28 Ottobre 2024

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    Lewisia, la succulenta che vuole tanto sole e poca acqua

    La lewisia è un genere di pianta erbacea succulenta perenne che appartiene alla famiglia delle montiacee (in passato era classificata tra le portulacacee). Deve il suo nome all’esploratore statunitense Meriwether Lewis, il quale ne ha scoperta l’esistenza. Le origini di questa pianta succulenta sono da ricercare in America Settentrionale. Il suo habitat ideale si trova tanto nelle aree rocciose quanto nelle foreste di latifoglie e conifere degli stati più occidentali dell’America. La lewisia può raggiungere mediamente un’altezza di cinquanta centimetri e, nella maggior parte delle specie, le foglie sono caduche. Esistono comunque delle specie di Lewisia – come la cotyledon – che rientrano tra le sempreverdi.

    Esposizione ideale
    Per la lewisia dobbiamo scegliere senza dubbio un’esposizione in pieno sole. Il luogo ideale in cui mettere a dimora questa pianta deve assicurare un soleggiamento diretto per diverse ore della giornata, indispensabile per la corretta fioritura. Nel suo ambiente naturale, la pianta tende a svilupparsi anche tra le rocce: possiamo quindi sfruttarla per impreziosire i giardini rocciosi, dove le sue radici contribuiscono a prevenire il dilavamento. Può sopportare senza problemi temperature fino a -10 gradi, tuttavia, durante la stagione invernale non deve essere irrigata: ripariamola quindi dalla pioggia.

    Il terreno per coltivare la lewisia
    La lewisia non ha particolari pretese per quanto riguarda la tipologia di terreno. Ricordiamoci però di preferire un terriccio moderatamente fertile, dal pH compreso tra il neutro e l’acido, ma soprattutto con una buona capacità di drenaggio. A questo proposito, per la messa a dimora possiamo miscelare un po’ di sabbia o della ghiaia al terriccio, in modo tale da scongiurare il fenomeno del ristagno idrico a livello radicale, che la pianta non sopporta. Se coltivassimo la lewisia in vaso, ricordiamoci di prevedere la sostituzione del terriccio ad ogni rinvaso.

    Innaffiatura, concimazione e come potare
    Durante la stagione vegetativa, tra la primavera e l’estate, la lewisia richiede innaffiature costanti, con una cadenza quindicinale. In ogni caso, prima di annaffiare la pianta, accertiamoci che il terreno sia ben asciutto, per evitare di provocare del ristagno idrico a livello radicale. Quando la pianta inizia a perdere i fiori (e in seguito le foglie), significa che sta entrando nella fase di riposo vegetativo: in quel momento, dobbiamo sospendere le innaffiature. Per concimare la pianta, possiamo usare un concime granulare a lento rilascio, solo durante la primavera e l’estate. Infine, la lewisia non ha particolari esigenze di potatura: ricordiamoci però di eliminare le foglie secche o danneggiate, per evitare che possano attirare dei parassiti.

    La fioritura della lewisia
    La lewisia regala una bella fioritura durante il periodo compreso tra la primavera e l’estate, con colori che variano in modo notevole tra le specie. Ad esempio, la lewisia cotyledon ha una fioritura tra il rosso-arancione, mentre la specie rediviva ha fiori con una sfumatura dal bianco al violetto. La lewisia longipetala regala invece una caratteristica fioritura rosa salmone e, infine, la nevadensis spicca per il colore bianco dei suoi fiori.

    Malattie e parassiti
    La pianta della lewisia non è particolarmente soggetta all’attacco da parte dei più comuni parassiti. Per contro, quando la lewisia entra nella stagione vegetativa – cioè nel periodo primaverile – dobbiamo accertarci che non sia colpita dalle chiocciole o anche le limacce. Questi molluschi sono soliti cibarsi delle foglie della pianta, che in caso di attacco presentano il classico aspetto bucherellato. Prestiamo molta attenzione alla quantità di acqua che diamo alla lewisia, poiché gli eccessi di irrigazione possono provocare con una certa facilità il fenomeno del marciume radicale, che a sua volta si traduce in molti casi nella morte della pianta. LEGGI TUTTO

