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    Stramonio, come coltivare l’”erba del diavolo”

    Il mondo vegetale racchiude piante dal fascino misterioso, capaci di conquistare con la loro bellezza intrigante. Tra queste rientra sicuramente lo stramonio, noto anche come erba del diavolo o delle streghe, apprezzato per i fiori a forma di tromba e le foglie decorative. Chiamata a livello scientifico datura stramonium, questa pianta erbacea annuale è tanto affascinante quanto insidiosa, tenendo conto che tutte le sue parti sono altamente tossiche. Coltivata a scopo ornamentale, è semplice da curare e richiede una bassa manutenzione, dovendo però maneggiarla con cautela.

    Dove collocare lo stramonio
    Appartenente alla famiglia delle Solanaceae, lo stramonio ha origini centro-nordamericane ed è diffuso in zone dal clima caldo e temperato, compresa l’Italia dove cresce spontaneamente tra campi, terreni incolti e ruderi. Questa pianta erbacea contiene in tutte le sue parti sostanze pericolose che se ingerite possono causare intossicazioni gravi.

    La datura si distingue per i suoi fiori particolarissimi, dalla forma a imbuto e spesso tinti di bianco, ma anche da sfumature violacee, che emanano un profumo intenso e si aprono di notte o nel tardo pomeriggio. La fioritura dello stramonio avviene tra luglio e ottobre: questa è molto scenografica e vede ogni fiore durare pochi giorni, ma la pianta continua a produrne per settimane. La datura stramonium presenta un fusto eretto e ramificato, foglie ovate e grandi e dai margini dentati. I suoi frutti sono capsule ovate spinose, al cui interno si trovano semi dagli effetti allucinogeni e narcotici.

    Lo stramonio può essere coltivato in giardino o vaso, ma deve essere maneggiato con cura, visto che è altamente tossico, ponendolo in luoghi inaccessibili a bambini e animali.

    Resistente e versatile, la datura si adatta a molteplici ambienti. Per quanto riguarda la sua esposizione, ama il sole, prediligendo un’esposizione soleggiata e un clima caldo, anche se durante le giornate più calde beneficia di un po’ di ombra. Essendo sensibile al gelo, in inverno deve essere protetta dalle gelate. Quanto al terreno, ne richiede uno fertile, ben drenato, leggero e sabbioso.

    Stramonio e la coltivazione
    Grazie ai fiori vistosi e al fogliame ampio, lo stramonio abbellisce giardini e balconi. La sua coltivazione è semplice e può avvenire sia in piena terra, che in vaso, indossando sempre guanti protettivi quando lo si maneggia. Se coltivato all’aperto può diventare invasivo, visto che tende a riseminarsi. Il periodo migliore per interrarlo è la primavera o l’autunno.

    Per la coltivazione in piena terra, si procede eliminando dal terreno erbacce e sassi grandi, per poi aggiungere del compost per migliorare la composizione del substrato. I semi dello stramonio vanno posti a 0,5-1 centimetro di profondità, lasciando tra ciascuno 40-50 centimetri, tenendo conto che la pianta cresce in modo rapido e ampio. Se le piantine crescono troppo ravvicinate, bisogna eliminare quelle più deboli. I semi germinano in 1-3 settimane.

    Quanto alla coltivazione in vaso, è necessario scegliere un recipiente che sia abbastanza ampio, minimo 30-40 centimetri di diametro, e dotato di fori di drenaggio sul fondo. Anche in questo caso i semi vanno posti a 0,5-1 centimetri di profondità in un terreno drenante, fertile e arricchito con del concime organico. Il substrato deve essere mantenuto umido, ma non zuppo, verificando che le piante abbiano abbastanza spazio per svilupparsi, tenendo conto che crescono velocemente.

    Cura dello stramonio: irrigazione, concimazione e potatura
    Lo stramonio non richiede cure complesse nella sua manutenzione. La pianta predilige un terreno sempre leggermente umido, evitando però i ristagni idrici, suoi nemici e causa del marciume radicale. In primavera ed estate bisogna darle da bere 1-2 volte a settimana, da aumentare in caso di siccità. In autunno le irrigazioni vanno ridotte gradualmente, mentre in inverno si deve annaffiare solo quando il substrato è totalmente asciutto, mediamente ogni 3 settimane. Per quanto riguarda la concimazione, la pianta non richiede frequenti interventi, ricorrendo in primavera a del fertilizzante organico con cui stimolare la sua crescita.

