Ottobre 2024

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    #ioleggoperché, le donazioni di libri riempiono le scuole e soddisfano i giovani lettori (sempre più voraci)

    Se gli italiani che leggono sono sempre un po’ meno, la crisi sembra non intaccare i lettori più giovani. Non solo i minori rimangono grandi divoratori di libri, ma secondo un’elaborazione di Openpolis continuano persino ad aumentare. Il loro desiderio di lettura, però, deve fare i conti con la scarsità di biblioteche, che in migliaia di comuni sono meno di cinque ogni diecimila abitanti o sono del tutto assenti. Negli ultimi anni, però, esistono delle biblioteche scolastiche in più, aperte grazie alle donazioni di libri fatte nell’ambito del progetto #ioleggoperché, organizzato dall’Associazione Italiana Editori (Aie).
    Almeno una scuola ogni quattro tra le partecipanti alla scorsa edizione è riuscita a aprire una nuova biblioteca o lo farà a breve, dando vita a uno spazio in cui formare i lettori del futuro. E a questa nona edizione, presentata martedì al Ministero della Cultura, aderisce la metà delle scuole italiane: 28.285 in tutto, oltre a 350 nidi, per un totale di 4.2 milioni di studenti coinvolti. LEGGI TUTTO

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    Oristano, maestra faceva recitare preghiere e benediva i bambini con l’olio invece di insegnare italiano. Il Tribunale del lavoro: “Giusto sospenderla”

    Era stata sospesa dal lavoro per 20 giorni con stipendio ridotto per aver fatto recitare preghiere e fatto costruire rosari ai bambini della scuola elementare di San Vero Milis, in provincia di Oristano, in cui insegnava, invece di insegnare le sue materie. Marisa Francescangeli, 59 anni, aveva impugnato la decisione, ma oggi la sezione Lavoro del tribunale ha rigettato il ricorso: per la giudice Consuelo Mighela, le attività svolte in classe dalla maestra durante l’anno scolastico 2022-2023, non costituivano “espressione della libertà di insegnamento, bensì una violazione dei suoi doveri di docente di una scuola pubblica statale e dei principi che la scuola stessa deve assicurare e garantire, fra cui quello, fondamentale, di laicità dello Stato, oltre ad avere interferito con il diritto dovere dei genitori garantito dalla nostra Costituzione (art. 30) di educare i figli, anche da un punto di vista religioso”.
    Il provvedimento della scuola
    La sospensione era scattata a seguito di diversi richiami allo svolgimento delle proprie mansioni che la direzione scolastica aveva fatto all’insegnante dopo le segnalazioni dei colleghi e l’esposto di tre genitori degli alunni poiché la maestra aveva fatto realizzare un rosario ai bambini per poi fargli recitare il Padre Nostro e l’Ave Maria durante l’orario scolastico. Non solo. Francescangeli in un’occasione fece cospargere il corpo dei piccoli alunni con un olio per a benedizione, episodio confermato al giudice dalla stessa insegnante nel corso di un’udienza.
    L’olio benedetto
    Si trattava di “un olio profumato, a suo dire non benedetto, chiamato olio di Nardo – scrive la giudice – che la docente aveva tirato fuori dalla propria borsa e che alcuni bambini avevano anche usato per ungersi il corpo”. In quell’occasione, si legge ancora nelle motivazioni, sempre sollecitata dagli alunni, la maestra aveva raccontato ai bambini “la storia biblica dell’olio portato a Gesù prima della crocefissione e che avrebbe dovuto essere utilizzato per cospargere il corpo di Cristo dopo la morte”. Per il giudice, insomma, la sospensione era legittima.
    La difesa
    La maestra venne quindi sanzionata e sospesa dall’insegnamento. Assistita dal sindacato Uil scuola al quale è iscritta e dagli avvocati Elisabetta Mameli e Domenico Naso, Francescangeli aveva impugnato la sospensione, chiedendone l’annullamento. Secondo i legali, infatti, il provvedimento andava annullato perché la contestazione era stata notificata alla docente senza il rispetto del termine di venti giorni, compromettendo il diritto di difesa e in violazione del contratto collettivo di lavoro. Secondo gli avvocati i comportamenti tenuti dalla docente avrebbero dovuto essere ricondotti nell’alveo della libertà di insegnamento.
    Le motivazioni del giudice
    Per il giudice invece, che ha dichiarato infondati i motivi del ricorso, la sanzione disciplinare era “assolutamente conforme a quanto previsto dalla legge”. Nella sentenza viene sottolineato che fosse stata la stessa Francescangeli a ammettere, durante l’udienza del 14 giugno scorso, quando venne interrogata in teleconferenza, quei comportamenti che portarono alla sua sospensione. Confermò infatti di aver fatto realizzare ai bambini un piccolo rosario con dieci perline e, quindi, “su richiesta di un alunno, i bambini avevano recitato il Padre Nostro e l’Ave Maria”.
    Pratiche non idonee all’insegnamento
    L’insegnante inoltre “ha ripetutamente posto in essere pratiche di culto estranee all’esercizio della funzione docente e alle mansioni assegnatele, in violazione dei propri doveri”, come appunto l’episodio dell’olio. Attività di culto che, scorrendo la sentenza, il giudice ricorda: “Non sono neppure coerenti con l’insegnamento della religione, pacificamente svolto da un’altra docente dell’istituto scolastico statale presso cui prestava servizio la ricorrente”. LEGGI TUTTO

