5 Luglio 2024

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    Scuola, tagliati stipendi dei presidi in zone a rischio. Il sindacato: “Valditara intervenga”

    Ma ora chi andrà più a dirigere una scuola o un istituto in zone difficili? Quale dirigente scolastico accetterà di ‘governare’ realtà a rischio dispersione, con carenze di risorse strutturali che risultano collocate nella fascia più bassa di classificazione? Questa la forte preoccupazione di DirigentiScuola, sindacato dei presidi che in queste ore si trova a […] LEGGI TUTTO

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    Valanga sul K2, travolto il campo di ricerca italo-pakistano Ice Memory. Illeso il team

    Una valanga ha travolto mercoledì sera il campo di lavoro del progetto Ice Memory che vede impegnata l’Italia, allestito a 5.600 metri di quota sul K2. La valanga è stata provocata dal crollo di un grande seracco che si è staccato dalla parete est del K2 precipitando per oltre 3 mila metri sull’ampio ghiacciaio Godwin-Austen, al centro del […] LEGGI TUTTO

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    A Roma arriva Cestò, il nuovo cestino sostenibile per i rifiuti da passeggio

    Si chiama Cestò il nuovo cestino raccogli rifiuti con un chiaro rimando alla romanità che lo caratterizza con una nota di simpatia. Il suo “esserci” chiama a stringere un patto per la tutela della città di Roma, un’alleanza tra l’amministrazione capitolina e il cittadino. 

    CeStò riprende lo stile iconico del tradizionale cestino romano posizionato, per la prima volta, esattamente 25 anni fa in occasione del Giubileo 2000, ma ha tre caratteristiche che lo rendono innovativo. Dal Campdoglio spiegano che è unico, perché sostituisce i 4 modelli esistenti; sicuro perché realizzato in materiale ignifugo e antideflagrante, quindi non scheggiabile e ispezionabile secondo la normativa antiterrorismo. E ancora, sostenibile perché è un arredo urbano realizzato in Hdpe, polietilene ad alta densità che lo rende leggero, riciclato e riciclabile. E assicurano: è costantemente monitorato con un sistema georeferenziale. 

    Da fine giugno a dicembre ne saranno installati 18mila, triplicando il numero attuale dei cestini, dal centro alla periferia. Non solo, ai nuovi raccoglitori dell’immondizia, si aggiungono 1600 cestini autocompattanti, già sperimentati in alcune zone, con una capienza di sette volte rispetto a quelli attuali. Lo scorso 25 giugno il Sindaco, Roberto Gualtieri ha presentato e posizionato simbolicamente il primo Cestò a via dei Fori Imperiali.  Insieme al sindaco anche l’assessora all’Agricoltura, Ambiente e ciclo dei Rifiuti Sabrina Alfonsi, Alessandro Filippi e Bruno Manzi, rispettivamente direttore generale e presidente di Ama. Partito quindi il posizionamento dei primi 210 cestini che interesserà l’itinerario giubilare.

     

    “Aumenta del 70% la disponibilità di raccolta”

    I nuovi raccoglitori Cestò si distinguono per il loro design funzionale, che non solo facilita il conferimento dei rifiuti da parte dei cittadini, ma contribuisce anche a ridurre l’impatto visivo degli stessi nell’ambiente urbano. Nella definizione del cronoprogramma, è stata data priorità alle aree maggiormente coinvolte dagli eventi giubilari. In particolare, nella prima settimana di attività, squadre e mezzi posizioneranno i primi 210 nuovi cestini che consentiranno di incrementare del 70% la capacità di raccolta nelle aree del centro: San Pietro, Colosseo, piazza Venezia e Fori Imperiali. Entro la fine di agosto, saranno collocai su strada 2800 esemplari tra i municipi I e VIII. Da settembre, poi, si procederà progressivamente con il posizionamento negli altri municipi più periferici della città di Roma. Fino ad arrivare a 18mila nuovi raccoglitori dell’immondizia, ideati sulla base di un modello unico per tutta la città. 

