7 Ottobre 2024

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    Come coltivare le viole: i consigli utili e la cura

    Le viole sono un genere di piante di modeste dimensioni che appartengono alla famiglia delle violacee, praticamente diffuse in tutto il globo terrestre. Si contano oltre 400 specie di viole, tra perenni ed annuali, che regalano meravigliose fioriture nel corso della primavera o dell’autunno e, nei climi più miti, anche in inverno: gli eccessi di freddo e caldo, infatti, ostacolano la fioritura delle viole. Tra le varietà più famose possiamo citare la viola cornuta, molto diffusa nelle aiuole e i bordi dei giardini, oppure la viola odorata, famosa per i fiori a forma di cuore dalle sfumature viola-lilla. Infine, la viola del pensiero (nome scientifico, tricolor) è molto apprezzata per i suoi fiori che possono avere un colore dal viola all’azzurro, oppure, dal porpora al giallo pallido. La viola ha un significato che spazia dalla pudicizia alla modestia: teniamone conto quando la regaliamo a qualcuno.

    La coltivazione delle viole in vaso e in piena terra

    Grazie alla rusticità di numerose specie, le viole possono essere coltivate tranquillamente in piena terra. La viola del pensiero, ad esempio, può tollerare minime attorno ai -15 gradi. Durante l’inverno, però, queste piante temono soprattutto l’eccessiva umidità del terreno, in particolare se non assicura un buon drenaggio. Il momento ideale per piantare le viole è all’inizio della primavera o dell’autunno, quando il clima è ancora mite. Nel caso della coltivazione in vaso, ricordiamoci di rinvasare la viola ogni anno, in modo tale da rinnovare il terreno e da offrire alle radici lo spazio sufficiente per svilupparsi bene. Accertiamoci di lasciare almeno 10-15 centimetri tra una piantina e l’altra, in modo tale da consentire una buona crescita agli esemplari in vaso. Se le viole sono coltivate in piena terra, possiamo creare un’aiuola leggermente più alta rispetto al livello del giardino: in questo modo, favoriremo il deflusso dell’acqua.

    Il terreno ideale per coltivare le viole
    Il miglior terreno per la coltivazione delle viole dev’essere prima di tutto drenante, perché la pianta non ama il ristagno idrico nelle radici. All’occorrenza, per migliorare il drenaggio del substrato, possiamo aggiungere della sabbia ed argilla espansa, oppure, ghiaia. Possiamo utilizzare del terriccio universale, arricchendolo con un po’ di concime. In alcune specie – come, ad esempio, la viola del pensiero – è molto importante evitare che il terreno sia troppo alcalino, altrimenti potrebbero manifestare i tipici sintomi del malassorbimento del ferro. Accertiamoci quindi di abbassare il pH del terreno, che dovrebbe essere circa pari a 6.

    L’esposizione ideale per le viole
    Per ottenere una fioritura abbondante, e viceversa ridurre un po’ lo sviluppo delle foglie, le viole andrebbero esposte in pieno sole. Queste piante sono tuttavia piuttosto versatili e tollerano anche una posizione in penombra. In questo caso, le viole tenderanno a fiorire un po’ più tardi nel corso del periodo primaverile, sebbene i fiori appassiscano meno velocemente grazie alla minor esposizione al sole. In ogni caso, preferiamo un luogo sufficientemente luminoso per la coltivazione: in caso contrario, le piante stenteranno a crescere e si seccheranno più facilmente.

    L’innaffiatura e la concimazione delle viole
    Quando le viole sono coltivate in piena terra, se il clima assicura una buona piovosità, le piogge assicurano spesso un apporto sufficiente di acqua. In caso contrario, l’innaffiatura deve contribuire a mantenere leggermente inumidito il terreno durante la stagione vegetativa, senza che sia mai imbevuto di acqua. Nel caso della coltivazione in vaso, ricordiamoci di far sì che il terriccio sia sempre umido, ma mai inzuppato. Evitiamo di usare i sottovasi e, qualora fossero proprio indispensabili, accertiamoci che non ristagni mai dell’acqua al loro interno. Possiamo concimare la viola con fertilizzante liquido aggiunto all’acqua di irrigazione, di norma per una volta al mese.

    La potatura delle viole
    Le viole non richiedono alcuna potatura specifica. Ricordiamoci però che possiamo stimolare lo sviluppo di nuovi fiori eliminando quelli che sono nel frattempo appassiti. Per svolgere questo compito, utilizziamo sempre degli utensili disinfettati accuratamente.