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    La startup finlandese che combatte gli incendi con sfere di idrogel

    “Con il cambiamento climatico che aggrava la frequenza e l’intensità degli incendi boschivi, trovare soluzioni che non solo proteggano gli ecosistemi, ma che possano anche contribuire alla loro rigenerazione, è più urgente che mai. Le tecnologie attuali si concentrano principalmente sull’estinzione degli incendi, ma spesso trascurano il danno a lungo termine che viene inflitto agli ecosistemi locali”. A parlare è il team di Aviogel, startup innovativa che combina la protezione immediata della natura con una visione sostenibile per il futuro.

    Incendi

    I roghi sono in diminuzione, ma cresce la superficie bruciata

    di  Giacomo Talignani

    07 Ottobre 2024

    Fondata nel 2024, con sede a Helsinki, da William Carbone, Stéphanie Jansen-Havreng, Sevan Daniel Gerard, Aviogel ha sviluppato una tecnologia per la gestione e il contenimento degli incendi boschivi. Al centro di questa innovazione ci sono le sfere idrogel biodegradabili, progettate per essere rilasciate da mezzi aerei antincendio. Le sfere, a contatto con l’acqua o altri liquidi, li assorbono, aumentando il loro peso e garantiscono così una maggiore precisione nei lanci aerei, anche da altitudini più elevate. Questa caratteristica riduce il rischio per i piloti e rende le operazioni di spegnimento degli incendi più sicure ed efficienti. Con un potenziale in più: la sua capacità di combinare la lotta agli incendi con la rigenerazione immediata delle foreste. Le sfere, oltre ad aiutare a domare le fiamme, rilasciano anche semi e nutrienti, avviando il processo di riforestazione subito dopo l’intervento. In questo modo, ogni intervento aereo non si limita a combattere l’emergenza, ma semina già le basi per la rinascita dell’ecosistema. Inoltre, questa tecnologia riduce problema dell’evaporazione di una parte significativa dell’acqua rilasciata sugli incendi boschivi prima che essa raggiunga il suolo. LEGGI TUTTO

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    Le balene scambiano i rifiuti di plastica per calamari. Una drammatica somiglianza

