2 Ottobre 2024

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    Il falangio, come prendersi cura della “pianta ragno”

    Il Chloropytum ovvero il falangio è una pianta ricca di fogliame variegato, in grado di impreziosire gli ambienti casalinghi e donare un tocco di eleganza a qualunque stanza o ufficio. Questa sempreverde, che simboleggia la giovinezza perenne, per crescere al meglio deve essere coltivata correttamente.

    La coltivazione in casa del falangio o pianta ragno
    Prendersi cura in casa del falangio non è così complicato, specie se si fa attenzione ad alcuni aspetti. Il primo fra tutti riguarda proprio la posizione in cui sistemare la pianta. L’esposizione della pianta ragno non deve mai essere al sole diretto (specie durante i mesi più caldi), ma è importante selezionare delle aree luminose. In primavera ed estate si può anche decidere di spostare la pianta dalla casa all’esterno, facendo molta attenzione alla posizione che si sceglie. La pianta fiorisce con fiorellini di colore bianco e piccoli, mentre lungo gli steli si sviluppano i ciuffi verdi. Come succede per molte piante d’appartamento, anche il falangio ha la capacità di purificare l’aria. In pratica, rimuove anidride carbonica e sostanze nocive, contribuendo a un ambiente più salutare per l’uomo.

    Il terreno ideale per il falangio
    Il falangio è una pianta che si adatta molto a qualunque terreno, a patto però che sia un terriccio ben drenante, meglio ancora se ricco di humus. Il consiglio è di non preparare un terreno in vaso caratterizzato esclusivamente da un solo tipo di terriccio, bensì di creare un substrato differente, sciolto e fertile.

    L’annaffiatura corretta del falangio
    Gestire correttamente il falangio significa anche innaffiare nel modo corretto la pianta. Questa pianta necessita di annaffiature regolari per crescere rigorosamente. È importante, però, fare molta attenzione alle condizioni del terreno. Nel caso di terreno troppo secco si dovrà intensificare la somministrazione dell’acqua e, al contrario, con terreno eccessivamente umido sarà utile ridurre le annaffiature. Un segno evidente del fatto che la pianta viene annaffiata poco si potrà notare anche sulle foglie, che in punta diventano secche.

    La concimazione del falangio
    Per rendere migliore la crescita della propria pianta si può anche concimare questa sempreverde selezionando un prodotto idrosolubile oppure liquido per piante verdi. In tal caso, è utile dare il concime al falangio ogni 2-3 settimane.

    La potatura del falangio
    La potatura di questa pianta permette al sempreverde di avere maggiore spinta nello sviluppo. Proprio per questo, è importante potarle eliminando le foglie o ramificazioni che non offrono più nulla. In questo modo, il fogliame nuovo sarà stimolato nella crescita e la pianta ragno si manterrà in forma. Il momento migliore per potare la pianta è dall’inizio della primavera fino a inizio autunno. Per quanto riguarda le foglie con punte secche, invece, sconsigliamo di potarle.

    Il falangio in inverno
    Ricordiamo che il falangio, in inverno, è in grado di tollerare fino a 15-13°C, ma non deve mai andare al di sotto dei 7°C. Il rischio è di far morire la pianta o danneggiare in maniera seria il fogliame. Proprio per questo, durante la stagione più fredda dell’anno suggeriamo di tenere la pianta in casa.

    La moltiplicazione della pianta ragno
    Per moltiplicare la pianta si può ricorrere all’uso di una talea della pianta ragno: in pratica, basta tagliare degli stoloni o piccoli cespi, facendo attenzione che vi sia un po’ di fusto. A questo punto, sarà necessario sistemare la pianta direttamente nella terra un po’ umida. La talea la si può fare in primavera: in una settimana circa, la pianta avrà iniziato a sviluppare l’apparato radicale.

    Le malattie del falangio
    Il falangio è una pianta che può incorrere nel marciume fogliare: in pratica, le infezioni batteriche iniziano ad intaccare la base delle foglie. Bisogna fare attenzione a non bagnare le foglie o lasciarla all’esterno sotto la pioggia. Anche le bruciature delle foglie cioè la peronospora fogliare colpisce questa pianta, portando alla comparsa di macchie gialle e appassimento. A favorire questa malattia fungina è sempre l’eccesso d’acqua. LEGGI TUTTO

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    Dal fegato allo stomaco, microplastiche nel 66% delle gazze marine trovate morte nel Tirreno

    Le hanno raccolte ed esaminate, approfonditamente. E dalle gazze marine trovate morte nel corso della stagione invernale 2022-2023, in cui un nutrito contingente di almeno 750 individui ha svernato eccezionalmente lungo le coste italiane, è arrivata un’amara conferma: nel 66% dei casi le carcasse contenevano plastica, divisa equamente tra frammenti e fibre. Arriva da un nuovo studio, condotto dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn in collaborazione con il Dipartimento di Veterinaria dell’Università degli studi di Napoli Federico II e l’Istituto portoghese MARE – Centro di Scienze Marine e Ambientali/ARNET e pubblicato sulla rivista “Marine Pollution Bulletin” un quadro non troppo incoraggiante sull’inquinamento da plastica nel Tirreno centrale, potenziale concausa del decesso di molti esemplari dell’uccello marino, tipico del Nord Atlantico, nella cui dieta compare quasi esclusivamente pesce pelagico.