    La potatura è un intervento molto importante nella cura dello stramonio. È necessario intervenire in primavera per stimolare una sua crescita compatta. Se la pianta tende a svilupparsi in modo eccessivamente invasivo è opportuno rimuovere i rami troppo lunghi, evitando di danneggiare la sua struttura principale. Inoltre, bisogna eliminare fiori appassiti e rami secchi per favorire le nuove fioriture e mantenere la pianta sana.

    Malattie e parassiti
    Nella cura dello stramonio bisogna tenere conto di alcune criticità che possono colpirlo. Pur essendo resistente, è soggetto a diversi problemi, tra cui l’attacco di parassiti come afidi, che succhiano la sua linfa e provocano ingiallimento e foglie deformate, richiedendo un intervento tempestivo con un insetticida biologico oppure soluzioni specifiche.

    Un altro problema è il ragnetto rosso, che si insidia nella parte inferiore delle foglie, facendole ingiallire: in caso di un’infezione importante è necessario ricorrere a un acaricida specifico.

    Lo stramonio può essere anche colpito da cocciniglie, da rimuovere manualmente o trattare con prodotti ad hoc. La pianta è soggetta inoltre al marciume radicale, causato da ristagni idrici o un substrato troppo compatto, che porta al deterioramento delle radici. L’oidio può insediarsi sulla pianta, ricoprendo le sue foglie con una patina biancastra: in questo caso bisogna eliminare le foglie infette o, se la situazione è grave, impiegare un fungicida specifico. LEGGI TUTTO

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    Quali sono i materiali più ecologici per costruire una casa?

    È possibile costruire una casa utilizzando materiali ecologici? Assolutamente sì. La bioedilizia o bioarchitettura, infatti, sta diventando sempre più importante in ambito edile, perché basa i suoi principi su valori oggi considerati essenziali, come la sostenibilità. Abitare dentro una casa ecologica non è fantascienza, è la realtà contemporanea ed è possibile farlo non solo grazie all’uso di fonti di energia rinnovabile, ma proprio grazie alla selezione di materiali ecologici ad hoc. Ma quali sono?

    Bioedilizia: in cosa consiste l’architettura sostenibile
    L’edilizia sta, giorno dopo giorno, cambiano le carte in tavola del modo di vivere dentro casa. La spinta arriva dalla necessità di rispettare l’ambiente e tutto ciò che lo riguarda, motivo per il quale molti cantieri oggi puntano su materiali ecosostenibili, riciclabili e a basso consumo energetico. L’obiettivo qual è? Ridurre gli sprechi e l’impatto ambientale. È in questo senso che l’architettura si trasforma, diventando non solo più responsabile, ma anche capace di valorizzare l’ambiente circostante.

    I principi della bioedilizia per una casa ecologica
    Che cosa rende una casa davvero ecosostenibile? Secondo i principi della bioedilizia, occorre progettare, costruire e gestire l’abitazione seguendo alcune regole precise. Serve un approccio integrato, con materiali di qualità e team competenti che puntino a soluzioni sostenibili. Intanto, va assolutamente considerato il territorio: clima, vegetazione, luce naturale, umidità e temperature influenzano ogni scelta. Inoltre, è fondamentale anche ridurre il consumo energetico, puntando all’autonomia e al risparmio, senza dimenticare comfort e benessere degli abitanti. Infine, ma certamente non per importanza dato il focus di questa guida, i materiali scelti devono rispettare l’ambiente, influenzando isolamento, acustica e qualità dell’aria senza creare impatti negativi.