    Da una parte c’è un palloncino di plastica strappato, poco distante un calamaro. Da cosa è attratta una balena? La risposta può sembrare ovvia, ma purtroppo non lo è. Si, perché questi giganteschi e meravigliosi animali marini, nelle profondità degli oceani dove si immergono e nuotano alla ricerca di cibo, sfruttando una delle loro abilità, affinate nel corso della loro evoluzione, le onde sonore per individuare il cibo di cui nutrirsi. Solo che nel blu dell’oceano, dove non arriva la luce del sole, le due figure su cui rimbalzano le onde sonore emesse dalle balene possono essere molto simili, al punto che il pesce possa decidere di mangiare il palloncino di plastica e non il calamaro. A rivelare questa drammatica somiglianza sono stati i test acustici subacquei condotti dai ricercatori della Duke University, negli Stati Uniti, che hanno mostrato quanto la spazzatura rinvenuta sulla spiaggia – in particolare pellicole e frammenti di plastica – fosse uguale a quella presente nello stomaco delle balene morte.

    Biodiversità

    Riscaldamento globale, aumenta il pericolo di collisioni tra navi e squali balena

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    11 Ottobre 2024

    Ingannate dai segnali acustici
    “Queste firme acustiche sono simili e potrebbe essere il motivo per cui sono portati a consumare plastica al posto delle loro prede”, ha spiegato Greg Merrill che ha guidato la ricerca. Ma in che modo cacciano capodogli, capodogli pigmei e balene dal becco d’oca? I cetacei emettono schiocchi e ronzii da una struttura simile a una corda vocale, vicino ai loro sfiatatoi. I suoni si diffondono nell’oceano dalla struttura bulbosa posta al di sopra della bocca: quando rimbalzano sugli oggetti in acqua e tornano indietro, vengono captati da organi di rilevamento che si trovano nelle mascelle inferiori. A quel punto, passano all’orecchio interno ed infine arrivano al cervello dell’animale che interpreta il segnale. Un sistema che per 25 milioni di anni è stato fondamentale alla sopravvivenza delle balene, e che ora, per colpa della plastica, sta entrando in crisi.

    Inquinamento

    Dal fegato allo stomaco, microplastiche nel 66% delle gazze marine trovate morte nel Tirreno

    di  Pasquale Raicaldo

    02 Ottobre 2024

    Il test acustico
    “Il 100% dei detriti marini di plastica analizzati ha un’intensità acustica simile o superiore a quella delle prede delle balene”, affermano gli autori in un articolo pubblicato sul Marine Pollution Bulletin, e purtroppo come è noto, la quantità di plastica che troviamo nei mari è in crescita, al punto tale da formare vere e proprie isole. Per condurre il test acustico, i ricercatori della Duke hanno raccolto spazzatura di plastica rinvenuta in alcune spiagge di Beaufort e della vicina Atlantic Beach, e hanno messo i campioni di plastica a circa 5 metri di profondità sotto al sonar transponder di una nave per eseguire il test, simulando il passaggio di una balena.
    Sono stati eseguiti diversi test acustici usando tre differenti frequenze sonar, 38, 70 e 120 kilohertz, che coprono la gamma di sonorità utilizzate da diverse specie di balene che nuotano abitualmente a quelle profondità. Per condurre lo studio scientifico in modo accurato hanno analizzato anche il “rumore” emesso dai calamari morti e dai pezzi di becco di calamaro recuperati dallo stomaco di un capodoglio morto.

