Ottobre 2024

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    Il sistema moda lancia l’allarme: “Sulla sostenibilità siamo in ritardo di 8 anni”

    La moda europea potrebbe raggiungere i suoi obiettivi climatici con 8 anni di ritardo. Nonostante negli ultimi 6 anni l’industria europea della moda sia riuscita a disaccoppiare la crescita economica dalle emissioni di CO2, sembra che ai ritmi attuali sarà in grado di raggiungere gli obiettivi climatici previsti dal Fit for 55 solo entro il 2038. Per recuperare il ritardo rispetto al percorso di decarbonizzazione previsto, saranno necessari investimenti addizionali pari a 24,7 miliardi di euro entro il 2030. In alternativa, ridurre i volumi di produzione per rimanere entro i limiti di emissione previsti rischia di comportare perdite di ricavi 8 volte superiori. E’ uno dei risultati principali emersi dal Just Fashion Transition 2024, l’osservatorio strategico annuale di TEHA Group sulla transizione sostenibile nei principali comparti della moda: tessile, abbigliamento, maglieria, calzature, pelletteria, conceria.

    Lo studio, condotto da The European House Ambrosetti, è stato presentato a Venezia nell’ambito del Venice Sustainable Fashion Forum, la principale tappa annuale incentrata sulla sostenibilità nella catena del valore della moda, nato dalla collaborazione di Sistema Moda Italia, TEHA Group e Confindustria Veneto Est. Una traiettoria in deciso rallentamento quindi, quella del sistema moda nella sua corsa verso la sostenibilità. Lo dimostra anche un altro dato: non più di un terzo delle 100 più grandi aziende europee del settore è al passo con la velocità di decarbonizzazione necessaria. Da un lato, le 34 grandi aziende europee del settore che stanno riducendo le proprie emissioni a velocità doppia rispetto a quella richiesta dalla Fit for 55 dimostrano che la decarbonizzazione è possibile. Dall’altro, però, il resto del settore evidenzia un ritardo significativo. Inoltre, come dimostrano anche le recenti vicende (Giorgio Armani Operations per fare un solo nome), mentre sul clima si stanno facendo progressi, tra le 100 più grandi aziende EU solo 7 aziende sono trasparenti sul salario minimo e 28 non pubblicano ancora un Bilancio di sostenibilità. Tra i problemi chiave alla base della frenata, il fatto che l’Europa continua a promuovere la transizione sostenibile principalmente attraverso leggi e norme. Tuttavia, la mancanza di linee guida operative e di quadri normativi ben definiti rappresenta una fonte di incertezza per le imprese, e quindi un freno alla competitività rispetto al resto del mondo. Inoltre, nonostante la crescente attenzione dell’UE in materia di gestione del fine vita dei prodotti fashion, le infrastrutture disponibili non sembrano ancora adeguate. Senza contare che il settore finanziario europeo non ha ancora tutte le leve per essere il motore della Just Fashion Transition europea.

    Senza un adeguato sostegno finanziario e un quadro normativo che faciliti l’accesso ai fondi sostenibili sui mercati dei capitali, la transizione rischia di essere sottofinanziata, esacerbando le disuguaglianze soprattutto tra le PMI, che oggi rappresentano quasi il 98% dell’intero settore. Ad oggi, infatti, solo il 35% degli investimenti dedicati alla transizione delle PMI europee è stato sostenuto da finanziamenti esterni, e solo il 16% di questi si qualifica effettivamente come “sostenibile”. Concentrando il focus sull’Italia, il report sottolinea come il presidio sui temi ESG tra le aziende della filiera tricolore sia diminuito di circa il 3%, in particolare tra le PMI con ricavi minori di 30 milioni euro. I fattori principali di questo rallentamento sono tre: la mancanza di competenze interne è il principale ostacolo del mancato presidio ESG, mentre la bassa redditività, in costante calo (tra il 7 e l’11%), così come gli alti indici di indebitamento, rendono gli investimenti nella decarbonizzazione difficilmente sostenibili per circa il 92% delle aziende, soprattutto nel settore conciario e dell’abbigliamento.

