Settembre 2024

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    La startup Vaia e i boschi distrutti dalla tempesta: “Dall’economia circolare sono nati 100mila abeti ma non basta”

    È l’ultima iniziativa realizzata da Vaia, la B Corp nata nel 2019 in risposta alla devastante omonima tempesta che distrusse intere foreste tra Veneto, Friuli e Alto Adige. A sei anni di distanza, le ferite della montagna sono ancora evidenti: solo parte degli alberi caduti è stata recuperata mentre molti giacciono ancora a terra, rendendo la foresta spoglia e vulnerabile all’infestazione del bostrico, un coleottero che ne rallenta ulteriormente la rigenerazione e che sta causando nuovi, devastanti danni.

    Il problema non è solo ambientale, ma anche e soprattutto economico e sociale: la tempesta ha aggravato temi già esistenti, che affliggono le comunità montane di tutta Italia e non solo, come lo spopolamento causato dalla mancanza di opportunità, sviluppo e servizi. Il recupero degli alberi abbattuti si è rivelato costoso e in alcuni casi impraticabile, evidenziando complessità di coordinamento e organizzative tra gli enti preposti alla tutela e salvaguardia del bosco. “Nonostante l’aumento della superficie forestale, la qualità del bosco sta peggiorando. Gli abitanti, che oggi traggono beneficio dalla vendita del legname, rischiano di non avere più risorse tra 50 anni, poiché il capitale naturale si sta esaurendo”, spiega Federico Stefani, co-fondatore della startup insieme a Paolo Milan e Giuseppe Addamo.

    Federico Stefani, co-fondatore della startup Vaia insieme a Paolo Milan e Giuseppe Addamo  LEGGI TUTTO

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    Pianta di piombo (Aspidistra elatior): come prendersene cura

    L’ aspidistra elatior, che ha conosciuto la sua maggior popolarità negli anni 70 e 80, è una pianta molto apprezzata per decorare gli interni degli appartamenti e degli uffici. Si tratta di una sempreverde della famiglia delle liliacee che cresce in natura nel sottobosco della foresta cinese. Ecco tutto quello che c’è da conoscere per prendersi cura della coltivazione di questa pianta.

    La coltivazione dell’aspidistra elatior
    Prendersi cura dell’aspidistra elatior non è complicato: infatti, è in grado di adattarsi alla perfezione anche a condizioni più complesse, rispetto quelle richieste da altre piante. L’esposizione dell’aspidistra elatior è veramente limitata, tanto che spesso viene sistemata in aree della casa abbastanza buie come l’ingresso, taverne e pianerottoli. Questa sempreverde richiede minima luce e non ama assolutamente la luce diretta dei raggi solari. Infatti, può succedere che un’esposizione scorretta, anche se breve al sole, faccia comparire estese scottature sulle foglie.

    Il corretto posizionamento della pianta consente anche di migliorare lo sviluppo: in questo modo, l’aspidistra elatior è in grado di crescere sana, raggiungendo la sua altezza massima di 50-100 centimetri. Le sue foglie si sviluppano lungo i fusti a ciuffi ed hanno una forma lanceolata e possono arrivare ad una lunghezza massima di 70 centimetri e 20 centimetri di larghezza. I fiori, invece, sono rossi-viola scuri e si possono osservare con l’arrivo della stagione estiva. Ad ogni modo, la pianta apprezza particolarmente temperature comprese tra i 5°C e i 20°C; in caso di più caldo si noterà una crescita difficoltosa dell’aspidistra elatior.

    Il terreno giusto per l’aspidistra elatior
    L’aspidistra elatior gradisce un terreno abbastanza normale, ma allo stesso tempo deve essere caratterizzato da un substrato fertile e ricco di sostanze organolettiche. Con coltivazione in vaso è meglio scegliere un terriccio universale unito a sabbia e humus. Inoltre, è importante selezionare un terriccio che possa garantire un ottimo drenaggio, così da mantenere la terra sempre al punto giusto, mai troppo umida e mai troppo secca.

    L’annaffiatura corretta dell’aspidistra elatior

    Come capita per molte piante d’appartamento, anche l’aspidistra elatior non ama troppa acqua. Proprio per questo, è necessario annaffiare la pianta in maniera moderata, assicurando comunque un terriccio drenante e privo di eccessiva umidità.

