiriti del vento nella mitologia islamica, in Egitto e in Medio Oriente.

    Eruzione vulcanica, capelli di Pele e lahar
    Il termine eruzione, che deriva dal verbo latino erumpere ovvero “erompere”, descrive la natura dirompente ed esplosiva di questo fenomeno. Le eruzioni vulcaniche hanno effetti collaterali importanti sia sull’ambiente che sul clima, essendo ad esempio in grado di influenzare le temperature a causa dell’elevata produzione di anidride carbonica che comportano. Inoltre, portano con sé fenomeni secondari, come la formazione dei cosiddetti capelli di Pele e del lahar, entrambi potenzialmente distruttivi. I “capelli di Pele” sono sottili filamenti di vetro vulcanico, formati dalle fontane di lava durante un’eruzione (che prendono il nome dall’omonima dea hawaiana che governa il fuoco ed i vulcani); sebbene ricordino una morbida chioma dorata, diventano particolarmente pericolosi e abrasivi se trasportati ad alte velocità dal vento. In Indonesia, invece, la lava raffreddata miscelata con acqua e rocce vulcaniche viene chiamata in lingua giavanese “lahar”; la sua consistenza assomiglia a quella densa del cemento fresco e, se smosso, può provocare frane e travolgere le aree circostanti per diversi chilometri, con gravi conseguenze per l’ambiente e le abitazioni.

    Cataclisma
    Negli ultimi anni questo termine ha iniziato sempre di più a far parte del vocabolario comune per descrivere eventi di natura dirompente e distruttiva, che interessano varie zone del mondo e sotto diverse forme. Nei tempi antichi il cataclisma era strettamente legato a catastrofi causate dall’acqua, come indicato dall’etimologia greca kataklysmós, che significa “inondazione”, derivata dal verbo kataklýzein, composto dalle particelle katá ovvero “giù” e klýzein ovvero “lavare, bagnare”. Oggi, con l’intensificarsi in potenza e frequenza di fenomeni estremi come tornado, uragani ed eruzioni vulcaniche, il termine cataclisma ha assunto un significato più generico, che fa riferimento a qualsiasi situazione che arrechi danni estesi a persone e ambiente. LEGGI TUTTO

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    Lavori green, Alice Pomiato e la sostenibilità: i social per aiutare l’ambiente

    Questa è la storia di due crisi. Una personale, l’altra globale. Una è quella di Alice, 33 anni, green influencer, l’altra quella del Pianeta in cui viviamo. Tutto comincia nel 2015, quando Alice Pomiato, con una laurea in Comunicazione, inizia a lavorare in varie agenzie di pubblicità. Ma il suo disagio cresce sempre di più. […] LEGGI TUTTO

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    Italiani poco attenti all’acqua, il 32% non ripara le perdite

    Siamo disallineati. Poco consapevoli. Distratti. Per esempio, il 78% degli italiani pensa di consumare meno di 200 litri d’acqua al giorno e solo il 6% si attribuisce appunto un consumo superiore a quella soglia. Non basta: appena il 35% degli italiani ritiene il consumo idrico pro-capite in Italia superiore alla media europea, il 32% non controlla abitualmente eventuali perdite d’acqua in casa e ancora il 29% non utilizza la lavatrice a pieno carico. Meno di uno su quattro usa di solito la lavastoviglie – grazie alla quale è invece possibile ottenere un risparmio fino a 110 litri d’acqua al giorno (se ne consumano in media 12 litri contro i 122 del lavaggio a mano) – e solo il 23% evita l’inutile pratica di sciacquare i piatti a mano prima di avviare il ciclo di lavaggio.

    Sono solo alcuni dei numeri che escono da una ricerca nazionale a condotta da YouGov per Finish sulle abitudini di comportamento in termini di consumo idrico. L’impegno del gruppo si inserisce ormai da anni all’interno del progetto Acqua nelle nostre mani, dedicato alla sensibilizzazione – con attività originali, artistiche e divulgative – verso un atteggiamento virtuoso nei confronti di una risorsa scarsa e dunque fondamentale. Una di queste attività si ripeterà, dopo la tappa romana dello scorso autunno, in occasione della Giornata mondiale dell’acqua che cadrà il 22 marzo: a Milano, in piazza XXV Aprile, comparirà un gigantesco bidone dell’acqua (con le caratteristiche, quindi, di un contenitore stradale della spazzatura) capace di contenere oltre 6mila litri d’acqua che corrispondono circa al consumo settimanale di una famiglia di quattro persone. Tutto questo per fornire una consapevolezza anche plastica e visiva rispetto al consumo smodato d’acqua nel nostro paese.