    Inquinamento

    Anche il fast fashion comincia a pensare all’ambiente

    di Anna Dichiarante

    21 Settembre 2021

    Interessante notare il cambiamento avvenuto in questi ultimi anni nell’opinione pubblica: ora i fari sono puntati più decisamente sulla politica. Secondo i consumatori globali, infatti, le imprese e i cittadini stanno già facendo abbastanza, ora spetta ai governi la responsabilità del cambiamento. In Europa, in particolare tra i giovani, c’è una crescente consapevolezza che la sostenibilità comporta costi e sacrifici. Tuttavia, questo non sembra tradursi in un’azione adeguata. In conclusione, dal Venice Sustainable Fashion Forum sono uscite alcune raccomandazioni per “raddrizzare la curva”. In particolare, alle istituzioni si chiede di chiudere in fretta il gap regolatorio, al fine di creare le condizioni per le aziende per prendere decisioni di medio-lungo period, e di semplificare gli strumenti finanziari per le PMI, mettendole nelle condizioni di investire in sostenibilità fornendo loro un accesso facilitato al credito e offrendo delle condivisioni favorevoli.

    Quanto agli attori del settore in Italia, la ricetta per una competitività sostenibile passa dalla costruzione e diffusione a livello nazionale di know how e centri di competenza, coinvolgendo università e ricerca per testare soluzioni scalabili, sviluppando iniziative per diffondere tra le PMI la “cassetta degli attrezzi” necessaria per la transizione e per creare una forza lavoro a prova di futuro. Serve inoltre lo sviluppo di un piano strategico nazionale per identificare modalità per integrare i costi della sostenibilità nelle strutture di prezzo – facilitando l’eradicazione del caporalato, così come la condivisione di tempi, metodi e strumenti per combinare finanziamenti pubblici e privati. Infine, andrà alimentato il processo di concentrazione del mercato, specialmente tra le PMI, per aumentare la produttività e la capacità di investimento, attraverso agevolazioni fiscali e nell’accesso al credito, ma anche finanziamenti pubblici. LEGGI TUTTO

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    Scuola, lo stipendio degli insegnanti nel 2024 è il più basso degli ultimi cinque anni. “Il grande inganno di Valditara”

    ROMA – La propaganda valditariana sulla chiusura dei contratti, e la liberazione di tasse grazie all’abbassamento del cuneo fiscale, cozza con le buste paga dei docenti italiani. Il presidente del sindacato Ancodis, Rosolino Cicero, ha fatto un’operazione molto semplice mostrando l’evoluzione della sua busta paga da ottobre 2020 a oggi, dopo LEGGI TUTTO

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    Cinquemila nuovi alberi per le foreste bellunesi dopo Vaia e l’effetto-bostrico

    Pini cembri, larici, abeti rossi e faggi. Per un totale di cinquemila nuovi alberi, messi a dimora attraverso metodologie innovative e integrate con la natura. Così le foreste venete rinascono dopo l’ecatombe della tempesta Vaia, era l’ottobre del 2018, e i danni dell’infestazione di un piccolo coleottero lignicolo, il bostrico.Si chiama “Ancora Natura per il Col di Lana” il progetto di rinaturalizzazione promosso da Pefc Italia (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), ente promotore della gestione sostenibile del patrimonio forestale, insieme Rete Clima e Coldiretti Belluno, grazie ai fondi provenienti dall’8×1000 dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. LEGGI TUTTO

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    Ultimi giorni per partecipare alla call for talent del National Biodiversity Future Center

    Ultimi giorni per partecipare alla call for talent del National Biodiversity Future Center (NBFC) rivolta a 60 menti brillanti desiderose di orientare i propri obiettivi professionali e scientifici verso la salvaguardia e la promozione della biodiversità, al fine di garantire un futuro più sostenibile alle generazioni future.

    Saranno investiti oltre 2 milioni di euro per sostenere chi si farà promotore degli obiettivi costitutivi del Centro, intraprendendo con nuove idee imprenditoriali azioni concrete per il monitoraggio, la conservazione, il ripristino e la valorizzazione della biodiversità del nostro Paese.

    Per affrontare le sfide legate ai cambiamenti climatici, all’inquinamento, allo sfruttamento e alla degradazione degli ecosistemi è oggi più che mai necessario adottare approcci innovativi e ad alto contenuto tecnologico. I 60 partecipanti selezionati, riceveranno una scolarship individuale di 30.000 euro, e saranno i protagonisti di un percorso di formazione, mentoring e networking per acquisire competenze e conoscenze trasversali, utili a sviluppare idee di business, servizi e modelli innovativi nel campo della biodiversità.