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    Ritorno all’ora solare, ma adottare l’ora legale per tutto l’anno porterebbe a benefici per l’ambiente

    Ogni volta che arriva questo periodo dell’anno, soprattutto negli ultimi tempi, ci si continua a interrogare se il cambio dell’ora sia una pratica che al giorno d’oggi ha ancora senso. E soprattutto, se fa bene o meno all’ambiente. Tra sabato 26 ottobre e domenica 27 ottobre, alle tre del mattino, le lancette dell’orologio sono tornate indietro di un’ora: con il passaggio dall’ora legale all’ora solare le giornate si accorceranno via via. L’ora solare resterà tale fino all’ultimo weekend di marzo, poi di nuovo lancette in avanti. Questo cambio, che non esiste in tutto il mondo (per esempio in Africa avviene in pochissime zone, oppure Cina, Giappone e India dopo aver “provato” hanno abbandonato l’idea), si ripete ogni anno in Europa dal 1966 e in Italia dal 1965.

    Da fine ottobre di fatto entreremo nei ritmi dettati dalla luce del sole, mentre finora abbiamo vissuto secondo un orario, quello “legale”, che è frutto della necessità di risparmiare a livello energetico: spostare l’ora in avanti nei mesi primaverili ed estivi consente infatti di ridurre i consumi energetici in media di circa lo 0,2%. In generale, questa pratica non viene utilizzata in molti paesi equatoriali, dove c’è disponibilità di luce e nell’emisfero australe solitamente il cambiamento è opposto al nostro.

    Le differenze stesse fra i 70 Paesi che adottano questo sistema, hanno portato negli ultimi tempi a punti di vista diversi sul cambio d’orario: i paesi Scandinavi per esempio, chiedono all’Europa di abolire il passaggio all’ora solare, dato che lo spostamento – che porta a ulteriore buio prima nella vita quotidiana – ha impatti sullo stato psico fisico dei cittadini.

    Anche negli Usa, dove il passaggio vige da oltre un secolo, ci sono richieste (già prese in carico dai legislatori) di rivedere il meccanismo, mantenendo permanente l’ora legale. In particolare negli States grazie al Sunshine Protection Act, reintrodotto nel 2023, sarebbero i singoli stati a decidere se adottare l’ora solare annuale o l’ora legale.

    Stop al cambio dell’ora: troppi problemi alla salute. La richiesta degli scienziati inglesi

    di Valentina Arcovio

    26 Ottobre 2024

    A seconda dei Paesi, delle regole e ovviamente delle condizioni di luce, da tempo si discute sui pro e i contro del cambio ora: dalla positiva opportunità di dormire più a lungo ai negativi impatti sui bioritmi, oppure semplicemente – dimostra uno studio Usa basato su una raccolta dati di 20 anni – sul fatto che il 6% in più degli incidenti stradali mortali si verifica nella settimana successiva al cambio dell’ora legale.In generale, e anche l’Europa ne sta discutendo con più forza dal 2018, buona parte dei Paesi che considera di modificare il passaggio dell’ora sta pensando di mantenere per sempre quella legale.

    Il perché è soprattutto una questione ambientale e di risparmi energetici e di emissioni. Recenti studi per esempio hanno dimostrato come l’ora legale può ridurre la quantità totale di energia necessaria per raffreddare gli edifici adibiti a uffici in estate di quasi il 6%. Se inizialmente ci si concentrava sull’illuminazione ora – con gli effetti della crisi del clima – come spiegano ricercatori svizzeri bisogna considerare di più il possibile risparmio su condizionatori e impianti di refrigerazione.

    “Gran parte della discussione sull’ora legale si è concentrata storicamente sul risparmio di elettricità derivante dall’illuminazione artificiale – ha detto Sven Eggimann dell’EMPA di Zurigo – tuttavia la domanda di energia per il riscaldamento e il raffreddamento degli edifici è molto più grande di quella per l’illuminazione”, una energia che contribuisce in maniera significativa alle emissioni di carbonio. Basandosi su modelli, i ricercatori hanno stabilito quindi che l’ora legale permette – grazie a lavoratori che arrivano in ufficio in ore più fresche e lasciano gli edifici in ore più calde – di ridurre in generale la quantità di energia necessaria per il controllo del clima degli uffici.