    I consigli per risparmiare acqua in casa
    Il consumo d’acqua delle famiglie italiane si aggira infatti intorno ai 220 litri per persona al giorno, un dato superiore alla media europea. A livello globale, il consumo domestico varia naturalmente tra paesi sviluppati e in via di sviluppo, con sprechi insostenibili nei primi. Si stima che circa 30-50% dell’acqua usata in casa venga sprecata, soprattutto a causa di perdite, usi smodati e abitudini poco sostenibili – talvolta rivendicate con scarsa sensibilità – come lasciare il rubinetto aperto mentre ci si lava i denti o utilizzare lavatrici e lavastoviglie a mezzo carico. Per ridurre gli sprechi, è essenziale adottare comportamenti più responsabili.

    Riparare le perdite è un primo passo essenziale, poiché un rubinetto che gocciola può sprecare fino a 5mila litri di acqua all’anno. Anche chiuderlo mentre ci si lava i denti, si fanno altre attività in bagno o si insaponano i piatti è un gesto importante, che permette di risparmiare fino a 6-12 litri al minuto.
    Usare lavatrici e lavastoviglie solo a pieno carico consente ovviamente di ottimizzare il consumo d’acqua ed energia.
    Preferire la doccia al bagno in vasca può fare poi una grande differenza: una doccia di cinque minuti consuma circa 50-70 litri d’acqua, mentre un bagno ne richiede fino a 200.
    Raccogliere l’acqua piovana è un’ottima soluzione per annaffiare le piante o lavare l’auto senza sprechi mentre per l’irrigazione è meglio scegliere le ore serali o mattutine per evitare l’evaporazione e riutilizzare, quando possibile, l’acqua di cottura raffreddata.
    Infine, installare riduttori di flusso nei rubinetti e nelle docce può ridurre il consumo fino al 50%, senza compromettere la pressione dell’acqua. Con piccoli gesti quotidiani possiamo insomma contribuire a preservare questa risorsa preziosa.

    La gestione delle risorse idriche e la consapevolezza dei singoli sui consumi e sugli sprechi diventano un tema di assoluta rilevanza, su cui intervenire con urgenza con attività educative e di sensibilizzazione, proprio in un periodo in cui le regioni del sud Italia affrontano un incremento del 50% nella probabilità di siccità estrema a causa del cambiamento climatico. La Sicilia e la Puglia affrontano difficoltà croniche nella gestione idrica ma anche la Pianura Padana, ad esempio, registra da anni livelli critici del fiume Po. Secondo le previsioni, i ribaltamenti climatici e l’aumento della domanda d’acqua agricola e domestica potrebbero aggravare la situazione nei prossimi anni, rendendo essenziali politiche di gestione sostenibile e investimenti in infrastrutture per il risparmio e il riutilizzo delle risorse idriche.

    Il progetto “Acqua nelle nostre mani”
    Alla luce di questo scenario impressionante – Finish ha rinnovato anche nel 2025 il suo impegno nella tutela delle risorse idriche con il progetto “Acqua nelle nostre mani”. Dopo le iniziative sviluppate in passato su tutto il territorio nazionale, e con la pubblicazione nel 2022 della prima, drammaticamente provocatoria Guida turistica ai deserti d’Italia con gli scatti del fotografo Gabriele Galimberti, quest’anno il gruppo ha appunto deciso di realizzare una speciale installazione a Roma e Milano, in luoghi di grande passaggio nel centro delle città, con l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini sul tema dello spreco idrico e della quantità d’acqua consumata, molto spesso inconsapevolmente. LEGGI TUTTO

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    Giornata mondiale dell’Acqua: Venezia capitale mondiale del “rinascimento blu”