    I rischi per le viole
    Sebbene le viole siano piuttosto robuste, questi fiori possono essere colpiti da alcune avversità. L’eccesso di irrigazione e il ristagno idrico causano il marciume radicale, che possiamo trattare con un prodotto antifungino. Se i germogli più piccoli hanno un aspetto un po’ stentato, è molto probabile che ci siano dei pidocchi sui fiori. Per rimediare a questo problema, possiamo usare un insetticida ad hoc. Infine, le limacce e le chiocciole possono nutrirsi di fiori e foglie: in questo caso, dobbiamo rimuovere gli animali o usare un repellente specifico. LEGGI TUTTO

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    Incentivi green, gli esperti: “Alcuni sussidi nascondono un rischio per l’ambiente”

    Attenzione ai sussidi, anche quando sembrano “green”. Ad affermarlo, sulla rivista Science, è un gruppo di ricercatori ed economisti che mette in guardia dalle insidie che si celano dietro questo tipo di agevolazioni. Il rischio, infatti, è quello di alterare le pressioni del mercato, portando a conseguenze indesiderate che non solo perpetuano nel tempo i sussidi considerati “dannosi”, ma diminuiscono anche l’efficacia complessiva di quelli destinati a promuovere la sostenibilità ambientale.

    Mobilità

    La classifica europea delle capitali con i mezzi di trasporto più green, l’Italia fuori dalla top10

    di  Paolo Travisi

    07 Ottobre 2024

    Se da una parte non c’è dubbio che le agevolazioni favoriscano gli obiettivi ambientali e di sostenibilità: è un approccio politicamente più semplice per attuare un cambiamento rispetto alla creazione di nuove leggi o tasse, nonché per assicurarsi il sostegno di particolari gruppi di interesse. Un esempio è l’Inflation Reduction Act approvata nel 2022 dagli Stati Uniti che, attraverso crediti d’imposta e sussidi per veicoli elettrici, energia solare ed eolica, mira ad aumentare l’uso delle fonti rinnovabili e a migliorare l’efficienza energetica. Tuttavia, anche in questo caso, ci sono alcuni incentivi che sembrerebbero rispettare l’ambiente, ma che in realtà sono un’arma a doppio taglio. Un esempio? Quello sulle auto elettriche.
    “Un sussidio che inizialmente poteva essere considerato vantaggioso per la società potrebbe alla fine essere riconosciuto come un costo che supera di gran lunga i benefici”, scrivono gli autori. Questi incentivi da un lato portano senza dubbio ad una riduzione delle emissioni di gas serra, ma allo stesso tempo, rendendo i veicoli più appetibili economicamente, ne incrementano l’uso. Per il team di ricerca, invece, sarebbe stato meglio destinare questi fondi ad incrementare le infrastrutture e l’accesso ai trasporti pubblici, in modo da invogliare le persone ad utilizzare meno l’auto rendendo l’impatto ambientale positivo maggiore.

    Auto connesse, mercato in crescita: la spinta della telematica e della guida autonoma

    di Marco Cimminella

    18 Agosto 2024

    Miliardi di dollari per investimenti sostenibili finiti alle fonti fossili

    Ad oggi sono in vigore diversi incentivi che, secondo economisti e ambientalisti, sarebbero dannosi per l’ambiente, in quanto contribuirebbero attivamente al cambiamento climatico. I sussidi agli input agricoli statunitensi, ad esempio, sono alla base del 17% dell’inquinamento da azoto, mentre quelli per la produzione causano il 14% della deforestazione globale. Nel 2018, quasi il 70% dei 35,4 miliardi di dollari destinati alla pesca è stato utilizzati per l’acquisto di carburante, investimenti di capitale e infrastrutture, tutti fattori che contribuiscono alla pesca eccessiva.