    Come viene descritto nel loro studio pubblicato su Environmental Research Letters “lo spostamento degli orari di lavoro influisce sull’interazione tra la domanda di energia per il riscaldamento e il raffreddamento”. Anche per questo gli scienziati chiedono che l’impatto climatico dell’ora legale sia considerato nelle discussioni politiche.

    A cavalcare la stessa tesi, quella che l’ora legale sia più sostenibile, anche le stime di Altroconsumo che indicano ad esempio come dal 2004 al 2021 grazie all’ora legale l’Italia abbia risparmiato circa 10,5 miliardi di kilowattora, riducendo di 200mila tonnellate le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Anche il Sima, la Società Italiana di Medicina Ambientale, ha stimato – lanciando una petizione per mantenerla – che l’adozione dell’ora legale permanente tutto l’anno permetterebbe di consumare meno energia per circa 720 milioni di kwh equivalenti, con un possibile “risparmio in bolletta di circa 180 milioni di euro annui”.

    A queste cifre si possono aggiungere anche i dati di Terna che raccontano come dal 2004 al 2022 l’Italia ha risparmiato circa 2 miliardi di euro e 10,9 miliardi di kWh di elettricità proprio grazie all’ora legale. Nel 2018 la Ue ha avviato l’iter della proposta per porre fine al doppio cambio dell’ora, percorso che si è però poi parzialmente arenato a causa del Covid. Come hanno ricordato da Sima però, in chiave ambientale ormai è tempo di “impegnarsi per arrivare in Italia all’abbandono definitivo dell’ora solare adottando l’orario legale tutto l’anno, auspicando un coordinamento tra le varie nazioni per evitare ripercussioni sugli scambi commerciali e i movimenti transfrontalieri”. LEGGI TUTTO

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    Pesticidi e cambiamenti climatici: oltre 500 sostanze usate in agricoltura danneggiano gli insetti

    Cosa c’entrano i pesticidi con i cambiamenti climatici? Esiste un circolo vizioso tra le sostanze chimiche usate in agricoltura e l’aumento delle temperature: con il riscaldamento globale, causato anche dai pesticidi, aumentano i parassiti che a loro volta indeboliscono le colture. A quel punto, si richiede un maggiore uso dei pesticidi che però, si è scoperto, uccidono anche quegli insetti che invece sono importanti per la salute degli ecosistemi.

    La conferma arriva da un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science e guidato dal Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (Embl), la cui sede principale è ad Heidelberg, in Germania. I ricercatori hanno scoperto che oltre 500 sostanze comunemente utilizzate in agricoltura e ritenute fino adesso non dannose, tra le quali pesticidi, erbicidi ed altri agro chimici, risultano avere conseguenze sugli insetti. Anche se utilizzate in piccolissime quantità. E non c’è dubbio che gli effetti nocivi vengono esacerbati in caso di temperature più elevate, preannunciando quindi un futuro sempre più a rischio per questi animali così importanti per la salute degli ecosistemi.

    Viaggio a Terra Madre, in cerca di una nuova “bio-logica” per salvare la nostra agricoltura

    di  Giacomo Talignani

    30 Settembre 2024

    L’Istituto europeo di bioinformatica
    Le popolazioni di insetti sono in declino da diversi anni, con una diminuzione che si attesta in media sul 2-3% l’anno. Per cercare di capire le possibili cause di questo calo, i ricercatori guidati da Lautaro Gandara, docente e autore dello studio, hanno passato in rassegna oltre mille molecole di varietà di prodotti agro chimici contenute nella biblioteca chimica dell’Embl, l’istituto europeo di bioinformatica esponendo sistematicamente in laboratorio le larve di moscerino della frutta, provenienti da varie parti del mondo, ad ognuna di queste sostanze. I ricercatori ne hanno seguito il periodo di sviluppo, il comportamento e la sopravvivenza a lungo termine per tutta la durata del loro ciclo di vita, scoprendo che il 57% delle sostanze chimiche ritenute fino adesso non dannose, alterava significativamente il comportamento delle larve di moscerini della frutta, anche in piccolissime dosi. Non solo. Spiega ancora il professor Gandara: “I cambiamenti sono risultati ingigantiti quando abbiamo aumentato la temperatura di 4 gradi, un’idea nata dal fatto che le temperature globali sono in aumento e potrebbero influenzare il modo in cui i pesticidi influenzano le larve”.

