4 Settembre 2024

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    Che aria respiriamo in Europa? Lo svela l’Agenzia Europea per l’Ambiente

    In quali città europee si respira l’aria più pulita? E in quali la peggiore? In rete si trovano tante classifiche, talvolta collegate a sponsorizzazioni varie di brand e marchi, che provano a tracciare – non sempre in maniera affidabile – lo stato della qualità dell’aria in Europa, un po’ come era avvenuto per Milano lo scorso febbraio.

    L’emergenza

    “Milano paragonata a Delhi per l’inquinamento atmosferico: la crisi del clima non aiuta a respirare”

    di Giacomo Talignani

    19 Febbraio 2024

    Chi offre uno sguardo più completo e attendibile è però la Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) che a fine agosto ha pubblicato un aggiornamento della European City Air Quality, in sostanza una classifica dove – attraverso dati monitorati per due anni – vengono elencate le 375 città europee dove sono stati fatti rilevamenti specifici di livelli medi di particolato fine (PM 2,5) attraverso oltre 500 stazioni di monitoraggio nel 2022 e nel 2023. Come noto i livelli indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sulla presenza di particolato sono molto al ribasso, si parla di 5 microgrammi per metro cubo di aria (5 ?g/m 3), per cui soltanto 13 città in Europa – in un contesto generale che è comunque di miglioramento rispetto al passato della qualità dell’aria – risultano essere entro i limiti. Fra queste, come si poteva ipotizzare nel Paese che ospita una Pianura Padana fortemente inquinata, non c’è l’Italia.

    Da noi, la città con la migliore qualità dell’aria secondo il rapporto EEA è Sassari in Sardegna, al ventunesimo posto della classifica europea. La seconda città italiana, ma solo al 65° posto, è Livorno, mentre terza fra quelle tricolore risulta essere Savona, al 148° posto. Purtroppo, osservando la classifica al contrario, l’Italia conta invece diverse città nelle peggiori dieci d’Europa. Al primo posto per livelli di inquinanti tra le città del Vecchio Continente c’è la città croata di Slavonski Brod, l’unica considerata davvero da bollino rosso (“very poor” nella scala di qualità EEA). Segue, sul podio delle peggiori, Nowy Sacz in Polonia e sul terzo gradino spunta l’italiana Cremona. Nella top 10 delle realtà con la peggior aria però ci sono anche altre italiane: Vicenza (4°), Padova (5°), Venezia (6°) e Piacenza (7°). Appena fuori dalle prime dieci l’EEA indica poi altre quattro realtà del Nord e della Pianura, tutte tra la undicesima e la quattordicesima posizione: Torino, Bergamo, Brescia e Treviso. Sempre fra quelle con più particolato, Milano è al diciannovesimo posto.

    Al contrario, se si osservano invece i luoghi in cui si può respirare l’aria meno inquinata, al primo posto in assoluto ci sono le svedesi Uppsala e Umea, prima e seconda, seguite da Faro in Portogallo. Al quarto posto l’islandese Reykjavik, poi le finlandesi Oulu e Tampere, di nuovo la Svezia con Norrkoping, Funchal in Portogallo e infine al nono posto e decimo posto Tallin e Narva, entrambe in Estonia. Le mappe visuali, che indicano con colori blu e azzurri le aree con qualità dell’aria migliore e con giallo e rosso quelle peggiori, mostrano poi con chiarezza come a godere di un’aria più sana siano soprattutto i Paesi Scandinavi e quelli del Nord Europa, mentre l’Italia, ma anche la Polonia o i Balcani, risultano per lo più di colore giallo.

