consigliato per te

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    Venti libri da leggere in vacanza per non dimenticare l’ambiente

    Il meteo e il clima. Conoscerli per prevederli
    di Roberto Buizza
    (Carrocci)

    La verità, vi prego, su meteo e clima. Perché ne parliamo tutti, sempre più. Ovunque, costantemente, trasversalmente. Non sempre con cognizione di causa. Per questo approfondire il linguaggio e i fenomeni meteorologici è, oggi più che mai, fondamentale. Fresco di stampa, questo manuale illustra i fattori che determinano gli eventi meteo e il clima, descrive cosa sono i modelli numerici per prevedere i diversi tipi di fenomeni e, soprattutto, spiega perché sia urgente ridurre drasticamente le emissioni di gas serra e raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette, cominciando dal nostro piccolo. Perché – e su questo non c’è dubbio – La Terra continua a riscaldarsi, incrementando intensità e frequenza dei cosiddetti eventi estremi.
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    Tempo di ritorno. Una storia di clima e di fantasmi
    di Ferdinando Cotugno
    (Guanda)
    “Da anni provavo a spiegare confusamente il mio progetto a chiunque avesse la pazienza di ascoltare: un giorno vorrei scrivere la storia di mio padre, compilare insieme a lui la genealogia familiare delle fonti di energia, l’araldica inorganica di gasolio e carbone dalla quale discendiamo io, questo paese, e la civiltà umana in generale”. Poi, lo ha fatto. Giornalista ambientale e autore di Primavera ambientale (Il Margine, 2022), Ferdinando Cotugno ha scritto la sua “autobiografia climatica”, storia di una famiglia legata a doppio filo ai combustibili fossili in un mondo che sta cambiando e di una sensibilità nuova che cerca di vedere le cose in modo diverso, a cominciare dal proprio passato.
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    La foresta racconta. Storie di alberi, uomini e animali
    di Paola Favero
    (Hoepli)
    Storie di alberi, animali e uomini per capire il fragile rapporto che ci lega agli ecosistemi. Paola Favero, appassionata camminatrice, accompagna in un viaggio alla scoperta di specie diverse e foreste, luoghi della Natura e voci che la raccontano.
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    A fuoco. Il mondo brucia è ora di disobbedire
    di Gianluca Grimalda
    (Feltrinelli)

    Luca Grimalda è un ricercatore in Scienze sociali e attivista climatico che per le sue scelte ha perso il lavoro. Ha scelto di essere un “viaggiatore lento”, di preferire il treno all’aereo, di camminare il più possibile per inquinare meno. La sua storia si snoda lungo 28mila chilometri, osserva il mondo e le persone che lo abitano, si interroga su cosa possiamo davvero fare o decidere per cambiare la rotta e ridurre il nostro impatto ecologico. La disobbedienza civile e la chiave di un cambiamento sociale che non possiamo rimandare, a cominciare dalla dipendenza dalle fonti fossili che inquinano il Pianeta.
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    Il sale della terra. Una storia della vita in tre elementi
    di Kerstin Hoppenhaus
    (Touring)

    “Una storia della vita in tre elementi”: azoto, fosforo e potassio. Elementi che regolano la vita, segnano la storia dell’umanità, scatenano guerre, incidono sull’economia e la sicurezza alimentare. Kerstin Hoppenhaus, biologa e divulgatrice scientifica, ripercorre ere geologiche, tradizioni e tecnologie attraverso l’uso delle materie più preziose per la nostra esistenza.
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    Anche Hitler era vegano. Demagogia e stereotipi della vegafobia
    di Dario Martinelli
    (Mimesi)

    Dimmi cosa mangi e ti insulterò per quel che sei. L’adagio è parafrasabile, tanto più in tempi di haters e social network. E va da sé che una categoria spesso demonizzata sia quella dei vegani: radical chic, moralisti, nazivegani. E chi più ne ha più ne metta. Dario Martinelli, semiologo, di occupa soprattutto di zoosemiotica, relazione tra esseri umani e altri animali e antispecismo: stavolta si interroga sull’avversione profonda per i vegani. E arriva a una conclusione: invitare i carne addicted all’introspezione alla ricerca di un (probabile) senso di colpa.
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    Come parlare il balenese. Il futuro della comunicazione animale
    di Tom Mustill
    (Il Saggiatore)

    Il tema generale è affascinante e più che mai attuale: riusciremo un giorno a comunicare con specie animali che noi stessi abbiamo portato sull’orlo dell’estinzione? E cosa avrebbero da dirci? Non c’è tuttavia fantascienza, in questo straordinario saggio di Tom Mustill, biologo, regista e scrittore, all’attivo progetti con David Attenborough, Greta Thunberg e Stephen Fry. Il suo è piuttosto un viaggio alla scoperta delle interazioni tra uomini e cetacei, reso ancor più intrigante dallo stile narrativo, che abbraccia una serie di storie: studiosi che interpretano i canti delle megattere, anatomisti che dissezionano capodogli spiaggiati e startupper che usano l’IA per provare a tradurne il linguaggio.
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    Il turismo che non paga
    di Cristina Nadotti
    (Edizioni Ambiente)