    Una certa quantità dei cestini rimossi, ma ancora in buono stato, saranno mantenuti nella disponibilità per essere utilizzati in caso di necessità o eventi particolari. Intanto, il posizionamento continuerà progressivamente in tutta la città per terminare a dicembre 2024. “Stiamo collocando i primi Cestò che andranno piano piano a sostituire tutti i cestini di Roma, – ha dichiarato il sindaco Roberto Gualtieri – . A questi si aggiungeranno i cestini autocompattanti che abbiamo già sperimentato in alcune zone e hanno una capienza superiore di 7 volte a quelli attuali; hanno superato il test e ne stiamo acquistando altri 1600. Rafforzeremo la capienza dei cestini in tutta la città”. LEGGI TUTTO

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    Gran Bretagna, Keir Starmer alla sfida delle politiche green

    La Gran Bretagna volta pagina e sceglie i laburisti. Ma festeggeranno anche i movimenti per l’ambiente che hanno a Londra la loro principale fucina mondiale? Partiamo dalle certezze: il governo tory guidato da Rishi Sunak è accusato di aver effettuato sulle politiche climatiche una U turn, una inversione a U, rispetto ai suoi predecessori. Boris Johnson, che certo non era Greta Thunberg, investì molte energie nella organizzazione della Cop26 di Glasgow, tanto da affidarne la presidenza al suo ministro dell’Energia e dell’Industria Alok Sharma. Ma Sunak, affamato di tagli per la crisi economica post Brexit, ha finito per sforbiciare soprattutto gli investimenti green, a cominciare dall’eolico a terra.

    I laburisti guidati da Keir Starmer andranno visti all’opera. Di sicuro però non hanno puntato sulla transizione ecologica per conquistare voti in campagna elettorale. Anzi, come fa notare il Guardian, nell’unico duello televisivo tra il premier in carica e il suo probabile successore, è stato Sunak ha tirare in ballo il clima: “I piani green del Labour porteranno solo nuove tasse”. Per il resto dello scontro tv, l’argomento è stato accuratamente evitato. Segno che evidentemente, fatta eccezione per l’élite londinese, non gode di grande popolarità tra un elettorato alle prese con difficoltà economiche senza precedenti negli ultimi decenni. Significa che Starmer tradirà le aspettative green del suo zoccolo duro progressista? Non è detto. Una volta insediatosi a Downing Street con una amplissima maggioranza (412 deputati su 650) avrà ampio margine per avviare politiche anche impopolari. E gli ambientalisti già lo tirano per la giacca con Areeba Hamid che gli chiede di “cogliere le opportunità di rilancio economico e indipendenza energetica”. Non a caso, pur non esponendosi direttamente, ha mandato avanti Ed Miliband, finora ministro ombra per la Sicurezza energetica e probabile membro del governo laburista nello stesso ruolo.

    Miliband ha confermato che la Gran Bretagna vuole assumere un ruolo di leadership nella lotta ai cambiamenti climatici, per riempire un vuoto, probabilmente riferendosi alla debolezza dell’Amministrazione Biden negli ultimi anni. Ma quel vuoto rischia di diventare una voragine con l’eventuale approdo di Donald Trump alla Casa Bianca. E il contestuale indebolimento delle politiche green dell’Unione europea: se la Ue non è riuscita a guidare la transizione globale durante il primo mandato di Trump, pur avendo a Bruxelles un vicepresidente come Frans Timmermans, figuriamoci ora che l’avanza delle destre del continente mira proprio a frenare il Green deal. Miliband promette che tra i primi atti del nuovo governo ci sarà la revoca del divieto sull’energia eolica onshore. “L’inversione a U di Sunak sul clima è stato un errore storico”, ha detto in una intervista. “Se vinciamo, coglieremo l’attimo: non c’è un minuto da perdere nella spinta verso l’energia pulita entro il 2030 e nella spinta all’azione per il clima. Il mondo è fuori strada, la Gran Bretagna è fuori strada e intendiamo cambiare direzione”.

