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Barriere coralline, come (e perché) stiamo perdendo un patrimonio di biodiversità

“Straziante, è stato letteralmente straziante. Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto abbiamo osservato con i nostri occhi un’ecatombe di coralli lungo le scogliere delle Maldive. Un patrimonio naturale sottoposto a molteplici stress, che ne minano l’integrità e la sopravvivenza a lungo termine: tra questi, l’innalzamento della temperatura degli oceani è uno dei più gravi. I coralli possono vivere solo all’interno di un ristretto intervallo di temperature, e quando questi valori superano i 30 gradi centigradi i coralli muoiono, attraverso un fenomeno noto come bleaching o sbiancamento”. Paolo Galli insegna Ecologia Marina all’Università di Milano Bicocca, con la quale gestisce – dal 2009 – un Centro di ricerca, il MaRHE Center, nato dalla collaborazione con il governo delle Maldive. “Tra le attività di punta del Centro vi sono proprio gli studi sullo stato di salute dei coralli. – spiega – Le scogliere coralline delle Maldive costituiscono il settimo sistema corallino più grande al mondo, con una superficie totale di 8.920 km². Purtroppo, è un patrimonio sempre più a rischio. Il mese scorso numerosi coralli sono morti a causa di temperature anomale dell’acqua: resta il loro scheletro di colore bianco, da cui il nome di sbiancamento”.

Al Centro lavorano ricercatori che valutano lo stato di salute dei coralli con tecniche avanzate di ecologia molecolare: l’obiettivo ultimo è quello di allevare coralli in vivai per trapiantarli nelle barriere attraverso la tecnica di coral restoration (restauro delle scogliere coralline). “Una tecnica nella quale siamo leader, in collaborazione con l’Acquario di Genova”, spiega Galli. Eppure, vanno diffondendosi report e notizie su uno stato di salute in ripresa, su scala globale, delle barriere coralline. Sono fake news? “Per citare Cardarelli, stanno ‘sempre daccapo, con levate di Lazzaro e ricadute di convalescente’. – risponde l’ecologo – Ogni volta che le barriere si riprendono, arriva un evento che ne mina l’integrità. Spesso, c’entra il cambiamento climatico. E non si tratta solo di un problema estetico, ma di sopravvivenza: per esempio, l’intera catena alimentare delle Maldive parte dai coralli. Senza di loro, non ci sarebbe cibo per i pesci e, di conseguenza, l’intero ecosistema ne sarebbe compromesso. Inoltre, senza i coralli, verrebbe meno la protezione fornita dalle scogliere, che funzionano come vere e proprie barriere, impedendo alle onde del mare di penetrare nell’entroterra delle isole, spesso grandi solo qualche centinaio di metri”.

Come fare, allora, a invertire il trend? “Le scogliere coralline devono essere tutelate attraverso studi scientifici mirati, capaci di fornire risposte su come preservarle in un periodo storico in cui i cambiamenti climatici le sottopongono a stress elevato. – spiega Galli – Inoltre, è fondamentale aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica sulla gravità della perdita di questo patrimonio. Senza le scogliere coralline, la sopravvivenza delle popolazioni insulari, che possono contare solo su questa risorsa, sarebbe messa seriamente a rischio”.

Crisi climatica

Grande Barriera Corallina: negli ultimi anni temperature mai viste che hanno causato lo sbiancamento