    Il programma UpSkilling si articolerà in due percorsi distinti. Uno manageriale, rivolto ad aspiranti manager dell’innovazione interessati a seguire lo sviluppo di istituzioni e imprese innovative nel campo della biodiversità. L’obiettivo è accrescere le competenze gestionali dei partecipanti, che al termine del programma saranno chiamati a elaborare un project work. Il secondo percorso, di stampo imprenditoriale, è rivolto alle candidate e ai candidati desiderosi di sviluppare un’idea d’impresa nel campo della biodiversità. L’obiettivo finale sarà quello di elaborare un business & technology plan, per sostenere la fattibilità di una start-up, e realizzare un proof-of-concept, che dimostri l’utilità della nuova tecnologia e dei prodotti.

    Al termine della formazione i partecipanti presenteranno i loro progetti e ai 10 migliori project work o business plan sarà assegnato un premio di 30.000 euro.

    Il percorso Upskilling sarà preceduto da un bootcamp di sette giorni aperto a tutti i candidati, a conclusione del quale saranno selezionati i 60 partecipanti.

    Il programma di formazione, della durata complessiva di 8 mesi, si articolerà in sei corsi, con sede in diverse città italiane: Nature based solution for biodiversity restoration (Montelibretti, Roma); Sviluppo di Sistemi avanzati per la condivisione, comunicazione e fruizione dei dati e contenuti di NBFC (Lecce); Biodiversità e benessere (Milano); Biodiversità e implementazione delle produzioni in pesca e acquacoltura (Fano e Bologna); Modelli di comunicazione innovativa sulla biodiversità (Venezia); Monitoraggio della biodiversità (Palermo).

    Il programma UpSkilling include 150 ore di lezioni frontali, in presenza e da remoto, con esperti e professionisti della biodiversità, e 150 ore di attività sperimentali. Sono inoltre previste due visite formative presso centri di eccellenza e incubatori italiani ed esteri e un workshop finale in cui i partecipanti avranno l’occasione di confrontarsi con investitori e venture capital. LEGGI TUTTO

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    Gli occhiali usati non si buttano via: una raccolta per riciclarli

    Ogni anno, in Europa, circa 4.000 tonnellate di occhiali usati finiscono nei rifiuti (fonte: European Eyewear Recycling Report). Composti da materiali come plastica, metallo e vetro, questi strumenti di correzione visiva rappresentano una sfida per il riciclo. La maggior parte degli impianti non è attrezzata per smaltire o riciclare oggetti così piccoli e complessi, generando così un inutile spreco di risorse preziose e un impatto significativo sull’ambiente. Il tema degli occhiali usati, però, non riguarda solo l’inquinamento. Globalmente, 2,2 miliardi di persone soffrono di disabilità visive, e 1 miliardo di queste non ha accesso agli occhiali correttivi necessari per migliorare la propria qualità della vita (fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità). In Italia, con oltre 5,6 milioni di persone che vivono in povertà assoluta, l’acquisto di occhiali correttivi è un lusso che molte famiglie non possono permettersi (fonte: Istat).

    Economia circolare

    Ancora troppi rifiuti elettronici finiscono nella raccolta indifferenziata

    di Sara Carmignani

    15 Ottobre 2024

    Per far fronte a questa duplice emergenza, ambientale e sociale, Multidistretto 108 Italy dei Lions Italiani – l’organizzazione benefica di club di servizio che opera in tutto il mondo – ha avviato un progetto che si propone di raccogliere, rigenerare e distribuire occhiali usati. Dal 2003, il Centro Italiano Lions Raccolta Occhiali Usati di Chivasso (TO), uno dei 20 centri di riciclo presenti nel mondo, ha recuperato oltre 4,5 milioni di occhiali, distribuendone oltre 2 milioni ad altrettante persone in 73 paesi. Questo lavoro è reso possibile grazie all’impegno di volontari che ripuliscono, suddividono per gradazione e confezionano gli occhiali per la loro ridistribuzione. Il progetto si distingue per la sua attenzione sia alla sostenibilità che alla solidarietà, offrendo una seconda vita a milioni di occhiali altrimenti destinati ai rifiuti.

    L’impatto sociale di questa iniziativa è notevole. “L’accesso agli occhiali correttivi è fondamentale per molti gruppi vulnerabili – spiega Leonardo Potenza, Presidente del Consiglio dei Governatori Lions –. I bambini che soffrono di ambliopia, ad esempio, sono particolarmente colpiti: circa il 10% dei minori italiani sviluppa questa patologia visiva che, se non trattata, può causare danni permanenti alla vista”. L’iniziativa è di vitale importanza anche per gli anziani: “Con 2,7 milioni di over 65 che vivono sotto la soglia di povertà, la mancanza di occhiali correttivi può portare a isolamento sociale e perdita di autonomia”, continua Potenza.

