4 Dicembre 2024

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    Bonsai ginepro: facile prendersene cura, ma attenzione alla potatura

    Il bonsai Ginepro è una delle specie di bonsai più utilizzate; questo perché consente di creare delle forme impossibili da eseguire con altre piante. Facile da coltivare, resiste sia al caldo dell’estate, sia al freddo dell’inverno. Conta una quantità di varietà piuttosto ampia, anche se le più conosciute sono il Ginepro Rigida, Itoigawa, quello giapponese (o Juniperus giapponese) e il Juniperus Chinensis Itoigawa.

    Ginepro bonsai: le varietà principali
    La principale distinzione che si fa quando si parla di bonsai ginepro riguarda la vegetazione, Infatti, questa pianta particolare può presentarsi sia con vegetazione a scaglie, sia con vegetazione ad aghi. Tra i ginepri a scaglie si trovano principalmente il ginepro cinese e lo Shimpaku giapponese: i colori abbracciano il giallo-verde, il verde-blu e il verde-grigio. Lo Shimpaku Itoigawa, invece, si riconosce per la sua vegetazione verde smeraldo.

    Tra i bonsai di ginepro ad aghi, invece, il ginepro spinoso giapponese è forse uno dei più conosciuti. I suoi aghi sono acuminati di colore verde scuro e molto pungenti. Si riconoscono perché sulle loro lunghezze è presente una striscia bianca.

    Bonsai ginepro: come prendersene cura
    Prendersi cura del bonsai di ginepro non è particolarmente complicato; questa pianta dal fascino ancestrale, infatti, non richiede troppe attenzioni ed è perfetta anche per chi non ha alle spalle grosse esperienze nel vastissimo campo dei bonsai.
    Intanto, appartenendo alla famiglia delle conifere, il bonsai ginepro apprezza molto la rugiada notturna, sua alleata.

    Potatura del bonsai ginepro
    Come per la maggior parte dei bonsai, anche il bonsai ginepro richiede una potatura. In particolare, si consiglia di effettuare tale azione durante l’inverno, stagione durante la quale avviene il riposo vegetativo della pianta. Una volta potato, il bonsai ginepro ha bisogno di un po’ di tempo per “riprendersi”, motivo per il quale si consiglia di effettuare l’operazione quando questo è ancora inserito nel vaso da coltivazione. Il trapianto, quindi, sarebbe meglio effettuarlo dopo, ossia l’anno successivo.

    Per svolgere una potatura ottima, si consiglia sempre di utilizzare una tronchese concava: in questo modo si eviteranno tagli netti, che andrebbero a indebolire il bonsai e potrebbero anche portare la crescita di foglie ad aghi. Solitamente, per non sbagliare, si eliminano i rami che tendono a svilupparsi in senso verticale, quelli che si incrociano o che crescono verso l’interno della pianta. Forse non tutti lo sanno, ma una volta conclusa la potatura del bonsai ginepro, si dovrà procedere con la “medicazione” dei tagli utilizzando una pasta cicatrizzante adatta.

    Bonsai ginepro: esposizione
    Appurato che il bonsai ginepro ami molto la rugiada, viene da sé che ci sono piccoli accorgimenti da seguire affinché la sua crescita sia sempre rigogliosa e sana. Ad esempio, uno dei fattori principali legati al suo benessere, riguarda l’ambiente. Questo, infatti, deve essere sempre ben luminoso e ben ventilato.

    Durante la stagione primaverile sul bonsai ginepro nasce la nuova vegetazione e in questo periodo dell’anno sarebbe meglio tenerlo in pieno sole. La giusta quantità di luce consentirà alla pianta dalle forme particolari di cresce forte e rigogliosa, con foglie (dette scaglie) piccole, vegetazione compatta e visivamente uniforme.

    In estate, invece, il bonsai ginepro ha bisogno di una posizione di semi-ombra, anche se volendo, si potrebbe ancora tenerlo esposto al sole, ma facendo attenzione a coprire bene i vasi per evitare che l’apparato radicale si surriscaldi. Rispetto alla chioma, che ama il caldo, le radici lo temono. Nel caso in cui il terreno superi i 40°, si potrebbe andare incontro a un vero e proprio blocco delle funzioni a livello delle radici: la conseguenza? Un marciume radicale assolutamente nocivo per il bonsai.