26 Agosto 2024

Gli allarmi delle grandi organizzazioni

A lanciare l’allarme, nei mesi scorsi, era già stata la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), organismo che lavora alla comprensione e alla previsione dei cambiamenti climatici e meteorologici che, in particolare, si riflettono sulla vita del mare e degli oceani.“Da febbraio 2023 ad aprile 2024, è stato documentato un significativo sbiancamento dei coralli sia nell’emisfero settentrionale che in quello meridionale di ogni bacino oceanico principale”, ha evidenziato Derek Manzello, Ph.D., coordinatore del Coral Reef Watch (CRW) della NOAA. Un Sos che ha toccato le barriere coralline di tutti i tropici, dalla Florida ai Caraibi, dal Pacifico orientale alla Grande barriera corallina australiana, non risparmiando vaste aree del Pacifico meridionale (comprese Figi, Vanuatu, Tuvalu, Kiribati, Samoa e Polinesia francese), il Mar Rosso, il Golfo Persico e il Golfo di Aden. A maggio la denuncia dell’Australian Museum, a giugno sul tema era intervenuto il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, l’UNEP, organizzazione internazionale che opera contro i cambiamenti climatici a favore della tutela dell’ambiente e dell’uso sostenibile delle risorse naturali. Sottolineando come le barriere coralline siano tra gli ecosistemi più vulnerabili del pianeta al cambiamento climatico. “Entro la fine di questo secolo potrebbero virtualmente scomparire”, ha denunciato l’UNEP.

“E perderli sarebbe una vera tragedia dal punto di vista della biodiversità e dell’economia”, ha sottolineato Leticia Carvalho, responsabile della divisione marina e delle acque dolci del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. “Di più, sarebbe devastante per uno degli ecosistemi più ricchi del nostro pianeta blu e per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo che dipendono dalla pesca costiera”, ha aggiunto.

Danovaro: “No ai negazionismi, e la colpa è nostra”

Non c’è negazionismo che tenga. “Tutt’altro, non v’è alcun dubbio sul fatto che per la quarta volta in venticinque anni stiamo assistendo allo sbiancamento di massa dei coralli. Abbiamo già perso il 25% delle barriere coralline a livello globale e non v’è dubbio che la causa principale siano i cambiamenti climatici. – spiega Roberto Danovaro, già presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn, oggi docente di ecologia all’Università Politecnica delle Marche, tra gli esperti più influenti al mondo sullo studio degli oceani – Parliamo di sistemi che coprono appena l’1% della superficie del pianeta, ma che svolgono un ruolo cruciale racchiudendo addirittura il 25% della biodiversità globale, con un valore ancor più rilevante se si considera la loro incidenza sui flussi turistici. Uno studio di prossima pubblicazione, al quale sto lavorando, dimostra come la perdita di coralli in Egitto abbia ricadute economiche quantificabili in 5 miliardi di euro all’anno. Di fronte a evidenze simili, non c’è negazionismo che tenga, né basta citare lo stato di salute buono di alcune barriere coralline per distrarsi da quelle, e sono purtroppo sono la maggioranza, che soffrono. E soffrono per causa nostra: la responsabilità dell’uomo nei cambiamenti climatici è stimata intorno all’87% e su questo concordano 170 mila scienziati degli oceani. Ecco, entro il 2050 avremo perso o profondamente trasformato il 50% delle barriere coralline”.

In questi giorni Danovaro è al lavoro a Lampedusa per una serie di campionamenti. “Per la prima volta, notiamo uno sbiancamento anche della Posidonia oceanica, avvolto da un muco biancastro a basse profondità. Lo scorso anno era accaduto con la Cladocora caespitosa, uno dei pochi coralli autoctoni nel Mediterraneo. Anche in questo caso, la colpa è dell’uomo: camminamento e costruzione, per effetto diretto, e cambiamenti climatici, per effetto indiretto, stanno profondamente incidendo sulla biodiversità del mare”. Invertire il trend è ancora possibile? Secondo la NOAA i modelli climatici prevedono un aumento in frequenza ed entità degli impatti dello sbiancamento dei coralli, di pari passi con il riscaldamento dell’oceano. Per ridurne gli effetti, spiegano gli scienziati, serve allora un’azione globale: anche per questo i membri internazionali dell’organismo stanno da mesi condividendo e applicando azioni di gestione basate sulla resilienza e sulle lezioni apprese dalle ondate di calore marine del 2023 in Florida e nei Caraibi. Ma bisogna fare presto.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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