Settembre 2024

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consigliato per te

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    Le piante grasse da interno per un’oasi domestica

    Con le piante grasse da interno si possono creare delle oasi verdi nelle nostre case. Vediamo quali piante scegliere e come curarle.

    La sansevieria trifasciata
    La sansevieria trifasciata è la regina delle piante grasse da interno: conosciuta anche coi nomi di “lingua di suocera”, “sanseveria” o “spada di San Giorgio” è originaria dell’Africa Subsahariana. Negli ambienti domestici, fa bella mostra di sé grazie alle foglie allungate e sottili, caratterizzate da una screziatura giallognola sui bordi, che possono superare il metro di lunghezza. La sansevieria non richiede la luce solare diretta: può essere collocata in un locale con luce indiretta e una temperatura minima attorno ai 15 gradi. Accertiamoci di scegliere però un ambiente in cui la pianta non sia esposta alle correnti d’aria, che non tollera in alcun modo. Il terreno ideale di coltivazione dev’essere fertile e sufficientemente drenante, per evitare ristagni idrici. Per favorire il drenaggio, possiamo sistemare alcuni cocci di terracotta sul fondo. Possiamo rinvasare la pianta quando le radici hanno esaurito lo spazio a disposizione per crescere: il momento ideale per il rinvaso è all’inizio della primavera. Durante la stagione vegetativa, tra un’innaffiatura e l’altra, attendiamo che il terreno sia ben asciutto: gli eccessi idrici possono infatti compromettere il rizoma della pianta. Tra la primavera e l’estate, possiamo aggiungere mensilmente del fertilizzante liquido all’acqua dell’innaffiatura. In inverno, le annaffiature vanno ridotte ad una volta al mese. La sansevieria non richiede potature, ma solo l’eliminazione delle foglie secche. Se notiamo delle macchie marroni sulle foglie, significa che abbiamo esagerato con l’acqua: in questo caso, dobbiamo levare la sansevieria dal vaso ed eliminare le parti danneggiate del rizoma. Attendiamo una settimana prima di sistemare nuovamente la pianta nel contenitore.

    Il sedum morganianum
    Il sedum morganianum, conosciuto anche come “coda d’asino” o “sedum burrito”, è una pianta succulenta appartenente alla famiglia delle crassulacee, originaria del Messico del sud. Il sedum si contraddistingue per la crescita dal portamento ricadente, una peculiarità che ci permette di coltivarlo anche in vasi sospesi. Il sedum ci regala una bella fioritura a cavallo tra la primavera e l’estate, con piccoli fiori di colore rosso o rosato. Ricordiamoci di non esporlo alla luce solare diretta e di scegliere un luogo con una buona ventilazione, con temperature minime attorno ai 13 gradi. La pianta va annaffiata solo tra la primavera e l’estate, prestando attenzione che il terreno sia sempre ben asciutto tra un’innaffiatura e l’altra. In questo periodo, possiamo anche concimarla una volta al mese, aggiungendo del fertilizzante liquido all’acqua. Tra l’autunno e l’inverno non è necessario bagnare la pianta. Il sedum non ama i ristagni idrici: accertiamoci quindi che il terreno non sia fradicio e che non rimanga mai dell’acqua nel sottovaso. Possiamo rinvasare la pianta quando le radici non hanno più spazio per svilupparsi. Scegliamo del terriccio ideale per le cactacee, arricchendolo con della sabbia o perlite. Sul fondo del contenitore, sistemiamo dei cocci che favoriscano il drenaggio dell’acqua. Il sedum non richiede potature particolari: dobbiamo però rimuovere le foglie secche o rovinate. Le avversità più comuni sono dovute ad eccessi di irrigazione (macchie di marciume), temperature minime inadeguate (perdita delle foglie) o innaffiatura insufficiente (foglie svuotate e sbiadite).