    I materiali ecologici da usare quando si costruisce una casa
    Di materiali ecologici esistenti per costruire una casa ce ne sono diversi, anche se moltissime persone pensano che sia il legno il solo e unico da utilizzare per raggiungere l’obiettivo. Tra quelli più gettonati (e più efficaci) da usare se si vuole dare vita a un’abitazione di stampo ecologico ce ne sono alcuni ottimi, molto spesso persino “impensabili”, data la loro natura. Ma quali sono e per che cosa si usano nello specifico?
    Lana di pecora
    Sempre più usata per l’isolamento, la lana di pecora protegge dal freddo e dal caldo grazie alla sua traspirabilità e capacità igroscopica. Oltre a migliorare l’isolamento termico e acustico, può contribuire a purificare l’aria assorbendo sostanze inquinanti. Biodegradabile e a basso impatto, è un classico dell’edilizia ecosostenibile.
    Micelio dei funghi
    Coltivato su substrati organici, il micelio si trasforma in pannelli isolanti leggeri e robusti. Efficace dal punto di vista termico e acustico, si adatta facilmente a varie forme e riduce significativamente l’impatto ambientale.
    Biomattoni
    Realizzati con canapa e calce, i biomattoni catturano CO2 durante la crescita della canapa e offrono isolamento termico, acustico e controllo dell’umidità. Duraturi e riciclabili, rappresentano un’alternativa ecologica ai mattoni tradizionali.
    Pietra riciclata
    Composta da scarti di pietra e rifiuti plastici, la pietra riciclata è ideale per coperture, rivestimenti e pavimentazioni. Unisce estetica e sostenibilità, con lunga durata e basso impatto ambientale.
    Pannelli in paglia
    Naturali e riciclabili, garantiscono ottimo isolamento termico e acustico. La paglia riduce le emissioni di CO2 e contribuisce a creare ambienti interni salubri.
    Pannelli in fibra di cellulosa
    Realizzati con carta riciclata e trattati con sali di boro, offrono buone prestazioni termiche e acustiche. Economici, semplici da posare e privi di sostanze nocive, sono perfetti per pareti, soffitti e coperture.
    Pittura ecologica
    Prodotta con materiali naturali, senza sostanze chimiche tossiche, favorisce la traspirazione delle superfici, ha azione antimuffa ed è inodore. Rispetto alle pitture tradizionali, riduce l’inquinamento e le scorie.
    Materiali innovativi in fibra di vetro riciclato
    Ci sono prodotti in vetro riciclato in grande di sostituire l’acciaio nelle armature, offrendo maggiore resistenza, riduzione della corrosione e un bilancio ecologico migliore, con minore produzione di CO2.
    Componenti modulari ecosostenibili
    Prefabbricati e realizzati con materiali riciclati come legno, acciaio e bambù, facilitano l’assemblaggio e riducono gli sprechi, adattandosi a costruzioni moderne e sostenibili.
    Calcestruzzo sostenibile
    Con aggregati riciclati, cementi a basso clinker e additivi speciali, il calcestruzzo sostenibile riduce le emissioni di CO2 e l’estrazione di nuove risorse, mantenendo robustezza e durabilità.

    Benefici nell’utilizzare materiali ecologici per costruire case
    Andando a utilizzare un qualsiasi dei materiali sopra elencati, i benefici che se ne trarranno saranno sempre e comunque tanti. Intanto, bisogna considerare la riduzione delle emissioni di CO2, aspetto non da poco se si vuole provare a combattere il cambiamento climatico. Poi c’è anche il risparmio energetico, che si traduce in costi operativi minori e in un impatto ambientale inferiore. Da considerare anche sia la minimizzazione dello spreco di risorse, sia il miglioramento della qualità dell’aria dentro casa. Dulcis in fundo, la creazione di ambienti salubri: gran parte di questi materiali ecologici assorbono tutte le sostanze tossiche presenti all’interno degli spazi, regolano l’umidità e migliorano la salute dei luoghi, dell’ambiente e delle persone che lo abitano. LEGGI TUTTO

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    Da eolico e solare offshore quasi un terzo del fabbisogno elettrico mondiale entro il 2050

    E se la nuova frontiera dell’energia pulita fosse il mare? L’idea non è nuova e il rapido sviluppo delle tecnologie la rende sempre più attuabile. Secondo uno studio globale pubblicato sulla rivista Science Advances l’energia prodotta in mare aperto da impianti eolici e fotovoltaici potrebbe coprire quasi un terzo del fabbisogno elettrico mondiale entro il 2050. Ciò ridurrebbe drasticamente le emissioni di anidride carbonica e anche l’inquinamento atmosferico, un problema sempre più grave a livello mondiale. Il lavoro, condotto da un team internazionale guidato dalla National University of Singapore e dalla Sichuan University, ha mappato le aree marine più promettenti per lo sviluppo di parchi eolici e solari galleggianti, valutandone il potenziale tecnico, economico e ambientale.