    La concimazione dell’aspidistra elatior
    Con l’arrivo della primavera si può iniziare a pensare alla concimazione dell’aspidistra elatior. Sarà utile dare del concime liquido per piante verdi, una volta al mese. In questo modo, lo sviluppo del sempreverde sarà ottimale e, si potrà ammirare anche la fioritura con l’arrivo dell’estate.

    La potatura e il rinvaso dell’aspidistra elatior
    La pianta gradisce essere potata in alcune circostanze: per esempio, per togliere le foglie danneggiate e quelle secche. In primavera è possibile anche occuparsi del rinvaso: in tal caso, è importante selezionare un vaso che sia grande di 1-2 misure in più rispetto al precedente. In questa maniera, la pianta ha la possibilità di continuare lo sviluppo senza incontrare alcun ostacolo. In caso di piante eccessivamente grandi, si può decidere anche di dividere i ceppi, così da utilizzare dei vasi non troppo grandi.

    I rischi per l’aspidistra elatior
    In generale, l’aspidistra elatior non soffre per l’attacco di parassiti, ad eccezione della cocciniglia. In pratica, si può manifestare questa malattia sulle foglie con chiazze bianche. In tal caso è fondamentale eliminare la cocciniglia non appena compare, aiutandosi con un dischetto di cotone. Inoltre, è bene ricordarsi di spolverare le foglie per evitare anche la comparsa di ulteriori problematiche. L’aspidistra elatior può andare incontro a dei problemi per una coltivazione errata da parte dell’uomo. Per esempio, esponendola in maniera scorretta ai raggi diretti del sole si possono manifestare delle bruciature sulle foglie. Inoltre, possono comparire macchie scure oppure appassimento o crescita rallentata nel caso in cui si sia selezionato un terriccio poco drenante o per annaffiature eccessive. LEGGI TUTTO

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    “La mobesity non aiuta l’ambiente. Serve una tassa sui SUV elettrici”

    Il SUV elettrici e tutti i veicoli analoghi di grandi dimensioni rischiano di compromettere i benefici ambientali ed economici generati dalla transizione verso il trasporto stradale elettrificato. Ne è convinto Christian Brand – professore del dipartimento di Transport, Energy and Climate Change presso l’Università di Oxford – che ha battezzato il fenomeno come mobesità (mobesity).

    In un suo recente articolo pubblicato su Nature Energy, lo scienziato inglese ha puntato il dito sul comparto e-SUV. Se da una parte, per sua stessa ammissione “sono circa tre volte più efficienti dal punto di vista energetico rispetto alle loro controparti tradizionali con motore a combustione interna”, dall’altra veicoli elettrici più grandi consumano più energia e richiedono più risorse per la produzione, incidendo negativamente sulla complessiva impronta ambientale. Insomma il loro ciclo di vita è più impattante, rispetto a veicoli elettrici più modesti.

    Brand si spinge oltre, sostenendo che l’industria è connivente con questa tendenza: aumentano infatti i veicoli elettrici di grandi dimensioni e con prezzi maggiorati, anche se i costi produttivi a suo parere risultano essere proporzionalmente inferiori. Insomma, considerando la contemporanea azione del marketing e della pubblicità, si starebbe rafforzando il messaggio che SUV ed elettrificazione sono un binomio ideale, fatto di comodità e autonomia. L’Agenzia Internazionale per l’Energia nel suo ultimo Global EV Outlook 2024 ha infatti sottolineato che gli e-SUV rappresentano oltre il 60% del mercato globale elettrico.

    Il problema è che questo genera un aumento della domanda di batterie più grandi e motori più potenti e quindi sale la richiesta di litio, cobalto e altre materie prime critiche. E alla fine l’estrazione, com’è risaputo, incide negativamente sui consumi energetici e sull’ambiente. Il saldo finale è che i potenziali effetti benefici dell’elettrificazione vengono ridimensionati. Senza contare quel che vale per ogni veicolo di grandi dimensioni: aumento dell’usura dei pneumatici e delle strade, “con conseguente aumento delle emissioni di particolato”.

    Brand suggerisce quindi una strategia che coinvolga politica, innovazione e sensibilizzazione dei consumatori. I decisori, sempre a suo parere, dovrebbero approvare norme che scoraggino la produzione e l’acquisto di veicoli di grandi dimensioni a favore di mezzi più efficienti e meno impattanti. Ad esempio suggerisce una tassa progressiva che consideri come parametri il peso, magari relazionato a dimensioni e potenza, nonché emissioni di CO2. Sulla falsariga di quanto sta avvenendo in Francia, Svezia e alcuni Stati degli Stati Uniti, nonché a New York.