    Anche le carceri italiane rappresentano una realtà in cui il bisogno di occhiali è urgente. Si stima che il 50% della popolazione detenuta sviluppi problemi visivi durante il periodo di reclusione, aggravati dalle condizioni di illuminazione insufficiente e dall’uso prolungato della vista per leggere, una delle poche attività disponibili. Le finestre con griglie che limitano l’accesso alla luce naturale peggiorano ulteriormente la situazione, e per molti detenuti l’acquisto di occhiali è spesso impraticabile.

    Fisco verde

    Frigo e lavatrici rotti, quando si possono far ritirare

    di  Antonella Donati

    16 Ottobre 2024

    Il centro di Chivasso ha recentemente potenziato il suo laboratorio per aumentare la capacità di rigenerare e distribuire occhiali, e con il Progetto Italia, i Lions hanno intensificato gli sforzi per garantire l’accesso agli occhiali a chi ne ha bisogno, puntando ad assistere almeno altre 2.000 persone entro giugno 2025. Chiunque necessiti di occhiali può rivolgersi al Lions Club più vicino per ottenere una visita oculistica gratuita e richiedere un paio di occhiali rigenerati sulla base delle proprie esigenze. Allo stesso modo, chiunque desideri contribuire può donare i propri occhiali dismessi presso il Lions Club più vicino.

    A causa della composizione mista di plastica, metallo e vetro, e della mancanza di impianti adeguati, molti occhiali finiscono nelle discariche, contribuendo al crescente problema dei rifiuti non biodegradabili. “L’iniziativa dei Lions- conclude Potenza – si distingue proprio per offrire una soluzione sostenibile e sociale: rigenerare occhiali usati significa non solo ridurre l’impatto ambientale, ma anche offrire un contributo concreto a chi ne ha più bisogno”. LEGGI TUTTO

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    Dal rame ai metalli pesanti, ecco cosa c’è nell’Adriatico analizzando lo zooplancton

    Tanto minuscoli quanto importanti, l’insieme dei piccoli organismi che formano il plancton, dando vita allo zooplancton, sono alla base della vita marina. Dai copepodi alle larve di crostacei o molluschi, questi animali sono costantemente in movimento spostandosi con le correnti: sono contemporaneamente la riserva alimentare di tantissime specie e anche attori fondamentali nella loro funzione di assorbimento del carbonio, anche se tra crisi climatica e impoverimento degli oceani ultimamente le ricerche ci dicono che oggi fanno fatica ad essere efficienti pozzi di carbonio.

    Biodiversità

    Agli oceani dobbiamo la vita, ma stiamo perdendo la loro ricchezza

    di Roberto Danovaro

    08 Giugno 2024

    Proprio per queste straordinarie caratteristiche lo zooplancton può però essere anche altro: una formidabile sentinella capace, se analizzata, di restituirci informazioni sullo stato di salute dei nostri mari. Per questo il progetto M.A.R.E di Fondazione Cvc, coordinato da One Ocean Foundation punta – studiando le condizioni dei campioni di zooplancton raccolti – a realizzare negli anni una sorta di mappatura completa dello stato di salute del Mar Mediterraneo. I primi risultati, quelli che riguardano l’Adriatico e pubblicati sulla rivista Chemosphere dai ricercatori, non sono del tutto confortanti: da 46 campioni raccolti da Taranto a Venezia, e anche lungo la costa orientale fino a Corfù, gli organismi analizzati presentano infatti in molti casi diversi inquinanti. “I risultati evidenziano la presenza di diversi inquinanti, alcuni dei quali, come PCB e DDT, banditi già dagli anni ’70, e metalli pesanti quali arsenico, cadmio e mercurio, noti per la loro tossicità e capacità di accumulo negli organismi marini” si legge nella presentazione dello studio coordinato da Ginevra Boldrocchi, project scientific coordinator di One Ocean Foundation e ricercatrice presso l’Università dell’Insubria.