    Nonostante i leader del G20 si siano impegnati a eliminare gradualmente gli incentivi ai combustibili fossili, alcune fonti stimano che nel 2022 fossero ancora 1.300 miliardi i dollari elargiti a questo settore, a causa dei notevoli interessi acquisiti e delle pressioni politiche esercitate dalle aziende beneficiarie per mantenerli in vigore. Negli Stati Uniti, l’amministrazione Biden ha tentato ripetutamente di abrogare le agevolazioni fiscali per tali combustibili, ma senza successo. Secondo Segerson sarebbe più efficace, da un punto di vista economico, tassare le attività che generano effetti negativi, come la carbon tax. Si tratta, tuttavia, di una soluzione difficile da attuare. I sussidi costituiscono, perciò, un’opzione di ripiego, ma è importante, secondo gli autori, che abbiano una scadenza, così da poter essere rimossi quando sarà possibile fare qualcosa di meglio. “Possiamo sovvenzionare questi processi produttivi più ecologici, ma con cautela e riconoscendo che non vogliamo dipendere da questi sussidi a lungo termine”, conclude Segerson. LEGGI TUTTO

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    La qualità dell’acqua in Italia “allunga” la vita rispetto alla media Ue

    La qualità dell’acqua in Italia “allunga” la vita rispetto alla media europea. A segnalarlo è una ricerca condotta da The European House-Ambrosetti per cui l’85% dell’acqua potabile in Italia proviene da fonti sotterranee, caratteristica questa garantiscono gli esperti, che la rende di maggior qualità, perché più protetta. Un fattore che mitiga l’impatto negativo sulla salute, collocando il nostro Paese tra quelli più virtuosi in Europa (6° posto).

    Ambiente

    Riscaldamento globale, a rischio la potabilità dell’acqua per milioni di persone

    di Sara Carmignani

    22 Luglio 2024

    Secondo i dati elaborati da Teha che sono stati resi noti durante la sesta edizione Community Valore Acqua per l’Italia, dedicata all’elaborazione di scenari, strategie e politiche sulla gestione della risorsa acqua – e che include 42 tra aziende e istituzioni della filiera – gli anni di vita in buona salute persi dagli italiani a causa di scarsa igiene e qualità dell’acqua è di 9,4 anni ogni 100mila abitanti contro una media continentale di 16 anni. Il primato spetta alla Finlandia con soltanto 5,5 anni ogni 100mila abitanti sottratti a una vita in salute. Una situazione che negli ultimi 30 anni è migliorata con un passo più lento rispetto alla media europea: se la media Ue è migliorata del 41% (quella finlandese del 75,8%), il nostro Paese non è andato oltre il 12,9% (23° posto in Europa).

    Innovazione

    I materiali nanoporosi che ci aiuteranno a estrarre acqua dall’aria. Lo scienziato: “Ogni famiglia potrà avere la sua riserva”

    di  Dario D’Elia

    09 Ottobre 2024

    1,3 milioni di italiani vivono senza servizi di depurazione
    “L’acqua ha un ruolo fondamentale sulla salute della popolazione – commenta Valerio De Molli, Ceo di The European House – Ambrosetti e TEHA Group – l’Italia ha una dotazione di acqua di alta qualità, quella potabile viene prelevata prevalentemente da fonte sotterranea a garanzia di una maggiore salubrità”. In Valle d’Aosta e Umbria la totalità dell’acqua potabile proviene da fonti sotterranee, in Puglia (44,9%), Sardegna (21,6%) e Basilicata (19,2%). Meglio di noi, in Europa, fanno solo Malta, Lituania, Danimarca, Slovenia e Croazia. Tuttavia, ad oggi, lo stato delle infrastrutture per il trattamento delle acque reflue e l’estensione del servizio non sono ancora competitivi: ancora oggi 1,3 milioni di italiani vivono in 296 Comuni privi del servizio di depurazione, soprattutto in Sicilia dove il 13% dei cittadini non è servito con rischi in termini di disinfezione e di prevenzione delle contaminazioni.

    Ambiente e salute

    Basta bottiglie di plastica, inquinano e contengono inquinanti

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    25 Settembre 2024

    “L’Italia -aggiunge Benedetta Brioschi, di Teha – può vantare una scarsa presenza di nitrati nelle acque sotterranee (17,8mg/ litro quando lo standard imposto dalla UE è di 50mg/litro) garantendo così alta qualità e anche una bassa presenza di fosfato nei fiumi: solo lo 0,05 mg/litro quando il limite è di 0,1 mg/litro. Non solo, l’Italia è tra i 10 Paesi più virtuosi in UE per riduzione dell’utilizzo di pesticidi a conferma di come l’intero tessuto economico del Paese lavori per migliorare il proprio impatto su ambiente e salute dei cittadini”. LEGGI TUTTO

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    L’uragano Helene non risparmia il “paradiso del clima”, Asheville

    Un paradiso climatico che si trasforma in un inferno terreno in poche ore. Cavi elettrici che sembrano enormi spaghetti abbandonati su letti di strade che non ci sono più, case distrutte, scuole divelte, almeno cinquanta morti e altrettanti dispersi e poi l’acqua, la corrente e perfino il cibo che mancano.
    Così si è risvegliata, dopo il devastante passaggio dell’uragano Helene, la città di Asheville nel North Carolina. Una realtà, forse cambiata per sempre, che ci ricorda questo: nessuno è al riparo dal nuovo clima, nessuno è esente dagli impatti dei fenomeni meteo estremi dettati dal riscaldamento globale, nemmeno la città “paradiso del clima” come veniva definita quella realtà scelta – anche per le sue caratteristiche di sicurezza – per ospitare uno dei più importanti centri mondiali di raccolta sui dati relativi alla crisi climatica.