    “Una tassazione al punto vendita garantisce l’equità per chi opera nel mercato delle auto di seconda mano. Sono inoltre essenziali incentivi più forti per i produttori affinché sviluppino e commercializzino veicoli elettrici più piccoli”, scrive il docente. Il concetto di fondo è che l’attuale politica di sussidi e agevolazioni, in auge in Europa, non fa differenza fra i veicoli elettrici. In ambito locale si potrebbe fare di più per il recupero e riciclo; Brand si spinge oltre perché ipotizza il coinvolgimento delle amministrazioni locali affinché vengano applicate tariffe di parcheggio più alte ai SUV – come è avvenuto a Parigi dopo il referendum di febbraio.

    Un altro fronte è quello dell’innovazione, soprattutto se si considera la prospettiva di avere batterie ad alta densità energetica, e con minore quantità di materiali, che potrebbero consentire anche ai veicoli più piccoli grande autonomia. Già, perché uno dei motivi per cui sono graditi gli e-SUV di grandi dimensioni è proprio perché promettono chilometraggi record. Ad esempio, la nuova Audi Q6 e-tron dovrebbe essere in grado di superare i 600 km con un “pieno”. Non meno importante la diffusione e la capillarità dei nuovi sistemi di ricarica veloce: fast charge fino a 100 kW e ultra-fast sopra i 100 kW.

    “È necessaria una cooperazione internazionale per gestire la domanda globale di materie prime critiche essenziali per le batterie dei veicoli elettrici. Promuovendo un’economia circolare e migliorando gli accordi internazionali sulle pratiche estrattive, possiamo ridurre l’impatto ambientale dell’estrazione delle risorse, sostenendo al contempo la transizione globale verso l’elettrificazione”, conclude il docente.

    In sintesi la transizione verso la mobilità elettrica è fattibile e positiva per la riduzione dell’impronta di carbonio del settore trasporti, ma si rischia di mancare l’obiettivo se non si considerano gli effetti collaterali della mobesità. LEGGI TUTTO

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    L’autodifesa delle piante: sanno comunicare a distanza la presenza di un predatore

    Le piante non possono muoversi e non hanno organi fonatori, eppure riescono a scambiare informazioni tra loro e a coordinare le risposte ai pericoli che arrivano dall’ambiente. Uno studio appena pubblicato su Science, ad esempio, rivela che molte specie di piante possiedono probabilmente la capacità di comunicare a grande distanza un segnale di pericolo quando vengono attaccate da un predatore, in modo che gli organismi vegetali che ricevono il messaggio possano preparare in anticipo le proprie difese.

    Biodiversità

    Piantare fiori può aiutare gli impollinatori, ovunque lo si faccia

    di Sara Carmignani

    11 Settembre 2024

    Lo studio, realizzato da un team di biologi e di fisici dell’atmosfera dell’Università della Finlandia Orientale, approfondisce le conoscenze già disponibili sulla trasmissione di informazioni da parte delle piante legata alla diffusione di sostanze chimiche nell’aria. È noto da tempo, infatti, che le piante rilasciano dei composti noti come Voc (composti organici volatili) in seguito all’attacco di erbivori (in particolare insetti). E che questi segnali possono indurre nelle piante circostanti l’attivazione di strategie difensive, come l’inspessimento delle foglie o la produzione di tossine, in previsione del probabile attacco.

    Meno chiaro, invece, era cosa accadesse a questi messaggi chimici una volta raggiunte le piante nelle immediate vicinanze. “I composti organici volatili (Voc) reattivi emessi dalle piante vanno incontro a reazioni chimiche ossidative che danno origine ai cosiddetti aerosol organici secondari”, spiega Hao Yu, biochimico che ha partecipato allo studio. “Ci siamo quindi chiesti se le funzioni ecologiche che vengono mediate dai Voc persistessero anche una volta ossidati”.