    Trovare però il luogo giusto dove costruire gli impianti è difficile. Per poter essere considerate idonee all’installazione di impianti energetici offshore, le aree dovevano avere una profondità inferiore a 300 metri, trovarsi entro 200 chilometri da un centro abitato, non includere aree protette, non essere coperte dal ghiaccio per più del 50% dell’anno e non avere una velocità media del vento inferiore a 5 metri al secondo né una radiazione solare annuale inferiore a 1.000 kilowattora per metro quadrato.

    Secondo lo studio solo il 3% circa della superficie marina globale è realmente adatto a ospitare impianti di questo tipo. Ciononostante, sfruttarne anche solo l’1% basterebbe a generare oltre 20.000 terawattora di elettricità l’anno — pari a quasi il 30% della domanda globale prevista per metà secolo. Le conseguenti riduzioni di CO? supererebbero i 9 miliardi di tonnellate l’anno, una cifra paragonabile alle attuali emissioni complessive di Stati Uniti e India.

    Le turbine eoliche e gli impianti fotovoltaici esistono sia onshore che offshore. Questi ultimi però presentano un vantaggio per entrambe le tecnologie. Il vento è più forte sull’oceano, fornendo più energia alle turbine. L’acqua raffredda i pannelli fotovoltaici, aumentandone l’efficienza. Senza contare che sarebbe possibile spostare pannelli e pale eoliche dai nostri campi, dalle creste delle nostre montagne, in mare aperto.

    Le potenzialità maggiori emergono in paesi costieri con ampie zone economiche marine: Stati Uniti, Canada, Australia e Cina per l’eolico offshore; Indonesia e Australia per il fotovoltaico galleggiante, grazie alla forte insolazione tropicale. In molti casi, l’energia ottenuta dal mare potrebbe superare la domanda interna di elettricità, come accade per la Danimarca e la Malesia.

    Lo studio evidenzia inoltre una complementarità stagionale e geografica tra vento e sole: alle alte latitudini prevale l’olico, mentre nelle regioni equatoriali domina il solare. D’estate il fotovoltaico compensa la minore intensità del vento, in inverno avviene il contrario. Combinare le due tecnologie in impianti ibridi consentirebbe una fornitura più stabile e prevedibile di energia.

    Lo studio pubblicato sulla nota rivista scientifica è stato fatto in uno scenario di zero emissioni nette di carbonio, concetto che nasce dall’evoluzione delle politiche climatiche e scientifiche sul riscaldamento globale secondo cui per stabilizzare il clima sarebbe necessario portare le emissioni nette di CO? a zero, cioè bilanciare le emissioni prodotte con quelle rimosse. Dall’Accordo di Parigi del 2015, l’obiettivo net-zero è diventato il punto di riferimento per governi, aziende e istituzioni che mirano alla neutralità climatica entro il 2050.

    Sebbene l’eolico marino abbia già raggiunto una certa maturità, con costi in forte calo, il fotovoltaico offshore è ancora agli inizi e affronta sfide ingegneristiche legate a onde, corrosione e costi elevati. Secondo gli autori, però, l’integrazione di sistemi eolici e solari condividendo infrastrutture e connessioni alla rete potrebbe rendere queste soluzioni sempre più competitive.

    Se poi si guarda il caso del Mare Mediterraneo, il futuro è probabilmente nell’eolico galleggiante, e non in quello ancorato al substrato marino, come è invece per i mari del Nord. “Questo a causa delle batimetrie del Mediterraneo, che sono molto profonde. E se l’eolico su pale è già abbastanza avanzato, quello galleggiante è una tecnologia ancora in divenire”, spiega Giuliana Mattiazzo, del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale (DIMEAS) del Politecnico di Torino. “Abbiamo visto che in teoria il Mediterraneo potrebbe fornire 210 gigawatt equivalenti a circa 540 teravattore anno, che sono due volte la domanda energetica nazionale. Tolti però i limiti dovuti alla batimetria e altri legati alla capacità infrastrutturale potremmo produrre intorno ai 70 gigawatt”.

