Specie aliene, per frenare la diffusione del pesce scorpione inizieremo a mangiarlo
Era quasi certo di trovarlo, immergendosi nel mar Ionio, in Calabria. E lui non si è fatto aspettare. “L’ho visto a venti metri di profondità, vicino al relitto di un peschereccio abbandonato, atteggiamento confidente proprio come nei mari tropicali, pronto a esibire la sua voracità nei confronti dei pesci che lo circondavano. Venti giorni dopo, era ancora lì: una specie stanziale, che ha pochissimi predatori potenziali”. Il fotografo subacqueo Pasquale Vassallo ha cercato e trovato il pesce scorpione partendo dal Ficarella Diving Club di Saline Joniche, in provincia di Reggio Calabria.
Basta un’immersione, qui, per imbattersi nella specie aliena per eccellenza, che è (ormai) diventata inquilina fissa dei nostri ecosistemi. Così, nei giorni in cui anche il Washington Post lancia un allarme globale sui pesci velenosi che invadono il Mediterraneo, ricercatori, scienziati e appassionati si interrogano sulla diffusione (incontrastata) del “lionfish”, specie originaria del Sud-est asiatico, che avanza imperterrito lungo le coste italiane, dalla Sicilia (dove in media si registra addirittura una segnalazione al giorno) alla Calabria, favorito dal riscaldamento del Mare Nostrum, la cui temperatura è aumentata, negli ultimi quattro decenni, il di 1,5 gradi Celsius.
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Come contrastarlo? “Un’ipotesi è mangiarlo”
Sottolinea al Washington Post Paraskevi Karachle, che studia questa ed altre specie come ittiologa per l’Hellenic Center for Marine Research. E sulla piccola isola di Cervi (Elafonisos in greco), ad appena 570 metri dalla costa del Peloponneso, alcuni ristoranti già lo propongono nel menu. “Per ora i clienti girano alla larga, preferendo piatti più tradizionali”, fa spallucce Chris Berdoussis, chef e ristoratore. “Ci vuole ancora tempo”, aggiunge. Ma la strada potrebbe essere segnata, anche perché la popolazione di polpi è in netto declino e i visitatori, viceversa, in aumento esponenziale. E allora il Wwf ha avviato una serie di dimostrazioni guidate con chef riconoscibili che mostrano la preparazione del pesce scorpione. Il risultato? A Rodi e Creta nei mercati si inizia a trovare, ad Atene ancora no. Questione di tempo, forse.
L’allarme
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Il progetto AlienFish
Di specie aliene si occupa Francesco Tiralongo, ittiologo dell’università degli studi di Catania. Con il progetto AlienFish monitora, con l’aiuto della cosiddetta citizen science, la diffusione del pesce scorpione, ma anche dei pesci coniglio e dell’ormai famigerato granchio blu, assieme a tante altre specie aliene invasive. “La risposta all’invasione – dice – non può essere una sola: bisogna contenere, conoscere e, dove sicuro, valorizzare a tavola, trasformando parte dell’emergenza in opportunità per pescatori e filiere locali”. Il caso studio è proprio quello del granchio blu, voracissimo: in Alto Adriatico la sua proliferazione ha messo in ginocchio la venericoltura, causando danni enormi. “In risposta, nel 2025 è stato varato un Piano nazionale di contenimento con risorse dedicate e obiettivi espliciti di rimozione massiva, protezione degli allevamenti e tracciamento dei flussi, anche con misure regionali attuative. – spiega Tiralongo – Il piano dialoga con iniziative locali: in Veneto, ad esempio, centinaia di tonnellate di granchio blu sono state commercializzate nel 2024, mentre altre non commerciabili (in particolare le femmine e gli esemplari sottotaglia, ndr) sono state rimosse e destinate a mangimistica e farine proteiche, oppure allo smaltimento. Dove c’è mercato, si crea un incentivo economico alla rimozione, fondamentale per alleviare la pressione sugli ecosistemi e sostenere le imprese”.
Un granchio blu preda uno scorfano nel Golfo di Napoli (foto Mimmo Roscigno) LEGGI TUTTO