in

Così la microalga bioluminescente sopravvive negli abissi

Per mare si viaggia in tanti modi. Tralasciando i motori, pinne, muscoli e tentacoli la fanno da padrone. Ma chi non ha niente di tutto questo si deve ingegnare a chiedere un passaggio, affidarsi alle correnti o a trovare altre soluzioni. La microscopica Pyrocystis noctiluca, una specie di fitoplancton (un’alga non mobile, nel dettaglio), ci riesce cambiando forma, nello specifico, gonfiandosi a dismisura: riesce infatti a trasformarsi in una palla dal volume sei volte tanto le sue dimensioni a riposo, e così a muoversi lungo la colonna d’acqua e a raggiungere la luce in superficie, così da sopravvivere e replicarsi. I dettagli della scoperta – che ricorda il funzionamento della vescica natatoria dei pesci – sono stati pubblicati su Current Biology.

Lo studio è un racconto dettagliato dei meccanismi con cui questa piccola alga, bioluminescente, riesce a muoversi nell’oceano per decine di metri e di come ha fatto di necessità virtù. Infatti, ricordano gli autori, il fitoplancton deve bilanciare il bisogno di luce così come quello di nutrienti, più abbondanti alle basse profondità. P.noctiluca riesce a soddisfare entrambi grazie a un meccanismo di locomozione attiva piuttosto sofisticato, che i ricercatori hanno studiato allestendo esperimenti in laboratorio per replicare le diverse condizioni di pressione e densità che questi dinoflagellati possono sperimentare in natura.

È in questo modo, e combinando analisi sperimentali e matematiche, che gli scienziati hanno carpito i segreti dei diversi stati di questa specie di fitoplancton. In particolare hanno scoperto che questo “rigonfiamento”, grazie a cui P.noctiluca può percorrere lunghe distanze abbassando la sua densità, è associato alla fase immediatamente successiva alla replicazione e divisione da una cellula madre a due cellule figlie. È reso possibile da un meccanismo attivato dal calcio e dalla “particolare struttura interna della cellula, che modifica la densità dell’alga rispetto all’acqua di mare”, si legge nello studio. Quando poi le cellule cominciano a crescere, accumulando biomassa, si inabissano di nuovo per poi ricominciare il ciclo, ha aggiunto Manu Prakash della Stanford University, a capo del lavoro.

Secondo quanto raccontano ancora gli autori, il rigonfiamento – un processo che può realizzarsi nel giro di soli 10 minuti – non è oneroso da un punto di vista energetico e costituisce una valida strategia di movimento alternativa ai flagelli (strutture che consentono il movimento a diverse alghe). A cosa serve tutto questo, oltre a capire qualcosa di più su come funzionano gli ecosistemi marini? Magari a sviluppare nuove tecnologie, concludono gli autori. Anche se ancora non ne abbiamo idea di quali.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


Tagcloud:

Uno studio rivela: i delfini respirano microplastiche

Start Cup Puglia 2024, vince Beadroots e il suo sistema per combattere la siccità