    Lo studio

    Piccolissimi e sorprendenti: i tardigradi sanno difendersi dalle microplastiche

    Sara Carmignani

    30 Settembre 2024

    Una drammatica somiglianza
    L’esperimento ha dato un risultato drammaticamente sorprendente; i rifiuti in plastica emettevano – quasi sempre – rumori simili a quelli dei calamari, confermando la ragione per cui frammenti di plastica sono sempre più comuni nello stomaco delle balene morte.
    “Esistono centinaia di tipi di plastica e le varie proprietà dei materiali, tra cui la composizione chimica del polimero, gli additivi, la forma, le dimensioni, l’età, l’esposizione agli agenti atmosferici e il grado di incrostazione, svolgono probabilmente un ruolo nelle risposte specifiche in frequenza osservate”, affermano ancora gli autori dello studio della Duke University. Sappiamo che l’inquinamento da plastica è sempre più pervasivo, e l’aumento, purtroppo, continuerà a provocare la morte di questi splendidi e pacifici animali marini. L’unica soluzione che propongono i ricercatori è quella di riprogettare alcune plastiche in modo che non abbiano una firma acustica che inganni le balene, ma non si fanno illusioni. “Non credo che sia davvero un’opzione praticabile, perché poi, se la rete da pesca e la lenza sono invisibili, le balene potrebbero rimanervi impigliate”. LEGGI TUTTO

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    Lewisia, la succulenta che vuole tanto sole e poca acqua

    La lewisia è un genere di pianta erbacea succulenta perenne che appartiene alla famiglia delle montiacee (in passato era classificata tra le portulacacee). Deve il suo nome all’esploratore statunitense Meriwether Lewis, il quale ne ha scoperta l’esistenza. Le origini di questa pianta succulenta sono da ricercare in America Settentrionale. Il suo habitat ideale si trova tanto nelle aree rocciose quanto nelle foreste di latifoglie e conifere degli stati più occidentali dell’America. La lewisia può raggiungere mediamente un’altezza di cinquanta centimetri e, nella maggior parte delle specie, le foglie sono caduche. Esistono comunque delle specie di Lewisia – come la cotyledon – che rientrano tra le sempreverdi.

    Esposizione ideale
    Per la lewisia dobbiamo scegliere senza dubbio un’esposizione in pieno sole. Il luogo ideale in cui mettere a dimora questa pianta deve assicurare un soleggiamento diretto per diverse ore della giornata, indispensabile per la corretta fioritura. Nel suo ambiente naturale, la pianta tende a svilupparsi anche tra le rocce: possiamo quindi sfruttarla per impreziosire i giardini rocciosi, dove le sue radici contribuiscono a prevenire il dilavamento. Può sopportare senza problemi temperature fino a -10 gradi, tuttavia, durante la stagione invernale non deve essere irrigata: ripariamola quindi dalla pioggia.

    Il terreno per coltivare la lewisia
    La lewisia non ha particolari pretese per quanto riguarda la tipologia di terreno. Ricordiamoci però di preferire un terriccio moderatamente fertile, dal pH compreso tra il neutro e l’acido, ma soprattutto con una buona capacità di drenaggio. A questo proposito, per la messa a dimora possiamo miscelare un po’ di sabbia o della ghiaia al terriccio, in modo tale da scongiurare il fenomeno del ristagno idrico a livello radicale, che la pianta non sopporta. Se coltivassimo la lewisia in vaso, ricordiamoci di prevedere la sostituzione del terriccio ad ogni rinvaso.

    Innaffiatura, concimazione e come potare
    Durante la stagione vegetativa, tra la primavera e l’estate, la lewisia richiede innaffiature costanti, con una cadenza quindicinale. In ogni caso, prima di annaffiare la pianta, accertiamoci che il terreno sia ben asciutto, per evitare di provocare del ristagno idrico a livello radicale. Quando la pianta inizia a perdere i fiori (e in seguito le foglie), significa che sta entrando nella fase di riposo vegetativo: in quel momento, dobbiamo sospendere le innaffiature. Per concimare la pianta, possiamo usare un concime granulare a lento rilascio, solo durante la primavera e l’estate. Infine, la lewisia non ha particolari esigenze di potatura: ricordiamoci però di eliminare le foglie secche o danneggiate, per evitare che possano attirare dei parassiti.