    Nel programma elettorale dei laburisti sono tre i punti qualificanti delle politiche green. Un piano di “prosperità verde” per investire nella transizione climatica. 650.000 posti di lavoro verdi entro il 2030, pagati da una tassa sulle entrate straordinarie sui conglomerati di petrolio e gas. La nascita di Great British Energy, una società di energia pulita di proprietà pubblica, con un’iniezione di capitale di 8,3 miliardi di sterline, per garantire che tutta l’energia provenga da fonti di elettricità a zero emissioni di carbonio entro il 2030. Misure speciali per le società idriche inadempienti: gli enti regolatori avranno il potere di bloccare il pagamento dei bonus ai dirigenti e di sporgere denuncia penale contro i trasgressori della legge. Promesse che saranno mantenute una volta a Downing Street? Il Labour un campione green già in carica da tre mandati consecutivi ce l’ha. E’ Sadiq Khan, sindaco di Londra, che a Repubblica qualche settimana fa aveva detto: “Se alle elezioni vincerà il mio partito la Gran Bretagna avrà una vera agenda green che accelererà la transizione energetica e centrerà l’obiettivo emissioni zero, lavorando insieme ai sindaci”. LEGGI TUTTO

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    Fondi Pnrr per la transizione verde, Italia in ritardo: completato solo un quarto delle scadenze

    L’Italia riuscirà a spendere integralmente e concretamente entro 14 mesi, i 151,4 miliardi di euro rimasti dai finanziamenti europei e che riguardano il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)? I dati sono dell’Osservatorio sul Pnrr delle fondazione indipendente Openpolis. Nell’ultima inchiesta appena pubblicata sono stati riassunti i problemi che riguardano i singoli Piani nazionali di ripresa e resilienza, con le rispettive risorse, misure (investimenti o riforme) e scadenze. Dal lavoro all’istruzione, dalla sanità alle infrastrutture, i piani di intervento sono molti me ogni nazione è stata libera di scegliere quanto investire, rispettando certo criteri, e in quali settori. Tra questi, l’attenzione all’ambiente e alla transizione ecologica è stata ritenuta da Bruxelles centrale al punto di metterla come trasversale. Il 37% è infatti la percentuale minima di risorse che tutti i piani nazionali devono dedicare a misure per la transizione ecologica. 

    Italia: 15,5 miliardi di euro per la transizione verde

    Secondo i giornalisti di Openpolis, l’Italia insieme alla Croazia hanno completato solo un quarto delle scadenze previste dal Pnrr per la transizione verde. Sono 15,5 miliardi di euro, le risorse europee ricevute dall’Italia per la transizione verde e per il RepowerEu il supporto aggiuntivo alla transizione verde introdotto dalla Ue nel 2022 in risposta alla crisi energetica causata dalla guerra tra Russia e Ucraina. Obiettivo: sostenere la produzione energetica da fonti rinnovabili e accrescere l’indipendenza europea dalle importazioni energetiche dalla Russia. In particolare parliamo di 15 miliardi inseriti per la transizione e 551,2 milioni per il capitolo sul Repower. Leggendo i dati del report, il divario tra il nostro paese e gli altri è molto ampio riguardo alle erogazioni per la transizione: i 15 miliardi per la transizione sono 3 volte tanti quelli ricevuti dalla Spagna (5,2), che ha il secondo importo più alto.

    La scadenza a giugno 2026

    A due anni e mezzo dalla scadenza dei Piani nazionali di ripresa e resilienza, Openpolis (insieme ad alcuni partner dello European data journalist network) ha così analizzato l’andamento dei progetti finanziati con i fondi europei Pnrr di 11 paesi, in tema di transizione verde. “Abbiamo provato a verificare, nei limiti del possibile, l’impatto dei Pnrr sul percorso di transizione ecologica dei rispettivi paesi. Da un lato analizzando i dati pubblicati dall’Ue e dagli stati membri. Dall’altro conducendo interviste a soggetti governativi e non, coinvolti e interessati dalla realizzazione dei piani nazionali” scrivono nel report. Sono stati considerati indicatori per monitorare l’impatto del Pnrr sulla transizione ecologica: i risparmi nel consumo annuale di energia primaria, la capacità operativa supplementare installata per l’energia rinnovabile, l’infrastruttura per i combustibili alternativi, calcolati come punti di rifornimento e ricarica ogni 100mila autovetture e la popolazione beneficiaria di misure contro alluvioni, incendi e altri disastri climatici naturali. 