    Dalle analisi condotte all’interno del progetto M.A.R.E, iniziativa della Fondazione Centro Velico Caprera, viene ricordato come nel Mediterraneo – che è un mare che rappresenta meno dell’1% delle acque marine del mondo ma ospita circa il 10% della biodiversità marina globale – la forte pressione antropica ha reso questo luogo estremamente vulnerabile all’accumulo di inquinanti. “Nel Mediterraneo, studi che indagano questa problematica utilizzando lo zooplancton come bioindicatore sono rari, datati e spesso limitati a pochi contaminanti. Vogliamo fornire un quadro completo e aggiornato dello stato di salute del nostro mare”, spiega Boldrocchi specificando come l’inquinamento può essere collegato ai voluminosi apporti fluviali che trasportano contaminanti e rifiuti in mare. Lo studio ha rilevato la presenza di contaminanti organici persistenti come i PCB e il DDT, anche se con livelli bassi rispetto agli anni Ottanta, per esempio nel Golfo di Venezia (condizionato dal Po), il Golfo di Drin in Albania e le zone di Sebenico e Spalato in Croazia, aree dove “resta una forte preoccupazione” per la presenza di contaminanti.

    Biodiversità

    La decarbonizzazione in alto mare: lo stato di salute degli oceani preoccupa

    di Giacomo Talignani

    18 Novembre 2023

    Tanti, soprattutto nel Golfo di Venezia, ma anche alle Tremiti e a Corfù, i metalli pesanti individuati: si va dal piombo al cobalto sino al nickel e cromo. Tutto sommato bassi i livelli di mercurio nell’Adriatico se “comparati a quelli rilevati in regioni incontaminate come l’Antartide e l’Artico”, mentre desta preoccupazione “il rame, che al contrario ha mostrato valori eccezionalmente elevati, tra i più alti mai registrati a livello mondiale”. Gli esperti spiegano che questo fenomeno “sembra essere legato a fonti sia naturali, come la deposizione di polveri sahariane, sia antropiche, come le vernici antivegetative utilizzate in ambito marittimo e l’uso industriale e agricolo”. Dopo l’Adriatico, e precedentemente il Tirreno, la spedizione traccerà i livelli di inquinanti nello zooplancton in Francia e Spagna e poi nel 2025 tra Grecia, Cipro e Turchia. Sebbene ci siano aspetti importanti da monitorare, come l’elevata presenza di rame e di determinati metalli pesanti, Boldrocchi però ha una buona notizia: “Per molto tempo, l’ambiente marino è stato deliberatamente utilizzato come smaltimento dei nostri rifiuti, ma questo studio dimostra come la situazione sia in miglioramento. Se confrontiamo i nostri dati con il resto del mondo, vediamo che i livelli di DDT sono per esempio tra i più bassi, mentre per i PCB e i metalli ci posizioniamo a livelli intermedi”. LEGGI TUTTO

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    Hosta, la pianta perenne che ama l’ombra

    La Hosta è una pianta perenne originaria della Cina e del Giappone, molto popolare tra i giardinieri e tra le persone con pollice verde grazie alla sua coltivazione facile, la sua bellezza, la sua rigogliosità.

    Le Hosta sono adatte per la coltivazione in vaso, ma possono essere destinate anche ad aiuole e bordure. Si riconoscono a occhio nudo per la particolarità delle loro grandi foglie verdi e per la loro delicata eleganza, arricchita da fiori a campanule disposti su lunghi steli, che possono sfumarsi in colori eterogenei. I più comuni? Bianco, viola chiaro e blu.

    Hosta: le varietà più comuni
    L’Hosta è una pianta molto apprezzata e vanta un ampio ventaglio di varietà. Tra le più conosciute ci sono l’Hosta sieboldiana, l’Hosta ventricosa e l’Hosta plantaginea. L’Hosta sieboldiana è originaria del Giappone e si riconosce per le sue grandi foglie molto spesse, capaci di raggiungere anche i 45 cm di lunghezza. Il colore è verde scuro e le venature sono bianche, mentre i fiori si tingono di un viola pallido durante la stagione estiva. Questa varietà di Hosta resiste al freddo senza problemi, arrivando addirittura a -20°.

    L’Hosta ventricosa, invece, è una varietà di Hosta proveniente dalla Cina e si distingue dalla precedente per le foglie decisamente più piccole, per il colore verde chiaro con bordi ondulati e per i fiori tinti di viola scuro sempre in estate. Inoltre, questa varietà di Hosta riesce a raggiungere anche i 60 cm di altezza.

    Anche l’Hosta plantaginea arriva dalla Cina, ma rispetto alle due varietà precedenti ha grandi foglie lucide di colore verde chiaro, ma i suoi fiori sono bianchi, profumati e possono raggiungere anche i 10 cm di altezza. Si differenzia anche per la temperatura: l’Hosta plantaginea, infatti, ama il sole, ma riesce comunque a tollerare il freddo fino a -15°.

