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    Alocasia: coltivazione in vaso e in giardino, cura e annaffiatura

    Nota anche con il nome di orecchie di elefante, per via delle sue grandi foglie a forma di freccia, l’alocasia è una splendida pianta tropicale originaria dell’Asia sud-orientale. Appartenente alla famiglia delle Araceae, necessita di un ambiente caldo e umido per prosperare, temendo le basse temperature e prestandosi pertanto anche come pianta da appartamento. L’alocasia è semplice da coltivare e mantenere, ma è necessario mettere in atto le giuste cure per farla risplendere.

    Dove posizionare l’alocasia?
    L’alocasia si distingue per la sua bellezza straordinaria, aggiungendo un tocco esotico in qualsiasi ambiente si trovi. Questa pianta arbustiva rizomatosa cresce in natura nelle foreste tropicali e si presenta in numerose specie sempreverdi o decidue: a renderla molto amata sono le sue foglie di grandi dimensioni, che possono svilupparsi in lunghezza fino a un metro e mezzo, rese uniche da venature decorative, che virano dal bronzo al viola, al nero.

    Per quanto riguarda l’esposizione, l’alocasia richiede un luogo simile a quello del suo habitat naturale, che sia quindi molto luminoso, ma senza la presenza del sole diretto, che potrebbe bruciarne le foglie. La luce filtrata è indicata per la sua crescita: per esempio, in appartamento è bene posizionarla vicino a una finestra facendo sì, però, che una tenda bianca possa filtrare i raggi solari. Se il sole diretto non è ottimale, dall’altro lato anche la luce scarsa non è indicata, portando la pianta a sviluppare lunghi steli per avvicinare le sue foglie alla luce.

    Altro aspetto da tenere in considerazione è il fatto che l’alocasia apprezza l’umidità e gli ambienti caldi, dalle temperature comprese tra i 18 e i 25 gradi, soffrendo sotto i 15 gradi. Durante l’estate in giardino resiste in un luogo luminoso, umido e ombreggiato, ma bisogna proteggerla da vento e piogge. La pianta richiede un buon ricambio d’aria, evitando però le correnti fredde che potrebbero danneggiarla.

    Alocasia e la sua coltivazione
    L’alocasia può essere coltivata sia in vaso che in giardino. Il momento migliore per la sua semina va da febbraio ad aprile, per via del clima mite di questi mesi che ne stimolano la germinazione. Nella coltivazione dell’alocasia è necessario assicurarsi che il terreno sia drenato, leggero, poroso, sciolto, morbido, privo di grumi e con molte sostanze nutritive, potendo unire perlite, torba e un mix di terra per le piante d’appartamento e ricorrere a un fondo di argilla espansa per aumentare il drenaggio.

    Se si opta per la semina in vaso, bisogna munirsi di un contenitore pesante, per evitare che la pianta sia instabile, e si possono porre dei pezzi di coccio sul suo fondo per garantire lo scolo dell’acqua. Il recipiente scelto va posto in un luogo luminoso, evitando i raggi solari diretti, collocandolo all’aperto durante la bella stagione e proteggendolo in inverno.

    I semi vanno posti a una profondità di un centimetro, lasciando tra di loro una distanza di 2,5 centimetri, per poi coprirli con il terreno, compattando il tutto. Durante i primi anni di vita, l’alocasia deve essere rinvasata annualmente in vasi più grandi.

    Per quanto riguarda la coltivazione in giardino, è bene non collocare questa pianta tropicale in una depressione del terreno, per far sì che l’acqua non ristagni. Si procede piantando i germogli rivolti verso l’alto, ponendoli a 5 centimetri di profondità, per poi coprirli con il terreno, assicurandosi che crescendo le piante abbiano una distanza di 30-45 centimetri.

    L’irrigazione e altre operazioni da tenere in considerazione
    In seguito alla semina dell’alocasia, è necessario non lasciare mai seccare il terreno, irrigando i semi circa 2-3 volte al giorno con un nebulizzatore, per mantenere il terriccio sempre umido. Questa operazione va ridotta mano a mano che i primi germogli crescono. L’irrigazione dell’alocasia deve essere regolare, diminuendola però in inverno, suo periodo vegetativo: durante l’operazione è cruciale evitare i ristagni liquidi, responsabili del marciume radicale.

