Che qualcosa sia da correggere è ormai evidente. Ma la strada è stracciata e non si può tornare indietro. È quanto emerge dal dibattito sul Green Deal europeo dal titolo “Transizione green, investimenti e strategie”, organizzato da Adnkronos. Esperti, rappresentanti del Governo, delle istituzioni e del mondo imprenditoriale hanno cercato di rispondere alle domande più urgenti su come cambiano le politiche nazionali per consentire una migliore ed armonica attuazione del Green Deal, sullo stato dell’arte del processo di transizione ecologica, sul contributo delle aziende nel contrasto al cambiamento climatico.
Tanti ancora i punti da sviluppare e molte le incertezze sollevate dai Governi di alcuni stati che sono in ritardo nell’adozione di politiche e iniziative legislative in linea con quanto indicato dalla Commissione UE. L’obiettivo finale di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 è irrinunciabile. Ma a che punto siamo? E soprattutto cosa resta del Green Deal europeo?
La cronaca degli ultimi giorni che ha registrato il dissenso di una parte dell’industria automotive e le proteste dei lavoratori rappresenta un primo e importante segnale di quanto la visione ottimistica europea non corrisponda pienamente alle singole realtà nazionali, sia a livello politico sia a livello industriale. E una conferma, seppure non con valore statistico, arriva anche da una rilevazione effettuata da Adnkronos tra i propri utenti web e social: per il 65% il Green deal europeo andrebbe addirittura eliminato, per il 23% migliorato e solo per il 12% è una priorità. Dati rafforzati dalla percezione, secondo il 75% degli utenti intervistati, che così come viene realizzata la transizione danneggia l’economia (75%). Per fare qualche esempio specifico, sull’acquisto delle auto elettriche, il 46% segnala il costo ancora elevato e il 38% la carenza di colonnine per la ricarica. Se è vero che sui social si avverte spesso una polarizzazione verso risposte negative, è altrettanto vero che il dibattito sull’argomento in Italia è molto acceso. Come dire, “il sogno” che si scontra con la realtà e che richiede interventi correttivi.
Enrico Giovannini, direttore scientifico ASviS, ha parlato dell’Agenda 2030 e degli obiettivi da raggiungere: “Tra pensieri, parole e azioni c’è una divergenza piuttosto impressionante. L’Italia purtroppo non sta facendo quello che i ministri ci hanno detto. Il Piano strutturale di Bilancio avrebbe dovuto definire riforme e investimenti su 5 temi: transizione digitale ed ecologica, attuazione della legge europea sul clima, pilastro sociale dei diritti europeo, resilienza economica e sociale, difesa. Nel Piano strutturale di bilancio c’è poco di tutto questo”.
“Qual è la vera prospettiva che l’Italia vuole conseguire?, si chiede Giovannini, aggiungendo: “La paura è che l’idea sia quella di ridiscutere questi obiettivi, sia al 2030 sia al 2050”. Le risorse per proseguire nel lavoro verso gli obiettivi, ragiona Giovannini, “si possono trovare: ci sono 30 miliardi di sussidi all’anno dannosi per l’ambiente che il governo si è impegnato a smantellare nei prossimi anni”. Quanto al Green Deal europeo, Giovannini chiarisce: “Il green non è stato toccato di una virgola, c’è tutto e lotta insieme a noi. L’approccio ideologico non è mai esistito. E’ sempre stato pensato non come una politica ambientalista ma come una politica di sviluppo economico”.
Stesse preoccupazioni sono state espresse anche dai rappresentati del Governo intervenuti al convegno: il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin ha introdotto la strategia del Governo: “L’attenzione del governo è su più fronti: il lavoro in corso sui settori in cui è più difficile carbonizzare, gli incentivi per le CER, l’avanzamento delle misure al PNRR e diverse altre azioni normative semplificatorie. Sono convinto che il rinnovamento delle istituzioni europee ci permetterà di affrontare con maggiore pragmatismo anche quelle norme del green deal che si sono dimostrate molto ma molto sbilanciate”.
“L’Italia non ha mai lavorato per distruggere – ha precisato il ministro Fratin – Ha voluto piuttosto migliorare, anche riuscendo, direttive e regolamenti che rischiano di lasciare indietro interi settori dell’economia. Non c’è più posto in Europa per approcci che non tengano conto di quelle che sono le evidenze scientifiche e di contesti nazionali differenti tra i 27 paesi europei. Credo che su questa linea si possa lavorare nel nuovo parlamento, nella commissione e consiglio europei. Come già fatto al G7 clima, energia e ambiente così a COP 29, che si apre tra pochi giorni, porteremo con responsabilità la voce del sistema paese espressione di valore e di eccellenza”.
Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha spiegato che “in questa fase, sul settore automotive, insieme alla Repubblica Ceca, il nostro Paese si è fatto promotore di un non paper che sarà presto discusso in Commissione al fine di riesaminare le modalità che porteranno allo stop ai motori endotermici nel 2035. La transizione deve esserci ma occorrono le condizioni per raggiungerla. Il processo va sostenuto con una forte immissione di risorse pubbliche a oggi fuori dalla portata dei bilanci pubblici non solo dell’Italia ma di tutti i Paesi europei. Non solo: serve un approccio basato su evidenze empiriche e non su posizioni ideologiche, che guardi con favore alla neutralità tecnologica e all’inserimento dei biocarburanti tra le modalità per raggiungere l’abbattimento di CO2. Per questo chiediamo di anticipare alla prima metà del prossimo anno il Rapporto di valutazione previsto per fine 2026”.
“Il Governo – ha concluso il ministro Urso – è consapevole che l’obiettivo della decarbonizzazione non può essere messo in discussione, ma occorre un confronto aperto su quale sia la modalità corretta per raggiungerlo”.