    La zamioculcas zamiifolia
    La zamioculcas zamiifolia è una pianta che fa parte della famiglia delle aracee, le cui origini sono da ricercare nell’Africa orientale. La zamioculcas si distingue per la brillantezza delle sue foglie, che sono anche molto lucide. Quando trova le condizioni ambientali ottimali per fiorire, la pianta regala un’infiorescenza che ricorda molto quella della calla. La zamioculcas zamiifolia non va esposta alla luce solare diretta e vegeta bene sia in ambienti luminosi sia in penombra. Il terreno ideale per la coltivazione deve assicurare un buon livello di drenaggio ed essere morbido. La pianta va rinvasata solo quando il contenitore non ne consente più lo sviluppo: il rinvaso va effettuato in primavera. La zamioculcas zamiifolia sopporta molto bene il caldo, mentre le temperature minime non devono mai essere al di sotto dei 15 gradi. L’esposizione in ambienti più o meno luminosi determina anche la quantità di acqua da apportare con l’annaffiatura. In ogni caso, ricordiamoci di lasciar asciugare il terreno tra le innaffiature e che la pianta non tollera i ristagni idrici. Durante la primavera e l’estate, possiamo concimarla una volta al mese, aggiungendo del fertilizzante liquido all’acqua. La zamioculcas zamiifolia non richiede alcuna potatura regolare, ma solo l’eliminazione delle foglie secche o danneggiate. Non dimentichiamoci inoltre di pulire le foglie dalla polvere che si deposita sulle stesse. Se le foglie tendono ad ingiallire o cadere, riduciamo le annaffiature LEGGI TUTTO

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    Riscaldamento, tapparelle, elettrodomestici e pannelli solari: come risparmiare in casa entro fine anno

    Autunno alle porte. È questo il momento migliore per mettere in cantiere quei piccoli interventi che consentono di risparmiare sul riscaldamento, senza spese eccessive e senza rivoluzionare gli impianti di tutta la casa. Mini interventi che hanno comunque un impatto sulla bolletta in termini di riduzione del consumo energetico e che per questo sono agevolati con la detrazione fiscale del 50%. E di qui a fine anno si può ancora abbinare a questa agevolazione il bonus mobili da utilizzare per acquistare elettrodomestici più efficienti con l’aiuto del Fisco.

    Come sfruttare il bonus casa per sostituire i radiatori
    Chi decide di migliorare l’efficienza del proprio appartamento può contare sulla detrazione per ristrutturazione con aliquota al 50% e con tetto di spesa a 96.000 euro. L’agevolazione, infatti, viene riconosciuta per tutti gli interventi che consentono un risparmio energetico, anche quando sono realizzati senza lavori edilizi veri e propri, come chiarito da tempo dall’Agenzia delle entrate. È necessario solo siano presenti elementi di innovazione rispetto alla situazione precedente debitamente certificati, e, ovviamente, che tutte le fatture vengano pagare con il bonifico dedicato. Rispettando queste regole sul fronte del riscaldamento, sono agevolati anche gli acquisti di nuovi radiatori più performanti rispetto ai precedenti, senza la necessità di cambiare la caldaia. Allo stesso modo la detrazione spetta per l’installazione delle termovalvole sui termosifoni, purché la fattura comprenda acquisto e posa in opera.

    Fisco verde

    Riscaldamento, torna il bonus per rinnovare l’impianto con biomassa o pompa di calore

    di Antonella Donati

    11 Settembre 2024

    Nuove tapparelle con la detrazione
    Considerando le finestre, poi, la stessa detrazione è riconosciuta anche per la semplice sostituzione dei vetri con altri di nuova generazione che riducono le dispersioni termiche, senza la necessità di intervenire anche sugli infissi. Rientra a pieno titolo nell’agevolazione anche per la sostituzione di tapparelle e persiane con altre di materiale diverso e a loro volta debitamente certificate a risparmio energetico. Ammessi al bonus anche gli interventi per la coibentazione dei soli cassonetti, sempre a fronte della relativa dichiarazione relativa al risparmio energetico.

    Nel bonus anche i pannelli solari da balcone
    Nell’ambito degli interventi poco costosi ma riducono comunque l’uso dei combustibili fossili e sono quindi agevolati, rientra anche per l’installazione dei pannelli solari da balcone. Si tratta dei pannelli di piccole dimensioni che si possono agganciare alla ringhiera, e che sono in grado di assicurare una produzione di energia che può consentire di risparmiare fino al 20% dei consumi, purché l’energia sia utilizzata nel momento in cui i pannelli la producono, dunque nelle ore di sole. Anche questi pannelli, comunque, possono essere abbinati con le batterie di accumulo per avere a disposizione l’energia solare nell’arco dell’intera giornata. Per la detrazione è sempre necessario che l’installazione sia effettuata da un tecnico autorizzato.