    Ambiente e salute

    Basta bottiglie di plastica, inquinano e contengono inquinanti

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    25 Settembre 2024

    Plastica nello stomaco e nel fegato
    L’esame delle carcasse è stato, a quanto pare, inequivocabile: la plastica era presente soprattutto nello stomaco, seguito dal muscolo pettorale, e alcune fibre plastiche sono state trovate anche nel fegato. Negli animali raccolti, il 38 % degli elementi plastici era al di sopra dei 5 millimetri, mentre il 62% rientrava nel “range” delle microplastiche. Il polimero più rappresentato è risultato essere il polietilene (comparso nel 55% dei casi), seguito dal polipropilene (24,1%). Il primo è generalmente utilizzato per la produzione di sacchetti e bottiglie, il secondo è impiegato soprattutto nella produzione di contenitori per detersivi e yogurt.

    Inquinamento

    Ogni anno bruciamo 30 milioni di tonnellate di plastica

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    06 Settembre 2024

    Una minaccia alla biodiversità del Mediterraneo

    Anche se basati su un campione relativamente piccolo, i dati attestano la presenza ed abbondanza di plastiche in quest’area del Mediterraneo per la gazza marina, certificandone l’impatto su una specie particolare di uccello originario dei Mari del Nord, dove invece l’interazione con la cosiddetta marine litter non sarebbe così significativa: studi scientifici analoghi indicano infatti una presenza dello 0-1% su oltre 500 carcasse raccolte fra le coste dell’Inghilterra e dalla Scozia. Altre ricerche – concentrate in un’area di studio compresa tra Irlanda e Norvegia – segnalano addirittura la completa assenza di plastica nelle gazze marine trovate morte. Non è invece nuova l’evidenza per il Mar Mediterraneo, il cui bacino semichiuso rischia fatalmente di rivelarsi un hotspot per le microplastiche: qui le loro concentrazioni risultano circa quattro volte superiori, ad esempio, a quelle dell’Oceano Pacifico settentrionale.

    Inquinamento

    I solventi che purificano l’acqua dalle nanoplastiche

    di Anna Lisa Bonfanceschi

    28 Agosto 2024

    Ed è proprio sull’interazione tra marine litter e biodiversità marina – che nel Mediterraneo si traduce nella presenza di un numero prossimo alle 17 mila specie – che si gioca una partita importante per il futuro dell’intero pianeta.Qui, i primi studi sull’avifauna avevano del resto già ‘fotografato’ le dimensioni del fenomeno: una ricerca realizzata lungo le coste catalane ha evidenziato come 113 uccelli su 171 esaminati (66%) avevano ingerito plastica.

    (foto: Vincenzo Firpo)  LEGGI TUTTO

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    L’auto elettrica non tira più, in crisi la startup delle batterie

    Tempi difficili, in particolare in Europa per le aziende che si occupano di batterie per auto elettriche. Lo dimostra la vicenda Northvolt, startup svedese leader nella produzione di batterie per auto elettriche, nonché prima azienda europea a costruire una gigafactory di batterie in Svezia, che sta vivendo uno dei momenti più difficili dalla sua fondazione. Ma facciamo un passo indietro.

    Il 28 dicembre 2021 a Skellefteå, nel nord della Svezia, Northvolt annunciava la produzione della prima cella per batteria agli ioni di litio per uso automobilistico. L’impresa parlava di “un nuovo capitolo della storia industriale europea” visto che quella cella era la prima completamente disegnata, sviluppata e assemblata in una gigafactory da una compagnia europea di batterie. Il 23 settembre 2024, Northvolt ha comunicato l’avvio di una massiccia ristrutturazione che comporterà un ridimensionamento della forza lavoro con il licenziamento, di circa 1.600 lavoratori su 6mila. Anche l’azienda punta di diamante della produzione di batterie per auto elettriche made in Europe se la deve vedere con il brusco rallentamento delle vendite di veicoli elettrici e l’inarrestabile concorrenza orientale, soprattutto cinese. Il settore è, infatti, storicamente guidato dai colossi asiatici e le fabbriche di batterie già operanti in Europa si occupano principalmente di assemblare le celle per formare il pacco batteria, ma non di produrre l’elemento base.