    Nella stagione dell’autunno il bonsai ginepro richiede le stesse attenzioni della primavera. Anche in questo periodo si consiglia di esporre la pianta in pieno sole. Per quanto riguarda l’inverno, infine, l’esposizione del bonsai può comunque rimanere esterna. Essendo molto resistente anche al gelo, il ginepro può essere lasciato fuori. Tuttavia, è sempre bene avere l’accortezza di proteggere il vaso dalle gelate estreme; le radici potrebbero infatti soffrire molto gli sbalzi di temperatura.

    Come e quanto annaffiare il bonsai ginepro
    L’irrigazione del ginepro bonsai è molto importante. Prima di bagnare il terreno, infatti, bisogna assicurarsi che questo sia effettivamente asciutto. Essendo una pianta sensibile al ristagno, è sempre bene attendere che il terreno si asciughi prima di procedere con una nuova annaffiatura. Oltre a bagnare il terreno (si consiglia sempre l’uso di un annaffiatoio con soffione a fori sottili), è molto importante procurarsi un nebulizzatore ad hoc da utilizzare direttamente sulla chioma del bonsai. Amando molto la rugiada e soprattutto se tenuto in un contesto al chiuso, il bonsai ha bisogno di rimanere umido in superficie.
    Piccolo suggerimento: per facilitare l’irrigazione del bonsai si consiglia di porre un sottovaso con ghiaia all’interno e di mantenere quest’ultima umida.

    Bonsai ginepro: concimazione e difesa dai parassiti
    Durante la stagione vegetativa il bonsai ginepro richiede una concimazione regolare. Se si sceglie un concime organico si consiglia l’utilizzo ogni mese, mentre in caso di fertilizzante liquido si consiglia l’uso settimanale.

    Per quanto riguarda invece la grande sfera dei parassiti e delle malattie, il bonsai ginepro rimane una pianta molto resistente. Con la giusta cura e con le giuste attenzioni c’è caso che questa meravigliosa pianta non soffra mai l’attacco di funghi o parassiti. Tuttavia, può capitare che venga “attaccato” da alcuni nemici, tra cui ragnetto rosso, cocciniglia, afidi, larve mangia aghi e lepidotteri. In questo caso si consiglia sempre l’utilizzo dei giusti prodotti, ma ancora prima si consiglia di comprendere meglio se effettivamente il bonsai sia predisposto a tali parassiti e perché. LEGGI TUTTO

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    Andrea Illy: “Un’agricoltura più gentile fa bene all’ambiente e alla salute”

    Uno dei pochi uomini al mondo che quando beve un caffè, sta lavorando. Uno dei pochi uomini al mondo che quando si presenta fa pubblicità commerciale. Dura vita di Andrea Illy perennemente diviso tra l’essere un uomo come tanti e l’essere l’uomo sandwich di un prodotto. Per lui é la normalità. Ha introiettato fin dalla culla questa doppia dimensione e come i figli dei monarchi non ha mai messo in conto di fare qualcos’altro. La determinazione gli arriva dal nonno mezzo ungherese che dopo la grande guerra trovò patria a Trieste, città cosmopolita che in Europa, oggi, viene considerata uno dei centri più importanti per la ricerca scientifica. Nel 1933, tra il cioccolato e il caffè, scelse quest’ultimo perché lo riteneva affine culturalmente alla Mitteleuropa, ai caffè viennesi, agli intellettuali, più Damel che Sacher.

    Ma non furono subito rose a aromi, due anni apolide pur di restare in quella piazza che si apriva al mare, poi i brevetti, il barattolo pressurizzato per conservare la fragranza e la macchina espresso a pressione, la prima al mondo. L’arma di seduzione di questo millennio? Una tazzina disegnata ad arte da 126 artisti di fama mondiale per citarne due, Pistoletto e Koons. Andrea lo racconta con orgoglio lui, che ama il buon vino e le olive.