    Il disastro è servito, forse. Si chiama “overtourism” ed è una delle grandi criticità del mondo contemporaneo: la trasformazione dei luoghi in mete a uso e soprattutto consumo dei turisti. Con ricadute sull’identità, sulla qualità di vita dei residenti, sulla biodiversità. Cristina Nadotti è la firma adatta per raccontare, con acume e stile, cosa accade quando il turismo, che resta traino per lo sviluppo economico, minaccia gli equilibri dei territorio. Di più: li trasforma. Il suo saggio parte dall’idea che un turismo a impatto zero non esista, ma ci consegna la certezza che l’industria dei viaggi e delle vacanze debba cambiare rapidamente, anche per il suo stesso bene.
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    Lo sguardo oltre l’orizzonte. Voci di donne nel clima che cambia
    di Bianca Nardon
    (Marsilio)
    A Venezia si incrociano le vite di trentatré donne: ricercatrici, professioniste e attiviste. Sono tutte nate nel Nord Italia e la loro esistenza è legata alla crisi climatica. Un filo rosso che lega i temi fondamentali, come la maternità, le politiche di genere, la violenza, la crisi ecologica.
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    L’economia della ciambella
    di Kate Raworth
    (Edizioni Ambiente)
    Dopo aver fatto piazza pulita di teorie che, pur risalendo all’Ottocento continuano a essere insegnate ancora oggi, Kate Raworth – economista e docente dell’Università di Oxford – presenta l’economia della ciambella, che attinge alle ultime acquisizioni dell’economia comportamentale, ecologica e femminista, e a quelle delle scienze del sistema Terra. Indica sette passaggi chiave per liberarci dalla nostra dipendenza dalla crescita, riprogettare il denaro, la finanza e il mondo degli affari e per metterli al servizio delle persone. In questo modo, si può arrivare a un’economia circolare capace di rigenerare i sistemi naturali e di redistribuire le risorse, consentendo a tutti di vivere una vita dignitosa in uno spazio sicuro ed equo.
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    Il richiamo della montagna
    di Matteo Righetto
    (Feltrinelli)

    Come vivevano un tempo le persone in questi luoghi solo in apparenza inospitali? E come possiamo tornare a instaurare con la natura dei monti, e lo spirito che vi abita, un rapporto di reciproco beneficio e non più di sfruttamento? Questo libro non è semplicemente una narrazione della Natura, ma una celebrazione della simbiosi tra l’uomo e l’ambiente. La rivoluzione culturale più profonda, radicalmente ecologista, deve affondare le radici nella spiritualità della montagna, ovvero della natura tutta, e Righetto, con lo stile di una prosa filosofica, ci sprona a ritrovare la nostra umanità, ad ascoltare il richiamo della natura e a riconoscere il valore inestimabile dell’esperienza del camminare e dell’immergersi nei paesaggi montani.
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    Un nuovo modo di vivere. Affrontare l’aumento delle temperature e il declino delle energie fossili
    di Fred Vargas
    (Einaudi)
    “Non posso dire che la lettura di questo libro sia paragonabile a quella di un romanzo poliziesco. Eppure, in fondo, si basa su momenti di suspense: a quale caldo andiamo incontro? Mortale, insostenibile, difficile ma sostenibile? Momenti di suspense che, non lo nascondo, ho vissuto io stessa a denti stretti”. Parole di Fred Vargas, regina del noir francese, che questa volta si interroga sui limiti di un mondo che dipende da petrolio, carbone e gas con tutte le conseguenze catastrofiche sui stiamo andando incontro. Proponendo però soluzioni attuabili per guardare al futuro.
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    Nessuna isola è sola
    di Giovanni Blandino, illustrazioni di Martina Tonello
    (Camelozampa)
    Le isole, che meraviglia. Per tutti gli appassionati del genere, per chi ama viaggiare, anche con la fantasia: da non perdere, freschissimo di stampa, questo delizioso trattato illustrato che racconta luoghi ed ecosistemi circondati dal mare. Delicata è la penna del ricercatore ed esperto di Storia della scienza e della comunicazione Giovanni Blandino, raffinate le illustrazioni di Martina Tonello. Un viaggio attraverso la natura di isole vulcaniche e isole coralline, in cui l’esplorazione geografica cede fatalmente il passo a una riflessione scientifico-filosofica su come ogni cosa a questo mondo faccia parte di una profonda rete di relazioni che ci rende tutt’altro che isolati. E c’è spazio anche per le isole di fantasia, a cominciare da quella del tesoro, e per ciò che isola non è, ma le assomiglia: cellule, pianeti, oasi nel deserto.

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    Chele. Piccolo catalogo di granchi, gamberi e paguri
    Marco Colombo
    (Nomos Edizioni)

    Imperativo categorico: sorprendersi. C’è una fetta di biodiversità insospettabilmente interessante tra gli scogli o in spiaggia, basta – in fondo – osservare con cura. Questo delizioso manuale illustrato, che segue il successo di Tentacoli, stessa casa editrice e stesso format – è una cassetta degli attrezzi originale e intrigante. In grado di aiutare a prendere dimestichezza con il mondo dei crostacei, un esercito di corazze e chele multicolori. Ci sono, per esempio, l’enorme granchio ladro, inspiegabilmente attratti dagli oggetti umani (che rubano volentieri) o come i gamberi canocchia, che sferrano colpi tra i più veloci al mondo con zampe raptatorie simili a quelle delle mantidi religiose, catturando pesci e invertebrati più grandi di loro. E vi è mai capitato di ascoltare i suoni prodotti dai gamberi pistola?
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    Il tasso e la bambina
    di Chiara Grasso e Irene Penassi
    (Aboca)