    Annaffiature non regolari, sia in eccesso che in difetto, possono portare all’ingiallimento delle foglie, dovendo correggere l’irrigazione. Per verificare se la pianta necessiti di acqua o meno si può porre un dito nel terreno e se questo risulta asciutto dopo qualche centimetro si può procedere con l’innaffiatura.

    Altra operazione cruciale è la concimazione che va eseguita ricorrendo a del fertilizzante liquido ogni 2-3 settimane, intervento da svolgere in primavera ed estate, periodi di crescita della pianta, aggiungendo il concime nell’acqua di irrigazione. Questo intervento può essere interrotto oppure ridotto in inverno.

    La potatura di questa pianta tropicale non è richiesta in modo costante. Basta limitarsi a rimuovere le foglie ingiallite oppure danneggiate, tagliandole alla base del fusto con delle forbici affilate e pulite. Questo intervento previene eventuali malattie, visto che le foglie rovinate potrebbero diventare un loro veicolo, e stimola la crescita di nuove foglie.

    Alocasia e la manutenzione: le problematiche comuni
    L’alocasia richiede particolari attenzioni nella sua cura, essendo incline a svariate problematiche che possono colpirla, come per esempio malattie e parassiti. La pianta è molto sensibile al marciume radicale, criticità che insorge in caso di acqua in eccesso e, proprio per questo, il terreno deve essere sempre ben drenato.

    Inoltre, è soggetta all’attacco di parassiti quali acari, cocciniglie e afidi, che si nutrono della sua linfa, deperendo le foglie e portando perfino alla sua morte. L’alocasia è spesso presa di mira dal ragnetto rosso, che si insedia sul lato inferiore delle foglie, facendole scolorire. Per scongiurare la presenza dei parassiti è importante eseguire ispezioni regolari e qualora venga rilevato un attacco ricorrere a dei pesticidi ad hoc. La pianta può essere poi colpita da oidio, malattia fungina responsabile di una polvere bianca che si sedimenta sulle foglie: per prevenirla è necessario che il flusso d’aria sia ottimale e bisogna dosare con attenzione le irrigazioni. Qualora questa problematica insorga si deve ricorrere a un fungicida ad hoc.

    Le foglie dell’alocasia possono cadere oppure diventare gialle, se non ricevono abbastanza luce, e presentare macchie nere, in caso in cui il clima sia troppo freddo: queste criticità possono essere ovviate ponendo la pianta in un luogo dalla luce filtrata e con temperatura tra i 18 e i 25 gradi. LEGGI TUTTO

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    Global Award for Sustainable Architecture, i progetti premiati in Ecuador e Marocco

    Non sono archistar, ma sicuramente stanno realizzando alcune tra le migliori opere di architettura sostenibile nel mondo: Marie Combette e Daniel Moreno Flores (Ecuador), Salima Naji (Marocco), Hoang Thuc Hao (Vietnam), Marie e Keith Zawistowski (Francia) e Andrea Gebhard (Germania). Garantisce il Global Award for Sustainable Architecture, prestigioso premio che qualche giorno fa ha celebrato a Venezia la sua 18a edizione.

    Fondato nel 2006 dall’architetta e ricercatrice franco-tedesca Jana Revedin – in associazione con quattro facoltà europee di architettura (Parigi, Venezia, Istanbul, Lubiana), con il patrocinio dell’Unesco e la partnership di Saint-Gobain – premia ogni anno architetti, urbanisti e paesaggisti provenienti da tutti i continenti, riconoscendo il loro impegno visionario a favore della sostenibilità e dell’innovazione.