    Biodiversità

    Clima, con un po’ di aiuto le farfalle tornano a prosperare

    di Simone Valesini

    13 Settembre 2024

    I test alzando le temperature
    Gli scienziati hanno iniziato alzato la temperatura prima di due gradi (da 25 C a 27 C). Quando non hanno visto molta differenza, hanno aumentato ulteriormente fino a 29 C, che è considerata rappresentativa del clima in cui si vive durante la stagione estiva in gran parte del mondo. A quel punto, l’impatto sulle piante è stato evidente. “Inoltre, abbiamo mescolato alcune delle sostanze chimiche più comunemente rilevate nell’aria, a dosi ecologicamente rilevanti, esponendo nuovamente i moscerini della frutta fin dalla loro prima schiusa. Abbiamo quindi visto un effetto molto più forte – ha affermato Justin Crocker, Embl Group Leader e autore senior del recente articolo scientifico – abbiamo osservato un calo del 60 per cento nei tassi di deposizione delle uova, prefigurando il declino della popolazione ma anche altri comportamenti alterati, come il piegamento più frequente, un comportamento raramente osservato nei gruppi non trattati”.

    Con il Green Deal l’Unione europea ha fissato l’obiettivo di dimezzare i pesticidi che per la verità sarebbero già diminuiti del 6%. Ma è stata chiesta una revisione, soprattutto dopo che sono stati resi noti i risultati delle nuove ricerche scientifiche condotte con test che tengono presente l’aumento delle temperature. LEGGI TUTTO

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    Scuola, sciopero il 31 ottobre: il sindacato Flc Cgil rivendica un contratto giusto e un lavoro stabile

    Giovedì 31 ottobre sarà sciopero del comparto Istruzione e Ricerca. Incroceranno le braccia le lavoratrici e i lavoratori della scuola, dell’università, degli enti di ricerca, delle accademie, dei conservatori e delle scuole non statali con contratto Aninsei. “Un’inflazione al 18% in tre anni” Un contratto giusto e un lavoro stabile sono tra le principali motivazioni […] LEGGI TUTTO

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    La classifica shock sull’impatto dei fornelli a gas: l’Italia è il Paese d’Europa dove ci sono più vittime

    L’Italia è il Paese dove le cucine a gas uccidono più persone in tutta Europa. Una affermazione forte, che l’European Public Health Alliance (EPHA) sostiene grazie alle cifre dettagliate di un nuovo studio sulle morti premature legate all’uso del gas ai fornelli: sono oltre 40mila in Europa le persone che muoiono in media ogni anno a causa dell’inquinamento da gas domestico e di queste 12.706 sono italiane.

    Si muore per malattie, soprattutto per sostanze inquinanti e gas nocivi collegati a malattie cardiache e polmonari e si muore, in percentuale, quasi il doppio rispetto agli incidenti automobilistici. In media una cucina a gas riduce di quasi due anni la vita di una persona e ovviamente questa riduzione avviene nei Paesi dove prevale ancora, fra i sistemi di cottura, quello a gas anziché l’elettrico a induzione: in Italia, così come in Polonia o Romania, la percentuale di famiglie che usano ancora i “vecchi” sistemi per cucinare è pari al 60%.

    Dati e cifre che dovrebbero farci riflettere, ma su cui c’è ancora pochissima consapevolezza dei pericoli. “La portata del problema è molto peggiore di quanto pensassimo” ha spiegato l’autrice principale dello studio, Juana María Delgado-Saborit, che dirige il laboratorio di ricerca sulla salute ambientale presso l’Università Jaume I in Spagna e che ha realizzato l’analisi, poi rilanciata da l’European Public Health Alliance, insieme a colleghi da tutto il mondo.