    Nessuno al riparo dal clima
    Seicento metri sul livello del mare e diverse centinaia di chilometri dalla costa, questa città di quasi 100mila abitanti, in costante crescita, ha un clima che fino a poche settimane fa era definito “un paradiso” da chi provava ad invitare nuovi cittadini ad aggregarsi alla comunità. Molti statunitensi, negli ultimi anni, si erano trasferiti ad Asheville proprio per “sfuggire alle condizioni meteorologiche estreme” ricorda anche la Cnn. Sembrava un luogo destinato a “resistere a tutto” racconta chi ci viveva, invece come è avvenuto anche in Florida, Georgia, South Carolina, Tennessee e Alabama, al passaggio dell’uragano Helene, il più devastante dai tempi di Katrina, tutto è venuto giù.

    Crisi climatica

    Boston, New Orleans, San Francisco: negli Usa 32 città costiere a rischio inondazione entro il 2050

    di Sandro Iannaccone

    08 Marzo 2024

    Colpito il Centro nazionale per l’informazione ambientale
    Ad essere colpito, danneggiato e ora chiuso, per tragico paradosso è anche il grande Centro nazionale per l’informazione ambientale, quello dove si raccolgono dati per contribuire a monitorare il riscaldamento della Terra. L’arrivo di Helene ha infatti messo offline il centro gestito dalla Noaa, la National Oceanic and Atmospheric Administration: lì venivano elaborate informazioni e modelli relativi alla crisi del clima con sistemi di monitoraggio che a causa dell’assenza di elettricità, poi ripristinata, sono stati interrotti. Alcuni siti web e sistemi del centro rimangono offline e i responsabili Noaa, nel fare la conta dei danni, hanno ricordato l’importanza del lavoro della sede di Asheville che raccoglie dati cruciali “per agricoltori, pescatori, aziende, assicuratori” e altri settori.
    Ovviamente poi i dati gestiti dal centro sono oggetto del lavoro e degli studi sul clima da parte di ricercatori di tutto il mondo, dato che sono spesso accessibili in maniera “open”. Proprio da quel centro arrivano per esempio larga parte delle informazioni che vengono utilizzate per raccontarci l’evoluzione del cambiamento climatico, come quelle che già oggi prevedono che il 2024 potrebbe essere – a livello mondiale – l’anno più caldo di sempre.

    Slittano i report utili alla Nasa e al Berkeley Earth
    Sia la Nasa che il Berkeley Earth usano le informazioni in arrivo da Asheville perchè cruciali per stilare i loro report: attualmente però, hanno raccontato al New York Times i due centri, gli stessi report potrebbero slittare e ritardare per via dei danni subiti.
    Proprio la Nasa di recente stava sviluppando metodi per rendere le strutture più resilienti alla crisi del clima ma, come afferma Gavin Schmidt, direttore del Goddard Institute for Space Studies dell’agenzia, “ciò che è accaduto ad Asheville sottolinea quanto possa essere difficile quando arriva un fenomeno come Helene”.

    Un’immagine del terribile uragano che si è abbattuto sul North Carolina  LEGGI TUTTO

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    Nel mondo ci sono almeno ancora 100mila piante da scoprire: ecco dove potrebbero essere

    Vale per le profondità dell’oceano, vale per le foreste del mondo: c’è ancora una marea di specie che gli esseri umani non conoscono. Se parliamo di piante vascolari – quelle con radici, fusto e foglie – gli scienziati stimano che esistano almeno 100mila specie di piante non ancora scoperte. Tenendo conto dell’attuale perdita (costante) di biodiversità, riuscire a identificare dove queste piante potrebbero essere – in modo da studiarle e proteggere – un’azione cruciale, anche per preservare la varietà genetica che la natura ci offre. Già, ma dove bisogna cercare? A dircelo è uno studio internazionale portato avanti dai ricercatori del Royal Botanic Gardens di Kew.