    Bonus mobili per elettrodomestici e lampade a led
    Chi gode della detrazione per gli interventi appena visti può usufruire anche della detrazione del 50% per l’acquisto degli elettrodomestici a risparmio energetico. Il bonus mobili, infatti, è riconosciuto anche per l’acquisto degli elettrodomestici che hanno l’etichetta energetica. Dalla lavatrice al nuovo boiler, dai forni a microonde alla lavapiatti, è possibile ottenere la detrazione del 50% su una spesa massima di 5.000 euro, purché l’acquisto degli elettrodomestici sia successivo a quello dell’intervento di risparmio energetico agevolato. Rientrano peraltro tra gli acquisti che possono essere fatti con il bonus anche le lampade e le relative lampadine a led. Secondo i calcoli dell’Enea scegliere elettrodomestici di classe energetica superiore consente di risparmiare sulle bollette fino al 20%. LEGGI TUTTO

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    Basta bottiglie di plastica, inquinano e contengono inquinanti

    L’acqua del rubinetto? “Pietra angolare della responsabilità ambientale e della salute pubblica”. Il messaggio arriva dal commento ospitato in questi giorni sulle pagine di BMJ Global Health: in gioco c’è la salute dell’ambiente sì, ma anche quella umana.
    A firmare quello che suona come un rinnovato appello a prediligere borracce e caraffe, sono alcuni esperti della Weill Cornell Medicine del Qatar e del New York Medical College, che mettono sul piatto numeri e ragioni per rinvigorire le azioni contro quello che definiscono senza dubbio un consumo “eccessivo” di acqua in bottiglia. Non c’è un aspetto, nei vari da loro affrontati, in cui il consumo di acqua imbottigliata possa apparire superiore a quella del rubinetto. Parliamo, ovviamente, dei paesi a medio e alto reddito, dove l’acqua del rubinetto è controllata, potabile e generalmente di buona qualità. In Italia, per esempio, quella del rubinetto rispetta largamente i parametri richiesti per legge, come reso noto nei mesi scorsi dal Centro nazionale per la sicurezza delle acque (CeNSiA) dell’Istituto superiore di sanità (Iss).

    Ambiente

    Dal Giappone, le perle di ceramica per purificare l’acqua del rubinetto e ridurre la plastica

    di Paolo Travisi

    13 Agosto 2024

    L’acqua in bottiglia non conviene quasi mai
    Non certo dal punto di vista energetico, scrivono Amit Abraham e colleghi: è più dispendiosa di circa duemila volte rispetto a quella del rubinetto, e per produrre un solo litro di questa possono servire fino a 35 litri di acqua. E i numeri sono enormi, dal momento che, ricordano gli autori, le stime dicono che ogni minuto al mondo si comprano un milione di bottiglie, che finiscono in buona parte dei casi in giro per l’ambiente: il 12% dei rifiuti di plastica arriva da qui.

    Longform

    Tutto quello che sappiamo sulle microplastiche e quanto inquinano

    di Paola Arosio

    18 Luglio 2024

    Se non bastasse a preoccupare il problema ambientale – poca la plastica riciclata, molta quella dispersa, con tutti i rischi relativi alla diffusione per l’ambiente, e i problemi per gli ecosistemi – anche sul fronte della salute le bottigliette di plastica sono problematiche. Secondo quanto riferiscono i ricercatori spesso i controlli richiesti per l’erogazione delle acque municipali sono maggiori di quelli che devono ottemperare i produttori di acqua in bottiglia (senza considerare, ricordano, che in alcuni casi, altro non si tratta che di acqua del rubinetto imbottigliata). Ma oltre alle norme, le confezioni di plastica possono rilasciare una serie di inquinanti collegati a diversi problemi di salute, compresi solo in parte.

    Acqua del rubinetto, perché un italiano su tre non si fida (e fa male)

    di Elvira Naselli

    16 Luglio 2024

    Problematici sono in particolare i contenuti di sostanze quali ftalati, microplastiche – fino a centinaia di migliaia per litro, secondo alcuni studi – Pfas, bisfenolo A, alchilfenoli.

    La contaminazione
    Non è chiaro come queste sostanze influenzino la salute, ma sono state correlate a disfunzioni del metabolismo lipidico, dell’equilibrio ormonale ma anche a problemi gastrointestinali, cardiovascolari e neurologici, scrivono gli autori: “La contaminazione diffusa con microplastiche, interferenti endocrini e altre sostanze pericolose tradisce l’immagine pulita dell’acqua in bottiglia”. Il messaggio è per tutti, ma soprattutto per i decisori e i governatori, che possono e devono guidare le politiche per garantire acqua sicura, aiutare a ridurre l’utilizzo della plastica, specie quella monouso, e rinvigorire il messaggio che l’acqua del rubinetto è molto spesso la scelta migliore che si possa fare. LEGGI TUTTO

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    Pfas, le nuove regole Ue sulle sostanze pericolose per l’ambiente e la salute

    La Commissione europea ha imposto nuove restrizioni sull’uso di alcune sostanze chimiche pericolose per la salute e l’ambiente, vietando l’acido perfluoroesanoico (PFHxA) e i suoi derivati, composti sviluppati dall’industria negli anni ’40 per la loro capacità di resistere all’acqua. Queste sostanze, appartenenti alla famiglia dei PFAS, sono note come “sostanze chimiche eterne” per la loro persistenza nell’ambiente, che porta alla contaminazione del suolo e delle acque, inclusa quella potabile.