    Dalle statistiche elaborate dall’Agenzia inoltre emerge come “tre europei su quattro vivono in aree urbane e la maggior parte di loro è esposta a livelli pericolosi di inquinamento atmosferico” scrivono dall’EEA che, citando l’Oms, parla anche dell’importanza di migliorare la qualità dell’aria per “ridurre significativamente le morti premature causate dall’inquinamento atmosferico”. Ricordando anche gli impegni legati al Green Deal, con un obiettivo di riduzione al 2030 di almeno il 55% delle morti premature causate dal particolato (rispetto ai livelli 2005), l’Agenzia Europea ha spiegato infine che nel prossimo aggiornamento non solo indicherà le città con maggiori concentrazioni di PM 2,5 – inquinante fra i più impattanti sulla salute – ma anche “un’analisi sugli impatti dell’inquinamento atmosferico sugli ecosistemi e sulla salute umana, includendo decessi e malattie che possono essere attribuiti alla scarsa qualità dell’aria”. LEGGI TUTTO

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    Cementificazione, rifiuti, pesca illegale: i reati che minacciano coste e mari

    Boom di reati ambientali contro le coste italiane nel 2023: secondo il report “Mare Monstrum” di Legambiente sull’aggressione criminale alle coste e al mare del nostro Paese i reati ambientali accertati sono stati 22.956, +29,7% rispetto al 2022. Insieme alle violazioni amministrative, la media è di 8,4 illeciti per km di costa, uno ogni 119 metri. Ciclo illegale del cemento (che contribuisce al 45% del totale dei reati accertati lo scorso anno), dei rifiuti, mare inquinato, pesca illegale si confermano gli illeciti più diffusi. Il rapporto viene presentato alla vigilia dell’anniversario dell’assassinio di Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica che ha dedicato la sua vita alla tutela del mare e delle coste del Cilento.

    Secondo il rapporto di Legambiente in fortissimo aumento anche la violazione delle normative che regolano la nautica da diporto: 2.059 illeciti penali accertati nel 2023, + 230% rispetto al 2022. Sono 25.545 le persone denunciate nel 2023, in aumento del 43% rispetto al 2022. Cresce, però, l’efficacia dell’azione repressiva, come dimostra il numero di persone arrestate (204, +98,1% rispetto al 2022) e quello dei sequestri, pari a 4.026, in crescita del 22,8% sul 2022.

    Un reato su due (50,3%) si concentra nelle 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa, Campania (3.095 illeciti penali), Sicilia (3.061), Puglia (3.016) e Calabria (2.371), che guidano nell’ordine, come numeri assoluti, la classifica regionale, seguite dal Lazio (1.529 reati) e dalla Toscana (1.516). Nelle prime dieci regioni figurano Sardegna, Veneto, Liguria e Marche. Proprio questa regione è, invece, la prima come numero di illeciti complessivi (reati e violazioni amministrative) per km di costa (38,9), seguita da Friuli-Venezia Giulia (31,9 illeciti per km) e Basilicata (30,9). Di fronte a questo quadro, Legambiente lancia dieci proposte che hanno al centro quattro macro temi: la lotta all’abusivismo edilizio, su cui l’associazione ambientalista chiede ad esempio di velocizzare l’abbattimento degli immobili abusivi, anche prevedendo finanziamenti a favore dei Comuni; la lotta alla maladepurazione, per uscire dalle onerose procedure d’infrazione dell’Unione europea; il tema dei rifiuti; il contrasto della pesca illegale, con adeguati interventi normativi e sanzioni davvero efficaci.

    “Anche quest’anno, a fronte dell’impegno quotidiano delle Capitanerie di porto e delle forze dell’ordine contro l’aggressione alle coste e al mare del nostro Paese, con il nostro report Mare mostrum – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – ribadiamo l’esigenza di rafforzare il ruolo e le attività di competenza di tutte le istituzioni coinvolte, dai singoli Comuni alle Regioni e alle ARPA”. “Il ciclo illegale del cemento – commenta Enrico Fontana, responsabile Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente – rappresenta la quota più significativa dei reati ambientali analizzati anche in questa edizione di Mare Monstrum, a causa, principalmente, della miriade di abusi edilizi che continuano a sfregiare l’Italia. Un fenomeno devastante per lo sviluppo sociale, ambientale ed economico dell’intero Paese, che colpisce principalmente il Sud, in particolare le regioni a tradizionale insediamento mafioso, e le aree costiere, le perle estive del Belpaese e su cui bisogna intervenire con una mano decisa e con abbattimenti non più rimandabili. L’abusivismo edilizio lungo le coste, inoltre, fa da moltiplicatore dei fenomeni d’inquinamento, a causa degli scarichi diretti in mare degli immobili costruiti illegalmente”. LEGGI TUTTO