    La fioritura della lewisia
    La lewisia regala una bella fioritura durante il periodo compreso tra la primavera e l’estate, con colori che variano in modo notevole tra le specie. Ad esempio, la lewisia cotyledon ha una fioritura tra il rosso-arancione, mentre la specie rediviva ha fiori con una sfumatura dal bianco al violetto. La lewisia longipetala regala invece una caratteristica fioritura rosa salmone e, infine, la nevadensis spicca per il colore bianco dei suoi fiori.

    Malattie e parassiti
    La pianta della lewisia non è particolarmente soggetta all’attacco da parte dei più comuni parassiti. Per contro, quando la lewisia entra nella stagione vegetativa – cioè nel periodo primaverile – dobbiamo accertarci che non sia colpita dalle chiocciole o anche le limacce. Questi molluschi sono soliti cibarsi delle foglie della pianta, che in caso di attacco presentano il classico aspetto bucherellato. Prestiamo molta attenzione alla quantità di acqua che diamo alla lewisia, poiché gli eccessi di irrigazione possono provocare con una certa facilità il fenomeno del marciume radicale, che a sua volta si traduce in molti casi nella morte della pianta. LEGGI TUTTO

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    Ritorno all’ora solare, ma adottare l’ora legale per tutto l’anno porterebbe a benefici per l’ambiente

    Ogni volta che arriva questo periodo dell’anno, soprattutto negli ultimi tempi, ci si continua a interrogare se il cambio dell’ora sia una pratica che al giorno d’oggi ha ancora senso. E soprattutto, se fa bene o meno all’ambiente. Tra sabato 26 ottobre e domenica 27 ottobre, alle tre del mattino, le lancette dell’orologio sono tornate indietro di un’ora: con il passaggio dall’ora legale all’ora solare le giornate si accorceranno via via. L’ora solare resterà tale fino all’ultimo weekend di marzo, poi di nuovo lancette in avanti. Questo cambio, che non esiste in tutto il mondo (per esempio in Africa avviene in pochissime zone, oppure Cina, Giappone e India dopo aver “provato” hanno abbandonato l’idea), si ripete ogni anno in Europa dal 1966 e in Italia dal 1965.

    Da fine ottobre di fatto entreremo nei ritmi dettati dalla luce del sole, mentre finora abbiamo vissuto secondo un orario, quello “legale”, che è frutto della necessità di risparmiare a livello energetico: spostare l’ora in avanti nei mesi primaverili ed estivi consente infatti di ridurre i consumi energetici in media di circa lo 0,2%. In generale, questa pratica non viene utilizzata in molti paesi equatoriali, dove c’è disponibilità di luce e nell’emisfero australe solitamente il cambiamento è opposto al nostro.

    Le differenze stesse fra i 70 Paesi che adottano questo sistema, hanno portato negli ultimi tempi a punti di vista diversi sul cambio d’orario: i paesi Scandinavi per esempio, chiedono all’Europa di abolire il passaggio all’ora solare, dato che lo spostamento – che porta a ulteriore buio prima nella vita quotidiana – ha impatti sullo stato psico fisico dei cittadini.

    Anche negli Usa, dove il passaggio vige da oltre un secolo, ci sono richieste (già prese in carico dai legislatori) di rivedere il meccanismo, mantenendo permanente l’ora legale. In particolare negli States grazie al Sunshine Protection Act, reintrodotto nel 2023, sarebbero i singoli stati a decidere se adottare l’ora solare annuale o l’ora legale.

    Stop al cambio dell’ora: troppi problemi alla salute. La richiesta degli scienziati inglesi

    di Valentina Arcovio

    26 Ottobre 2024

    A seconda dei Paesi, delle regole e ovviamente delle condizioni di luce, da tempo si discute sui pro e i contro del cambio ora: dalla positiva opportunità di dormire più a lungo ai negativi impatti sui bioritmi, oppure semplicemente – dimostra uno studio Usa basato su una raccolta dati di 20 anni – sul fatto che il 6% in più degli incidenti stradali mortali si verifica nella settimana successiva al cambio dell’ora legale.In generale, e anche l’Europa ne sta discutendo con più forza dal 2018, buona parte dei Paesi che considera di modificare il passaggio dell’ora sta pensando di mantenere per sempre quella legale.