    Energia

    Inquinamento, le batterie al litio sono una (nuova) sorgente di PFAS

    di Sandro Iannaccone

    12 Luglio 2024

    “Stiamo eliminando le sostanze nocive dai prodotti che i cittadini utilizzano quotidianamente, come i tessuti, i cosmetici e gli imballaggi alimentari” ha dichiarato Maros Sefcovic, vicepresidente esecutivo Ue per il Green Deal, commentando le nuove misure Eu in linea con il regolamento Reach, il principale strumento normativo europeo per proteggere la salute umana e l’ambiente dai rischi delle sostanze chimiche.

    Salute

    Pfas nelle giacche a vento per bambini: rintracciate le sostanze chimiche nocive nel 63% dei test

    di Paolo Travisi

    25 Aprile 2024

    La restrizione vieterà la vendita e l’uso dell’acido perfluoroesanoico in una concentrazione pari o superiore a 25 ppb per la somma del PFHxA e dei suoi sali, o pari a 1.000 ppb per la somma delle sostanze correlate al PFHxA, misurata in materiali omogenei. Questo divieto si applicherà a una vasta gamma di articoli di consumo: prodotti tessili (tovaglie e tende oscuranti), cuoio, pellicce e pelli utilizzate nell’abbigliamento (tra cui giacche antipioggia) e relativi accessori (quali borse), calzature, carta e nel cartone utilizzati come materiali a contatto con gli alimenti (per esempio, scatole per pizza), spray impermeabilizzanti, cosmetici.

    Un ambito particolarmente delicato riguarda le schiume antincendio, dove saranno applicate eccezioni per garantire la sicurezza in contesti critici. Tuttavia, alcuni settori strategici, come quello dei semiconduttori e delle batterie per l’idrogeno, manterranno per ora la possibilità di utilizzare queste sostanze.

    Il nuovo regolamento sugli “inquinanti eterni”
    Messo a segno un passo importante verso la riduzione delle sostanze tossiche nell’ambiente. L’obiettivo principale è limitare l’uso di questi composti laddove il rischio non sia adeguatamente controllato, i costi economici siano limitati rispetto ai benefici per la salute umana e l’ambiente, ed esistano alternative sostenibili.
    “Sostituire le ‘sostanze chimiche eterne’ aiuta a mantenere l’ambiente sano, a preservare le risorse e a promuovere l’innovazione in alternative più pulite. La direzione è chiara e le imprese avranno a disposizione periodi di transizione sufficienti per adattarsi” ha aggiunto il Commissario Sefcovic. La restrizione, infatti, entrerà in vigore dopo periodi transitori compresi tra 18 mesi e 5 anni a seconda dell’uso, lasciando il tempo necessario per sostituire la sostanza con alternative più sicure.

    Nella catena alimentare
    Negli ultimi 20 anni, l’UE ha intensificato le sue azioni per contrastare l’inquinamento da PFAS, anche nel cibo che mangiamo. Nel 2020, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), che da anni monitora la diffusione l’impatto dei PFAS negli alimenti, ha stabilito una nuova soglia di sicurezza per i principali composti perfluoroalchilici, che tendono ad accumularsi nell’organismo umano. La dose settimanale tollerabile di gruppo (DST) è stata fissata a 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo, ma non ha riguardato i PFHxA. Due anni dopo, la Commissione Ue ha emesso una raccomandazione (CE2022/1431) che invita gli Stati membri, in collaborazione con gli operatori del settore alimentare, a monitorare la presenza di PFAS, inclusi i PFHxA, negli alimenti dal 2022 al 2025.