    Attraverso l’analisi dei dati e grazie a test in grado di individuare le carenze di dettagli geografici e tassonomici, gli esperti hanno individuato 33 “darkspot”, sorte di zone oscure alla scienza che potrebbero essere ricche di diversità ma che non sono ancora state indagate. Queste aree potrebbero infatti contenere “la maggior parte delle specie non descritte e non ancora registrate”. La maggior parte di questi darkspot, scrivono i biologi, si trovano all’interno di Nuova Guinea, Colombia, Myanmar, Perù, Filippine e Turchia. In questi Paesi – con altri indicati come possibili che vanno dal Madagascar sino alla Bolivia – bisogna concentrare gli sforzi per “comprendere le carenze di conoscenza tassonomica e geografica, un atto fondamentale per dare priorità ai futuri sforzi di raccolta e conservazione”. Nel dettaglio gli esperti ricordano che molti di questi luoghi in cui cercare sono anche hotspot della biodiversità, ovvero aree del pianeta ricche di vita ma minacciate di distruzione. La maggior parte dei 33 darkspot si trova nell’Asia tropicale (in almeno 14 zone dal Vietnam fino all’Himalaya), 8 sono invece in Sud America e altre 8 nell’Asia temperata (dall’Iran al Kazakistan), 2 in Africa (Madagascar e province del Capo) e uno in Nord America (Messico sud-occidentale). Ci sono decine di specie ogni anno che vengono scoperte. Esemplari come la palma del Borneo che è in grado di fiorire sotto terra, oppure particolari orchidee, o ancora piante endemiche come quelle individuate lo scorso anno in Abruzzo o Sardegna.

    Biodiversità

    Dieci piante appena scoperte che rischiano di scomparire

    di Fabio Marzano

    12 Gennaio 2024

    Per trovarne altre, i botanici hanno però bisogno di indicazioni, proprio come quelle contenute nello studio pubblicato sulla rivista New Phytologist. Coordinate che potrebbero aiutare a individuare specie utili per esempio nel mondo della farmaceutica e la medicina, ma anche quello dell’energia (carburanti) o della cosmesi. “Dobbiamo proteggere il 30% del Pianeta entro questo decennio secondo gli attuali obiettivi delle Nazioni Unite, ma non sappiamo quali aree proteggere se non abbiamo le giuste informazioni” ha spiegato il direttore scientifico del Kew, il botanico Alexandre Antonelli. “Precedenti ricerche – aggiunge – hanno dimostrato che i biologi non sono stati particolarmente efficienti nel documentare la biodiversità. Siamo tornati negli stessi posti più e più volte e abbiamo trascurato alcune aree che potrebbero contenere molte specie”.

    Esplorazioni, quelle necessarie, che includono però una lotta contro il tempo: accelerare il tasso di scoperte delle piante è infatti necessario perchè all’attuale ritmo di identificazione molte specie, anche per gli impatti della crisi del clima e delle azioni antropiche, rischiano di estinguersi ancor prima di essere note alla scienza. Una corsa che – si spera – potrebbe essere rafforzata dalle decisioni che verranno prese prossimamente a Cali, in Colombia, dove si terrà la Cop16 sulla biodiversità. Come ricorda Samuel Pironon, docente di biologia alla Queen Mary University di Londra e autore dello studio, “tutti i Paesi hanno concordato di preservare e ripristinare la biodiversità, inclusa quella vegetale. Ma come possiamo farlo se non sappiamo di quali specie stiamo parlando o qual è la biodiversità e dove possiamo ripristinarla?”.

    Biodiversità

    I botanici “estremi”: in paramotore (al posto del SUV) per studiare le piante più rare nel deserto

    di  Fabio Marzano

    05 Ottobre 2024

    Ecco perché il nuovo studio, nella sua funzione di mappa che indica i darkspot, potrebbe risultare estremamente importante, anche se servirebbe una mano in più: quella dei cittadini. Secondo i biologi infatti chiunque, appassionato di natura, senza raccogliere le specie, può però segnalarle e fotografarle: condividere dati nelle tante piattaforme di citizen science è un gesto prezioso, “una grande opportunità per rafforzare le partnership tra scienziati e cittadini. Le persone scattano foto di piante che ritengono possano essere interessanti per il resto del mondo e gli scienziati sono fondamentali perché aiutano a identificare quelle specie” dice Pironon. LEGGI TUTTO