    Tra i cinque premiati di quest’anno, abbiamo selezionato le storie e le opere di due studi lontanissimi geograficamente (uno in Ecuador, l’altro in Marocco), ma uniti dagli stessi princìpi e da metodi di lavoro simili. Con sede a Quito (Ecuador), Marie Combette e Daniel Moreno Flores sono i fondatori de La Cabina de la Curiosidad ed esplorano le risorse geografiche e materiali dell’Ecuador. Si distinguono per un metodo che combina etnografia, processi costruttivi e sensibilizzazione ecologica, con un’attenzione particolare alla gestione dei rifiuti e alla valorizzazione degli ecosistemi naturali.

    La Cabina de la Curiosidad coniuga arte, artigianato, architettura e consapevolezza territoriale, ogni progetto è intriso di una poesia singolare, riflesso del loro impegno verso la preservazione culturale e ambientale. I due architetti, che lavorano in un contesto politico e sociale difficile, possiedono una rara capacità di trasformare le limitazioni locali in opportunità, rivelando la bellezza e l’immenso potenziale di un ambiente naturale ancora intatto. Uno degli esempi è il semplice ma poetico alloggio costruito nella cava Baños de Agua Santa (provincia di Tungurahua, Ecuador), l’architettura scelta, tra l’altro, per rappresentare il premio internazionale di quest’anno. Si tratta di un progetto architettonico che unisce la presenza delle grandi pietre della cava alla leggerezza dei materiali da costruzione (legno, vetro e lamiere d’acciaio) con il valore aggiunto della precisione della composizione architettonica. Le falde della copertura si sollevano anteriormente per aprirsi in una grande finestra sul paesaggio, e posteriormente per ventilare lo spazio abitativo: queste semplici linee inclinate, la cura dei dettagli costruttivi e lo stretto rapporto con l’ambiente naturale delle Ande fanno di questa piccola abitazione una grande opera di architettura sostenibile.

    Global Award for Sustainable Architecture – Centro dell’Artigianato Chaki Wasi, in Ecuador  LEGGI TUTTO

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    L’incerto cammino dello stop alle auto a benzina in Europa

    “Perché l’Europa sta riconsiderando il suo audace piano per eliminare le auto a benzina”. Titolava così l’altro giorno il Washington Post, che in una documentata ricostruzione riepilogava l’impervio cammino del provvedimento che prevede entro il 2035 lo stop alla produzione di autoveicoli endotermici nei Paesi membri dell’Unione: “I politici europei di destra e i lobbisti […] LEGGI TUTTO

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    In Sardegna le piante amiche dei metalli

    Si chiamano metallofite e sono piante post-industriali. Crescono sui terreni contaminati dai metalli pesanti delle miniere abbandonate dove la concorrenza con altri simili è ridotta all’osso. Sono organismi pionieri e possono ridurre la carica tossica dei suoli o assorbire gli inquinanti contribuendo a risanare l’ambiente. Sono comuni tra la vegetazione autoctona del Mediterraneo. In Sardegna, […] LEGGI TUTTO

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    Come pulire il silicone della doccia in modo naturale

    Il silicone della doccia è una delle aree più soggette a muffa, macchie e accumuli di calcare. Pulirlo regolarmente non solo migliora l’aspetto del bagno, ma contribuisce anche a mantenere un ambiente igienico e sano. È possibile farlo anche in modo naturale e senza utilizzare prodotti chimici aggressivi.
    Aceto bianco: l’alleato naturale contro la muffa
    Il primo alleato naturale contro la muffa è l’aceto bianco: si tratta di un prodotto di uso comune, versatile e naturale, perfetto per pulire il silicone della doccia. La sua acidità aiuta a rimuovere macchie di calcare e a eliminare la muffa, uno dei problemi più comuni nelle aree umide.

    Come usarlo? Versa l’aceto bianco in un flacone spray; spruzza generosamente il prodotto sul silicone della doccia, concentrandoti sulle aree più sporche; lascia agire per circa 15-20 minuti; strofina con una spugna o uno spazzolino a setole morbide e infine risciacqua con acqua calda.

    L’aceto è perfetto anche per la pulizia preventiva, in quanto aiuta a mantenere il silicone libero dalla formazione di funghi e batteri.

    Bicarbonato di sodio: efficace contro le macchie
    Il bicarbonato di sodio è un altro ingrediente naturale molto utile per pulire il silicone della doccia. Grazie alle sue proprietà abrasive, rimuove lo sporco incrostato e le macchie più ostiche senza però danneggiare la superficie.