    Il progetto è ambizioso: eleggere Venezia capitale mondiale dell’acqua. “La città più antica del futuro”, la definì l’ex ministro Renato Brunetta il 12 luglio 2021 quando venne firmato l’atto costitutivo della fondazione “Venezia capitale della sostenibilità”. Sette progetti per riaffermare che l’unica città galleggiante al mondo non è un museo, ma può diventare un modello ambientale, sociale e urbanistico ispirato alla sviluppo sostenibile. A quasi quattro anni da quella giornata, il centro storico lagunare ancora stretto tra lo sfruttamento commerciale intensivo e l’affollamento turistico, lancia la sfida al mondo “per far crescere un nuovo modello sociale” partendo proprio dall’acqua e gli ecosistemi marini. Annuncia di voler diventare capofila di quel “Rinascimento blu” europeo tanto auspicato, aprendo il centro europeo di ricerca biomimetica acquatica. È stata l’associazione SUMus che da anni promuove iniziative scientifiche e didattiche all’avanguardia a scegliere Venezia come laboratorio per il futuro.

    World Water day

    Giornata mondiale dell’acqua, in Italia investiti 383 miliardi nel servizio idrico

    redazione Green&Blue

    22 Marzo 2025

    Festival Aquamour
    E l’occasione non poteva essere che la Giornata mondiale dell’acqua (22 marzo) che qui si intreccia con la data della fondazione di Venezia (25 marzo) a dare vita a cinque giorni pieni di spettacoli, conferenze, workshop. Mescolando cultura, economia e scienza per valorizzare il bene più essenziale del pianeta, il Festival Aquamour (21-25 marzo) presenta un programma lungo cinque giorni. E s’inserisce nel più ambizioso progetto di trasformare il capoluogo veneto nella capitale di quella che potrebbe diventare la Venice Acqua Valley.

    Start-up. divulgatori, artisti
    “Nell’era dell’intelligenza artificiale, la vera originalità è tornare all’elemento da cui la vita ha origine, l’intelligenza acquatica, riscoprendone colori, suggestioni e profondità. I più importanti scienziati, start-up innovative, divulgatori ed artisti faranno luce su un nuovo modello di sviluppo basato sulla rigenerazione educativa, agricola ed economica”, spiegano i promotori di Aquamour.
    Tra gli ospiti: Gunter Pauli, l’iniziatore della Blue Economy e fondatore di Zeri (Zero Emission Research Initiative), rete internazionale di studiosi impegnati a progettare sistemi innovativi di produzione e consumo; il Premio Nobel dell’Acqua 2023 Andrea Rinaldo che promuoverà un modello di ottimizzazione delle risorse idriche volto al miglioramento della qualità della vita. Dall’imitazione del mondo vivente marino che rappresenta un modello riproducibile, le società umane possono evolvere verso una maggiore efficienza. La pluripremiata biologa Marta Musso con Possea” – “Pos(sea)ble/Possible” – mostrerà il suo laboratorio itinerante, per raccontare ed esplorare il cosmo invisibile, microscopico ed essenziale del plancton con esperienze divulgative coinvolgenti dedicate alla cultura del mare. Giovanna Melandri, oggi alla presidenza di Human Foundation e di Social Impact Agenda per l’Italia, coglierà il trait d’union tra sostenibilità ed economia sociale nel contesto delle sfide globali.

    L’iniziativa

    Da Venezia l’appello al mondo: “Educhiamo alla tutela degli oceani”

    08 Giugno 2024

    Gli spazi e gli scenari
    Tavole rotonde e conferenze sono state organizzare un po’ ovunque negli spazi della città. A piazza San Marco ci sarà “The Home of the Human Safety Net”, lo showroom per le start-up di Biomimetica è previsto allo spazio LeonardH20, mentre la Serra dei giardini Reali si trasformerà in AquaPadiglione. Le mostre troveranno la propria location ideale alla Giudecca, alla Fàbrica 33 e alla Fucina del Futuro.
    Numerosi i talk e i concerti che animeranno la kermesse lagunare. Se sabato 22 marzo alla Pescheria di Rialto, l’happening partecipativo “Onde d’acqua, di musica & di amore” (ore 16,30) disegnerà un itinerario sonoro, lunedì 24 marzo al Teatro Goldoni, sarà la volta dell’incantevole “Aqua Serenissima” Quintet Concert di Do Montebello”. Al cinema Rossini con la proiezione del film “Panorami Sommersi”, martedì 25 marzo, giorno di fondazione di Venezia, a partire dalle 21 con la partecipazione del regista Samuele Gottardello e dell’attrice Eleonora Vallone, fondatrice del Aquafilmfestival. Durante la serata saranno consegnati i premi Paladino del Mare e Cavalier dell’acqua. LEGGI TUTTO