    Non c’è un tempo per le favole. Questa ha uno scopo irrinunciabile, oggi ancor di più: aiutarci a imparare a convivere con gli animali selvatici. Etologa e giornalista specializzata in educazione ambientale, Chiara Grasso si lascia accompagnare dalle illustrazioni delicate di Irene Penazzi: l’arrivo della primavera nel bosco si accompagna al risveglio della vita selvatica: Bambina e Piccolo Tasso s’incontrano, esplorando nuove possibilità di convivenza. La morale è una riflessione sul nostro rapporto con le altre specie, una morale tanto più irrinunciabile in tempi in cui gli incontri con orsi e lupi impongono a tutti, cominciando dai più piccoli, ampie riflessioni su equilibri, confini, interazioni.
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    La grande rimozione
    di Roberto Grossi
    (Coconino 2024)

    “Nella mia cantina c’è una scatola. Da qualche parte. Un pacco sigillato. Pieno di antiche vacanze. Mia madre. Mio padre. Io e mio fratello bambini. E le montagne. La neve d’estate. Una magia impossibile per un bambino. Mi piacerebbe rivedere quelle foto, ma il tempo non basta mai. Ci saranno anche quelle di un ghiacciaio enorme. La Mer de Glace, il più grande ghiacciaio del monte bianco. Ci sono stato negli anni Ottanta. Buffo. Siamo spariti tutti e due. A causa del riscaldamento globale i ghiacciai del pianeta si stanno riducendo a un ritmo esponenziale”. La crisi climatica illustrata e raccontata attraverso la memoria di quel che stiamo perdendo, trasformando, rovinando. Un libro forte, che ci inchioda alle nostre responsabilità.
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    Nella Foresta
    di Eva Lindström
    (Camelozampa)

    Non ha bisogno di particolari presentazioni Eva Lindström, vincitrice nel 2022 del “Nobel” del libro per ragazzi, l’Astrid Lindgren Memorial Award. Stavolta dà voce, con la consueta delicatezza, al punto di vista e all’esperienza dell’infanzia di fronte ai cambiamenti climatici. Lo fa con una favola ironica e romantica, protagonisti Maggan, lo Sbirro e Trim, che abitano nella foresta. Sono loro a stabilire quando piove e quando arriva il freddo, quando le foglie cadono e quando il sole splende nel cielo. Un giorno, però, gli alberi decidono di andare in vacanza altrove: i ragazzini si sentono soli e persi e cercano di creare un po’ di ordine con quel che resta della foresta. Ma le stagioni iniziano a cambiare a loro piacimento e il tempo atmosferico è ormai fuori dal loro controllo. Vi ricorda qualcosa?
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    Per l’ultima goccia
    di Piero Malenotti
    (Sensibili alle foglie)

    “È arrivato il tempo di agire. Costi quel che costi. Perché la crisi climatica non è un’ombra lontana, è qui, adesso. E chi vive nella parte ricca del mondo non può fingere di non vedere”. Piero Malenotti, sociologo e giornalista impegnato su temi ambientali, racconta il punto di crisi di un ingegnere minerario impegnato a costruire una piattaforma petrolifera offshore in Africa. Uno sguardo su un mondo in bilico tra modernità e tradizione, dove la bellezza dei paesaggi e la ricchezza culturale si scontrano con la brutalità di un sistema economico che antepone il profitto alla vita delle persone. Con un finale a sorpresa.

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    Allegro bestiale. Viaggio ai confini della biodiversità
    Telmo Pievani e Banda Osiris, illustrazioni di Mauro Sacco
    (Aboca Edizioni)

    Irresistibilmente ironico e al tempo stesso allarmante, il viaggio dell’evoluzionista Telmo Pievani e della Banda Osiris attraverso la biodiversità abbraccia – in questo originale saggio scientifico – creature reali poco note (dalla lucertola blu di Capri all’orecchione sardo) e un bestiario fantasiosamente surreale (l’ahirone, il capriolet, il castiro). L’obiettivo? Imparare una serie di lezioni, essenziali per il nostro futuro. Una su tutte: noi umani dobbiamo tornare al nostro posto e darci meno arie. Per evitare il collasso degli ecosistemi e difendere, anche con i denti, la biodiversità.
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    Vita. Le meraviglie della biodiversità
    di Jennifer Smith
    (Ippocampo)

    Un imperdibile sillabario della biodiversità, per i più piccoli. Per comprendere sorprendenti meccanismi che rendono possibile la vita ma anche per esplorarne le forme, dalla balenottera ai batteri, e la straordinaria capacità di adattarsi agli ambienti. Già apprezzata in Bagliori e Fragori Jennifer Smith utilizza mappe e illustrazioni chiare e raffinate, accompagnandole a un linguaggio accessibile e intrecciando quadri d’insieme con l’appeal dell’aneddotica: dalla simbiosi tra pipistrelli lanosi e piante carnivore all’importanza dei moscerini per l’impollinazione dell’albero del cacao, fino all’effetto domino dei nostri comportamenti, anche quelli all’apparenza più insignificanti. LEGGI TUTTO

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    Come sarà la comunicazione del futuro