    Ecco come fare: prepara una pasta mescolando bicarbonato di sodio e acqua in proporzione 3:1; applica la pasta sul silicone e lascia agire per almeno 15 minuti; strofina delicatamente con uno spazzolino o una spugna abrasiva e risciacqua abbondantemente con acqua calda.

    Se il silicone è particolarmente sporco, puoi aggiungere qualche goccia di aceto al bicarbonato per un effetto ancora più potente.

    Succo di limone: antimicotico e disinfettante naturale
    Il limone è un altro rimedio naturale che può fare miracoli per pulire il silicone della doccia. Il suo succo ha proprietà antimicotiche e antibatteriche che aiutano a combattere la muffa e lo sporco.

    Come usarlo: taglia un limone a metà e spremi il succo direttamente sul silicone; lascia agire per 10-15 minuti; strofina con una spugna o uno spazzolino a setole morbide; risciacqua con acqua tiepida.

    Il limone lascia anche un profumo fresco e naturale, ideale per rinfrescare l’ambiente della doccia.

    Acqua ossigenata (perossido di idrogeno): disinfettante naturale
    L’acqua ossigenata è un altro potente disinfettante naturale che può essere utilizzato per eliminare la muffa e le macchie più ostinate sul silicone della doccia.

    Come pulire: versa dell’acqua ossigenata al 3% in un flacone spray; spruzza sul silicone e lascia agire per circa 10-15 minuti; usa una spugna o uno spazzolino per rimuovere lo sporco; risciacqua con acqua calda.

    L’acqua ossigenata è particolarmente utile per combattere la muffa nera che tende a formarsi negli angoli del silicone.

    Olio essenziale di tea tree: antifungino naturale
    Anche l’olio essenziale di tea tree è noto per le sue proprietà antifungine e antibatteriche. È ideale per prevenire la formazione di muffa e per disinfettare il silicone della doccia in modo naturale.

    Come si usa? Aggiungi alcune gocce di olio essenziale di tea tree a un flacone spray con acqua calda; spruzza il mix sul silicone e lascia agire per 10-15 minuti; pulisci con una spugna o un panno morbido; risciacqua con acqua calda.

    Oltre a pulire, l’olio essenziale di tea tree lascia un profumo fresco e naturale.

    La manutenzione che previene sporco e muffa
    Meglio però, ovviamente, non far sporcare che dover pulire. Per evitare che il silicone della doccia si sporchi facilmente, puoi adottare alcune semplici abitudini.

    Dopo ogni utilizzo della doccia, asciuga il silicone con un panno asciutto per rimuovere l’umidità in eccesso. Ventilare bene la stanza inoltre, magari utilizzando un deumidificatore, aiuta a prevenire la formazione di muffa.

    Esistono dunque diversi alleati per pulire il silicone della doccia in modo naturale e tanti modi per godere di una doccia sempre fresca e igienica senza dover ricorrere obbligatoriamente a prodotti chimici aggressivi. LEGGI TUTTO

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    Mobilità urbana a misura di bambini: Parigi guida l’Europa, l’Italia resta indietro

    Rendere le città sicure e accessibili per i più piccoli significa renderle migliori per tutti. È da questo presupposto che nasce la classifica stilata dalla Clean Cities Campaign, rete europea di oltre 60 organizzazioni impegnate nella promozione di una mobilità urbana sostenibile e a zero emissioni entro il 2030. La classifica 2025 fotografa lo stato di 36 grandi città europee attraverso tre indicatori fondamentali per la mobilità infantile: la presenza di strade scolastiche, il livello di ciclabilità protetta e l’estensione delle zone con limite di velocità fissato a 30 km/h. I dati raccolti tra dicembre 2024 e aprile 2025 delineano uno scenario in evoluzione, dove alcuni centri hanno accelerato con decisione verso un modello urbano più inclusivo.