    Ambiente

    La denuncia di Greenpeace: “Acqua contaminata da PFAS nei fiumi toscani”

    di redazione Green&Blue

    19 Marzo 2024

    “Finora l’EFSA ha ricevuto e pubblicato i dati di monitoraggio per il 2022” ha affermato Hans Steinkellner, responsabile scientifico di EFSA. “Seguiranno i dati di monitoraggio per il 2023, 2024 e 2025. Quando saranno pervenuti dati sufficienti, la Commissione europea potrà eventualmente richiedere all’EFSA una valutazione di follow-up sulla contaminazione da sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) negli alimenti.” LEGGI TUTTO

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    In due foto di Meloni il nodo dell’automotive italiano

    Facciamo un esercizio comparativo e accostiamo due foto recenti della presidente del consiglio Giorgia Meloni. La prima è di pochi giorni or sono e la vede ritratta mentre parla alla platea di Confindustria: sta dicendo che l’obiettivo europeo di vendita di auto 100% zero emission, al 2035, è “autodistruttivo” e va radicalmente ridiscusso; e paventa, se così non fosse, l’azzeramento dell’automotive nell’Unione, la perdita di 14 milioni di posti di lavoro e altre catastrofi.

    La seconda foto, e siamo alla fine dello scorso luglio, la vede sorridente mentre stringe cordialmente la mano al presidente Xi Jinping, nel corso di una missione in Cina che aveva, tra i suoi scopi principali, quello di convincere le case auto di Pechino a impiantare la loro produzione elettrica in Italia.

    La distanza temporale tra i due scatti è minima; quella politica, invece, è apparentemente incolmabile. Eppure in Meloni e nel suo governo quelle due linee – la battaglia in Europa contro l’auto elettrica e il tentativo di rilanciare l’automotive nazionale, attirando i carmaker cinesi – convivono, per quanto contraddittorio ciò possa apparire.

    Il ministro Urso ha dichiarato che il 25 settembre chiederà all’Unione di anticipare la revisione dei regolamenti sulla riduzione delle emissioni di CO2 da auto e van. “Chiunque conosca il sistema produttivo sa che gli investimenti si fanno se c’è certezza”, ha dichiarato Urso. “Chiedo di anticipare questa decisione (rivedere l’impegno al 2035, ndr) perché se lasciamo l’incertezza fino al 2026 (…) rischiamo il collasso dell’industria”.

    L’assunto da cui muove il ministro per il Made in Italy è corretto: la certezza delle prospettive industriali è cruciale per mobilitare capitali e sostenere la transizione. Il ragionamento che ne consegue è invece fragile: proprio perché dobbiamo garantire stabilità e prospettiva all’industria europea, che già molto ha investito, il punto non dovrebbe essere quando ridiscutere gli obiettivi che l’Unione si è data, quanto piuttosto confermarli e sostenerli con misure di finanza pubblica dell’Unione, come suggerito dal report di Mario Draghi.

    L’Italia continua nel suo braccio di ferro (perdente) con Tavares e con Stellantis, chiedendo che la produzione del gruppo, nello stivale, torni a un milione di veicoli. Per tutta risposta il ceo portoghese continua a tagliare la produzione e a migrarla in Polonia, Serbia, Turchia e nord Africa. Di produttori cinesi pronti a investire in Italia, nel mentre (ma speriamo di essere smentiti presto), neppure l’ombra. Per quale motivo dovrebbero venire a produrre auto elettriche in un Paese che continua a segnalarsi per la sua ostilità a quella tecnologia?

    L’Italia reclama una via di “neutralità tecnologica” al 2035; non si è accorta, forse, che è esattamente quel che prevede la normativa, che non dice in alcun passaggio che le auto vendute a partire da quella data dovranno solo essere elettriche: potrà esserci spazio per ogni tecnologia (idrogeno o carburanti sintetici) che consegua gli obiettivi climatici e si dimostri percorribile in termini industriali.

    La partita del nostro governo è intesa a garantire mercati ai biocarburanti di ENI, già rigettati dall’Europa come vettori troppo emissivi e non conformi alla normativa; e a far sopravvivere, in qualche modo e in qualche misura, il motore endotermico, una tecnologia vecchia e largamente inefficiente in termini energetici. Se questo può rassicurare, nel brevissimo termine, parte della nostra industria componentistica, non può rappresentare per contro una prospettiva industriale per il Paese.

    Meloni e Urso sembrano immaginare l’Italia come una “nicchia” industriale per l’endotermico, magari l’ultima a ‘resistere’ in un’Europa convertita alla produzione elettrica. Contano forse, in questo modo, di costruire una rendita di posizione che invece non potrà concretizzarsi. Non è e non sarà l’Italia a produrre auto “fossili” di serie B, o componentistica endotermica, magari per i mercati extraeuropei; altri Paesi possono farlo con maggiore competitività. Il nostro ha bisogno di innovare; ovvero, di fare l’esatto contrario delle battaglie di retroguardia a cui assistiamo da mesi. La prospettiva industriale dell’elettrificazione dell’auto è ben più che concreta: lo dimostra la competizione tra Cina, USA e Unione Europea, nonché gli enormi investimenti dell’industria. Che piaccia o meno, questa è la sola partita che le economie europee possono giocare, Italia inclusa.