    Il ministro Giorgetti: “Spendete subito”

    I tempi dunque si accorciano perché alla fine del 2026 terminerà l’attuazione del dispositivo di ripresa e resilienza introdotto dall’Unione europea nel 2021. La scadenza è molto rigida e andrà rispettata nonostante il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti tre mesi fa avesse chiesto al Consiglio europeo un rinvio. Gli è stato risposto con un “no”. La procedura sarebbe stata troppo complicata perché, per fare slittare i termini del Pnrr, per il quale l’Italia ha ricevuto più soldi di tutti (194 miliardi), bisognava convincere 27 governi e altrettanti parlamenti. Ora però la situazione si fa sempre più complicata, al punto che sempre il titolare del Tesoro  davanti alla lentezza con cui stanno arrivando i progetti ha esortato gli amministratori: “Spendete tanto e subito altrimenti i conti sballano”. Ed è già scattata la verifica sui dati caricati sulla piattaforma ReGiS, il “cervellone” che memorizza l’avanzamento degli investimenti. Entro il 2 maggio, come deciso per decreto, il cronoprogramma di “ciascun intervento” dovrà essere aggiornato garantendo “il conseguimento dei traguardi e degli obiettivi”. Ora per le amministrazioni c’è un nuovo ultimatum agli inadempienti: l’impegno va portato a termine entro il 23 luglio. LEGGI TUTTO

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    Se le formiche viaggiano in autostop: “Salgono in gruppo, regina compresa, a caccia di una nuova meta”

    Viaggio gratis senza alzare il pollice”. È il titolo, ironico ma reale, di una curiosa e interessante ricerca da poco pubblicata su Ecological Entomology e che vede come protagoniste le “formiche autostoppiste”. Già, perché per comprendere come fanno alcune specie invasive ad arrivare da un posto all’altro, con successive implicazioni sugli ecosistemi, bisogna partire proprio da lì: dall’autostop. Sappiamo bene come nel mondo globalizzato centinaia di specie aliene, dall’acqua di zavorra delle navi che attraversano il canale di Suez fino alle stive degli aerei, siano oggi in grado spesso con la complicità delle azioni umane di spostarsi per migliaia di chilometri. Le formiche non sono da meno: anzi, sono perfino in grado di radunare l’intera famiglia, scegliere un veicolo e “saltarci” sopra. Questi insetti estremamente sociali si raggruppano, regina compresa, e poi sfruttano l’idea di utilizzare le automobili per spostarsi in cerca di una una nuova area dove stabilire il nido.

     

    Longform

    L’invasione della formica di fuoco, e l’Italia che fa?

    di Natalie Sauer, coordinamento multimediale: Cristina Nadotti Gaia Scorza Barcellona

    22 Gennaio 2024

    Il comportamento di varie specie di formiche che si spostavano per esempio su mezzi agricoli era già stato osservato in precedenza. Ora Scotty Yang, professore del dipartimento di Entomologia del Virginia Tech, ha spostato l’attenzione sui veicoli comuni che percorrono strade e autostrade, in particolare nell’area di Taiwan. Per un periodo di sei anni (dal 2017 al 2023) ha osservato e studiato, soprattutto grazie a segnalazioni di cittadini e di citizen scientist, come le formiche riuscivano a fare l’autostop. Da parte dei cittadini, spesso anche via social, sono stati segnalati in totale 52 casi di gruppi di formiche impegnati a ottenere un passaggio: almeno tre i casi con regine, otto quelli con covata, e in totale sono nove le specie di formiche interessate. Di queste, sette sono considerate esotiche o invasive. Spesso, ricordano i ricercatori, ad essere coinvolta era la formica nera del cacao (Dolichoderus thoracicus). La durata del parcheggio delle auto su cui le formiche sono salite poteva variare, a seconda dei casi, da poche ore a oltre un mese, anche se la maggior parte degli “autostop” è avvenuto su macchine parcheggiate per meno di un giorno. Inoltre, fanno sapere gli entomologi, questo tipo di fenomeno è più probabile nelle stagioni calde rispetto a quelle fredde.