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    Giornata mondiale dell’acqua, in Italia investiti 383 miliardi nel servizio idrico

    L’acqua è ormai considerata una risorsa strategica per la nostra economia: la filiera idrica ha infatti superato i 383 miliardi di investimenti, tra imprese manifatturiere, agricole e il settore energetico, con un impatto sull’economia italiana del 20% del Pil. Il dato è emerso durante la sesta ediziine della Community “Valore Acqua per l’Italia” di Teha (The European House-Ambrosetti) – rappresentano 45 miliardi di euro di fatturato e oltre 260 mila occupati, servendo l’80% della popolazione italiana – alla presentazione del Blue Book 2025. Realizzato dalla Fondazione Utilitatis e promosso da Utilitalia fotografa la situazione del servizio idrico integrato, mentre il Libro Bianco 2025 “Valore Acqua per l’Italia” di Teha traccia un focus specifico sul ciclo idrico esteso che tra servizi, consorzi di bonifica e irrigazione, software e tecnologie, macchinari, impianti e componenti. Un settore che da solo vale 11 miliardi di euro.
    La Giornata mondiale dell’Acqua
    Il Libro bianco 2025 consente di fare una riflessione per questo 22 marzo, data in cui ogni anno si celebra la Giornata Mondiale dell’Acqua (World Water Day), un appuntamento istituito nel 1992 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Dedicata all’importanza vitale dell’acqua dolce e per promuovere la gestione sostenibile delle risorse idriche. Il tema scelto dall’Onu per il 2025 è La conservazione dei ghiacciai, per sottolineare l’urgenza di proteggere queste riserve naturali essenziali.

    L’edizione 2025 della Giornata mondiale dell’acqua è dedicata ai ghiacciai (ansa) LEGGI TUTTO

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    “Mobili usa e getta? La Terra non può più sopportare tutto questo”

    La tendenza sempre più spinta alla fast furniture, ovvero all’acquisto di mobili usa e getta, costituisce un serio danno per l’ambiente; il problema è simile a quello più noto della fast fashion. Solo in Gran Bretagna, ogni anno, vengono smaltiti in discarica oltre 22 milioni di mobili, che non possono essere riciclati o riutilizzati, ma la diffusione del fenomeno è ormai globale. La scarsa durata degli arredi per la casa e l’ufficio è dovuta a materiali scadenti, al modo in cui sono realizzati, alla insufficiente attenzione alla progettazione, alla rincorsa sfrenata ad abbattere i prezzi. Agli antipodi della fast furniture, pochi visionari che da decenni remano controcorrente sul fiume della società dei consumi. Ne abbiamo incontrato uno tra i più geniali, in Friuli-Venezia Giulia, dove è nato e dove opera dal 1980. Gabriele Centazzo ci accoglie nel suo buen retiro sulle Prealpi Carniche: una stalla in pietra e legno recentemente trasformata in casa-studio in un piccolo borgo della Val Colvera, ai margini del magnifico Parco naturale delle Dolomiti friulane. Lapidario sul fenomeno usa e getta – “la Terra, l’unico pianeta che abbiamo, non può più sopportare tutto questo” – propone la sua visione alternativa.

    Lunga durata
    “Innanzitutto, il prodotto dev’essere studiato per durare”, afferma Centazzo. “E nella durata comprendo due elementi molto importanti: la durata tecnica e quella estetica. I prodotti oggi diventano obsoleti perché le mode passano velocemente”. Un tempo non molto lontano non era così: il racconto del rasoio del nonno esemplifica molto bene il concetto. “Era bello il rasoio di mio nonno, con il manico lavorato, disegnato, aveva una sua consistenza, una sua bellezza. La lametta sottile in acciaio a fine vita veniva sostituita: materiale mono-materico facile da riciclare”. Il rasoio durava tutta la vita.