    Secondo Mattiazzo, questo studio è più di un esercizio accademico: “È fattibile, ma di mezzo ci sono ci sono le politiche di regolamentazione, di incentivazione, quelle di zonizzazione e bisogna ancora costruire l’intera catena di approvvigionamento [l’insieme di processi, persone, tecnologie e organizzazioni coinvolte nel percorso che un prodotto o servizio compie dall’origine fino al consumatore finale, ndr]”, spiega l’esperta. “Le potenzialità ci sono e vediamo che è fattibile ma ha bisogno di un quadro regolatorio stabile”, dice ancora, sottilneando che le rinnovaibli ci servono anche per ridurre la nostra dipendenza energetica.

    Il mare si avvicina sempre di più a diventare un alleato nella corsa alla neutralità climatica, offrendo una via per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili senza intaccare risorse e territori terrestri. LEGGI TUTTO

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    Søren Jessen, la crisi climatica spiegata ai ragazzi: “Ma loro sanno già tutto”

    C’è una graphic novel che racconta ai ragazzi la crisi climatica e il rischio – crescente – dei fenomeni estremi, alluvioni in primis. Un libro straordinariamente attuale che indaga anche il peso delle responsabilità dell’antropocene, che a volte sommergono e travolgono anche i più piccoli. Si intitola La ragazza pesce, un libro edito da Camelozampa scritto e illustrato da Søren Jessen, con traduzione italiana di Eva Valvo. LEGGI TUTTO

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    No, il Green deal non è stato bocciato dal Consiglio europeo

    “Cosa è successo nel Consiglio europeo di ieri riguardo alla crisi climatica? Stando ai resoconti di molti media l’Unione europea avrebbe ridimensionato il Green deal. Ma c’è una versione secondo cui le cose sarebbero andate il modo molto diverso. “I colloqui sul clima, una delle questioni più spinose in vista del vertice, sono stati affrontati […] LEGGI TUTTO

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    Il buon esempio del Parma Calcio per l’ambiente

    Settantamila bottiglie di plastica (equivalenti a sette tonnellate di anidride carbonica) risparmiate in un anno solo nel centro tecnico del Parma Calcio; quasi tre quarti di rifiuti indifferenziati abbattuti negli uffici del club; e da domani, in occasione della partita Parma-Como, l’inaugurazione della raccolta differenziata in tutto lo stadio Tardini. I numeri della sostenibilità ambientale non fanno scalare la classifica in campionato, ma parlano di un futuro diverso e possibile anche in un mondo apparentemente immutabile come quello del calcio. E il Parma, unico club italiano assieme alla Juventus ad aver ottenuto la certificazione internazionale Iso 14001 per i sistemi di gestione ambientale, ora si offre come modello da seguire per tutta la serie A.

    Allo stadio Tardini il nuovo progetto “Play Green” indica la via: “Vogliamo portare anche fuori dal club le buone pratiche che abbiamo introdotto nella nostra attività quotidiana“, spiega l’ad Federico Cherubini. Detto, fatto: a partire dalla sfida Parma-Como i tifosi troveranno in tutto il Tardini 35 nuovi contenitori per la raccolta differenziata, un salto epocale nella gestione dei rifiuti in un luogo per sua natura ambientalmente disattento come lo stadio, “un primo passo – spiega il ceo dei Ducali – verso un ulteriore impegno in ambito sociale assieme alle comunità con cui entriamo in contatto“.

    Il progetto parte da lontano: nel 2020, con l’acquisto da parte della proprietà americana di Kyle Krause, il Parma ha avviato un percorso di efficientamento energetico, ottimizzazione degli acquisti e investimenti ambientali che hanno messo a sistema un vero e proprio modello, ora riconosciuto anche dal marchio Iso 14001, di cui solo dieci club in Europa, tra i quali Manchester City e Liverpool, possono fregiarsi. La patente Iso non è mai regalata: per ottenerla, occorre dimostrare virtuosità in ogni settore della vita aziendale, compresi partner e fornitori. “Il traguardo Iso – spiega Stefano Perrone, direttore operativo del club – è solo il punto di partenza: avere buone pratiche significa disporre di un metodo condiviso con tutti i dipendenti, ed è sinonimo di buone abitudini quotidiane acquisite, che passano non solo dal settore energetico e dal risparmio di risorse, ma anche dalla razionalizzazione degli sprechi di cibo, una catena in cui collaboriamo attivamente con associazioni locali in ogni evento sportivo. Abbiamo l’ambizione di contagiare più persone possibile in queste buone abitudini“.