    Se è possibile pianificare un piano industriale a dieci anni, perché non dovrebbe essere possibile anche per la strategia di comunicazione? Da questa domanda prende forma il progetto avviato da A2A in collaborazione con Sapienza Università di Roma: un vero e proprio laboratorio per immaginare la comunicazione del futuro e come si potrà ottenere e gestire la fiducia del pubblico, elemento fondamentale alla base delle scelte di chi deve costruire un racconto. Al centro dell’iniziativa c’è un cantiere culturale e organizzativo, affidato a uno steering committee multidisciplinare di studiosi e a un gruppo di giovani professionisti under 30. L’obiettivo? Definire una brand strategy capace di accompagnare la crescita del gruppo fino al 2035, con uno sguardo già pronto al cambiamento (future fit). A guidare il percorso Carlotta Ventura, direttore comunicazione, sostenibilità e affari regionali di A2A, e Alberto Mattiacci, docente di Economia e Gestione delle imprese alla Sapienza e presidente del comitato. Ne fanno parte anche i professori Fabio Babiloni (Fisiologia), Marino Bonaiuti (Psicologia sociale), Francesca Cuomo (Telecomunicazioni) e Paola Panarese (Sociologia dei processi culturali e comunicativi) coordinati da Stella Romagnoli, Executive Director International Advertising Association Italy. “È un lavoro con una visione di fondo ottimista – spiega Ventura – un modo per guardare oltre le difficoltà del presente e costruire una comunicazione capace di evolvere con la società, i media e la tecnologia. Immaginare il futuro è utile per elaborare gli strumenti per poterlo governare”.

    Il cuore dell’iniziativa è corale e generazionale. Nel team di lavoro 24 professionisti under 30. Insieme, tra gennaio e aprile 2025, hanno affrontato dieci key driver di ricerca: pensiero, attenzione, creatività, intelligenza artificiale, digital twin, network, demografia, rapporto io-noi, Gen Z e… Medioevo. Un mix di classico e contemporaneo, che ha impiegato metodologie della disciplina dei “future studies”, che ha permesso di riflettere sui futuri della comunicazione, partendo da due domande fondamentali: che tipo di competenze e attitudini serviranno da qui a dieci anni? E a chi parleremo? Il futuro non si prevede: si progetta con metodo, intelligenza collettiva e visione. Il progetto si articola su due linee temporali: l’orizzonte del 2035 e un “pit stop” intermedio a cinque anni, necessario per adeguarsi a uno scenario che cambia rapidamente. Con la tecnologia che evolve in modo continuo e con l’avanzare dell’intelligenza artificiale generativa molte attività che oggi le aziende affidano all’esterno potrebbero tornare a essere internalizzate. Questo impatterà anche sull’organizzazione delle funzioni impegnate nella gestione della comunicazione. Ma a cambiare, avverte Ventura, non saranno solo le competenze. “La fiducia diventerà ancora più centrale. In un contesto dove l’offerta di contenuti si moltiplica, spesso senza filtri, sarà la coerenza nel tempo tra l’agito e il dichiarato a fare la differenza nel posizionamento di un brand. Dal mio punto di vista bisogna prima cercare di raggiungere gli obiettivi e poi raccontarli”.

    Come formare, allora, team di comunicazione all’altezza della sfida? “Serve un’attitudine fatta di curiosità, flessibilità, capacità di lettura del contesto – continua Ventura –. Ma soprattutto serve saper tenere insieme attenzione e fiducia: due elementi da costruire con contenuti rilevanti e profondità culturale”. La competenza non basta. “Il mondo è pieno di ‘cretini competenti’ – provoca Ventura – iperspecializzati ma non in grado di collocarsi nello spazio e nel tempo. È il rischio che corre la generazione dei nostri giovani manager. Serve qualcosa di più: cultura, pensiero critico, visione”. Spesso non si vede l’ovvio. E se non si capisce davvero l’intelligenza artificiale – il suo linguaggio, l’impatto – si rischia di subirla. La cultura è quindi l’unica via per non avere paura del futuro. Il rapporto tra attenzione e comprensione è particolarmente delicato: “Uno dei grandi problemi di oggi è l’analfabetismo funzionale – osserva Ventura –. Le persone sanno leggere, ma non hanno la capacità di elaborare i concetti. È un limite serio, che obbliga chi comunica a rivedere linguaggi e strumenti, per evitare che la distanza diventi incolmabile”. Il rischio non è solo economico, ma cognitivo. Una polarizzazione tra pochi in grado di pensare e molti esclusi dalla comprensione. La vera sfida sarà la recessione cognitiva. E per affrontarla, la comunicazione dovrà tornare all’essenziale: emozioni, simboli, codici accessibili. Cosa resterà della comunicazione di oggi tra dieci anni? “Sotto il profilo delle tecnologie attuali forse nulla – conclude Ventura –. Ma resterà la capacità di emozionare, di ispirare.” Uno dei primi cantieri progettuali avviati da A2A, a valle della fase di ricerca condotta con La Sapienza, riguarda l’esplorazione dell’integrazione degli “utenti sintetici” nei processi di progettazione della comunicazione. Si tratta di modelli digitali evoluti, basati sulla tecnologia Digital Twin, che si affiancherebbero agli strumenti tradizionali come dei veri e propri “panel virtuali”. Questa innovazione non rappresenta solo un passo avanti nella capacità dell’azienda di comprendere in profondità i propri pubblici, ma apre anche nuove possibilità per costruire un dialogo più inclusivo, efficace e mirato con stakeholder molto diversi tra loro. L’obiettivo è rendere la comunicazione sempre più accessibile, traducendo messaggi complessi in linguaggi chiari e rilevanti, a vantaggio dell’intera rete di relazioni che ruota attorno al gruppo. LEGGI TUTTO