    L’Italia fuori dalla top 10 ma con segnali incoraggianti
    Il primo dato è che nessuna città italiana rientra nella top 10 europea. La prima a comparire in classifica è Bologna, sedicesima, seguita da Milano (23esima) e Torino (24esima). Roma e Firenze si posizionano ancora più in basso, rispettivamente al 32esimo e 29esimo posto. Tuttavia, nei dettagli degli indicatori emergono dati più sfaccettati: Milano è per esempio seconda in Europa per numero di strade scolastiche in proporzione alle scuole primarie, seguita da Torino (quarta) e Bologna (11esima). Anche Roma (16esima) mostra segnali positivi in questo ambito mentre Firenze resta tra le poche città senza alcuna strada scolastica attiva. LEGGI TUTTO

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    Quanta carne consumare per una dieta sana e sostenibile? Non più di due etti a settimana

    Nella piramide sui consumi alimentari raccomandati all’interno di una dieta mediterranea la carne si trova in alto, a sottolineare che in una sana alimentazione i suoi consumi dovrebbero essere ridotti. Nel piatto della dieta planetaria (quella elaborata dalla Eat-Lancet Commission), la dieta che fa bene anche all’ambiente, la carne non occupa che una piccolissima fetta, perché sappiamo che le diete a larga base vegetale hanno un minor impatto sul pianeta. Ridurre i consumi, più che rinunciare alla carne stessa, è dunque l’imperativo tanto dei nutrizionisti che degli ambientalisti. Un obiettivo che potrebbe essere raggiunto non superando i due etti e mezzo di carne a settimana.

    Il dato arriva da uno studio apparso nelle scorse settimane sulle pagine di Nature Food, frutto del lavoro in cui un gruppo di ricercatori della Technical University of Denmark e del Mit di Boston interessati proprio a comprendere quali fossero i consumi alimentari che potessero garantire – in generale – sia la salute della persona che quella dell’ambiente.

    Alimentazione

    “Così potete convincere chi mangia carne a diventare vegano”

    di Paola Arosio

    01 Maggio 2025

    Per farlo hanno condotto delle analisi mettendo insieme le informazioni nutrizionali e gli impatti ambientali di diversi alimenti (oltre 2500 quelli considerati, consumati negli Stati Uniti) e i requisiti che le diete dovrebbero avere per considerarsi sane e sostenibili secondo la scienza, spiegano. È chiaro infatti che alimenti diversi, e i relativi consumi, hanno un impatto diverso sull’ambiente, in termini di utilizzo di risorse ed emissioni, così come diversa è la distribuzione di energia, proteine, vitamine, fibre, grassi e zuccheri all’interno dei diversi cibi. Non solo: gli stili alimentari possono rappresentare anche un fattore di rischio per alcune malattie, e gli scienziati hanno tenuto conto anche di questo.

    Il principale risultato che emerge dal lavoro è una cifra: 255 grammi. Con un consumo simile di carne (pollame o maiale), spiegano i ricercatori, ci si può ritenere soddisfatti sia sul fronte salutistico che ambientale.

    “Oggi la maggior parte delle persone si rende conto che dovremmo mangiare meno carne per motivi sia ambientali che di salute – racconta Caroline H. Gebara, prima autrice del paper – Ma è difficile stabilire quanto sia ‘meno’ e se faccia davvero la differenza nel quadro generale. Pertanto, basandoci sui limiti planetari, abbiamo calcolato una cifra concreta – 255 grammi di pollame o maiale a settimana – che si può effettivamente visualizzare e considerare quando si è al supermercato”.

    In generale però, aggiungono gli esperti, molte delle diete analizzate possono dirsi sane e sostenibili, con le diete flexitariane, vegane, e latto-ovo-vegetariane come quelle che più facilmente riescono a soddisfare i requisiti ambientali e di salute. Di contro, e con poca sorpresa, non lo sono quelle ad alto contenuto di carni, sia rosse che bianche.