    *Andrea Boraschi – Direttore Transport & Environment LEGGI TUTTO

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    Filodendro, tante piante da interni: i consigli

    Il filodendro è una pianta appartenente alla famiglia delle araceae ed è in vendita in diverse varietà, per lo più a carattere rampicante o ricadente, anche se si trovano alcuni tipi arbustivi. Questo sempreverde si può coltivare facilmente in vaso, tra le mura domestiche.

    La cura in vaso del filodendro
    La cura del filodendro o philodendron in vaso presuppone una buona crescita della pianta, con foglie lussureggianti che sembrano quasi volerci trasportare all’interno delle foreste americane. Il filodendro, dal greco “amico degli alberi”, è una pianta che gradisce una temperatura compresa tra i 18°C e i 24°C e non ama assolutamente essere collocata in zone dove sono presenti correnti d’aria fredda. Per prendersi correttamente cura del filodendro in casa è necessario garantire una temperatura minima di 13°C, giacché a 10°C la pianta riporta gravi danni e rischia anche di morire. Proprio per questo, è consigliabile sistemare il filodendro in un angolo dell’abitazione, magari su una mensola o su un mobile basso. In questo modo, si può godere di uno splendido esemplare sempreverde in piena forma. Ricordiamo, però, di non prendere questa pianta qualora si avessero animali domestici, giacché risulta essere tossica per cani e gatti.

    I tipi di filodendro da coltivare in appartamento
    Del filodendro è possibile trovare ben oltre 500 specie suddivise per dimensioni e colori, caratteristiche che rendono unico ogni esemplare. Infatti, se ne trovano di tipi con foglie grandi o sfumature differenti. Per esempio, la Monstera deliciosa si presenta con grandi foglie forate ed è ideale da collocare in ambienti spaziosi. Il filodendro gloriosum, invece, è un tipo di pianta che ha delle splendide foglie, ma richiede molto più tempo per la sua crescita. Tra le altre varietà diffuse che si trovano facilmente vi è anche il filodendro Brasil che si contraddistingue per essere un esemplare con foglie a forma di cuore verde scuro, a carattere rampicante. Il filodendro Xanadu, invece, ha foglie grandi e lobate e si sviluppa come un cespuglio. Se si desidera un tipo di filodendro davvero speciale, però, non si può fare a meno di menzionare il philodendron Pink Princess che ha foglie verde scuro con una punta di rosa acceso. Selezionando la pianta che si preferisce di più, si potrà dare un grande tocco di personalità all’ambiente.

    Qual è il terreno migliore per il filodendro?
    Per ottenere una pianta sana è importante selezionare il miglior terriccio disponibile. In tal caso, è necessario usare per questa sempreverde un terriccio ricco di sostanze organiche, con un mix di torba, terriccio e foglie di faggio. Sul fondo del vaso è preferibile sistemare una serie di ciottoli che consentiranno di drenare meglio l’acqua ed eviteranno i cosiddetti ristagni idrici.

    L’annaffiatura del filodendro
    Questa pianta ornamentale richiede annaffiature abbondanti, specie durante la stagione estiva. Durante il resto dell’anno si possono diminuire. È importante far asciugare completamente la superficie del terreno prima di proseguire con la successiva annaffiatura. In questo modo, il terreno ha tutto il tempo di asciugare, evitando inconvenienti che possono influenzare in qualche modo sulla crescita della pianta.

    L’esposizione consigliata per il filodendro
    Il filodendro non gradisce il sole diretto e, anzi, nella maggior parte dei casi la luce di questo genere compromette le foglie, bruciandole. È meglio selezionare un punto della casa o dell’ufficio dove vi è abbondante luce diffusa, poiché in caso di assenza di luminosità si rischia di ottenere una pianta priva di foglie con internodi più lunghi.

    La concimazione del filodendro
    Il filodendro può essere concimato durante il periodo primaverile ed estivo: è preferibile farlo ogni 3 settimane, utilizzando un concime liquido per piante verdi, da diluire proprio con l’acqua delle annaffiature. Selezionare un concime che contiene in prevalenza l’azoto può aiutare nella crescita la pianta.