    Gli esperimenti svolti dai ricercatori dell’università finlandese hanno coinvolto dei germogli di pino, e i fenomeni chimici che vengono innescati quando vengono danneggiate da uno dei loro predatori, il coleottero conosciuto come ilobio dell’abete (Hylobius abietis). La ricerca ha dimostrato che in caso di attacco, le piantine rilasciano composti organici volatili in grado di attivare i meccanismi difensivi delle altre piante della stessa specie, e che l’attività biologica di queste molecole rimane invariata anche in seguito alla loro ossidazione e alla formazione di aerosol organici secondari. LEGGI TUTTO

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    Lazio, 30 milioni per progetti di economia circolare

    Regione Lazio in pista con un nuovo bando per supportare le piccole imprese che decidono di puntare sull’economia circolare. Sarà riconosciuto un bonus alle aziende che introducono innovazioni nei processi e nei prodotti che tenendo conto del loro intero ciclo di vita ne allungano la durata, e consentono manutenzione e riparazioni, evitando così di generare rifiuti non riciclabili o residui non riutilizzabili al termine del ciclo di vita. A disposizione un fondo di 30 milioni di euro. Le domande per il contributo a fondo perduto si potranno presentare da ottobre.

    Stop rifiuti e più prodotti riparabili
    Il bando punta a ridurre le quantità di scarti e rifiuti industriali. In particolare sostiene gli investimenti per la riduzione del consumo di risorse, la sostituzione dell’uso di materie prime primarie con materie prime secondarie, la prevenzione e riduzione della produzione di rifiuti, il riutilizzo e il riciclo degli scarti. Tra gli obiettivi c’è anche l’innovazione nei prodotti, con particolare attenzione all’intero ciclo di vita, allungandone la durata e consentendo la riparabilità e la manutenzione, permettendone la smontabilità delle diverse componenti in relazione alle tipologie di materiali impiegati e al loro riutilizzo. I progetti dovranno anche assicurare una riduzione delle risorse consumate, inclusa l’energia, sia nella fase produttiva sia durante l’utilizzo da parte dei consumatori rispetto a prodotti analoghi presenti sul mercato. Ogni progetto presentato deve essere di importo non inferiore a 150 mila euro e il contributo massimo erogabile non può superare 2 milioni di euro. Il finanziamento varia in funzione della grandezza dell’impresa e della zona produttiva. Per le piccole imprese si va da un minimo dal 45% ad un massimo del 65% dell’importo del progetto.

    Riciclo e riuso
    I progetti per l’uso efficiente delle risorse che possono essere finanziati devono avere almeno uno dei seguenti obiettivi:
    • riduzione netta delle risorse consumate;
    • sostituzione dell’uso di materie prime primarie con materie prime secondarie, ossia riutilizzate, recuperate, o riciclate;
    • prevenzione eriduzione della produzione di rifiuti;
    • riutilizzo, decontaminazione ericiclaggio dei rifiuti prodotti;
    • raccolta e trattamento di altri prodotti, materiali o sostanze che sarebbero altrimenti inutilizzati o utilizzati secondo una modalità meno efficiente sotto il profilo delle risorse;
    • raccolta differenziata dei rifiuti speciali in vista della preparazione per il riutilizzo o il riciclaggio.

    Sono escluse in ogni caso le operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti per la produzione di energia e gli investimenti che comportano un aumento nella produzione di rifiuti o un maggiore uso di risorse.

    Prodotti riparabili e a risparmio energetico
    Nel caso dei progetti di innovazione di prodotto i finanziamenti andranno a quelli chetenendo conto del loro intero ciclo di vita (Life Cycle Thinking), conseguono almeno uno dei seguenti obiettivi:
    • ne allungano la durata, anche consentendo la riparabilità e la manutenzione;
    • evitano di generare rifiuti non riciclabili o residui non riutilizzabili al termine del ciclo di vita, permettendone la smontabilità delle diverse componenti in relazione alle tipologie di materiali impiegati e al loro riutilizzo;
    • riducono le risorse consumate inclusa l’energia, durante l’utilizzo da parte dei consumatori, rispetto a
    • prodotti analoghi presenti sul mercato.
    E’ possibile presentare anche un progetto unitario che tenga conto di entrambi gli obbiettivi.

    Domande da ottobre
    Il bando prevede l’erogazione dei contributi a sportello, vale a dire nel rispetto dell’ordine cronologico di presentazione delle domande. La valutazione terrà conto della valenza ambientale complessiva. Lo sportello on line sarà aperto nella seconda metà del mese di ottobre. LEGGI TUTTO

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    Teresa Ribera, chi è la nuova responsabile dell’ambiente della Commissione Ue

    Se c’erano dubbi sulla reale intenzione di Ursula von Der Leyen di proseguire sulla strada del Green Deal, la candidatura della ministra spagnola Teresa Ribera Rodriguez a vicepresidente esecutiva della Commissione, responsabile per la transizione giusta, pulita e competitiva, sembra fugare ogni dubbio. Anche al netto della nuova formulazione: il suo predecessore, l’olandese Frans Timmermans, era assai più esplicitamente “commissario al Clima e al Green Deal Europeo”. Ma se la denominazione dell’incarico può essere frutto di trattative volte a tranquillizzare chi ritiene le politiche ambientali europea “pericolose” per la tenuta delle industrie del vecchio continente, la biografia della Ribera la colloca in una posizione ancora più dura rispetto a Timmermans.