    Andrea, si capisce l’investitura imprescindibile ma da bambino non può aver sognato di diventare il re del caffè…
    “Certo che no. Avrei voluto diventare un chirurgo o un pilota di caccia. Poi ho fatto il chimico e il dottore del caffè. Non mi è pesato perché i fondi di quel caffè erano intrisi d’illuminismo e dei movimenti culturali che sono all’origine della modernità. All’epoca l’acqua era infetta e non si poteva bere. Si rimediava con la birra fermentata. Risultato, ubriachezza e scarsa produttività. Il caffè portò una sferzata di vitalità. E il futuro”. Ma lungo andare pure il “nero bollente” causa problemi di salute. “Quattro espressi al giorno non di più ed ecco attivato il potere antiossidante della caffeina”.

    Come fa con il suo mestiere? Sarà sovreccitato.
    “Quando lo degusto per lavoro, poi lo sputo”. Attento a non farsi vedere, si potrebbe equivocare. E in famiglia? Già vede i suoi eredi? “Ho tre fantastiche bionde di 31, 29 e 27 anni, la quarta generazione. Ancora non lavorano con me, ci vuole un percorso di crescita fuori per arrivare in azienda già formate. Siamo un’azienda familiare ma non chiusa in se stessa. Come famiglia abbiamo istituito una fondazione intitolata a mio padre, un grande maestro per agricoltori ed economisti, presieduta da mia sorella. Bisogna trasferire le conoscenze ai paesi produttori. Parliamo di raccolto tropicale invece abbiamo 12,5 milioni di micro-agricoltori che non hanno risorse per uscire dalla soglia di povertà. Solo il 5% del valore complessivo del caffè da supermercato rimane nelle tasche di chi lo coltiva. Troppo poco ma è un fenomeno strutturale, il flusso di denaro è insufficiente perché questi micro-produttori possano crescere. Figuriamoci ora, flagellati come sono dal cambiamento climatico che li priva persino del raccolto annuale”.

    In questi giorni ha riportato una grande vittoria, ci lavorava da anni…
    “Su nostra spinta, il Governo italiano aveva inserito il caffè come una delle prime tre priorità del Piano Mattei. Era nell’agenda del G7 di Pescara a fine ottobre. Noi abbiamo sollecitato una partnership pubblico/privato allo scopo di investire nelle piantagioni di caffè, fino alla costruzione di un fondo comune. In queste ore, dopo otto anni di lavoro, la proposta è realtà approvata. Una cooperazione che vede coinvolte 25 milioni di famiglie del Sud del mondo grazie all’adesione di colossi come Jde, Lavazza, Nestlé, Starbucks, il Governo italiano, gli altri G7, e istituzioni intergovernative. Abbiamo anche creato master a livello mondiale con esperti di rigenerazione di ecosistemi naturali per aiutare la comunità a migliorare le condizioni di vita dei bambini che dovrebbero andare a scuola e sono nei campi. Ci occupiamo degli abusi e contrastiamo il crimine sensibilizzando il sociale. Teniamo alla sostenibilità e alla rigenerazione del caffè. Me ne occupo da 40 anni perché è un fattore necessario alla vita. La biosfera dalla quale dipendiamo al 100% è la nostra sopravvivenza. A rischio”.

    Siamo messi tanto male?
    “Malissimo. Il disastro è in corso. Siamo tecnicamente come una rana bollita. La rana si crogiola nell’acqua calda che si riscalda sempre più e così senza rendersene conto, finisce bollita”.

    Che orrore…
    “Sì, ma solo a parole. Io da scienziato e imprenditore mi sono preso un anno sabatico per decarbonizzare l’Azienda in modo circolare e studiando mi sono imbattuto nella teoria dell’agricoltura rigenerativa che è l’opposto di quella convenzionale. Il focus è la terra e meno la pianta. La salute del suolo, abbattimento dell’agrochimica a favore dei fertilizzanti naturali per rispettare le biodiversità. Il suolo ha una capacità tre volte superiore rispetto all’atmosfera di sequestrare il carbonio. Le piantagioni sperimentali ci riportano agli agricoltori che collaborano con noi da tempo”.

    Chi vi ha aiutato?
    “La guerra in Ucraina. Sembra brutto dirlo ma i prezzi dei fertilizzanti per il conflitto sono saliti alle stelle e si è scoperto che questa agricoltura resiliente al cambio climatico non perde produttività, anzi, produrre costa meno, fa bene all’ambiente e alla salute, un’agricoltura più gentile”.