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    La carta docente da quest’anno può essere ridotta da 500 a 420 euro. Cosa succede per i precari della scuola

    ROMA – Il 31 agosto è scaduta la possibilità di utilizzare il bonus di 500 euro della Carta del docente relativo all’anno scolastico 2022-’23. Il residuo del bonus erogato per l’anno scolastico in corso (2023/’24, appunto) sarà spendibile anche il prossimo anno, mentre quello non utilizzato per l’annualità precedente rischia di andare perso. Ogni LEGGI TUTTO

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    “Basta con l’algoritmo per l’assegnazione delle cattedre: sulla nostra vita non può decidere un programma”. Le proteste dei precari della scuola

    Gira l’algoritmo delle supplenze e iniziano le proteste dei precari. I primi bollettini sono stati pubblicati tra sabato e domenica scorsi in alcune province del Piemonte e della Lombardia. E via via nelle altre province. L’altro ieri mattina, a Milano una ventina di persone si è presentata alla sede dell’Ufficio scolastico provinciale, il Provveditorato agli […] LEGGI TUTTO

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    “Senza interventi in futuro la siccità in Sicilia e Sardegna sarà ancora più dura”

    Quest’estate in Sicilia sono scomparsi laghi, agricoltori e allevatori litigano per l’acqua, gli invasi sono sempre più a secco, gli alberghi si riforniscono con le autobotti, calano le produzioni di agrumi, olive e fichi d’india e in alcune aree la capacità idrica è ormai inferiore addirittura del 90%. Eppure, tutto questo, se visto fra qualche anno potrebbe essere ancora un ottimo ricordo: in futuro infatti, se si verificherà un innalzamento della temperatura media globale di 0.7 gradi, la Sicilia sarà soggetto al più alto grado della scala, una siccità “eccezionale”, con una desertificazione devastante tanto per intendersi.

    A dirlo è uno studio importante, di una delle organizzazioni più citate e affidabili per questo tipo di previsioni, la World Weather Attribution, che ha visto coinvolti circa 15 ricercatori tra scienziati di Italia, Svezia, Stati Uniti, Regno Unito e Paesi Bassi. Gli scienziati sostengono infatti che il cambiamento climatico in atto, quello innescato dalle azioni dell’uomo e dall’uso di combustibili fossili, ha reso la siccità sia in Sicilia sia in Sardegna più grave e il 50% più probabile. Uno scenario che viene tracciato in un 2024 che si appresta a diventare l’anno più caldo di sempre e che ha colpito duro per la siccità sia in Sicilia, dove le risorse idriche sono sempre più scarse, sia in Sardegna dove sia la mancanza di piogge sia le elevate temperature permettono ad agenti patogeni come la Phytophthora di diffondersi rapidamente, portando alla moria di centinaia di chilometri di boschi, oggi sempre più secchi e ingialliti.

    Biodiversità

    Perché i boschi della Sardegna stanno soffrendo

    di Giacomo Talignani

    28 Agosto 2024

    Eppure, per gli scienziati, se l’attuale mondo non fosse così riscaldato dall’uso dei combustibili fossili, e dunque con una temperature di circa 1.3 gradi inferiori all’attuale, questa siccità nelle isole sarebbe solo “grave”, ma non “estrema” come sta accadendo. Una crisi che nell’Italia dell’agroalimentare colpisce soprattutto l’agricoltura, già in ginocchio, e fa traballare anche il mercato dell’occupazione. Lo studio avverte anche che siccità simili peggioreranno con ogni frazione di grado di riscaldamento in più. L’analisi si sofferma poi sull’impatto del calore persistente che fa evaporare l’acqua dai terreni, le piante e dai bacini idrici è che alla base dell’aumento del rischio di siccità, ma anche sull’importanza di piani per la gestione dell’acqua e sul fatto che – come in parte sta già avvenendo – se le isole sperimenteranno ancora siccità tali le colture come grano e olive saranno sempre più minacciate.