    La ministra dell’Ambiente spagnola si prese letteralmente la scena internazionale, rubandola al malcapitato Wopke Hoekstra (subentrato a Timmermans che nel frattempo si era candidato alle politiche olandesi) lo scorso dicembre alla Cop29 di Dubai. Ribera rappresentava l’Unione in virtù del semestre europeo in quei mesi a guida spagnola. E fu la protagonista di un braccio di ferro con Abdulaziz bin Salman, il “signore del petrolio”, ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita, figlio del re Salman, nonché fratellastro del principe ereditario Mohammed bin Salman. Da una parte la paladina dell’uscita dai combustibili fossili, dall’altra i leader indiscusso dell’Opec. Nelle concitate fasi finali della Conferenza sul clima di Dubai, fu lei a lapidare come “disgustosa” la lettera con cui l’Opec aveva cercato di serrare i ranghi dei Paesi produttori di petrolio. Ed fu lei a sedere alla destra del segretario generale Onu Guterres, nell’incontro avviava l’ultima giornata di trattative di Cop28.

    Il bilancio

    Cop28, vertice storico ma non basta per fermare la corsa della crisi climatica

    di Luca Fraioli

    16 Dicembre 2023

    L’obiettivo della Ribera era anche ritagliare per l’Europa un ruolo non marginale nella diplomazia climatica. Anche se poi, a onor del vero, l’accordo finale di Cop28 con la prima citazione esplicita di addio a carbone, petrolio e gas (pur nella ambigua formula “transition away”), va ascritto al potere di convincimento che esercitarono Usa e Cina, più che l’Europa, sui Paesi produttori di combustibili fossili. Teresa Ribera Rodriguez ha una formazione giuridica, seguita da una carriera da alta funzionaria nella pubblica amministrazione spagnola, e diversi incarichi presso le Nazioni Unite nel campo dello sviluppo sostenibile e dei cambiamenti climatici.

    Nel 2018 il premier spagnolo Pedro Sanchez la sceglie per il ministero della Transizione ecologica. Due anni dopo diventa anche uno dei quatto vice del primo ministro. Nel suo tentativo di rendere green la Spagna, dichiara guerra al carbone, chiude le miniere nel nord del Paese e stanzia 250 milioni di euro per sostenere i lavoratori del comparto costretti alla riconversione. Nel luglio scorso si presenta in bici a una conferenza sul clima a Valladolid, ma pochi metri dietro di lei ci sono le due auto della scorta. Il fatto che fossero elettriche non le risparmia critiche e ironie.

    I personaggi

    Il principe e l’eco-ministra: a Dubai le due facce del mondo sono Abdulaziz e Teresa

    di Luca Fraioli

    13 Dicembre 2023

    Ora, se il Parlamento europeo le voterà la fiducia, dovrà completare la transizione ecologica, “gemella” di quella digitale, come ha detto Von Der Leyen nella presentazione della sua squadra. E dovrà affrontare il suo primo ostacolo proprio sulle auto elettriche, con Paesi, l’Italia prima tra tutti, che chiedono alla Ue di fare dietrofront sullo stop ai motori a combustione a partire dal 2035. Difficile che Ribera possa cedere su questo punto. E allora sarà curioso vedere se, non solo i partiti della maggioranza europea come Verdi e Socialisti voteranno la fiducia al candidato vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto, ma anche se i rappresentanti di Fratelli d’Italia e Forza Italia, diranno sì a Teresa Ribera. LEGGI TUTTO

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    Con Retake le città ripartono dal basso

    “Sostenere i cittadini intenzionati a svolgere un ruolo attivo nei luoghi in cui vivono quotidianamente”. Così Francesca Leonelli, presidente di Retake, sintetizza il ruolo della Fondazione attiva nella tutela dell’ambiente e la cura dei beni comuni. Per la vivibilità e la rigenerazione urbana Un ente non profit di cittadini per il bene comune . “Il […] LEGGI TUTTO

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    Il salice piangente: caratteristiche, tipi e cura

    Il salice piangente è una pianta originaria della Cina e generalmente la si trova in prossimità di aree dove è presente un corso d’acqua oppure un laghetto, giacché la pianta ha bisogno di molta acqua.

