Nelle ultime ore del Burning Man costosissimi jet privati, uno dopo l’altro, lasciano la polverosa pista dell’aeroporto temporaneo di Black Rock City. Quegli aerei, insieme a una lunga scia di altre incongruenze, stanno diventando il simbolo di un festival famosissimo ma sempre più in difficoltà, che negli ultimi anni “ha perso la sua anima” come sostengono i partecipanti della prima ora, quelli che nel 1986 si radunarono a Baker Beach in California. Quasi quarant’anni dopo, la grande festa oggi spostata nel deserto del Nevada sta diventando un evento sempre più destinato ai ricchi e con una impronta ambientale, nonostante gli sforzi per tracciare un bilancio di sostenibilità, difficile da difendere.
Lo scorso anno, quello dell’edizione disastrosa – quando le piogge bloccarono nel fango oltre 72mila persone, tra bagni chimici che non funzionavano e distese di detriti – ha visto anche una serie di proteste ambientaliste sia per il massiccio uso di jet privati, sia per l’eccesso di rifiuti in plastica monouso. Nell’edizione attuale, iniziata il 25 agosto e conclusa in queste ore, il via vai di aerei privati si è però ripetuto, con forte disappunto degli ambientalisti. I giornali locali parlano di centinaia di jet, tra 800 e 3000, partiti e poi nuovamente decollati per raggiungere il luogo della festa, il tutto in una pista d’atterraggio costruita per l’occasione e che sarà poi smantellata. Per ridurre la polvere, sulla pista, viene sprecata e utilizzata una grande quantità di acqua. Su quella pista arrivano voli charter e jet privati di ogni tipo, particolarmente costosi: un volo sola andata per un viaggio di appena 45 minuti da Reno può costare anche 800 dollari, mentre quelli andata e ritorno sono sui 1500. Aerei di quindici posti, da prenotare con compagnie private, sono quotati intorno ai 20mila dollari di noleggio.
Burning Man, un morto e 70mila bloccati nel deserto: l’uragano trasforma il festival in un incubo di fango
03 Settembre 2023
Il gran numero di velivoli e in generale di mezzi con cui viene raggiunta la sperduta località in cui si tiene il grande Festival della controcultura Usa, come hanno ricordato decine di attivisti impegnati in una protesta lo scorso anno è la causa principale dell’enorme impatto ambientale di questa manifestazione: oltre il 90% dell’impronta di carbonio dell’evento deriva proprio dai viaggi andata e ritorno, mentre un altro 5% è legato ai generatori a diesel e gas per accendere luci e condizionatori. Report del 2020 stimavano come ogni Burning Man generi in media 100mila tonnellate di CO2, in pratica quanto producono 22mila auto a benzina all’anno, un ritmo decisamente poco sostenibile. Tra critiche all’impatto ambientale, complessità logistiche, drammi come quello dello scorso anno e anche alcuni casi di persone decedute, il fascino del costosissimo ed esclusivo Festival quest’anno sembra aver subito una battuta d’arresto significativa.
Sono stati per esempio venduti meno biglietti (non è andato per la prima volta subito sold out) e la reputazione del Burning Man appare in netto calo. Anche per questo, coloro che partecipano già da anni al Burning Man, stanno chiedendo una svolta, una rivoluzione per recuperare l’identità originaria – e meno impattante – del Festival, quello in cui l’anima ecologica e non consumistica dell’evento era ancora viva, quando lo spirito verde “bruciava” ancora. Su questo Corinne Loperfido, artista e partecipante del Burning, di recente ha scritto sul San Francisco Chronicle, giornale che segue da vicino l’andamento del raduno, un articolo che critica fortemente lo spirito perduto dell’evento, diventato ormai sempre più elitario e meno attento all’ambiente. L’autrice sottolinea ad esempio come il Burning si sia trasformato ormai in un “raduno irriconoscibile” che deve essere reinventato, soprattutto dal punto di vista ambientale. “Ho visto pellicce sintetiche, costumi illuminati a Led, cassonetti delle città limitrofe traboccanti di vestiti fast fashion e plastica” in un Festival che sembra sempre più lontano da quel concetto iniziale di “non lasciare traccia”. “Non sembra molto autosufficiente – scrive Loperfido – se si considerano i combustibili fossili necessari per raggiungere l’evento e alimentare i grandi veicoli ricreazionali, oppure per l’aria condizionata”.
La stessa autrice, invitando a ripensare alla natura e l’organizzazione del Festival, non si augura che la festa finisca, ma che si possa costruire qualcosa di nuovo e meno impattante. “Viviamo su una Terra in fiamme, letteralmente e figurativamente. Il caos climatico sta provocando inondazioni, incendi e ondate di calore che sembrano solo diventare più gravi con ogni stagione che passa. Organizzare un festival incredibilmente costoso e dannoso per l’ambiente alla luce di questo stato del mondo sembra semplicemente sbagliato. Non sto proponendo che tutto il divertimento venga annullato, ma sto chiedendo alle persone di concentrare le proprie risorse e attenzione a livello locale e di portare l’ispirazione e i principi del Burning Man nelle loro comunità. Gli organizzatori del Burning Man dovrebbero imparare dai fallimenti di quest’anno e ridimensionare l’evento del Nevada. In cambio, dovrebbero raddoppiare i loro sforzi per supportare gli eventi regionali del Burning Man, rendendoli altrettanto speciali e stimolanti, su una scala che infligga molto meno danni ambientali e richieda meno risorse per organizzarli”.