    Il perché è soprattutto una questione ambientale e di risparmi energetici e di emissioni. Recenti studi per esempio hanno dimostrato come l’ora legale può ridurre la quantità totale di energia necessaria per raffreddare gli edifici adibiti a uffici in estate di quasi il 6%. Se inizialmente ci si concentrava sull’illuminazione ora – con gli effetti della crisi del clima – come spiegano ricercatori svizzeri bisogna considerare di più il possibile risparmio su condizionatori e impianti di refrigerazione.

    “Gran parte della discussione sull’ora legale si è concentrata storicamente sul risparmio di elettricità derivante dall’illuminazione artificiale – ha detto Sven Eggimann dell’EMPA di Zurigo – tuttavia la domanda di energia per il riscaldamento e il raffreddamento degli edifici è molto più grande di quella per l’illuminazione”, una energia che contribuisce in maniera significativa alle emissioni di carbonio. Basandosi su modelli, i ricercatori hanno stabilito quindi che l’ora legale permette – grazie a lavoratori che arrivano in ufficio in ore più fresche e lasciano gli edifici in ore più calde – di ridurre in generale la quantità di energia necessaria per il controllo del clima degli uffici.

    Come viene descritto nel loro studio pubblicato su Environmental Research Letters “lo spostamento degli orari di lavoro influisce sull’interazione tra la domanda di energia per il riscaldamento e il raffreddamento”. Anche per questo gli scienziati chiedono che l’impatto climatico dell’ora legale sia considerato nelle discussioni politiche.

    A cavalcare la stessa tesi, quella che l’ora legale sia più sostenibile, anche le stime di Altroconsumo che indicano ad esempio come dal 2004 al 2021 grazie all’ora legale l’Italia abbia risparmiato circa 10,5 miliardi di kilowattora, riducendo di 200mila tonnellate le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Anche il Sima, la Società Italiana di Medicina Ambientale, ha stimato – lanciando una petizione per mantenerla – che l’adozione dell’ora legale permanente tutto l’anno permetterebbe di consumare meno energia per circa 720 milioni di kwh equivalenti, con un possibile “risparmio in bolletta di circa 180 milioni di euro annui”.

    A queste cifre si possono aggiungere anche i dati di Terna che raccontano come dal 2004 al 2022 l’Italia ha risparmiato circa 2 miliardi di euro e 10,9 miliardi di kWh di elettricità proprio grazie all’ora legale. Nel 2018 la Ue ha avviato l’iter della proposta per porre fine al doppio cambio dell’ora, percorso che si è però poi parzialmente arenato a causa del Covid. Come hanno ricordato da Sima però, in chiave ambientale ormai è tempo di “impegnarsi per arrivare in Italia all’abbandono definitivo dell’ora solare adottando l’orario legale tutto l’anno, auspicando un coordinamento tra le varie nazioni per evitare ripercussioni sugli scambi commerciali e i movimenti transfrontalieri”. LEGGI TUTTO

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    Pesticidi e cambiamenti climatici: oltre 500 sostanze usate in agricoltura danneggiano gli insetti

    Cosa c’entrano i pesticidi con i cambiamenti climatici? Esiste un circolo vizioso tra le sostanze chimiche usate in agricoltura e l’aumento delle temperature: con il riscaldamento globale, causato anche dai pesticidi, aumentano i parassiti che a loro volta indeboliscono le colture. A quel punto, si richiede un maggiore uso dei pesticidi che però, si è scoperto, uccidono anche quegli insetti che invece sono importanti per la salute degli ecosistemi.