    La potatura e il rinvaso del filodendro
    Il filodendro non ha bisogno di alcuna potatura, bensì è necessario pulire la pianta con regolarità, togliendo le foglie danneggiate o morte. In questa maniera, si favorisce una crescita sana e forte della sempreverde. Questa “potatura” si può effettuare in qualunque momento dell’anno e spesso è sfruttata anche per dare la forma che si desidera alla pianta.
    Tra i mesi di febbraio e marzo ci si può occupare del rinvaso della pianta. Il nostro consiglio è di selezionare un vaso leggermente più grande e di sostituire il vecchio terriccio in superficie (circa 2-3 centimetri). Dopodiché, si può rinvasare la pianta, avendo l’accortezza di aggiungere un supporto utile per il sostegno della pianta.

    I rischi per il filodendro
    Come avviene spesso per le piantine ornamentali, anche il filodendro teme l’acqua in eccesso: infatti, annaffiature sbagliate possono far sorgere il marciume dell’apparato radicale, portando la pianta alla morte. Naturalmente, anche la carenza di acqua provoca danni al filodendro: l’irrigazione scarsa fa ingiallire le foglie. La pianta non soffre di malattie da parassiti e ciò è dovuto alla presenza di foglie più dure che non sono gradite al palato degli insetti. Possono comunque comparire degli afidi che si combattono con un prodotto antiparassitario. LEGGI TUTTO

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    Iris, i fiori della speranza: come coltivare la pianta

    L’iris è un genere di piante che comprende più di 300 specie differenti, molte delle quali sono degli ibridi naturali, tutte appartenenti alla famiglia delle iridacee. Le origini di queste piante bulbose o rizomatose sono da ricercare nel continente asiatico, mentre gli arabi ne hanno permesso l’arrivo nel Mediterraneo. L’iris è disponibile in tanti colori differenti, con fiori che possono essere viola (pseudopumila, sibirica), blu (reticulata), bianchi (japonica, florentina), bianchi e viola (marsica), rosa (laevigata), lilla (pallida), arancioni (germanica orange) o gialli (pseudacorus, una specie che cresce spontaneamente in aree acquitrinose). Il periodo di fioritura dell’iris cambia a seconda delle varietà: alcune fioriscono all’inizio della primavera, mentre altre in autunno, ma di solito per periodi che non superano un paio di settimane. I fiori dell’iris sono contraddistinti dai petali interni orientati verso l’alto e quelli esterni che, invece, pendono verso il basso. Nel linguaggio dei fiori, regalando un iris trasmettiamo un messaggio che ha un significato di positività e speranza.

    L’esposizione ideale per l’iris

    La pianta è piuttosto versatile, giacché gradisce l’esposizione in pieno sole, ma tollera altrettanto senza problemi la penombra. Alcune specie non temono in modo particolare i climi rigidi: l’iris sibirica e germanica, ad esempio, sono particolarmente rustici. Nel caso delle varietà esotiche, invece, le temperature minime al di sotto dei 10 gradi rappresentano un problema. Per queste specie di iris, in tante aree del nostro paese si impone l’esigenza della coltivazione in vaso. Ricordiamoci di sistemare il contenitore in un luogo privo di correnti d’aria e che offra una buona esposizione alla luce solare.

    Il terreno adatto per l’iris
    Per offrire delle condizioni ideali per la crescita della pianta, dobbiamo scegliere un terreno caratterizzato da una buona capacità di drenaggio. Solo in questo modo possiamo scongiurare che vi sia del ristagno idrico che possa causare l’attacco del bulbo o del rizoma da parte delle muffe. L’iris si adatta a crescere anche nei terreni poveri, a patto che abbiano un substrato leggero. Se fosse necessario, per incrementare la capacità drenante del terreno, potremmo aggiungere della sabbia o dell’argilla espansa (soprattutto nel caso di coltivazione in vaso).

    L’iris: come e quando piantarlo
    Le specie rizomatose di iris vanno messe in terra attorno alla seconda metà di giugno, tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate, avendo l’accortezza di interrare il rizoma appena sotto il livello del terreno. Se posizioniamo i rizomi troppo in profondità, il rischio è che non fioriscano e possano essere più soggetti al marciume. Nel caso dei bulbi, invece, ricordiamoci di piantarli verso la fine di settembre: in questo caso, dobbiamo interrarli alla profondità di circa una decina di centimetri.

    L’innaffiatura e la concimazione dell’iris
    A prescindere dalle esigenze specifiche di ogni singola specie, teniamo presente che bulbi e rizomi non sono particolarmente amanti dei ristagni idrici. Per evitare che l’iris possa essere colpito dalla muffa, non eccediamo nella quantità di acqua e, soprattutto, attendiamo sempre che il terreno sia ben asciutto tra un’annaffiatura e la seguente. Alcune specie esotiche di iris possono avere esigenze di irrigazione più contenute in ragione delle condizioni climatiche piuttosto aride di origine. Per quanto riguarda la concimazione, possiamo ricorrere al fertilizzante liquido da aggiungere all’acqua di irrigazione: possiamo darlo una volta al mese, solo durante la stagione vegetativa.