    Storia e crisi di Northvolt
    Northvolt è stata fondata nel 2016 dall’ingegnere italiano Paolo Cerutti e dall’imprenditore svedese Peter Carlsson, attuale amministratore delegato, entrambi con un passato in Tesla. La startup nasce con l’obiettivo di produrre batterie agli ioni di litio sostenibili per veicoli elettrici, e fin da subito è stata considerata uno degli attori chiave nella sfida europea all’egemonia asiatica nel mercato delle batterie. L’azienda cresce rapidamente, tanto da ricevere una serie di finanziamenti corposi da istituzioni bancarie europee, per un totale di 15 miliardi di dollari. L’ultimo investimento a gennaio 2024. Prende 4,6 miliardi di euro per l’espansione della sua gigafactory Ett (aperta ufficialmente nel dicembre del 2021 a Skelleftea, nel nord della Svezia, principale hub minerario del paese nordico) per la produzione di catodi e celle per batterie, oltre all’ampliamento di un impianto adiacente per il riciclo delle batterie, Revolt Ett. Il recupero degli scarti di produzione e delle batterie a fine vita risulta significativo per l’azienda, che utilizza un processo di trattamento chimico multi-stadio per processare materiali critici come nichel, cobalto, manganese e litio, e così essere riutilizzati nelle sue linee di produzione. Dalla sua nascita Northvolt si conferma l’unico attore europeo attivo nella produzione di celle per batterie al litio, ottenendo anche il via libera da Bruxelles per la costruzione di un impianto in Germania con circa 1 miliardo di euro di aiuti di Stato dal governo tedesco. Partecipata al 21% da Volkswagen, la startup svedese ha inoltre la maggior parte delle forniture destinate proprio al Gruppo tedesco e a BMW.

    Mobilità green

    Northvolt avvia la produzione, dallo stabilimento svedese la prima batteria europea per auto elettriche

    di Andrea Tarquini

    30 Dicembre 2021

    Tuttavia, lo scenario muta rapidamente, e a causa della concorrenza asiatica diventata sempre più aggressiva nella produzione e del rallentamento delle vendite dei veicoli elettrici, a giugno 2024 è proprio BMW a cancellare un ordine da 2 miliardi di euro, adducendo come motivazione che Northvolt non sia stata in grado di rispettare i tempi di consegna. Da quel momento, le riflessioni interne dei vertici e la decisione dell’azienda svedese di rivedere i suoi piani strategici.

    Elettrico in crisi, Northvolt rivede le sue strategie
    Lo scorso 23 settembre Northvolt ha annunciato l’avvio di una revisione strategica che comporterà un significativo ridimensionamento delle sue attività e della sua forza lavoro. L’azienda ha comunicato in una nota come la decisione arrivi a causa del “mutato contesto macroeconomico e della necessità di nuove priorità a breve termine”. Questo cambiamento porterà a una riorganizzazione delle operazioni aziendali, che prevede il licenziamento di 1.600 unità lavorative (su un totale di circa 6000 dipendenti), la messa in manutenzione dell’impianto Northvolt Ett Upstream 1, situato in Svezia, la chiusura del programma Northvolt Fem e la vendita del sito produttivo di Kvarnsveden. Allo stesso tempo, saranno aperti tavoli con gli investitori per garantire la sostenibilità delle attività in Polonia e sarà integrata la sussidiaria americana Cuberg all’interno delle operazioni svedesi.

    Tutte queste operazioni, secondo quanto ha spiegato l’amministratore delegato Peter Carlsson, non pregiudicheranno l’impegno a lungo termine di Northvolt nella transizione globale verso l’elettrificazione, né la solidità delle prospettive future. Il presidente del consiglio Tom Johnstone ha peraltro confermato che il successo dell’azienda scandinava continuerà a dipendere dall’evoluzione del mercato dei veicoli elettrici e dal sostegno dei principali stakeholder. “Nonostante le attuali difficoltà, Northvolt non abbandona i suoi ambiziosi piani di espansione”. L’azienda ha infatti dichiarato che i progetti futuri in Svezia, Germania e Canada proseguiranno come previsto, anche se ha lasciato aperta la possibilità di modifiche alle tempistiche, in base all’evoluzione del contesto economico globale.

    Un sostegno fondamentale per il futuro dell’azienda potrebbe arrivare dalla Commissione Europea, che ha già dimostrato un forte interesse nel garantire il successo della startup svedese. Lo scorso 8 gennaio, Bruxelles aveva autorizzato la Germania a fornire un aiuto di Stato pari a 902 milioni di euro, destinati alla costruzione di una fabbrica di batterie per veicoli elettrici sul suolo tedesco. Questa misura è stata giustificata con la necessità di mantenere la produzione di batterie in Europa, evitando che Northvolt fosse attratta dalle agevolazioni fiscali offerti dagli Stati Uniti nell’ambito dell’Inflation Reduction Act, iniziativa per incentivare gli investimenti in tecnologie verdi. LEGGI TUTTO