    E così, a partire da domani, lo stadio Tardini diventerà il laboratorio di un nuovo modo di fruire lo stadio alla domenica. I giovani di due scuole superiori di Salerno e di Parma si offriranno come guide per i tifosi più distratti. “Questo non sarebbe stato possibile se non avessimo cominciato noi, a partire dal centro tecnico di Collecchio – prosegue Perrone -, dall’utilizzo di erogatori d’acqua che hanno fatto risparmiare 70.000 bottiglie di plastica, all’efficientamento energetico dello stadio con luci Led, passando per l’eliminazione dei cestini dei rifiuti negli uffici, che ha portato all’abbattimento del 70% di materiale indifferenziato. E questa attitudine si riverbera in tutte le attività del club: fornitori, sponsor e partner sono tutti attenti all’impatto ambientale e lo dimostrano concretamente. Il rapporto si estende anche a dipendenti e calciatori, anche loro sempre più coinvolti in veste di testimonial nelle buone abitudini ambientali. La strada è lunga, ma vorremmo che fosse seguita da tutta la serie A per fare davvero sistema“. LEGGI TUTTO

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    La sostenibilità ‘sfila’ sulle passerelle di moda

    Il mercato globale della moda sostenibile vale oggi circa 8 miliardi di dollari, e secondo le proiezioni raggiungerà oltre 33 miliardi entro il 2033, con una crescita annua superiore al 20%. Tuttavia, in termini relativi si tratta ancora di una nicchia, che rappresenta circa il 5–6% del mercato complessivo dell’abbigliamento, stimato intorno a 1,8 trilioni di dollari nel 2025.

    Sono i dati riferiti da Patrizia Catellani, professore ordinario del dipartimento di Psicologia della Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, autrice insieme a Valentina Carfora dello studio “Advertising innovative sustainable fashion: Informational, transformational, or sustainability appeal?”, pubblicato di recente sulla rivista Sustainability e centrato sull’impatto che messaggi sulla sostenibilità di un prodotto possono avere sulla scelta d’acquisto dei consumatori.

    “Negli ultimi anni la sostenibilità è diventata un elemento sempre più presente nella comunicazione pubblicitaria, ma il suo utilizzo è tutt’altro che uniforme – spiega Catellani. Molti brand, soprattutto quelli del lusso e della moda giovane, hanno iniziato a incorporare riferimenti all’impatto ambientale, ai materiali riciclati o all’etica produttiva come parte della loro identità di marca. In alcuni casi, l’attenzione all’ambiente è diventata una vera e propria strategia narrativa: non solo un’informazione aggiuntiva, ma il cuore del racconto pubblicitario”, aggiunge Catellani.

    LO STUDIO
    “Il nostro esperimento ha mostrato che le donne reagiscono positivamente ai messaggi che mettono in evidenza la sostenibilità nella comunicazione di moda, anche quando si tratta di un dettaglio tecnico del prodotto.”
    Le ricercatrici hanno presentato un prototipo di borsa con una catena realizzata attraverso un’innovativa tecnologia di rivestimento (Physical Vapor Deposition, PVD), che consente di ridurre l’impatto ambientale e aumentare la durata del materiale.
    Le partecipanti – oltre 500 donne italiane – sono state esposte a tre versioni diverse dello stesso annuncio pubblicitario: una che enfatizzava la qualità e la resistenza (appello informativo), una che puntava su esclusività e immagine (appello trasformazionale), e una che sottolineava il basso impatto ambientale della produzione (appello sostenibile).
    Il risultato è stato chiaro: il messaggio con l’appello sostenibile è risultato il più coinvolgente e il più efficace nel generare intenzione d’acquisto, rispetto a quelli focalizzati su estetica o funzionalità. Questo indica che le consumatrici non sono indifferenti ai temi ambientali, anche quando la sostenibilità è presentata in modo tecnico o circoscritto a un aspetto specifico del prodotto.
    Inoltre, il fatto che la sostenibilità sia risultata più persuasiva perfino rispetto a un messaggio centrato su esclusività e stile suggerisce un cambiamento culturale: le donne non rinunciano all’estetica, ma iniziano a integrarla con valori di responsabilità e coerenza etica. Il bello e il giusto, nella moda, non vengono più percepiti come opposti.