    La riproduzione dell’iris
    A seconda delle specie di iris, bulbose o rizomatose, possiamo propagare la pianta tramite la separazione dei bulbilli o, rispettivamente, la suddivisione del rizoma. Nel caso in cui non ricoverassimo i bulbi durante l’inverno, lasciandoli nel terreno, ricordiamoci di verificare se siano presenti dei bulbilli attorno ai bulbi madre. Qualora ci fossero, rimuoviamoli con cura: in questo modo, ogni singolo bulbo potrà svilupparsi con maggior vigore.

    La potatura dell’iris
    Questa pianta non richiede degli specifici interventi di potatura. Per evitare però che l’iris possa risentire dell’attacco da parte di parassiti, non dimentichiamoci di rimuovere subito le foglie o i fiori che fossero danneggiati o comunque disseccati.

    I rischi per l’iris
    Diverse varietà bulbose e rizomatose dell’iris possono essere colpite dalla mosca dei bulbi, che si nutre di questa parte della pianta. La cetoniella, invece, può divorarne i fiori. L’iris può soffrire anche del cosiddetto marciume molle, una malattia causata da un batterio che causa lo spappolamento di foglie e rizomi. La pianta può essere colpita anche da alcune avversità causate dai funghi, come nel caso del marciume asciutto (macchie brune sulle foglie), muffa verde (marciume di bulbi e rizomi ricoverati durante la stagione invernale), ruggine (macchie gialle sulle foglie) e seccume fogliare (macchie scure che diventano buchi). I rimedi consigliati per la cura delle avversità dell’iris sono, a seconda dei casi, un insetticida, un antifungino o un antibatterico. LEGGI TUTTO

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    I coleotteri che spaventano l’Europa: 12 specie aliene dannose per le nostre foreste

    Per l’Europa alcuni sono innocui come il coleottero dei chicchi di caffè, un parassita che attacca piante che in Europa crescono solo in un paio di campi sperimentali in Sicilia. Altri insetti della stessa famiglia sono, al contrario, molto più pericolosi. Ad esempio quelli del genere Euwallacea, appartenenti al gruppo dei coleotteri dell’ambrosia, colonizzano il legno sotto la corteccia degli alberi e per sopravvivere coltivano funghi che poi conducono la pianta al capolinea.

    Nel 2021 ai giardini Trauttsmandorf in provincia di Bolzano è stato necessario bruciare tutte le piante della serra tropicale, comprese 500 orchidee, per l’introduzione accidentale di uno di insetti originari del sudest asiatico, sbarcato in Europa una volta sola, per sbaglio, in Polonia nel 2017.

    Ora l’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha identificato 12 specie aliene di questi coleotteri ad alto rischio di introduzione nei paesi dell’Unione. Sono tutti scolitidi, una famiglia che comprende 6.495 specie delle quali circa 350 native, e innocue, del nostro continente. Colpiscono in particolare le latifoglie, un genere che include tanti alberi importanti sia per la biodiversità forestale come il faggio o il frassino, e altri di valore economico come il noce, il ciliegio e il castagno.

    La startup Vaia e i boschi distrutti dalla tempesta: “Dall’economia circolare sono nati 100mila abeti ma non basta”

    di  Serena Gasparoni

    19 Settembre 2024

    “Ci sono due fattori che negli ultimi anni hanno aumentato in modo significativo le probabilità di invasione da parte di specie aliene, il cambiamento climatico e il commercio internazionale. – spiega Massimo Faccoli, ordinario di entomologia forestale dell’Università di Padova che ha coordinato lo studio dell’EFSA – Le temperature più alte consentono a questi insetti spesso di origine tropicale e subtropicale di sopravvivere ai nostri inverni più miti mentre l’impennata del traffico globale delle merci, in questo caso legate al legno e alle piante arboree, agisce come via preferenziale di ingresso”.

    Ai primi posti della black list si trova Pityophthorus juglandis, un coleottero di origine centro americana che negli Stati Uniti ha mandato al tappeto la coltivazione del noce, compreso quello nero molto richiesto dall’industria del legname. Mentre il genere Euwallacea, di origine asiatica, conta quasi la metà delle specie della lista nera ed è tra i più insidiosi. LEGGI TUTTO