    Per Mariam Zachariah, ricercatrice presso il Grantham Institute Climate Change and the Environment dell’Imperial College di Londra “la Sardegna e la Sicilia stanno diventando sempre più aride a causa dei cambiamenti climatici. Il caldo torrido e prolungato colpisce le isole con maggiore frequenza, facendo evaporare l’acqua dai terreni, dalle piante e dai bacini idrici. Per gli agricoltori e le città che hanno sopportato mesi di restrizioni idriche, questo studio è una conferma: il cambiamento climatico sta intensificando la siccità” spiega la ricercatrice parlando di due realtà dove è stato dichiarato lo stato di emergenza idrica già da mesi (in Sicilia a marzo e in Sardegna a luglio). Fra le evidenze dello studio, anche le difficoltà nella gestione dell’acqua che c’è, per lo più legate all’invecchiamento di strutture idriche e cattiva gestione. “Limitare le perdite d’acqua dovute all’invecchiamento delle tubature e aumentare la capacità di stoccaggio in Sardegna e in Sicilia contribuirà a ridurre simili carenze idriche negli anni di scarse precipitazioni” ricorda per esempio Maja Vahlberg del Climate risk consultant alla Red Cross Red Crescent Climate Centre.

    Per un’altra importante scienziata, Friederike Otto, “i cambiamenti climatici stanno rendendo la Sardegna e la Sicilia più calde, più secche e meno fertili. Le colture utilizzate per produrre la cucina simbolo dell’Italia, come il grano e le olive, stanno morendo a causa del caldo feroce, ben oltre i 40°C. Per evitare che la siccità peggiori ulteriormente, dobbiamo smettere di bruciare combustibili fossili”. L’italiano Luigi Pasotti, dirigente responsabile al Servizio Informativo Agrometeorologico Siciliano (SIAS) – Sicilia orientale, sostiene invece come sia “fondamentale sviluppare strategie di adattamento per proteggere settori vitali per la Sicilia e la Sardegna, come l’agricoltura e il turismo, ma sarà altrettanto importante per l’Italia rispettare gli accordi internazionali sulla riduzione delle emissioni”. Vista l’importanza dello studio anche alcune delle principali associazioni ambientaliste italiane sono intervenute per ribadire l’urgenza di agire, soprattutto in chiave decarbonizzazione. Per il Wwf “non è certo un allarme nuovo – dice Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia – .A partire dalla prossima legge finanziaria, quindi, ci aspettiamo misure per finanziare un’economia a carbonio zero, capace di aiutare cittadini e imprese nel percorso della transizione energetica, insieme all’identificazione delle misure prioritarie e dei finanziamenti per attuare un serio piano di adattamento”,, mentre Greenpeace sottolinea come “la carenza idrica che da mesi sta mettendo in ginocchio le due principali isole italiane è una drammatica conseguenza della crisi climatica. A pagare il prezzo della siccità estrema in Sardegna e in Sicilia – amplificAssociazioni ata da un uso inefficiente delle risorse idriche e da infrastrutture inadeguate – sono le persone che subiscono razionamenti di acqua, gli ecosistemi naturali e persino interi settori produttivi come l’agricoltura e il turismo. Danni gravissimi di cui si dovrebbe invece chiedere conto alle aziende del petrolio e del gas” spiega Federico Spadini, campaigner Clima di Greenpeace Italia. LEGGI TUTTO