     Gli esperti spiegano che studiare l’autostop delle formiche può essere utile a capire come gli organismi si disperdono sulla lunga distanza e come possono avere maggiori probabilità di invasioni biologiche riuscite. Yang, in base ai dati raccolti, ha poi spiegato come per fare l’autostop le formiche hanno bisogno essenzialmente di tre fattori per avere successo: devono essere in grado di arrampicarsi sulla superficie del veicolo, devono mostrare comportamenti di colonizzazione e infine devono poter  resistere alla temperatura della parte del mezzo in cui intendono piazzarsi (dal cofano sino all’interno). La scelta di salire a bordo spesso è determinata dal sovraffollamento della colonia e la necessità di spostarsi per trovare una casa più grande, un comportamento più frequente per le specie invasive. Comportamento che potrebbe guidare grandi spostamenti in aree, come gli Stati Uniti, dove è forte la presenza di specie invasive: per questo, dicono dal team di Yang, dopo Taiwan il lavoro dei ricercatori potrebbe concentrarsi proprio  negli States, dove i citizen scientist sono già invitati a inviare segnalazioni di formiche con il vizio dell’autostop. LEGGI TUTTO

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    Con il cambiamento climatico a rischio oltre 3mila specie

    Uno degli effetti più deleteri del cambiamento climatico è certamente l’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi estremi, tra cui ondate di calore o di gelo, alluvioni, uragani, periodi di siccità, e così via. Oggi, uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Globe Institute alla University of Copenhagen, pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences, ha indagato qual è l’effetto di due di questi eventi estremi, cioè uragani e tsunami, e di altri due non legati ai cambiamenti climatici, cioè terremoti ed eruzioni vulcaniche, sul benessere di quasi 35mila specie animali. I risultati, come ci si aspettava, non sono incoraggianti: il 10% delle specie valutate è a rischio estinzione a causa di almeno uno di questi eventi, e per il 5,4% il rischio è considerato alto. C’è fortunatamente spazio per la speranza: gli autori del lavoro sottolineano infatti che con le giuste politiche di prevenzione e conservazione il rischio potrebbe essere fortemente mitigato. L’importante, però, è agire in fretta.

    Biodiversità

    Dal minuscolo elefante del Borneo alle lucertole di Ibiza: ecco i nuovi animali a rischio estinzione

    di Giacomo Talignani

    01 Luglio 2024

    “Abbiamo identificato quali sono le specie a più alto rischio di estinzione a causa di eventi estremi naturali”, riassume Fernando Gonçalves, uno degli autori del lavoro, “ma non solo: abbiamo anche evidenziato che ci sono strategie in grado di prevenire queste estinzioni, tra cui, per esempio, programmi di riproduzione in cattività per aumentare le dimensioni delle popolazioni a rischio o il ricollocamento delle specie in altre regioni”. I ricercatori, in particolare, hanno sovrapposto su una mappa le occorrenze dei quattro eventi estremi considerati e la distribuzione di specie con un basso numero di esemplari che vivono in regioni molto piccole: incrociando i dati in questo modo hanno scoperto che 3722 specie (di rettili, anfibi, uccelli e mammiferi) sono a rischio estinzione perché vivono in regioni dove è probabile si verifichino uragani, terremoti, tsunami o eruzioni vulcaniche.

    “La metà di queste specie”, dicono Jonas Geldman e Bo Dalsgaard, altri due autori dello studio, “sono considerate ‘ad alto rischio estinzione’ a causa di questi eventi, e la maggior parte di esse vive in regioni tropicali (specie in isole tropicali) dove in passato si sono già verificate altre estinzioni, specie dopo la colonizzazione da parte degli esseri umani”. Come dicevamo, siamo ancora in tempo per agire: i ricercatori suggeriscono per esempio di spostare le specie a rischio in altre aree e/o di promuoverne la riproduzione in cattività, come già avvenuto per una specie di pappagallo endemico solo nell’isola di Porto Rico. “Il pappagallo portoricano, che una volta era molto diffuso ma oggi è in pericolo di estinzione a causa degli uragani e di altre attività umane sull’isola”, dice ancora Gonçalves, “è protetto con l’allegamento in cattività e le operazioni di reintroduzione in tutto Porto Rico. Attività come queste sono proprio quelle che dovrebbero essere messe in campo per aumentare il numero di individui delle specie in pericolo e allontanare il rischio estinzione”. LEGGI TUTTO