    Sostenibilità

    Le crocchette “taglia emissioni” per cani e gatti: a base di farina d’insetti e carne sintetica

    di Gabriella Rocco

    11 Maggio 2025

    Il messaggio, scrivono i ricercatori, è che non c’è un unico sistema alimentare giusto, ma che si può essere largamente flessibili nelle proprie scelte alimentari, anche tenendo conto dei gusti, delle culture locali e delle possibilità di produzione. Sta di fatto però che a oggi, con circa due etti e tre etti e mezzo (per l’Europa e gli Usa) di consumi di carni al giorno, i nostri stili alimentari sono flessibili in direzione opposta, e molto lontani dal dirsi sia sane che sostenibili. LEGGI TUTTO

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    Nichel green per decarbonizzare la produzione delle batterie al litio

    La decarbonizzazione delle nostre società passa necessariamente per l’elettrificazione dei trasporti e dell’industria. Ma come ogni soluzione ad un problema complesso, anche l’elettrico nasconde le sue insidie. Le batterie necessarie per sostituire i motori a combustione, ad esempio, necessitano di materiali e processi intrinsecamente inquinanti, la cui produzione rischia di ridurre, o azzerare, i benefici ambientali delle nuove tecnologie. È il caso del nichel, elemento insostituibile nei modelli di batteria al litio più diffusi sul mercato dell’auto, la cui estrazione con metodi tradizionali oggi produce circa 20 di CO? per ogni tonnellata di materiale raffinato. Un nuovo studio, pubblicato su Nature da un team di ricercatori del Max Planck Institute for Sustainable Materials, propone però una soluzione carbon free: un metodo per l’estrazione del nichel che non produce gas serra e permette di risparmiare sensibilmente l’energia necessaria.

    Il nichel ovviamente non è l’unico metallo contenuto nelle batterie elettriche, né il più inquinante in termini di emissioni di gas serra. Ha comunque un impatto importante in termini di CO?, destinato a crescere con l’allargamento del mercato delle auto elettriche previsto nei prossimi anni, che dovrebbe raddoppiare la domanda globale di nichel entro il 2040, facendola arrivare a sei milioni di tonnellate l’anno, di cui tre milioni solo per la costruzione di batterie.

    Economia circolare

    Viaggio nell’impianto che estrae terre rare dai dispositivi elettronici che buttiamo

    di Luca Fraioli

    15 Aprile 2025

    La produzione di nichel green è quindi una delle strade da percorrere per assicurare che la transizione ecologica non finisca semplicemente per spostare l’inquinamento da un punto ad un altro del ciclo di produzione dell’energia. “Continuando a produrre nichel con le tecniche convenzionali e utilizzandolo per l’elettrificazione stiamo solo spostando il problema, invece di risolverlo”, sottolinea a proposito Ubaid Manzoor, ricercatore del Max Planck Institute che ha collaborato allo studio.

    Tradizionalmente, l’estrazione del nichel fa affidamento sui minerali di elevata purezza, più rari. Quelli di minore purezza devono infatti essere estratti con un processo a più fasi, che vanno dalla calcinazione (un processo termico che si utilizza per ottenere l’ossido di nichel da composti come idrossido, carbonato o nitrato di nichel), alla fusione, alla riduzione e raffinazione del materiale, tutte operazioni energivore e particolarmente inquinanti in termini di emissioni.

    Biodiversità

    Quali rischi dalle “miniere” nell’oceano profondo? Per la scienza “impatti anche dopo decadi”

    di Giacomo Talignani

    28 Marzo 2025

    La nuova tecnica prosta da Manzoor e dal suo team permette di utilizzare i minerali meno puri, e di effettuare tutti i passaggi necessari all’estrazione del nichel in un’unica fornace, utilizzando plasma di idrogeno che permette di tagliare dell’84% le emissioni di CO? e di ridurre del 18% i consumi energetici. Garantirebbe quindi un importante risparmio di energia, minori emissioni dai processi di raffinamento, e amplierebbe la disponibilità di materiali grezzi, permettendo di utilizzare i minerali meno puri anche per applicazioni di alta precisione, come le batterie.

    In laboratorio la tecnica si è rivelata estremamente promettente, ma per vedere un’applicazione reale deve essere scalata per funzionare efficacemente a livello industriale. Ed è quello a cui lavorano ora i ricercatori del Max Planck Institute. LEGGI TUTTO