    “Col nostro studio abbiamo anche mostrato che questa sensibilità può variare in base allo stile decisionale: le consumatrici più perfezioniste e attente alla qualità dei prodotti sono risultate particolarmente ricettive ai messaggi che sottolineano resistenza, durata e utilizzo di materiali innovativi, anche se questo tipo di messaggio, definito “informativo”, ha generato in generale un minore coinvolgimento complessivo rispetto agli altri due messaggi sperimentati. Le consumatrici più “green” hanno reagito meglio al messaggio sostenibile – sottolinea l’esperta. In entrambi i casi, la sostenibilità diventa un criterio di fiducia, un modo per valutare il valore complessivo del prodotto”.
    Nella scelta d’acquisto, precisa l’esperta, l’estetica resta un elemento importante, ma non sufficiente: funziona meglio quando si intreccia con valori di responsabilità e autenticità. La resistenza e la qualità continuano a contare, ma oggi non bastano più da sole a motivare la scelta.

    “I nostri risultati riflettono un’evoluzione in corso nel modo in cui le persone valutano i prodotti di moda. Anche un riferimento tecnico e circoscritto alla sostenibilità – nel nostro caso la catena della borsa realizzata con una tecnologia a minore impatto ambientale – è stato sufficiente per suscitare interesse e coinvolgimento.
    Questo suggerisce che la sensibilità verso la sostenibilità non è più confinata a un gruppo ristretto di consumatori, ma sta entrando nel modo comune di attribuire valore ai prodotti. Tuttavia, si tratta di un processo graduale, non di un cambiamento radicale: la moda continua a essere guidata anche da estetica, identità e piacere, anche se questi elementi sembrano oggi convivere sempre più spesso con considerazioni etiche e ambientali”.
    La sostenibilità diventa una componente credibile e desiderabile dell’esperienza di consumo, non più solo un tema comunicativo o un argomento di nicchia, rileva la Catellani
    La sostenibilità di un prodotto, quindi, non è più un tema marginale, ma un elemento competitivo e identitario per i marchi che guardano al futuro. Per questo è necessario aumentare la trasparenza del settore e smascherare le strumentalizzazioni: negli ultimi anni sono emersi, infatti, diversi casi di greenwashing, ossia di aziende che comunicano un’immagine ecologica senza che i loro processi lo siano davvero, conclude Catellani. LEGGI TUTTO

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    Shelfy, il purificatore da frigo che fa durare più a lungo frutta e verdura

    Si può ridurre lo spreco alimentare in casa e di conseguenza anche risparmiare? Probabilmente sì, sfruttando la tecnologia di Shelfy, un piccolo purificatore d’aria, per frigoriferi, capace di prolungare la vita di frutta e verdura. L’abbiamo testato per settimane, per di più all’interno di un modello di frigo evoluto – probabilmente con un pezzo di modernariato sarebbe stato più facile confermare ogni promessa.

    Il tema di fondo è che Shelfy, giunto alla seconda versione e lanciato circa un mese fa, attua una strategia semplicissima: rende la condizione ambientale dei vani più sana e pulita. E in un ambiente di questo tipo soprattutto la frutta e la verdura rallentano il loro consueto deperimento. Per di più l’app Vitesy Hub, che dialoga con il dispositivo, non solo consente una corretta gestione e manutenzione dell’unità, ma attua un’adeguata divulgazione su come andrebbero conservati gli alimenti. Il risultato di tutto questo impegno è che in effetti gli alimenti mantengono più a lungo la loro consistenza, gusto e aspetto, e gli sprechi si riducono.

    Come funziona la tecnologia di Shelfy
    Il segreto di Shelfy si chiama fotocalisi, ovvero “un processo naturale che viene attivato dai led a luce visibile posti sopra il filtro, rivestito con un nanomateriale (triossido di tungsteno)”. In pratica viene indotta una trasformazione delle sostanze chimiche presenti nell’aria (interna al frigo). Nello specifico il nuovo led blu, come hanno confermato diversi studi realizzati da università e laboratori italiani, promette di ridurre la presenza di batteri del 99% ed eventuali odori dell’80%. LEGGI TUTTO