    La guida

    La cucina a induzione: come funziona e quali sono i vantaggi

    13 Novembre 2020

    Finora, le cifre delle vittime di malattie collegabili all’uso di fornelli a gas, secondo gli esperti sono state sottostimate: si considerava infatti solo l’effetto sulla salute del biossido di azoto e non di altri inquinanti estremamente pericolosi per la salute, come il monossido di carbonio e il benzene.

    Più in generale secondo i ricercatori le linee guida dell’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) vengono regolarmente violate nelle case di almeno 14 Paesi europei “quando l’inquinamento di fondo si combina con i fumi delle cucine a gas durante l’uso normale”.

    Gli Stati più colpiti, si legge nello studio, sono Italia, Polonia, Romania, Francia e Regno Unito, dove appunto si cucina di più con il gas, ma da noi la percentuale di morti premature è quasi il doppio rispetto a quella per esempio dalla Polonia, secondo stato in classifica per vittime. “Le vite in Italia si accorciano, in media, di poco meno di un anno”.

    Inoltre, gli esperti sottolineano come l’inquinamento sia più grave laddove c’è scarsa ventilazione e nelle “sessioni di cottura prolungate”. La dottoressa Delgado-Saborit ricorda che “già nel 1978 scoperto che l’inquinamento da NO2 è numerose volte più alto nelle cucine che utilizzano fornelli a gas rispetto a quelle elettriche. Ma solo ora siamo in grado di quantificare il numero di morti prematuri. L’entità del problema è molto peggiore di quanto pensassimo, con i nostri modelli che suggeriscono che la casa media in metà Europa supera i limiti dell’OMS. L’inquinamento esterno crea la base per questi superamenti, ma sono i fornelli a gas a spingere le abitazioni nella zona di pericolo”.

    Non solo, se si considera l’impatto generale di gas, benzene, formaldeide e particolato, si stima che le cucine a gas probabilmente potrebbero causare “367.000 casi di asma infantile e 726.000 casi in tutte le fasce d’età in Europa ogni anno”. La stessa Nasa ha affermato che negli ultimi decenni “c’è stata una significativa diminuzione dell’inquinamento da NO2 nelle città europee grazie alle normative sulle emissioni dei veicoli e ai progressi tecnologici dei veicoli stessi. Tuttavia, l’inquinamento persistente continua a rappresentare uno dei maggiori contributori ai pericolosi livelli rilevati dallo studio”.

    Salute

    Con il fornello a gas si respirano da 10 a 100 volte più particelle rispetto a stare nel traffico

    di Paola Arosio

    24 Maggio 2024

    Per tentare di prevenire le morti, oltre che una necessaria spinta dell’elettrificazione e all’induzione, l’EPHA ricorda che servirebbero standard precisi per la qualità dell’aria indoor, standard che l’Ue oggi non ha. La stessa Ue però proporrà nuove norme per i fornelli a gas entro la fine dell’anno e sta valutando restrizioni per l’inquinamento, compreso quello da NO2. A tal proposito l’European Public Health Alliance sta sollecitando le Istituzioni europee” a eliminare gradualmente i fornelli a gas attraverso limiti alle emissioni abbinati a incentivi finanziari per passare a fornelli più puliti” e chiede anche etichette obbligatorie sui fornelli per segnalare i rischi di inquinamento e campagne di sensibilizzazione sui pericoli della combustione di carburanti in ambienti chiusi. Come ha spiegato Sara Bertucci, responsabile delle politiche globali di salute pubblica per l’EPHA, “per troppo tempo è stato facile ignorare i pericoli dei fornelli a gas. Come per le sigarette, la gente non pensava molto agli impatti sulla salute e, come le sigarette, i fornelli a gas sono un piccolo fuoco che riempie la nostra casa di inquinamento. I veri impatti sono probabilmente maggiori di quelli previsti in questo studio. Sapendo questo, i Governi dovrebbero prendere l’iniziativa per aiutarci a smettere di usare il gas, proprio come ci hanno aiutato a smettere di fumare”. LEGGI TUTTO