    Un modo virtuoso di mettere a frutto il suo tempo adesso che si è fatto un po’ da parte.
    “Per 22 anni sono stato operativo. Ora non lo sono più e posso dedicare tutto me stesso a questa che è diventata un’ossessione. Sono i chimici che devono interpretare l’evoluzione della materia nel tempo e nello spazio”.

    Non deve essere facile starle accanto.
    “È perché mai? Sono discretamente spiritoso, sono curioso di tutto, mi interesso d’arte, parlo cinque lingue, sono sportivo, vado a vela e in bicicletta, pratico sci e moto, mi piacciono le passeggiate aerobiche, non sudo. Dimenticavo, sono elicotterista ma ho smesso perché inquinavo, ho una macchina ibrida e una barca a vela a Barcellona, la barca ufficiale di Emergency, la Ancilla Domini di 22 metri. Io mi troverei simpatico, da frequentare”.

    Scherza? Sia mai! Le pare una vita riposante? Un incubo in moto perpetuo…
    “A mia moglie piaccio così. Immagini che quando ero attivo in Azienda ero fuori casa 200 notti all’anno e l’ho fatto per trent’anni. Ora io e mia moglie andiamo in giro in barca per quattro settimane all’anno e mai una lite. Stiamo insieme da 38 anni, ci siamo conosciuti a Trieste, ero appena tornato dal Giappone e ho incontrato lei, una marziana, mezza friulana e mezza pugliese. Sono stato fortunato. C’è affinità elettiva, abbiamo le stesse passioni, facciamo tutto insieme”.

    Lei parla con orgoglio di ‘’Azienda familiare’’. Come si fa a lungo andare a non odiarsi? Penso ai Gucci ma anche a tanti altri…
    “La nostra è una grande responsabilità che si muove tra passato e futuro. Io sono il più giovane della mia famiglia, nato perché i miei fratelli mi hanno voluto. Detto questo, ci vuole una grande disciplina per andare d’accordo, consci sempre del fatto che con 10 milioni di tazzine distribuite al giorno, il vero padrone resta il consumatore. È poi diversificare, il più grande ha un ottimo vigneto di Montalcino, l’altro produce un cioccolato buonissimo. Una mia figlia fa prodotti di bellezza con estratti del caffè. L’Azienda di famiglia è un business e prevale sull’affettività”.

    Pensa così anche la sua mamma?
    “Soprattutto lei. A 93 anni si interessa (è un eufemismo) degli affari. Pretende di avere lo stesso vigore di una trentenne. Mi pone domande tendenziose che vorrebbero sembrare consigli invece sono spiate di rendiconti, numeri. Quest’anno le ho regalato delle cuffie professionali per sentire meglio ai consigli d’amministrazione”. LEGGI TUTTO

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    La casa più costosa degli Usa è in vendita ma rischia di finire sommersa

    La casa più costosa degli Stati Uniti ha tutto, ma proprio tutto, tranne una cosa: essere pronta agli effetti devastanti della crisi del clima. E anche per questo, adesso fatica ad essere venduta. In Florida, nella zona di Naples, affacciata sul Golfo del Messico, la proprietà Gordon Pointe è una villa che non può passare inosservata: si tratta di un complesso residenziale imponente, per tre lati circondato dal mare, una sorta di enclave – noto anche come Port Royal – dove non manca nulla. C’è un porto in grado di ospitare più yacht, un appezzamento di quasi 40mila metri quadri, una villa principale con sei camere da letto e una infinità di bagni e poi due guest house, un altro molo, giardini, piscine e soprattutto spiagge, tutte private. Quando a inizio anno è stata messa in vendita il valore è stato stimato intorno ai 295 milioni di dollari, un prezzo che secondo gli analisti statunitensi la rende probabilmente la proprietà più cara di tutto il Paese. LEGGI TUTTO

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    Birmingham Blade: la prima turbina eolica urbana progettata dall’intelligenza artificiale

    La prima turbina eolica urbana al mondo, progettata dall’intelligenza artificiale (IA), parla inglese e veste un taglio sartoriale. Non sapremo mai se il color fumo di Londra delle sue pale si deve a una coincidenza o una scelta ponderata, ma quel che conta è che i progettisti di AI EvoPhase e l’officina di precisione Kwik Fab Ltd hanno svelato un nuovo tipo di generatore di energia eolica. Il prototipo si chiama Birmingham Blade e si caratterizza per piccole dimensioni, bassi costi di scala e dettagli ingegneristici espressamente sviluppati per rispondere alle esigenze del contesto dove verrà impiegato.