    La conferma arriva da un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science e guidato dal Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (Embl), la cui sede principale è ad Heidelberg, in Germania. I ricercatori hanno scoperto che oltre 500 sostanze comunemente utilizzate in agricoltura e ritenute fino adesso non dannose, tra le quali pesticidi, erbicidi ed altri agro chimici, risultano avere conseguenze sugli insetti. Anche se utilizzate in piccolissime quantità. E non c’è dubbio che gli effetti nocivi vengono esacerbati in caso di temperature più elevate, preannunciando quindi un futuro sempre più a rischio per questi animali così importanti per la salute degli ecosistemi.

    Viaggio a Terra Madre, in cerca di una nuova “bio-logica” per salvare la nostra agricoltura

    di  Giacomo Talignani

    30 Settembre 2024

    L’Istituto europeo di bioinformatica
    Le popolazioni di insetti sono in declino da diversi anni, con una diminuzione che si attesta in media sul 2-3% l’anno. Per cercare di capire le possibili cause di questo calo, i ricercatori guidati da Lautaro Gandara, docente e autore dello studio, hanno passato in rassegna oltre mille molecole di varietà di prodotti agro chimici contenute nella biblioteca chimica dell’Embl, l’istituto europeo di bioinformatica esponendo sistematicamente in laboratorio le larve di moscerino della frutta, provenienti da varie parti del mondo, ad ognuna di queste sostanze. I ricercatori ne hanno seguito il periodo di sviluppo, il comportamento e la sopravvivenza a lungo termine per tutta la durata del loro ciclo di vita, scoprendo che il 57% delle sostanze chimiche ritenute fino adesso non dannose, alterava significativamente il comportamento delle larve di moscerini della frutta, anche in piccolissime dosi. Non solo. Spiega ancora il professor Gandara: “I cambiamenti sono risultati ingigantiti quando abbiamo aumentato la temperatura di 4 gradi, un’idea nata dal fatto che le temperature globali sono in aumento e potrebbero influenzare il modo in cui i pesticidi influenzano le larve”.

    Biodiversità

    Clima, con un po’ di aiuto le farfalle tornano a prosperare

    di Simone Valesini

    13 Settembre 2024

    I test alzando le temperature
    Gli scienziati hanno iniziato alzato la temperatura prima di due gradi (da 25 C a 27 C). Quando non hanno visto molta differenza, hanno aumentato ulteriormente fino a 29 C, che è considerata rappresentativa del clima in cui si vive durante la stagione estiva in gran parte del mondo. A quel punto, l’impatto sulle piante è stato evidente. “Inoltre, abbiamo mescolato alcune delle sostanze chimiche più comunemente rilevate nell’aria, a dosi ecologicamente rilevanti, esponendo nuovamente i moscerini della frutta fin dalla loro prima schiusa. Abbiamo quindi visto un effetto molto più forte – ha affermato Justin Crocker, Embl Group Leader e autore senior del recente articolo scientifico – abbiamo osservato un calo del 60 per cento nei tassi di deposizione delle uova, prefigurando il declino della popolazione ma anche altri comportamenti alterati, come il piegamento più frequente, un comportamento raramente osservato nei gruppi non trattati”.

    Con il Green Deal l’Unione europea ha fissato l’obiettivo di dimezzare i pesticidi che per la verità sarebbero già diminuiti del 6%. Ma è stata chiesta una revisione, soprattutto dopo che sono stati resi noti i risultati delle nuove ricerche scientifiche condotte con test che tengono presente l’aumento delle temperature. LEGGI TUTTO

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    Scuola, sciopero il 31 ottobre: il sindacato Flc Cgil rivendica un contratto giusto e un lavoro stabile

    Giovedì 31 ottobre sarà sciopero del comparto Istruzione e Ricerca. Incroceranno le braccia le lavoratrici e i lavoratori della scuola, dell’università, degli enti di ricerca, delle accademie, dei conservatori e delle scuole non statali con contratto Aninsei. “Un’inflazione al 18% in tre anni” Un contratto giusto e un lavoro stabile sono tra le principali motivazioni […] LEGGI TUTTO