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    Quando il Parco diventa un museo a cielo aperto

    Nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise l’arte contemporanea trova da otto anni un rifugio ideale. Grazie ad Arteparco, un progetto che, edizione dopo edizione, ha trasformato sentieri, radure, promontori di roccia in altrettante postazioni di un museo a cielo aperto, dimostrando come la creatività possa abitare – rispettosamente, senza colonizzare – anche i luoghi più incontaminati. L’ottava edizione, inaugurata a luglio, porta la firma di Velasco Vitali, artista lombardo dalla cifra poetica e plastica ben riconoscibile, con un’opera che è già un simbolo: Stasis. Una quercia trasformata in colonna, con in cima la scultura, fusa in alluminio, di un lupo appenninico, un custode solitario che veglia sulla foresta e sui suoi misteri.

    “Making of di Stasis” di Velasco Vital (foto: Luca Parisse)  LEGGI TUTTO

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    Attenzione alle zecche, non solo in montagna: come evitarle

    Per evitare le zecche, bisogna fare attenzione non solo durante le escursioni in montagna ma anche nei parchi e prati cittadini. Un tempo la loro presenza era limitata ai boschi in montagna, mentre oggi le zecche sono presenti anche in pianura dove si trova la vegetazione a loro adatta: erba alta in zone d’ombra, quindi anche parchi e prati urbani, con clima caldo e umido. Ecco perché nei mesi estivi, quando si trascorre molto tempo nella natura, è necessario prestare attenzione e proteggersi dalle zecche perché la puntura di questi piccoli artropodi può provocare patologie anche gravi quali la malattia di Lyme e la meningoencefalite da zecca.

    La malattia di Lyme è causata da un batterio chiamato borrelia e colpisce prevalentemente la pelle, le articolazioni e nelle forme avanzate il sistema nervoso e gli organi interni. Si manifesta prevalentemente con un eritema nel punto del morso, una lesione circolare non dolorosa con il bordo rosso vivo e l’interno più chiaro che, con il passare dei giorni, si allarga e si può spostare sulla pelle. Il morbo di Lyme può provocare cefalea, febbre, artralgie, dolori muscolari e se non viene curata può diventare cronica. LEGGI TUTTO

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    Perché ora il fotovoltaico per il Gruppo di autoconsumo conviene

    Fotovoltaico più conveniente oggi grazie al contributo Pnrr del 40% che per le persone fisiche diventa cumulabile senza decurtazioni con la Tariffa incentivante. Una novità che si somma al costo dei pannelli fotovoltaici in calo, condizioni che fanno di questo il momento migliore per la costituzione di un Gruppo di autoconsumo. E considerando che per fare un gruppo basta avere due utenze distinte nello stesso edificio, ora che i climatizzatori sono diventati indispensabili, pensare di installare un pannello solare può essere davvero la soluzione economicamente più conveniente, dato che gli incentivi premiano non la produzione ma, appunto, il consumo di energia. Le domande per il contributo Pnrr si possono presentare sul sito del GSE fino al 30 novembre prossimo.

    Il costo dei pannelli
    Il crollo dei prezzi della tecnologia fotovoltaica rappresenta il primo vantaggio. Se nel 2023 un modulo fotovoltaico costava mediamente 0,39 centesimi di euro per watt, oggi i prezzi si attestano tra 0,09 e 0,12 euro per watt, con punte fino a 0,065 euro per i moduli a basso costo. Questa discesa del 40% in meno di due anni rende l’investimento fotovoltaico accessibile come mai prima d’ora.

    Le regole per i Gruppi
    A differenza delle Comunità Energetiche Rinnovabili, che richiedono la costituzione di un soggetto giuridico i Gruppi nascono semplicemente da un accordo di diritto privato. Unico requisito è quello di essere almeno in due, avere contatori di energia differenti, risiedere tutti nello stesso edificio, e, ovviamente, avere a disposizione un impianto a pannelli solari. Questo si può trovare anche su un altro edificio e può essere anche di proprietà di uno solo dei membri del Gruppo o di altri soggetti, purché sia “dedicato” alla produzione di elettricità per il Gruppo.

    L’autoconsumo virtuale
    Il sistema si basa sull’autoconsumo virtuale: non occorre che tutti siano fisicamente allacciati all’impianto e non serve cambiare gestore di energia. In sostanza l’energia viene condivisa “virtualmente” attraverso la rete esistente, senza bisogno di nuovi cavi o contatori dedicati. Più i consumi sono sincronizzati con la produzione solare, maggiori sono i benefici. I dati sul consumo vengono comunicati al GSE e su tutta l’energia consumata all’interno del Gruppo si avrà diritto alla Tariffa incentivante, anche se il produttore, ossia il proprietario del pannello è uno solo. Chiaramente in questo caso il produttore, e solo lui, avrà anche il vantaggio aggiuntivo di risparmiare sulla sua bolletta. La Tariffa incentivante riconosciuta dal GSE varia geograficamente ma si attesta intorno ai 100-120 euro per MWh per 20 anni. A questa si aggiunge il corrispettivo di valorizzazione ARERA, che nel 2024 ha superato i 10 euro per MWh, coprendo il valore di mercato dell’energia più alcune componenti tariffarie risparmiate. Con le novità introdotte di recente le persone fisiche che decidono di installare ex novo un impianto da destinare a un Gruppo di autoconsumo possono cumulare al 100% il contributo con le Tariffe.