    La coltivazione e la messa a dimora del salice piangente
    Il salice piangente o salix babylonica è una pianta davvero molto elegante che non possiamo fare a meno di immaginare nei grandi parchi con i laghetti. Questa pianta è stata esportata dalla Cina nel nostro continente nel 1692 ed è legata alla simbologia della immortalità. La coltivazione del salice piangente nel nostro Paese è ormai comune, tanto che è possibile sempre individuare la pianta nei pressi di laghi, fiumi o torrenti. Questo perché il salice piangente richiede proprio un tipo di terreno umido. Con la corretta coltivazione di questo albero è possibile ottenere una pianta sana che arriva addirittura a 15 metri; solo in casi eccezionali si possono individuare anche esemplari da 25 metri. Per la corretta messa a dimora è necessario selezionare un angolo del giardino fisso: infatti, una volta a terra lo sviluppo dell’albero sarà incredibilmente veloce. Sono assolutamente da escludere aree rivolte verso i muri, giacché la pianta non si sviluppa correttamente. È importante tenere a mente che il salice piangente ha bisogno di spazio per crescere bene e dovrà trovarsi a circa 2 metri di distanza da altre piante. Se non si ha a disposizione una pianta già sviluppata, è possibile attraverso una talea legnosa riprodurre il salice piangente.

    La fioritura del salice piangente
    Il salice piangente è una pianta dioica e, di conseguenza, i fiori che si possono ammirare sugli esemplari maschi e femmine sono differenti. Gli amenti, nome con il quale sono indicati i fiorellini del salice piangente, sono a grappolo: negli esemplari maschili sono gialli e più lunghi, mentre in quelli femminili abbiamo fiori piccoli e di colore verde chiaro. Il periodo in cui è possibile ammirare la fioritura del salice piangente è circa in primavera, tra aprile e maggio. Successivamente compaiono anche i frutti, con capsule che contengono semi con ciuffi di peli bianchi e setosi.

    L’annaffiatura del salice piangente
    A differenza di molte altre piante, il salice piangente non teme assolutamente i ristagni d’acqua. Infatti, è una di quelle piante che ha bisogno costantemente di essere irrigata e, proprio per questo, si selezionano terreni umidi, meglio se in prossimità d’acqua. In caso di siccità estiva, è necessario incrementare ulteriormente l’irrigazione e un segno evidente della necessità d’acqua è la presenza di foglie secche.

    L’esposizione migliore per il salice piangente
    Per quanto riguarda l’esposizione consigliata per questo albero, il salice piangente ama aree esposte al sole o mezzombra. In questo modo, ha la possibilità di svilupparsi correttamente, sempre a patto però di ottenere una giusta irrigazione.

    La concimazione del salice piangente
    Per la concimazione del salice piangente si può ricorrere a quello di tipo organico: con l’arrivo della stagione autunnale basterà diluire in acqua il concime in polvere. In alternativa, è possibile dare maggiore spinta alla crescita della pianta in primavera: in tal caso, sarà importante selezionare una soluzione che contenga solfato di ferro, utile per l’appunto per dare maggiore energia all’albero durante la fase di crescita.

    La potatura del salice piangente
    Generalmente si ricorre alla potatura del salice piangente per donare un aspetto piacevole alla pianta. Infatti, questo albero non ha bisogno di essere potato, poiché i suoi rami assumono una forma a cascata molto ornamentale.

    Le malattie e i parassiti del salice piangente
    Questo è un albero che vive a lungo e riesce addirittura a raggiungere i 30 anni, ma durante il suo ciclo di vita può incontrare alcune difficoltà, come le malattie. Fra i peggiori problemi che si possono manifestare vi sono quelli dovuti alla presenza di parassiti come pidocchi, afidi e bruchi. L’attacco di questi parassiti può addirittura portare alla morte della pianta, poiché i rami si indeboliscono e diventano più sottili. Un’altra problematica in cui può incorrere il salice piangente è la malattia fungina della ruggine. Infine, non dimentichiamo anche il cancro rameale che è un’altra grave malattia del salice da trattare con estrema velocità per evitare la diffusione. LEGGI TUTTO