    EvoPhase, che è “un’unità operativa” della University of Birmingham Enterprise, ha confermato di aver impiegato l’intelligenza artificiale in ogni fase: dalla progettazione alla fase di test di efficienza. Il tutto giocando anche la carta dei “modelli predittivi ancorati a solide simulazioni e dati del mondo reale”.

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    “Avevamo bisogno di una turbina che potesse catturare le velocità del vento relativamente basse di Birmingham, gestendo al contempo la turbolenza causata dagli edifici circostanti”, ha sottolineato Leonard Nicusan, Chief Technology Officer di EvoPhase. “Il design doveva anche essere compatto e leggero per adattarsi alle installazioni sui tetti”. La criticità principale infatti è che a Birmingham veniva richiesta una soglia di funzionamento compatibile con un vento di 3,6 metri al secondo, rispetto ai consueti 10 metri al secondo delle comuni turbine. Il risultato è in un design unico a sviluppo verticale, accreditato di una efficienza del 700% superiore rispetto ai comuni impianti già diffusi localmente.

    “L’uso dell’IA è stato essenziale per liberarci dai pregiudizi di lunga data che hanno influenzato i design delle turbine per tutto il secolo scorso. Ci ha permesso di esplorare possibilità di design oltre l’ambito della sperimentazione umana tradizionale. Siamo stati in grado di generare, testare e perfezionare oltre 2mila di turbine eoliche in poche settimane, accelerando significativamente il nostro processo di sviluppo e ottenendo ciò che avrebbe richiesto anni e milioni di sterline con metodi convenzionali”, ha aggiunto Nicusan.

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    29 Agosto 2024

    Birmingham Blade, secondo i progettisti, ha già superato la fase prototipale. Infatti rispetto al primo concept per dimostrare la fattibilità della produzione del design, adesso si parla di una versione in alluminio che sarà posizionata su un tetto di Birmingham per il collaudo e gli ultimi affinamenti. Il prodotto definitivo sarà pronto entro la fine del 2025.

    EvoPhase e Kwik Fab sono convinte che questa modalità di progettazione e generazione di prototipi rapida si sposino perfettamente con i bisogni di ogni città. Prova ne sia che stanno lavorando a un nuovo modello per le esigenze ambientali di Edimburgo. “Possiamo prendere un progetto complesso, produrre e spedire un prototipo per i test nel giro di poche settimane. Vorremmo lavorare con organizzazioni che vogliono sfruttare al meglio l’energia eolica, una fonte di energia sostenibile gratuita e presente in ogni paese”, ha concluso Paul Jarvis di Kwik Fab. LEGGI TUTTO

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    PNI 2024, la partita del futuro si gioca sulla sostenibilità: le startup che sfidano il clima

    Torna la finale della XXII edizione del Premio Nazionale per l’Innovazione (PNI), promossa dalla Rete PNICube e organizzata con l’Università di Tor Vergata nell’ambito dell’Ecosistema regionale dell’innovazione Rome Technopole, la più grande e capillare Business Plan Competition d’Italia a Roma il 5 e 6 dicembre 2024 nell’Aula Magna della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. L’evento sarà trasmesso in streaming su Green&Blue e Italian Tech.

    “Al Premio concorrono quest’anno 77 progetti d’impresa innovativa nati dalla ricerca scientifica nell’ambito delle università e degli enti pubblici di ricerca, vincitori delle 17 Start Cup regionali, veri e propri circuiti virtuosi per l’innovazione e il trasferimento tecnologico in 18 regioni d’Italia, con un coinvolgimento di oltre 400 attori dell’innovazione al lavoro insieme ai 56 associati della rete PNICube. Una straordinaria “rete delle reti” al servizio del futuro, che aggrega oltre l’80% delle università pubbliche italiane. Lo spiega Paola Paniccia, Presidente PNICube, Delegata allo Sviluppo delle Imprese, Start-up e Spin-off per l’Università di Roma Tor Vergata.

    Paola M.A. Paniccia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, presidente PNICube  LEGGI TUTTO