    L’incremento del valore degli immobili
    Tra i vantaggi di costituire un Gruppo, infine c’è anche da considerare l’aumento del valore dell’immobile. Gli appartamenti che fanno parte di gruppi di autoconsumo, infatti, vedono crescere il loro valore di mercato del 5-10%, grazie alla maggiore indipendenza energetica e alla protezione dalle fluttuazioni dei prezzi dell’elettricità. E per sapere quanto creare un Gruppo è vantaggioso si può fare una simulazione sul sito del GSE. LEGGI TUTTO

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    A New York una piscina galleggiante filtra l’acqua dell’East River e la rende balneabile

    “If you can make it, you can make it everywhere”. La frase-motto di New York, vale ancora una volta. Anche oggi che la Grande Mela ha smesso di stupire, come un tempo. Ma non stavolta, con la sua piscina pubblica galleggiante. E filtrante. Si, perché +Pool, è la piscina progettata per galleggiare nell’East River di New York, e filtrare la sua acqua fino a renderla balneabile. Installata al largo del Pier 35, proprio nel centro di Manhattan, +Pool, deve il suo nome proprio alla forma: a più. La piscina newyorchese, frutto di un lavoro di 15 anni, sarà in grado di filtrare l’acqua del fiume, non proprio il posto ideale in cui pensare di bagnarsi neanche nelle afose giornate estive di NY, anche qui sempre più calde. Il progetto, sulla carta, è nato ed è stato lanciato nel 2010, dal designer Dong-Ping Wong che ha proposto ai suoi amici e colleghi designer, l’idea di una piscina galleggiante con filtro per l’acqua. Il team ha progettato il concept di piscina galleggiante, e l’ha pubblicata sui social. L’entusiasmo contagioso ha visto il supporto delle istituzioni statali e comunali degli abitanti di Big Apple, fieri – come sempre – di essere d’esempio per il mondo.

    In realtà questa piscina pubblica ha alla base un interessante sistema ingegneristico autosufficiente, che depura l’acqua del fiume che passa attraverso le sue pareti e la immette nelle vasche, pulita e senza il rischio batteriologico. L’obiettivo, infatti, è renderla balneabile senza l’uso di cloro, sostanze chimiche e tramite un sistema di filtraggio brevettato. In sostanza, si tornerebbe indietro di oltre un secolo, quando le acque di New York City erano una fonte piacevole di svago nei mesi estivi, e probabilmente anche usata con scopi igienici. Poi, all’inizio del 1900, con il rapido sviluppo industriale e la crescita demografica, è iniziato il peggioramento della qualità delle acque urbane. Fino al divieto di balneazione. Ma quando avverrà il cambiamento? Entro la primavera del 2026 si prevede il completamento dell’installazione, ma non ancora l’apertura al pubblico. D’altronde ci sono i tempi tecnici da rispettare.

    Intanto la prima settimana di luglio è arrivato il “guscio” di +Pool, direttamente dal cantiere navale Bollinger in Mississippi. La struttura di base in acciaio, come lo scafo di una nave, che ospiterà il complesso sistema di filtraggio, le quattro piscine, e i servizi sul ponte per un totale di 180 metri quadrati. Delle 4 vasche, ognuna avrà un ruolo differente: una piscina per bambini, una sportiva, una per imparare a nuotare e una piscina lounge solo per il relax. L’obiettivo è fare in modo che ogni piscina possa soddisfare le varie esigenze, che possa essere combinata per formare una piscina olimpionica o aperta completamente in una piscina di 840 metri quadrati per il gioco. Veniamo alle caratteristiche tecniche. Una pompa sommersa aspira l’acqua grezza con filtri anti pesci e detriti, a una portata di 90 litri al minuto. L’acqua prefiltrata viene immessa nelle membrane polimeriche di ultrafiltrazione, che trattano torbidità, batteri, particelle organiche e alcuni virus. La fase finale del trattamento è la disinfezione, ottenuta esponendo l’acqua filtrata ai raggi ultravioletti. Il risultato finale è l’acqua fiumana senza batteri, contaminanti e odori, al 100% sicura per la balneazione. Ovviamente +Pool dovrà essere sottoposta alla valutazione finale del Dipartimento della Salute di New York per ottenere il via libera ed arrivare all’apertura pubblica prevista per il 2027. LEGGI TUTTO

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    Le bevande in bottiglie di vetro hanno più microplastiche di quelle in plastica

    Potrebbe sembrare paradossale, ma le bevande confezionate nelle bottiglie di vetro contengono più microplastiche di quelle nelle bottiglie di plastica. A riferirlo è stata un’indagine condotta dalla francese Anses (Agence nationale de sécurité sanitaire de l’alimentation), secondo cui ad aggiungersi al già lunghissimo elenco di fonti di contaminazione delle microplastiche ci sono ora anche le bottiglie in vetro: la colpa, secondo i ricercatori, è di una vernice a base di poliestere che riveste esternamente i tappi di metallo con cui vengono sigillate le bottiglie di vetro.