    Gabriele Centazzo  LEGGI TUTTO

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    Lavori green, il turismo secondo Teresa Agovino: un mondo da esplorare per renderlo migliore

    Organizzare l’intervista con Teresa non è stato facile. Perché di mezzo ci sono oltre quattro ore di fuso orario, circa 6mila chilometri in linea d’aria, nove ore di volo e una connessione internet che fa le bizze. Alla fine, però, ce l’abbiamo fatta. Ed è stato un bene perché chiacchierare con Teresa Agovino, salernitana, classe 1990, occhi verdi e un’infinità di riccioli, attualmente in India per portare avanti il suo progetto di turismo sostenibile, regala energia ed entusiasmo. Gli stessi che mette lei in tutto ciò che fa. “Qui collaboro con istituzioni governative e associazioni per quantificare gli impatti turistici e implementare strategie di miglioramento”, spiega. “In più certifico la sostenibilità delle strutture di accoglienza”.

    A portarla in questo Paese asiatico, ricco di bellezza e contraddizioni, un lungo percorso iniziato oltre una decina di anni fa, quando Teresa ha lasciato l’Italia, con una laurea in Ingegneria ambientale in tasca e nel cuore il desiderio di aiutare le popolazioni svantaggiate e il Pianeta. “Grazie a una borsa di studio erogata dall’Associazione internazionale volontari laici (Lvia), sono riuscita a partire per la Tanzania”, racconta. “Una volta arrivata, ho incontrato il capo-villaggio che mi ha stretto le mani, implorandomi di fare arrivare alla sua gente l’acqua potabile, che mancava da quattro mesi. Per me è stata un’epifania, una straordinaria rivelazione”.

    Così Teresa comincia a girare il mondo e nel farlo si rende conto che anche il turismo ha un impatto non trascurabile sull’ambiente e sulle comunità locali. Consapevole di ciò, intraprende un percorso di formazione internazionale con il Global Sustainable Tourism Council, organizzazione istituita da United Nations World Tourism Organisation e da United Nations Environment Programme e ottiene la qualifica di auditor, figura imparziale che misura e certifica secondo criteri predefiniti la sostenibilità degli operatori turistici per conto di enti internazionali, con l’ambizioso obiettivo di ridurre al minimo i danni generati dal settore, amplificando nel contempo i benefici per le zone di destinazione. Con uno zaino sulle spalle raggiunge il Perù, dove aiuta l’associazione Caith a ideare itinerari sostenibili nella città andina di Cuzco.

    Nella medesima ottica, in Jamaica, a Montego Bay, si occupa del training dello staff in tre resort all-inclusive, certificando le strutture in accordo con gli standard di Travelife. È poi la volta della Thailandia del Nord, terra di montagne e impenetrabili foreste, punteggiate da numerose tribù indigene. Nella città di Chiang Mai, Teresa collabora con Dumbo Elephant, un santuario di elefanti, per offrire agli addetti formazione sul benessere animale e ridurre gli impatti negativi delle attività turistiche sui mammiferi.

    Tra un viaggio e l’altro, decide anche di avviare, insieme con alcuni soci, una startup: Faroo. “Si tratta del primo tour operator a impatto positivo” prosegue. “In particolare, operiamo su un doppio binario. Da un lato, ci confrontiamo con gli operatori del settore, come alloggi, bed&breakfast, agriturismi, fattorie, ai quali proponiamo una certificazione volontaria e gratuita, sviluppata da noi e riconosciuta dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, che analizza cinque aree, 20 categorie e 82 criteri. Dall’altro lato, approcciamo le aziende, alle quali offriamo originali esperienze di team building, come pulire le spiagge con l’affiancamento di biologi marini, piantare alberi in luoghi abbandonati, dipingere sull’acqua usando antiche tecniche giapponesi”.

    A chi volesse intraprendere la sua variegata carriera, Teresa consiglia una laurea analoga alla sua, “perché offre prospettive ampie e solide competenze tecniche. Unico punto debole è che il corso non include discipline sociali e antropologiche, che sarebbero invece importanti per interfacciarsi con successo con le popolazioni locali. In alternativa, un’altra valida possibilità è la laurea in Scienze internazionali e diplomatiche, utile a rapportarsi con le ong, magari seguita da un master che approfondisca i temi idrico, energetico, gestionale. Credo, in generale, che la mia generazione abbia l’esigenza di trovare sé stessa in una missione. Occorre perciò guidare ragazzi e ragazze, affinché riescano a far fiorire il loro potenziale interno, trasformandolo in azioni orientate al bene comune, che lascino il segno”. LEGGI TUTTO