    Accanto alle varietà più popolari di Hosta, ce ne sono alcune altrettanto valide da potere essere coltivate tranquillamente in giardino. Alcune di queste, ad esempio, racchiudono: l’Hosta Blue Angel, il cui nome suggerisce il colore delle foglie (blu-verdi), mentre i fiori sono bianchi e l’Hosta Golden Tiara, particolarmente affascinante per le sue foglie variegate di verde intenso e giallo e i suoi fiori viola.

    Quando piantare la Hosta: la stagione migliore
    Qual è la stagione migliore per piantare la Hosta? La primavera. Piantandola in questo periodo dell’anno, infatti, le radici avranno tempo di diffondersi nel terreno per tutto il periodo vegetativo dell’estate.

    Come coltivare la Hosta: esposizione e cura della pianta
    Alcune varietà di Hosta fanno eccezione, ma in linea di massima questa pianta dalle foglie verdi e dai fiori colorati preferisce di gran lunga gli ambienti in ombra. Ama anche il sole, ma non deve essere né diretto, né troppo forte. Infatti, se esposta in una zona particolarmente soleggiata, le sue foglie rischieranno di bruciarsi e questo comprometterebbe la salute generica della pianta. Spesso e volentieri e proprio per evitare che questo accada, capita di piantare le piante di Hosta ai piedi di alberi più grandi: in questo modo saranno protette e ombreggiate nella giusta quantità. Affinché la pianta cresca rigogliosa e sana, è fondamentale piantarla in un terreno ben drenato e ricco di sostanze organiche. In questo modo il terreno tratterrà l’umidità utile alla pianta stessa e allo stesso tempo eviterà il ristagno d’acqua, nemico primario della salute di ogni pianta.

    Annaffiatura
    Durante il periodo vegetativo la Hosta deve essere irrigata ogni giorno, mentre nei mesi più freddi dell’anno si può diminuire la frequenza e lasciare che siano le piogge a regalarle il giusto quantitativo di acqua. Tuttavia, se la Hosta è stata piantata in vaso ed esposta quindi in balcone, l’annaffiatura sarà obbligatoria anche in inverno, ma con grande moderazione. Si consiglia sempre di tastare il terreno per capirne la percentuale di umidità.

    Prendersi cura della Hosta: concimazione e potatura
    Le Hosta non sono piante particolarmente difficili da gestire. Prendersene cura è semplice, basta solo ricordarsi di compiere alcune piccole azioni durante l’anno. Ad esempio, per questa pianta dai fiori colorati e dalle grandi foglie verdi, la concimazione è molto importante. Se coltivata in vaso, la Hosta ha bisogno di un fertilizzante a lenta cessione all’inizio della primavera, cioè il periodo in cui la pianta comincerà a crescere. Una seconda concimazione potrà essere effettuata durante il periodo estivo, così da darle le giuste sostanze nutritive necessarie per la sua fioritura. Se, dunque, vi stavate chiedendo quando fiorisce la Hosta, la risposta corretta è: in tarda primavera/estate.

    Anche la potatura è un altro aspetto importante nella cura delle Hosta. Per mantenere la pianta in salute, infatti, si consiglia di rimuovere tutte le foglie malate (o semplicemente danneggiate) in modo tale da prevenire eventuali comparse di malattie e, giustamente, anche per mantenere un degno aspetto estetico della pianta. Discorso analogo anche per i fiori: dopo che la Hosta avrà fiorito, potrebbe succedere che col passare del tempo alcuni dei suoi bei fiori colorati appassiscano. In questo caso, è consigliabile tagliarli e lasciare nuovi stimoli alla pianta: nuovi fiori arriveranno.

    Malattie e parassiti
    In realtà questa pianta orientale non teme il contagio di malattie e/o di parassiti. Se si dovesse stabilire il suo “nemico principale”, questo ricadrebbe in chiocciole e limacce, capaci di nutrirsi delle sue foglie. Per combatterle, è possibile utilizzare esche specifiche (o barriere da disporre attorno al vaso) da disporre nelle stagioni più calde. L’attenzione primaria, però, è da rivolgersi sempre all’umidità del terreno: un terreno troppo bagnato provoca marciume e questo non andrà bene per la Hosta, che soffrirà inevitabilmente. LEGGI TUTTO