    L’indagine sulle bottiglie
    Per capire il ruolo delle diverse bottiglie nella contaminazione delle bevande, i ricercatori hanno analizzato e confrontato i livelli di microplastiche in birra, acqua, vino e bevande analcoliche, contenuti in bottiglie di vetro, plastica, lattina e cartone. Sebbene i ricercatori abbiano riscontrato la presenza di microplastiche in tutte le bottiglie esaminate, ciò che li ha sorpresi è stato che le bevande contenute in quelle di vetro hanno mostrato i livelli più elevati di microplastiche, ed esattamente di circa 50 volte superiori rispetto a quelle in plastica.

    Lo studio

    Micro e nanoplastiche: attenzione ai contenitori per il cibo

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    02 Luglio 2025

    Un risultato contrario
    “Ci aspettavamo il risultato opposto quando abbiamo confrontato il livello di microplastiche in diverse bevande vendute in Francia”, ha commentato Iseline Chaïb, tra gli autori dello studio. Nelle bottiglie di vetro di cola, limonata, tè freddo e birra, infatti, i ricercatori hanno riscontrato una media di 100 particelle di microplastiche per litro. Un valore da 5 a 50 volte inferiore nel caso delle bottiglie di plastica e lattine. L’unica eccezione, invece, è stata l’acqua, per cui il livello di microplastiche era relativamente basso indipendentemente dal contenitore, con una media di 4,5 particelle per litro nelle bottiglie di vetro e di 1,6 particelle per litro in quelle di bottiglie di plastica e cartoni. Stesso discorso per il vino, per cui sono stati riscontrati bassi livelli di microplastiche anche nelle bottiglie di vetro con il tappo di sughero.

    I tappi in metallo
    Secondo i ricercatori, gli alti livelli di microplastiche contenuti nelle bevande delle bottiglie di vetro sarebbero causati dai tappi in metallo e più precisamente da una vernice a base di poliestere che li ricopre. “Sospettavamo che i tappi fossero la principale fonte di contaminazione, poiché la maggior parte delle particelle isolate nelle bevande era identica al colore dei tappi e condivideva la composizione della vernice esterna”, hanno scritto gli autori nello studio. Durante lo stoccaggio, infatti, i tappi delle bottiglie vengono conservati insieme a migliaia di altri tappi, subendo urti e abrasioni non visibili a occhio nudo. Secondo i ricercatori, quindi, questi tappi graffiati, una volta che vengono sigillati alle bottiglie, rilasciano frammenti di plastica direttamente nelle bevande. Sebbene non sia possibile affermare se i livelli di microplastiche riscontrati rappresentino un rischio per la salute, dato che nello studio mancano i dati tossicologici, i ricercatori sottolineano che per ridurre i livelli di microplastiche nelle bevande basterebbe poco: rimuovere i frammenti dai tappi in metallo con una bomboletta d’aria compressa, e risciacquarli poi con acqua filtrata. LEGGI TUTTO

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    Dall’aloe al photos, le piante che assorbono l’umidità

    Muffe, acari, cattivi odori, macchie nelle pareti, allergie, asma e problemi respiratori. Questi sono solo alcuni degli effetti provocati dall’umidità eccessiva, criticità comune che mina la salubrità degli ambienti, incidendo negativamente sulla salute e compromettendo strutture e materiali negli immobili. A determinarla sono una serie di fattori combinati quali ad esempio ventilazione esigua, condensa, infiltrazioni esterne, difetti strutturali dell’edificio o degli impianti e vapore generato dalle attività domestiche. Per evitare che l’umidità impatti sui nostri spazi è importante mettere in atto strategie mirate: tra le soluzioni naturali più efficaci spiccano alcune piante specifiche, utili quindi non solo a scopo decorativo, ma anche per ripulire l’aria, assorbendo l’umidità.

    Quali sono le piante che assorbono più umidità
    Giglio della pace
    Tra le piante alleate per ridurre i livelli di umidità spicca il giglio della pace, contraddistinto da fiori bianchi, che in realtà sono brattee, e foglie eleganti: sono proprio queste ad assorbire l’umidità, facendo sì che la pianta sia particolarmente adatta per rendere l’ambiente più salubre. Privo di steli, chiamato a livello scientifico spathiphyllum e appartenente alla famiglia delle Araceae, il giglio della pace è semplice da coltivare e richiede poche cure. Per quanto riguarda l’esposizione, ama il sole, ma non i raggi diretti, e i suoi nemici sono i luoghi angusti, dovendo arieggiare regolarmente la stanza dove si colloca, stando però attenti alle correnti d’aria e agli sbalzi di temperatura improvvisi. In estate è consigliato spostare questa pianta sempreverde all’esterno, sistemandola all’ombra. Il substrato deve essere leggermente acido e mantenuto umido e le irrigazioni devono essere abbondanti in estate, evitando i ristagni d’acqua, e moderate in inverno. In merito alla concimazione, l’operazione va eseguita una volta al mese dalla primavera all’autunno, mentre la potatura non è richiesta, se non solo rimuovere le foglie appassite o secche, fonte di attacchi di parassiti e malattie.

    Aloe vera
    Altra pianta mangia umidità è l’aloe vera, succulenta appartenente alla famiglia delle Liliaceae, che abbellisce gli ambienti con le sue foglie carnose, contenenti una sostanza gelatinosa ricca di proprietà benefiche. La pianta predilige un terreno ben drenato, sabbioso e calcareo, un clima caldo e un luogo soleggiato, prestando però attenzione al sole diretto in estate, che se eccessivo rende le sue foglie rossastre. L’aloe vera necessita di irrigazioni esigue, evitando tassativamente i ristagni idrici. Se le foglie si seccano è la spia di annaffiature troppo esigue, dovendo aumentarle mentre, al contrario, qualora diventino gialle e morbide, bisogna ridurre le irrigazioni. In estate e primavera si deve darle da bere ogni 2 settimane, mentre in inverno circa una volta al mese. Da concimare tra la primavera e l’autunno, l’aloe vera non richiede potature particolari, dovendo limitarsi a rimuovere le foglie secche oppure danneggiate.

    Pothos
    Per combattere l’umidità un prezioso alleato è il pothos, talmente semplice da curare da essere adatto anche ai principianti del giardinaggio. Questa splendida pianta d’appartamento, dal portamento rampicante, fa parte della famiglia delle Aracee: a contraddistinguerla sono le sue suggestive foglie verdi a forma di cuore e con screziature gialle e la notevole resistenza. Per quanto riguarda la sua esposizione, il pothos richiede molta luce ma evitando i raggi solari diretti, che possono bruciare le sue foglie, pur crescendo anche in mezz’ombra o in ombra. Le correnti d’aria sono mal tollerate dalla pianta, che non deve essere quindi posta nei pressi di una finestra. Le irrigazioni vanno effettuate ogni 5 giorni d’estate e una volta alla settimana in inverno, verificando sempre prima che il terreno sia asciutto ed evitando i ristagni d’acqua. Per quanto riguarda la potatura questa non è richiesta, se non per accorciare i rami più lunghi a inizio primavera.

    Orchidea
    Per donare un tocco di eleganza agli spazi e al contempo contrastare il problema dell’umidità, l’orchidea è una scelta perfetta, visto che le sue radici la catturano dall’ambiente circostante, cosa che determina anche una sua crescita ottimale. Questa pianta tropicale ha fiori colorati, e un profumo avvolgente: appartenente alla famiglia delle Phalaenopsis, è piuttosto delicata, ma se curata con i giusti accorgimenti è molto longeva. L’orchidea predilige un substrato ben drenato e una posizione luminosa, purché non riceva i raggi solari diretti. Il substrato deve essere sempre mantenuto umido, quindi le irrigazioni sono fondamentali, ma queste devono essere moderate e mai eccessive per scongiurare il marciume radicale. In estate è consigliato annaffiare la pianta dalle 3 alle 4 volte alla settimana, mentre in inverno ridurle a una. Per mantenere le orchidee in salute è necessario potarle di solito dopo la fioritura, rimuovendo i fiori appassiti e danneggiati e le foglie malate e morte.

    Filodendro
    Resistente, vigoroso, decorativo e facile da coltivare, il filodendro assorbe l’umidità mediante le sue grandi foglie lucide dalla forma a cuore oppure ovale. Parte della famiglia delle Araceae, questa pianta d’appartamento è molto apprezzata sia per la sua bellezza, sia per la sua facilità di coltivazione. Il filodendro predilige un substrato drenato e ricco di sostanza organica, un ambiente umido e luce abbondante, ma deve evitare i raggi solari diretti: resiste comunque se l’illuminazione è scarsa, ma in questo caso cresce con fusti allungati e con foglie più piccole. In estate è consigliato spostare la pianta esternamente, per esempio sotto un porticato, premurandosi che non sia esposta a correnti d’aria. Il filodendro richiede in estate irrigazioni ravvicinate e consistenti, da diminuire durante l’inverno, va concimato ogni 4-6 settimane durante il periodo di crescita e per mantenerlo in salute deve essere potato dopo la sua stagione vegetativa, a fine inverno o inizio primavera, eseguendo inoltre al bisogno interventi per rimuovere le foglie secche e danneggiate.

    Falangio
    Per assorbire l’umidità negli ambienti domestici, il falangio è un’altra valida soluzione, con cui abbellire anche gli spazi. Molto decorativo, è chiamato nastrino e pianta ragno, appartiene alla famiglia delle Agavaceae, presenta fiorellini bianchi, fusti allungati e un fogliame variegato e arricchito da strisce bianche verdastre. Facile da curare e coltivare, il falangio preferisce un’esposizione soleggiata, tenendolo però lontano dai raggi solari diretti in estate. Per quanto riguarda la sua cura deve essere irrigato regolarmente, verificando sempre prima che il terreno sia asciutto. Se la pianta presenta le punte secche significa che bisogna aumentare le annaffiature, non tagliandole mai per non stressarla.

    Aspidistra
    Chiamata anche pianta di piombo, l’aspidistra è estremamente efficace per rimuovere l’umidità. Molto resistente, si adatta alle diverse condizioni atmosferiche e fa parte della famiglia delle Asparagaceae. La sua robustezza la rende una pianta semplice da coltivare e per questo adatta per chi è alle prime armi. Per quanto riguarda la sua manutenzione, non richiede molta acqua e predilige la luce indiretta, tollerando però anche l’ombra. Resistente ai parassiti, la pianta di piombo potrebbe soffrire in caso di esposizione solare eccessiva, che può bruciare le sue foglie, come anche per via dei ristagni d’acqua, causa del marciume radicale. Il suo terreno deve essere sempre mantenuto drenato e umido, ma mai zuppo. LEGGI TUTTO